25.1.12

Nuoro mostra permanente di francesco Ciusa e Eugenio Tavolara. Il mondo magico 21 dicembre 2011 - 30 aprile 2012., Man H.B.Cartier




                                                                                                                                                                                                                                                                          

Domenica  22  con il Fai Gallura ho visitato    a   Nuoro  le  mostre  del  Tribù \ Francesco   Ciusa    (  nel sito maggiori informazioni sul museo  http://tribunuoro.it/  )  : 1)   Eugenio Tavolara il mondo magico mostra  (  album  fotografico di facebook   della pagina del  Museo Ciusa ) 


che  celebra  i  110  anni della nascita 2) la  permanente  dedicata  a  Francesco   Ciusa   ( Nuoro 1883- Cagliari  1949  )  suo  concittadino  e importante scultore sardo del Novecento.Eugenio Tavolara (1901-1963), creatore di arti applicate, scultore, designer, è l'artista che ha inventato l'artigianato sardo moderno, e con esso una nuova immagine della Sardegna al crocevia fra attualità e tradizione, radici locali e cultura internazionale. Appassionato di esoterismo e astrologia, affascinato dal passato nuragico e dagli antichi miti e credenze dell'Isola, Tavolara dà corpo a un "mondo magico": un mondo trasfigurato dall'immaginazione e popolato di presenze, nel quale, come insegna Ernesto De Martino ( il cui saggio Il mondo magico uscì nel 1948), i confini tra uomo e natura, soggetto e oggetto, sono ancora labili e fluttuanti .
 Un lascito ricomposto: grande statuaria, opere di piccolo formato, immagini e documenti, per raccontare "quasi una leggenda"
  da  una mia cattura  di  http://tribunuoro.it/museociusa/la-collezione
Una mostra  che mi ha colpito  tantissimo  e mi  ha  confermato   di come si  può innovare  senza  dimenticare  la propria identità e  le  proprie  radici identitarie  e culturali senza  per  questo chiudersi agli influssi esterni  
Una  mostra   di notevole  interesse  ,bellissima  e  profonda    sia  per  chi conosce bene,,ma  anche  sommariamente  come  nel mio caso   ,   i due  autori   in questione   . << [….] due esposizioni irrinunciabili per tutti coloro che amano l’arte,la Sardegna e la città che le ospita. Si tratta della mostra (permanente) dedicata allo scultore nuorese Francesco Ciusa e di quella che celebra, a 110 anni alla nascita dell’artista, l’opera di Eugenio Tavolara  ( Eugenio Tavolara – Il mondo magico, questo l’eloquente titolo della mostra che può essere visitata fino al 30 Aprile p.v.) 

. >> Francesco Ciusa (1883-1949) sempre secondo l’articolo  di   http://www.dillinger.it   <<  è l’artista che per primo in Sardegna ha dato dignità alla scultura moderna e che contemporaneamente, e assai mirabilmente, ha espresso l’anima della cultura sarda nelle sue rappresentazioni scultoree e nelle sue ceramiche. Dello scultore barbaricino si dice che egli fu, analogamente a molti altri artisti europei che vissero, come Ciusa, negli anni turbolenti a cavallo dei secoli XIX e XX, un artista moderno che paradossalmente non amava la modernità. Rileva il critico d’arte Giuliana Altea: ‘ “Dopo tanto frastuono, ritorno ora nel silenzio della tanca”, scriveva Ciusa in una lettera del maggio 1907, all’indomani della sua affermazione alla Biennale di Venezia. “Frastuono” e “silenzio” sono i due poli tra cui si muove lo scultore nuorese: il frastuono in questo caso è quello del successo, ma è anche il rumore della città, contrapposto alla pace che regna nelle campagne solitarie della Sardegna. . Una modernità cui si sente profondamente estraneo, della quale non condivide la logica del progresso, il movimento convulso e incessante, la spinta verso uno sviluppo e un cambiamento ininterrotti. Lo scultore trova rifugio nella lentezza e nel tempo che scorre a misura d’uomo che contraddistinguono e regolano gli eventi tradizionali e il vivere quotidiano della sua terra. Testimonianza diffusa di ciò troviamo in tutta l’opera di Ciusa e segnatamente nelle sue opere principali  La madre dell’ucciso (opera premiata alla biennale d’arte di Venezia del 1907), La filatrice, il dormiente, Il nomade, Dolorante anima sarda, Il monumento al poeta Sebastiano Satta,  Il fromboliere, oltre che nei numerosi lavori in terracotta, in pasta di marmo e in ceramica. Il Museo Ciusa di Nuoro raccoglie una sessantina di pezzi (comprendendo tra essi disegni e documenti d’archivio) realizzati in un arco di tempo che va dai primi anni del Novecento fino agli anni Quaranta. Essi costituiscono testimonianza dei periodi in cui la cui ricerca espressiva dell’artista si fa più intensa. >> Questo articolo trova conferma   nelle foto (  ad  iniziare  dalla seconda   a   destra  )   fatte da me    durante  la   visione della mostra  





Non meno rappresentativa ed  importante  è la  2 mostra (  sotto la  cattura   del volantino della mostra  )
in cui l’estro artistico dei sardi è messo  in evidenza  nell’’opera di Eugenio Tavolara, artista poliedrico che non fu solo scultore. Egli fu, soprattutto, l’iniziatore dell’artigianato sardo moderno (fu lui, negli anni Cinquanta del secolo scorso, a dirigere per la prima volta l’ISOLA – l’istituto sardo per l’organizzazione del lavoro artigiano), una sorta di progettista d’arte, di designer, di ‘creatore di arti applicate’ - azzeccata espressione utilizzata nel pieghevole che pubblicizza la mostra che celebra la sua opera, che tenta di riassumere tutto l’universo delle capacità creative dell’artista sassarese. Le sue opere, realizzate in solitudine oppure con l’aiuto di artisti e artigiani come Mario Pompei, Gavino Tilocca, Pasquale Tillocca ed altri, si muovono concettualmente nelle direzioni più varie e nei colori, nelle espressioni dei visi, nel significato più profondo veicolato dai manufatti presentati in mostra, con un unico denominatore: la Sardegna vista nelle sue innumerevoli sfaccettature. Non sono solo antico e moderno o sacro e profano ad essere rappresentati da Tavolara in questi meravigliosi oggetti: vi è, invece, un orizzonte vastissimo

23.1.12

giornata della me.memoria ( 27 gennaio 1945 ) questo è stato

Leggendo questo interessantissimo articolo   sul colonialismo italiano  e   su come  usava il  fumetti per  giustificare  la sua   becera e  vergogna  propaganda coloniale

 questo http://tinyurl.com/6sr2nak interessantissimo  articolo di Igia bascego (  qui il suo blog     e  all'interno  dell'url citato  sotto    trovate  dei cenni  su  di lei  )   e  quest’altro che  riporto  tratto da  http://www.linkiesta.it


La Shoa fu progettata 70 anni fa e la Germania non ha perso la memoria

Laura Lucchini  20 gennaio 2012 - 13:56
Sono passati 70 anni dall’incontro in cui si diede via alla “Endlösung der Judenfrage”, la soluzione finale alla questione ebraica. E in Germania oggi saranno presenti il presidente tedesco Christian Wulff e il ministro Yossi Peled, per ricordare una delle pagine più buie del secolo scorso. Dopo l’annuncio della ripubblicazione di estratti del Mein Kampf, il libro manifesto di Adolf Hitler, si sente sempre più viva la necessità di mantenere viva la memoria sull’Olocausto.
                                                           
La villa di Wannsee



BERLINO - Il 20 gennaio del 1942 circa quindici funzionari e segretari di stato del governo nazista si riunirono in un’elegante villa sul lago alle porte di Berlino. Nell’incontro dovevano trattarsi una serie di questioni logistiche. Ciascuno dei partecipanti sapeva esattamente qual’era l’oggetto di questo incontro, perché era stato stampato, a chiare lettere, su ogni invito inviato dal capo della sicurezza Reinhard Heydrich: “Endlösung der Judenfrage”, la soluzione finale alla questione ebraica.
Tutti i presenti, tra loro anche l’”architetto” Adolf Eichmann, avevano già avuto a che fare con l’emarginazione, la persecuzione e il saccheggio ai danni della popolazione ebraica in Germania e fuori. Si conoscevano tra loro. Si erano già incontrati. Proprio per questa ragione erano stati riuniti quel giorno. Si trattava di passare all’ultima fase dell’antisemitismo: l’eliminazione fisica. La conferenza di Wannsee marcò una netta cesura nella storia dell’Olocausto.
Oggi ricorre il settantesimo anniversario di quell’avvenimento e il Governo tedesco ha programmato una cerimonia per ricordare il momento in cui si decise lo sterminio di milioni di ebrei in tutta Europa. Il presidente della Repubblica Federale, Christian Wulff, ricorderà le vittime e tutti coloro che hanno sofferto per le conseguenze di questa decisione. Il ministro Yossi Peled rappresenterà il governo israeliano nell'evento. Alla fine della commemorazione, una conferenza di storici di tre giorni tenterà ancora una volta di  sviscerare i significati. Commemorazioni di questo tipo si ripetono in Germania ogni anno. Però ora cresce il numero di coloro che, senza essere neonazisti o di estrema destra, si chiedono se dopo due generazioni siano ancora necessarie queste forme di memoria storica. Il tema è oggetto di dibattito quotidiano. Tra amici tedeschi e stranieri, è facile che in una cena se ne parli.
Gli storici cercano di dire la loro, sottolineando la “singolarità” e il valore assoluto dell’evento, che va oltre ai confini della Germania e si trasforma in un “problema dell'umanità” intera. Secondo quanto scrive questa mattina Sven Felix Kellerhoff su Die Welt, «il 90% delle vittime dell’Olocausto non avevano mai posseduto un documento tedesco. Però coloro che davano ordini erano soprattuto tedeschi e austriaci, mentre l’organizzazione dello sterminio di massa avvenne quasi unicamente a Berlino». Eppure oggi «l’Olocausto è molto di più che un problema tedesco, ma un problema dell'umanità». Da qui nasce la necessità, l’imperativo, ma anche la responsabilità tedesca, di ricordare.
Dalla conferenza di Wannsee uscì un documento di 15 pagine dove si dettagliava il numero di ebrei e la loro distribuzione in paesi, così come il piano minuzioso per eliminarli. Si descriveva con precisione l'organigramma delle deportazioni sui treni che avrebbero trasportato le vittime a campi di stermino o lavoro. In base alla loro condizione fisica sarebbero stati destinati a «lavorare fino alla morte» o alla «eliminazione diretta».
Il documento è conservato nella stessa villa di Wannsee dove fu concepito e che oggi è un centro di documentazione. Il fatto che il protocollo non porti la firma diretta del Führer, Adolf Hitler, è una questione che ancora oggi divide gli storici. Da un lato c’è chi argomenta che la “soluzione finale” non fu sua iniziativa diretta. Dall’altro c’è chi invece assicura che la sua firma era superflua, semplice burocrazia. Avevano i funzionari riuniti a Wannsee l’ordine esplicito di organizzare l’Olocausto? Secondo Norbert Kampe, direttore  del centro di documentazione di Wannsee «non c'è alcun dubbio». Senza l'approvazione dall'alto una simile operazione non sarebbe stata possibile. «La decisione fu precedente», assicura. Secondo Kampe, Hitler non firmò il documento semplicemente perché, «non era il suo stile, odiava la burocrazia». L’argomentazione che toglie a Hitler la responsabilità dell'ordine esplicito, piace in genere ai neonazi, e viene usata come una specie di legittimazione del culto del Führer.
L’esistenza stessa di questi dibattiti dimostra la necessità di mantenere viva la memoria. Negli ultimi giorni l’opinione pubblica è stata scossa dalla decisione dell'editore inglese, Peter McGee, di ripubblicare estratti del Mein Kampf di Adolf Hitler a partire dal 26 gennaio. Il libro-manifesto non era mai stato ristampato in Germania dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma la vera provocazione, o trovata commerciale, è che il 27 gennaio è il “Giorno della memoria”, la ricorrenza annuale in cui si commemorano in tutto il mondo le vittime dei campi di concentramento. L'operazione avviene all'interno di un'iniziativa editoriale che porta il nome Zeitungszeugen (testimoniare con i giornali) e che prevede la pubblicazione di pagine di cronaca dell'epoca, non solo nazista. Il contesto non ha comunque smorzato la polemica, dove le iniziativa di carattere storico rischiano spesso di essere prese come spunto per la celebrazione dai fanatici, e il turismo di estrema destra. L’anno scorso una mostra totalmente dedicata a Hitler nel museo storico di Berlino aveva suscitato analoghe polemiche.
Come se non bastasse, l’attualità degli ultimi mesi impone di affrontare il tema. Nello scorso mese di novembre, la scoperta di una cellula terrorista di estrema destra che riuscì a uccidere una decina di stranieri e rimanere indisturbata per dieci anni grazie alla collusione dei servizi segreti, ha riacceso con violenza il dibattito sulla proibizione del partito neonazista NPD.
«Nonostante tutto rimangono persone che esaltano la folle dottrina di stato del terzo Reich e cercano di diffonderla. Antisemitismo e intolleranza avvelenano ancora oggi molte persone. (…) Ancora oggi ci sono fascisti che non solo gridano per le strade, ma che spaventano un'intero paese con una serie di omicidi, mentre la loro bandiera dell'NPD rimane ancora tollerata dallo Stato e addirittura sovvenzionata dai parlamenti tedeschi», scrive questa mattina Dieter Graumann, presidente del Consiglio centrale degli ebrei. A quanto pare, non mancano gli argomenti per continuare a parlarne.  continua  qui

mi  è  venuto  in mente  questa   riflessione   che  mi  ha  convinto  a continuare  a  scrivere  ( nonostante  i miei amici e  compagni di viaggio mi dicevano che  era  come lavare la testa dell’asino con il sapone  o peggio dare  le perle  ai porci ) e  a parlare  di questi argomenti  .
Infatti  In Italia  li facciamo  solo a metà nonostante  siamo  coinvolti    e vi abbiamo partecipato in prima .persona . con le leggi razziali del ’38 e, successivamente, con le deportazioni, iniziate con l’occupazione nazista  avvenuta dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.e  con la  collaborazione   della Rsi  (repubblica  sociale  italiana) Stato fantoccio della Germania nazista (lo stesso Mussolini ne era consapevole[13]), la Repubblica Sociale Italiana non fu riconosciuta dalla comunità internazionale. Fu considerata erede del Regime fascista italiano dalla Germania, che la riconobbe ma esercitò su di essa un protettorato de facto. Fu riconosciuta anche dall'Impero giapponese e dalla maggioranza degli altri Stati  dell’Asse  (    gli alleati filo tedeschi  )  che addirittura   istituì le  ss  italiane  e  abbiamo avuto ben    3    campi di sterminio
·  Campo di concentramento e sterminio della Risiera di San Sabba (in Italia)
·  Campo di concentramento di Fossoli (internamento, sterminio e lavoro in Italia)
·  Campo di concentramento di Ferramonti (in Italia)mentre  in Germania 
  Concludo   con questo  canzone   scusate  se   i video  sono  forti     e sconsigliati  per  i  deboli  di stomaco   

ma   : <<  questo  è stato  >> (  cit Primo Levi ( 1919 –  1987    reduce  di quello  che  fu     il campo di concentramento di Auschwitz. Autore  di  (  ovviamente  non  sono  in ordine cronologico ma  come mi sono venuti in mente    )  :  Se questo è un uomo, la  chiave  a stella   La  tregua ,I  sommersi ed  i Salvati in cui  si racconta   le sue esperienze nel lager nazista    

22.1.12

Nella notte


Nella notte sull'asfalto
ancora ascolto te
La tua voce accarezza
tenui briciole di fumo
le trasforma in stelle d'oro
e le strade, i viali nudi
il compatto grigio muro
s'apre come un grande altare,bianco, immenso, svaporato

Resta aperta la speranza
senza te, senza il tuo viso,
senza il tuo sguardo distratto,
pigro, immoto, lento, illune

Mi rimane quel che eri,
le tue note sparse all'aria,
qualche scampolo di vita
in ventose buie armonie,
e poi tutto si conclude,
serio e lieve, a un tratto dolce

.

19.1.12

Leggero

E non m'importa nulla
del domani, dell'amore,
non m'importa della vita.
Voglio solo passeggiare
su questi anni, smorti e tristi,
col mio sesso ineducato,
senza chiedermi perché.









(Nella foto: Dario Francesco Gay)


castellamare di stabia La processione sfila sotto casa del boss e il sindaco abbandona il corteo

da  ilfattoquotidiano   da  cui èmtratta la foto  estrapolata  dal  video   e il video  sotto riportato  , leggo   tale news 







Non è servito il pugno duro del sindaco Luigi Bobbio, e neppure l'impegno di Curia e forze armate per controlli più severi sui membri del comitato organizzatore della festa e sul percorso che la processione avrebbe dovuto seguire. Anche quest'anno la statua di San Catello, patrono di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, è passata sotto la casa del boss ai domiciliari Renato Raffone, detto 'Battifredo', e lì si è fermata in omaggio al ras della zona. Di più: Raffone sembra quasi guidare la processione, ordinando alla 'paranza' dal balcone di casa quando fermarsi e quando riprendere la processione. Una scena che non è piaciuta a Bobbio che, come lo scorso anno, ha deciso di togliersi la fascia tricolore, abbassare il gonfalone del Comune e allontanarsi. Beccandosi pure gli improperi di alcuni fedeli che non hanno visto di buon occhio il suo gesto.

Di Andrea Postiglione (si ringrazia Gennaro Manzo)

e  dal suo blog   http://luigibobbio.blogspot.com/  ( chi  se  ne  frega  se  è  della pdl  la  legaliotà non ha  colore  politico ed ideologico ) 

Festa di San Catello, incontro sindaco-Vescovo: no ombre di camorra su rito

nella foto: la statua di San Catello (ph. Manzo)
Si è svolta, ieri mattina, alle ore 10:30, presso l’Episcopio di Castellammare di Stabia, l’incontro tra S.E. Mons. Felice Cece e il Sindaco di Castellammare, on. Luigi Bobbio, con la partecipazione del dott. Ferdinando Rossi, dirigente del locale commissario Ps., fautore dell’incontro stesso.
La riunione ha avuto carattere di grande chiarezza e cordialità e, nel corso della stessa, sono state reciprocamente illustrate le rispettive posizioni alla fine risultate sostanzialmente coincidenti, diversamente da quanto un quotidiano cittadino aveva tentato di accreditare. Il sindaco ha ribadito la necessità, dal suo punto di vista di massima autorità cittadina e dal punto di vista del Prefetto, quale autorità di Governo, di escludere in qualsivoglia momento della processione – dalla fase organizzativa del trasporto della statua all’effettivo svolgimento del rito – qualsiasi aspetto che possa essere letto quale, attenzione a qualche associato alla camorra. Il vescovo ha condiviso quanto espresso dal Sindaco ed ha auspicato che la festa del Santo Patrono, con la collaborazione di tutti, diventi sempre più un momento di comunione e di concordia nella comunità civile e religiosa e nei rapporti tra le istituzioni.
Nel corso dell’incontro, peraltro, sono stati toccati vari aspetti problematici dal punto di vista lavorativo e sociale della città, primi tra tutti quelli riguardanti la vertenza Fincantieri e Terme di Stabia realizzandosi e riscontrandosi una piena identità di vedute tra gli interlocutori



da fiorepasut e anna villiardi di facebook

Siediti qui e....
guardami negli occhi.
dammi un sorriso, dammi il tuo calore
mi hai chiesto scusa per i tuoi capricci
e quante volte dovrei farlo io!
Per ogni volta che non ti ho capito
per tutti i "dopo" e la stupidità
di far passare in fretta la tua età!
Il tuo dolore, seppur ancor bambina,
forse l'hai consumato nel silenzio
mentre dall'alto della mia ignoranza
non davo nè valore nè importanza!
Ora mi insegni e....
so cosa devo fare
Amarti ad ogni passo senza la presunzione
che solo i grandi conoscono il dolore!
 ------
 C'è una fonte della giovinezza: è nella tua mente, nei tuoi talenti, nella creativita' che porti nella vita.
Quando impari ad attingere a questa sorgente, avrai davvero sconfitto l'età.
 “ Per essere grande, sii intero: non esagerare e non escludere niente di te. Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei, nel minimo che fai, come la Luna in ogni lago tutta risplende, perché in alto vive. „
 

18.1.12

Ma è morto il capitalismo o le idee per rinnovarlo?



Il dibattito sul Financial Times sulla crisi del capitalismo colpisce più che per il contesto, che a discuterne sia il giornale della City, che per le idee che ne escono. Lawrence Summers crede che basti un po' di manutenzione alla teoria economica per rimettere in moto la macchina dei mercati. L'ex leader malesiano Mahathir Mohamad dice che la finanza è servita all'Occidente in questi ultimi vent'anni a coprire e rimandare la crisi del suo sistema industriale già da tempo emigrato a est. L'impressione è che grandi teorie non ne leggeremo ma che piuttosto il futuro sarà un patchwork di idee del passato. Quello che abbiamo davanti molto probabilmente lo avevamo dietro.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/cultura#ixzz1jqmQIsRP

Benigni fischiato a laurea honoris causa. L’ira degli studenti: “Una trovata pubblicitaria”

Ormai è una prassi consolidata: sempre più atenei concedono lauree Honoris Causa o per vivere attimi di celebrità o più di frequente e molto prosaicamente a compenso. Un titolo ormai inflazionato e che ha perso ogni appeal in personaggi dotati di un cervello appena normal a godere  di tale  titolo  sono    nella maggior parte  dei casi  dei cretini  .  Evidentemente, Benigni non si annovera tra questi, ma lo sapevamo tutti da un pezzo. Per quanto concerne l’Università, a volte gli atenei ricorrono a questo tipo di improvvisa celebrità che li coglie per prendere lo spunto e sottoporre all’antenzione delle competenti autorità problemi finanziari, didattici o di logistici .


Benigni fischiato a laurea honoris causa. L’ira degli studenti: “Una trovata pubblicitaria”

L’Università della Calabria premia il toscanaccio, i ragazzi protestano con l’Ateneo: “Basta con queste passerelle”.
Cosenza. Gli studenti di Calabria contro la laura honoris causa di Roberto Benigni. L’attore e regista toscano questa mattina è stato premiato all’Università di Calabria a Cosenza inaugurando così l’anno accademico ma tra le polemiche. Non dirette contro il toscanaccio, ma contro l’Ateneo accusato di pensare solo a “trovate pubblicitarie”. “Non abbiamo nulla contro Benigni – hanno detto gli studenti – ma con coloro i quali dovrebbero pensare bene ai problemi che vive l’Università. Perché puntare sulle passerelle con i politici locali quando abbiamo problemi seri? Non si capisce, per esempio, perché siano state ritardate di sei mesi le borse di studio. Chi l’ha deciso e per quale motivo? Ed ancora, abbiamo bisogno di biblioteche aperte, di trasporti meno cari e che funzionino. E’ questo quello che serve a noi studenti e a questa Università”. Tra gli studenti che hanno protestato c’è anche chi ha fatto sentire la sua voce perché deluso dall’essere costretto a rimanere fuori dal Teatro. “Non ci hanno fatto entrare – hanno detto – e c’è uno schieramento di poliziotti imponente. Ci chiediamo perché a noi è stato impedito l’accesso?



Il Teatro è per tutti e non per pochi. Invece si è preferito privilegiare gli amici. Non è questa l’Università che vogliamo”.


  

a volte le catene di sant'antonio posso essere utili

E' il caso di questa  che riporto sotto  che  ho trovato oggi  ap.orendo la mia bacheca  di facebook e  che proviene   da  http://www.slideshare.net/




 
Goditi la vita  cosi  com'è 
.le  cose sono peggio per  gli altri e molto meglio per  noi 









  ci sono molte  cose   nella  tua  vita   che  catturano il tuo sguardo  , ma solo poche  catturano il tuo cuore  ...
   ti stai ancora  lamentando  ?
 oserva  intorno a te  e sii  grato per tutto quello che  hai  in questo periodo passeggero


 andavo di fretta  e  quindi  l'ultima pèarte  ho preferito  copiarla direttamente  anzichè trascriverla

    

L'anima dei guai

Ma l'anima, dov'è? Dove s'è nascosta, o perduta, nella sciagura della crociera dal nome ironicamente beneaugurante, Concordia ? Forse s'è solo rincantucciata, emergendo timida e spaesata tra mozzichi di parole, in esplosioni d'incredulità, furia, sgomento e dolore. Come quelle del capitano De Falco, urlate all'ormai noto comandante Schettino: "Torni su quella nave, le faccio passare un'anima di guai". Vocaboli galleggianti, privi di suono e di senso, per chi l'anima non la conosce né la vede, soprattutto nel dolore altrui. L'anima è collettiva e altruista, non si ripiega mai su sé stessa
 Lo scrittore Björn Larsson sostiene che il Concordia non è il Titanic, non è neppure una nave, e Schettino non somiglia neppur alla lontana a Edward Smith. Ha ragione, naturalmente. Ma un colosso turistico affondato in uno spicchio di Mediterraneo non è meno tragico d'un transatlantico che s'inabissa nel gelo dell'oceano, annullando in sé il sogno prepotente, ma non privo d'una sinistra grandezza, del positivismo e del futurismo. Sbagliamo noi, a considerare tragedia solo quanto ci appare con toni altisonanti e vette sublimi. Siamo infarciti di cattiva letteratura. Perché quasi sempre, invece, il male è inglorioso, la rovina miseranda, persino un po' goffa, proprio come il nostro Titanic casalingo (o casereccio). E non esercita alcun fascino. Ben lo sapeva Dante il quale, al termine della sua discesa all'inferno, ci mostra un Lucifero deludente, un ebete mostruoso dalle lacrime vane, insomma un povero diavolo. Tutto qui?, domanda allora il lettore, sgomento. Sì, tutto qui. Il principe del Male non è un anti-Dio ma una banale creatura decaduta: materia vile, nullità. E dannarsi per nulla, non è forse la peggior tragedia che possa capitare?
Il Concordia langue, patetica balena d'acciaio, col suo carico venefico di nafta in procinto di sterminare anche quell'ultimo, incolpevole lembo di Natura chiamato Isola del Giglio. Pure questo fiore, adesso, simboleggia amaramente la purezza smarrita. Se il Titanic rappresentava la fine di un'utopia, il Concordia segna l'apice, e il crollo, della mancanza d'utopie. Il nome del primo evocava l'illusione umana della forza e del possesso; il secondo è dolce, paritario, come il benessere offerto a tutti della società dei consumi. Col denaro tutto si risolve, tutto si compra, tutto si semplifica; per il denaro, e il profitto che ne consegue, si può risparmiare sull'equipaggio, sulla preparazione del personale di bordo, sull'etica, sull'anima: ed eccoci tornati al punto di partenza. Un comandante fuggiasco per timore del buio e dell'abisso non può comprendere le esortazioni del suo superiore a rimanere sulla nave. Non può che ritenerle delle assurdità. Nella visione nichilista e consumista del profitto, conta la soddisfazione immediata: ovviamente da non dividere con nessuno. Il dovere termina laddove s'intravede, non diciamo il pericolo, ma un semplice impedimento. Il nichilismo e il consumismo vellicano l'istinto, ma degradano l'uomo. Lo lasciano solo nel suo egoismo spontaneo e incontrollabile, nel "si salvi chi può" dell'egotismo conclamato. E gli altri vadano in malora.
Il Concordia segna il naufragio di questo mondo parallelo e inesistente: il mondo della faciloneria, dell'approssimazione, della spericolatezza al posto del coraggio, dell'apparenza al posto della verità. Il mondo del qui-e-ora, dove conta solo l'attimo, da cogliere non per slanciarsi verso il futuro, ma per arenarsi in una morta gora: ché il futuro, il domani, non esiste.
Ma la verità sono persone morte, anzi uccise, dall'imperizia e dall'avidità. Certo, anche la morte, nella società nichilista, è gioco virtuale: le tv berlusconiane hanno proposto ai gentili spettatori un simpatico sondaggio per sapere chi, secondo loro, è il colpevole: il comandante, l'equipaggio o altri? Come una nomination al GF, o un quiz a premi con ballerine discinte. Portavoce per eccellenza del nichilismo, la televisione ne è pure il suo braccio armato. Essa non ascolta, non contempla, non ipotizza l'anima dei guai.
E chissà che l'anima di quest'impacciata tragedia del nichilismo non sia proprio quella di Giuseppe Girolamo, giovane batterista disperso che, secondo testimoni, avrebbe lasciato a un bambino il suo posto sulla scialuppa e per il quale non smettiamo di sperare. Abbiamo deciso di corredare quest'intervento col suo viso da Cristo rock dagli occhi timidi, non per cercare a tutti i costi l'eroe: ma perché meglio ci sembra rappresentare il sussurro di quell'anima smarrita, volatile come musica, l'arte più vicina a Dio; e forse, in quest'ora di buio, ansiosa solo di ritornarvi, immemore della nostra ingratitudine.





17.1.12

Dipendenza sessuale Essere dipendenti dal sesso, come drogati, è il sintomo di qualcosa che non va nell'ambito sessuale ma spesso non solo. Vediamo di cosa si tratta e come si guarisc

 DA  http://www.amando.it/

  Un tempo detta ninfomania, oggi il bisogno compulsivo di fare sesso è anche chiamato bulimia sessuale o dipendenza dal sesso, in inglese sex addiction. Ed è proprio con questo ultimo termine che il disturbo è stato inserito nei manuali di psichiatria, accanto alle nuove dipendenze come quelle da internet, da cellulare e da videogiochi.



Ma cosa significa soffrire di dipendenza sessuale? È una vera malattia e come si può curare?


Il disturbo
La dipendenza dal sesso appartiene ai disturbi ossessivi, dove il sesso è il mezzo per difendersi da qualcosa che fa paura.Le persone con questo disturbopensano al sesso in continuazione, e nel tentativo di riempire un vuoto interiore, hanno il bisogno impellente di avere rapporti sessuali, da una a cinque volte al giorno. La spinta all’attività erotica è irresistibile e deve essere soddisfatta a tutti i costi, con qualsiasi persona si ha a fianco, facendo diventare ilsesso il perno intorno al quale gira tutta la vita, le amicizie, il lavoro, gli hobby e gli amori. Il sollievo, però, dura giusto il tempo di un rapporto, del quale poi ci si vergogna, ma che alla fine è l'unico modo per avere una consolazione.
È lo stesso meccanismo che avviene nel drogato o nell’alcolista, che ricercano la soluzione in quello che invece è il problema; solitamente si diventa vittime di impulsi sui quali si perde ogni tipo di controllo, perché bisogna soddisfarli immediatamente.


Chi ne soffre
Solitamente chi soffre di questo disturbo è una persona che ha paura della vera sessualità, intesa come rapporto con l’altro e scambio profondo. Può riguarda uomini e donne di ogni età, e nell'ultimo periodo c'è una nuova categoria di persone che soffre di questo disturbo: gli uomini over 60.Spesso si tende a giustificare questo comportamento con l’idea errata che le prestazioni sessuali sono un simbolo di successo, ma la realtà è ben diversa, e questi uomini sono mossi soprattutto dalla paura di invecchiare e spesso se ne rendono conto solo quando hanno toccato il fondo. Si arriva a diventare schiavo del sesso quando con il passare del tempo e di fronte al fisiologico calo delle prestazioni, questi uomini si vedono sottrarre quel punto di forza su cui hanno investito tutta la vita e allora cercano di fermare il tempo provando a dimostrare a se stessi e agli altri di potercela fare. Così si contornano di numerose partner, spesso giovani e desiderabili per aumentare l’autostima e poco conta se l’amore di queste donne è stato comprato.

Come si guarisce
In America, ormai da anni, sono nate delle vere e proprie cliniche per i dipendenti dal sesso in cui la cura è basata sull'astinenza forzata per mesi e l’uso di farmaci.
In Italia si cerca di ricorrere in primo luogo ad una psicoterapia; le più utilizzate sono quelle di tipo cognitivo-comportamentale, che cerca di raccogliere le sensazioni che il paziente prova quando avverte l’insopprimibile spinta di fare sesso con chiunque. Quindi gli si insegna a controllarsi nel momento del bisogno, cercando di distrarsi concentrandosi su altro.
Altro tipo di psicoterapia è quella analitica basata sull'idea che l’origine del disagio va cercata in una sofferenza profonda che si fa sentire a livello sessuale perché è li che si esprimono le parti più segrete. In questi casi il terapeuta dovrà aiutare il paziente a vedere nel “sintomo”, i conflitti profondi mai risolti.
A volte il trattamento psicologico va accompagnato da una cura a base di farmaci che controllano l’umore e tolgono il pensiero fisso del sesso. Solitamente però gli psicofarmaci servono solo a contenere il paziente temporaneamente, perché la terapia fondamentale è quella psicologica.
Molto utili sono anche i gruppi di auto-aiuto (simili a quelli per alcolisti) guidati da esperti, dove l’obbiettivo da raggiungere è quello di far diventare nuovamente un piacere ciò che è diventato ossessione.

La Carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo


credevo che  tali articoli fossero  solo  dela sinistra  invece .... lo  pubblica un sito  dell'ulktra destra  come  http://www.questaelasinistraitaliana.org/



La democrazia non è il prerequisito della crescita economica. Al contrario, è la crescita a essere un prerequisito della democrazia. E l’unica cosa di cui non ha bisogno sono gli aiuti. L’analisi-choc del perché l’iniezione di aiuti economici nelle casse dei paesi africani è un’iniezione letale.
“Quando la Banca Mondiale crede di finanziare una centrale elettrica, in realtà sta finanziando un bordello.” Paul Rosenstein-Rodin, vicedirettore del Dipartimento economico della Banca Mondiale.
Il 13 luglio 1985 va in scena il concerto “Live Aid”, con un miliardo e mezzo di spettatori in diretta: l’apice glamour del programma di aiuti dei Paesi occidentali benestanti alle disastrate economie dell’Africa subsahariana, oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l’economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance solida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoriale. L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership sofisticata ed efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Il colosso cinese, che non deve fare i conti con un passato criminale di colonialismo e schiavismo, è infatti in grado di riconoscere l’Africa per la sua vera natura: una terra enorme ricca di materie prime e con immense opportunità di investimento. Definita l’anti-Bono per lo spietato pragmatismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.
Questa la scheda di un libro che ha fatto scalpore, edito da Rizzoli, scritto da Dambisa Moyo.
DAMBISA MOYO è nata a Lusaka (Zambia) nel 1969. Formatasi tra Oxford e Harvard, ha lavorato per la Banca mondiale e Goldman Sachs. Nel 2009, grazie al successo mondiale di questo libro, la rivista “Time” l’ha segnalata tra le cento personalità più influenti del mondo. Scrive sull’“Economist” e sul “Financial Times”.

Ne consiglio a tutti la lettura.

dire la verità è scomodo Taranto, «Denunciato per la protesta contro l’inquinamento»

I turisti vanno a villeggiare sulle rinomate spiagge del meraviglioso Golfo di Taranto, mangiano anche i prodotti locali e sono compiaciuti delle sue bellezze.
Non tutti sanno, però, quanto l’inquinamento da diossina abbia colpito gli abitanti di Taranto e dintorni.
Se la nostra memoria non è tenuta a ritenere i fatti accaduti lontano da noi, non penso che sia un crimine per chi ci vive ricordarli per amore di sé stesso e degli altri (specialmente i turisti).
Mi sono imbattuta in questo articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ecco cosa è accaduto a chi non si rassegna a dimenticare.
Vi invito a leggerlo: per me è un esempio di negazione del diritto alla libertà dell’informazione e alla rivendicazione della tutela della propria salute e dell’ambiente.   


La Gazzetta del Mezzogiorno.itPuglia
Martedì, 17 Gennaio 2012 11:05






Taranto, «Denunciato
per la protesta
contro l’inquinamento»

TARANTO 
 «Ora denunciateci tutti». Scatena la reazione di diverse decine di cittadini nonchè di un folto gruppo di movimenti ed associazioni il fatto che sia stato denunciato uno dei giovani che martedì scorso, insieme a tanti altri, davanti al Tribunale dove era in corso la prima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, ha issato uno striscione che metteva in evidenza come sul processo per il delitto di Avetrana si fosse accesa in modo potente l’attenzione dei media, mentre sull’inquinamento che da anni colpisce la città non si registra analoga attenzione.
«Quando un gruppo di giovani decidono di valorizzare la propria città e, senza far uso di bandiere o colori politici, si adoperano per migliorarla, ripulendo ed abbellendo le pubbliche piazze, vengono lodati dall'opinione pubblica ed apprezzati dalle autorità. Ma se un giorno - si legge nel documento di protesta - decidono di manifestare pacificamente usando uno striscione per portare alla luce una questione macroscopicamente ingiusta e dolorosa ecco che vengono denunciati. La motivazione? I coraggiosi ragazzi hanno inscenato una pacifica dimostrazione, durata pochi minuti, dinanzi al Tribunale dove da tempo si celebra il processo per la morte della povera Sarah Scazzi, divenuto fenomeno mediatico che suscita tanto scalpore per la curiosità morbosa del pubblico e la folta audience. Intervenuti a frotte, i media si sono trovati di fronte un gruppo di giovani e uno striscione con queste parole: “Su Sarah avete speculato ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”». «Poche riprese rapide - si legge nel documento - ed il silenzio è calato nuovamente ma la protesta non è passata inosservata. No, perché uno di questi giovani è stato denunciato, quasi fosse un attentatore alla quiete pubblica».
Ma, si chiedono i firmatati dell’esposto, «è giusto che portatori di verità vengano denunciati come comuni malfattori? O sono solo detentori di una realtà che viene tenuta forzosamente nascosta sotto il tappeto? I risultati dell'inquinamento a Taranto devono rimanere un segreto di cui sono a conoscenza ben pochi: i cittadini di Taranto, i miticoltori, gli allevatori, i malati ed i tanti morti di tumore». «Esprimiamo piena solidarietà ai giovani - prosegue il documento - che, con vero spirito di sacrificio, si fanno portatori di una verità dolorosa, del senso di disagio e di lutto che la cittadinanza sopporta da decenni, nel silenzio delle autorità, della Regione e della Nazione, avvezze ad usare ben altro trattamento di acquiescenza verso i responsabili dell' inquinamento».
Tra i gruppi che aderiscono ci sono: 1000 per Taranto, Altamarea Taranto, Ascolto Aiuto, circolo Arci Pepper, Creativa Mente, Federazione provinciale Verdi, gruppo Mcs Puglia, Joe Black Production, Taranto lider, Taranto Pulita, Vivi Taranto e Wwf Taranto.
16 GENNAIO 2012

16.1.12

Fosse Ardeatine, storico tedesco accusa l'Italia "Roma scelse di non perseguire gli assassini

 (...)  Ma ho scoperto l'altro giorno guardandomi allo specchio
Di essere ridotta ad uno straccio
Questo male irreversibile mi ha tutta divorata
È un male da garofano e da scudo crociato

  (....)
Modena City Ramblers   40 anni  in Riportando tutto a casa  1994

 il  ritornello   di  questa   canzone  in  canna  nello stereo    conferma    questa  notizia   presa   da  
da  repubblica  online d'oggi 15\1\2012

Il settimanale Spiegel rilancia la ricerca di Felix Bohr su documenti provienienti dall'AA, il vecchio ministero degli Esteri. Da cui verrebbe alla luce la volontà comune di Roma e Berlino, a fine anni 50, di evitare l'estradizione e il processo ai criminali. Le ragioni del governo democristiano: evitare di dare l'esempio ad altri Paesi per rivalersi sui criminali di guerra italiani, ma anche per non incrinare i rapporti con la Germania di Adenhauer e non dare un vantaggio propagandistico al Pci

I documenti scoperti da Bohr portano alla luce il contenuto di un colloquio che l'ambasciatore tedesco Manfred Klaiber ebbe nell'ottobre 1958 con il capo della procura militare di Roma, colonnello Massimo Tringali, nella sede diplomatica tedesca. Dopo il colloquio, Klaiber scriveva a Bonn che il colonnello Tringali aveva "espresso che da parte italiana non c'è alcun interesse a portare di nuovo all'attenzione dell'opinione pubblica l'intero problema della fucilazione degli ostaggi in Italia, in particolare di quelli alle Fosse Ardeatine".
All'ambasciatore tedesco, Tringali aveva spiegato che ciò "non era auspicato per motivi generali di politica interna" e "esprimeva l'auspicio che dopo un doveroso e accurato esame, le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciare il loro luogo di residenza, oppure che le persone non erano identificabili a causa di inesattezze riguardo alla loro identità".
Il colonnello italiano avrebbe aggiunto che, nel caso in cui le autorità tedesche fossero arrivate dopo un'inchiesta alla conclusione che tutti o parte dei responsabili dell'eccidio vivevano in Germania, "la Bundesrepublik era libera di richiamarsi all'accordo italo-tedesco di estradizione e di spiegare che le informazioni richieste non potevano essere fornite, in quanto la Bundesrepublik in base ai suoi regolamenti non estrada i propri cittadini".

L'ambasciatore Klaiber, iscritto al partito nazista dal 1934 ed entrato sotto Hitler nel ministero degli Esteri del Terzo Reich, aveva aggiunto una nota personale in cui appoggiava la "ragionevole richiesta" italiana, a cui bisognava fornire una "risposta assolutamente negativa". Il risultato fu che nel gennaio 1960 dall'AA di Bonn arrivò all'ambasciata tedesca a Roma la risposta che nel caso della maggior parte dei ricercati "non è possibile al momento rintracciare il luogo di residenza", esprimendo anche il dubbio che "essi siano ancora in vita". Un addetto dell'ambasciata annotò che "ciò corrisponde al risultato atteso".
Le ricerche di Felix Bohr hanno invece accertato che, in alcuni casi, sarebbe stato facile rintracciare criminali nazisti che alle Fosse Ardeatine ebbero un ruolo non di secondo piano. Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione, lavorava presso il 'Bundesnachrichtendienst', i servizi segreti tedeschi. Kurt Winden, che secondo Kappler aveva collaborato alla scelta degli ostaggi da fucilare, nel 1959 era il responsabile dell'ufficio legale della Deutsche Bank a Francoforte. Per quanto riguarda invece l'Obersturmfuehrer Heinz Thunat, nel 1961 il suo indirizzo era "noto", ma un funzionario dell'AA scrisse a Klaiber e Tannstein di comunicare agli italiani che "su Thunat non si è in grado di fornire informazioni".
Risultato: il procedimento per gli altri responsabili dell'eccidio alle Fosse Ardeatine venne archiviato in Italia nel febbraio 1962.