Ma l'anima, dov'è? Dove s'è nascosta, o perduta, nella sciagura della crociera dal nome ironicamente beneaugurante, Concordia ?
Forse s'è solo rincantucciata, emergendo timida e spaesata tra mozzichi
di parole, in esplosioni d'incredulità, furia, sgomento e dolore. Come
quelle del capitano De Falco, urlate all'ormai noto comandante
Schettino: "Torni su quella nave, le faccio passare un'anima di guai".
Vocaboli galleggianti, privi di suono e di senso, per chi l'anima non la
conosce né la vede, soprattutto nel dolore altrui. L'anima è collettiva
e altruista, non si ripiega mai su sé stessa
Lo scrittore Björn Larsson sostiene che il Concordia non è il Titanic, non è neppure una nave, e Schettino non somiglia neppur alla lontana a Edward Smith. Ha ragione, naturalmente. Ma un colosso turistico affondato in uno spicchio di Mediterraneo non è meno tragico d'un transatlantico che s'inabissa nel gelo dell'oceano, annullando in sé il sogno prepotente, ma non privo d'una sinistra grandezza, del positivismo e del futurismo. Sbagliamo noi, a considerare tragedia solo quanto ci appare con toni altisonanti e vette sublimi. Siamo infarciti di cattiva letteratura. Perché quasi sempre, invece, il male è inglorioso, la rovina miseranda, persino un po' goffa, proprio come il nostro Titanic casalingo (o casereccio). E non esercita alcun fascino. Ben lo sapeva Dante il quale, al termine della sua discesa all'inferno, ci mostra un Lucifero deludente, un ebete mostruoso dalle lacrime vane, insomma un povero diavolo. Tutto qui?, domanda allora il lettore, sgomento. Sì, tutto qui. Il principe del Male non è un anti-Dio ma una banale creatura decaduta: materia vile, nullità. E dannarsi per nulla, non è forse la peggior tragedia che possa capitare?
Il Concordia langue, patetica balena d'acciaio, col suo carico venefico di nafta in procinto di sterminare anche quell'ultimo, incolpevole lembo di Natura chiamato Isola del Giglio. Pure questo fiore, adesso, simboleggia amaramente la purezza smarrita. Se il Titanic rappresentava la fine di un'utopia, il Concordia segna l'apice, e il crollo, della mancanza d'utopie. Il nome del primo evocava l'illusione umana della forza e del possesso; il secondo è dolce, paritario, come il benessere offerto a tutti della società dei consumi. Col denaro tutto si risolve, tutto si compra, tutto si semplifica; per il denaro, e il profitto che ne consegue, si può risparmiare sull'equipaggio, sulla preparazione del personale di bordo, sull'etica, sull'anima: ed eccoci tornati al punto di partenza. Un comandante fuggiasco per timore del buio e dell'abisso non può comprendere le esortazioni del suo superiore a rimanere sulla nave. Non può che ritenerle delle assurdità. Nella visione nichilista e consumista del profitto, conta la soddisfazione immediata: ovviamente da non dividere con nessuno. Il dovere termina laddove s'intravede, non diciamo il pericolo, ma un semplice impedimento. Il nichilismo e il consumismo vellicano l'istinto, ma degradano l'uomo. Lo lasciano solo nel suo egoismo spontaneo e incontrollabile, nel "si salvi chi può" dell'egotismo conclamato. E gli altri vadano in malora.
Il Concordia segna il naufragio di questo mondo parallelo e inesistente: il mondo della faciloneria, dell'approssimazione, della spericolatezza al posto del coraggio, dell'apparenza al posto della verità. Il mondo del qui-e-ora, dove conta solo l'attimo, da cogliere non per slanciarsi verso il futuro, ma per arenarsi in una morta gora: ché il futuro, il domani, non esiste.
Ma la verità sono persone morte, anzi uccise, dall'imperizia e dall'avidità. Certo, anche la morte, nella società nichilista, è gioco virtuale: le tv berlusconiane hanno proposto ai gentili spettatori un simpatico sondaggio per sapere chi, secondo loro, è il colpevole: il comandante, l'equipaggio o altri? Come una nomination al GF, o un quiz a premi con ballerine discinte. Portavoce per eccellenza del nichilismo, la televisione ne è pure il suo braccio armato. Essa non ascolta, non contempla, non ipotizza l'anima dei guai.
E chissà che l'anima di quest'impacciata tragedia del nichilismo non sia proprio quella di Giuseppe Girolamo, giovane batterista disperso che, secondo testimoni, avrebbe lasciato a un bambino il suo posto sulla scialuppa e per il quale non smettiamo di sperare. Abbiamo deciso di corredare quest'intervento col suo viso da Cristo rock dagli occhi timidi, non per cercare a tutti i costi l'eroe: ma perché meglio ci sembra rappresentare il sussurro di quell'anima smarrita, volatile come musica, l'arte più vicina a Dio; e forse, in quest'ora di buio, ansiosa solo di ritornarvi, immemore della nostra ingratitudine.