7.2.14

Mare e galera, le spine dei ricci

da  l'unione sarda del  6\2\2014
Marco Noce


Sessantasette anni, da più di cinquanta «in acqua», Franco ha iniziato a pescare ricci di mare e venderli per strada in un'epoca che, rispetto al presente, era il Far West: prima del 1987 (quando ottennero la regolarizzazione a forza di scioperi) «eravamo tutti abusivi: io avevo 55 milioni di lire di verbali».Oggi i ricciai di Cagliari, un centinaio, hanno la licenza regionale, molti anche quella ministeriale, ma devono ancora aspettare la bustittedda . La seconda volta sono entrato il giovedì; sono uscito il martedì mattina, e subito in acqua a fare is arrizzonis ». E che doveva fare, rubare?
stagione, entrare in acqua, sperare che non ci sia il maestrale, e nei giorni scorsi erano di nuovo in agitazione. Le nuove regole (etichettatura, provenienza del pescato, Haccp per vendere la polpa in vasetti) sono severe e pensate per dimensioni quasi industriali, e loro continuano a collezionare verbali. Stavolta in euro. Più, quando si spostano fuori città, minacce e gomme squarciate.Franco ha visto di peggio: «Ho anche fatto galera. L'anno del colera era vietatissimo pescare. Mi hanno beccato due volte: una ricci, l'altra bocconi. Mi hanno dato cinque giorni e cinque giorni. Ricordo la prima volta, davanti al portone di Buoncammino, con la

Shoah Incontro con Beate Klarsfeld «La mia vita a caccia di ex nazisti»


unione sarda del 6\02\2014
Shoah Incontro con Beate Klarsfeld «La mia vita a caccia di ex nazisti»
« Macerto, io sono una casalinga. Sì, ho scritto qualche articolo, ma non sono una giornalista». Beate Klarsfeld   (  foto  a destra  )  sorride. In realtà la sua vita è ben
diversa da quella di una che sfaccenda tutto il giorno dentro casa: da oltre 40 anni dà la caccia agli ex criminali nazisti. Un impegno, morale e civile, talvolta anche fisico, che divide con il marito Serge, figlio di un ebreo morto ad Auschwitz, e poi trasmesso ai figli Lida e Arno, che ora indossa la divisa dell'esercito israeliano.A Cagliari per il convegno su “Shoah, Giustizia e Memoria”, la berlinese Beate, 75 anni tra pochi giorni, racconta una scelta, estesa negli anni ovunque ci siano dittature e diritti soffocati. Un filo di rossetto sulle labbra le illumina il viso e un tailleur pantalone grigio, con appuntata la Legion d'onore francese, avvolge il corpo magro e agile.Signora Klarsfeld, lei e suo marito Serge avete speso oltre 40 anni della vostra vita a cacciare gli ex nazisti. Come è nato questo bisogno di giustizia?
«Questa storia inizia con uno schiaffo, quello che ho dato al Cancelliere Kurt Georg Kiesinger».*
con  il marito  Serge  da  http://it.wikipedia.org/wiki/Serge_Klarsfeld

Come dare un ceffone.Uno schiaffo?
«Nel 1961 ho conosciuto mio marito Serge e due anni dopo ci siamo sposati. È stato lui, ebreo di origini rumene, ad aprirmi gli occhi: suo padre era morto ad Auschwitz. Tre anni dopo, in Germania, diventava Cancelliere Kiesinger, un uomo che era stato una pedina di collegamento tra il ministero della Propaganda di Joseph Goebbels e quello degli Esteri: non gli veniva contestata alcuna responsabilità, né si muovevano critiche sul suo passato. Credo che la mia generazione avesse la responsabilità di non essere in alcun modo complice del silenzio, ma fosse invece necessario ricordare. Per prima cosa, io e Serge abbiamo smascherato il suo passato: la difesa di molti ex nazisti era quella di dire di essere stati all'oscuro, di non sapere dello sterminio degli ebrei. Nel suo caso era difficile sostenerlo, e poi c'erano documenti chiari, forniti dalla Ddr. Il nostro lavoro aveva creato attenzione da parte della stampa, ma nonostante questo, nulla cambiava davvero. Bisogna fare qualcosa di più».
«Sì, un'azione simbolica, qualcosa che smuovesse le coscienze. Prima a Bonn, al Bundestag, ho urlato dalla tribuna nazista, dimettiti . Nel novembre del 1968 a Berlino, durante il congresso della Cdu, gli ho dato quello schiaffo. Fu un gesto eclatante, grazie al quale molti intellettuali come Günter Grass o Henrich Böll ci diedero il loro sostegno. Naturalmente tutto questo ha avuto per me conseguenze giudiziarie, ma poiché ero diventata cittadina francese sono stata processata e condannata da una corte in Francia».
Il suo Paese non riusciva a fare i conti con un difficile passato?
«Sono stati fatti molti passi avanti da quello schiaffo in poi. Ho compiuto un altro gesto simbolico, candidandomi con la Linke per la presidenza della Repubblica contro Joachim Gauck. Non avevo alcuna chance, ed è caduta nel vuoto anche la richiesta fatta dalla Linke di assegnarmi per il lavoro fatto una croce d'onore, onorificenza equivalente alla Legion d'onore».
C'è una letteratura fantastica sulla caccia ai nazisti. Voi li avete scovati sfogliando l'elenco telefonico.
«Erano tutti integrati nella società politica. Sembrava che la giustizia tedesca non volesse processarli. Heinrich Illers, ex capo della Gestapo a Parigi, lo rintracciammo in Bassa Sassonia, presidente di un tribunale specializzato in vittime di guerra. L'ex SS Kurt Lischka si occupava di esportazioni. Ma non era semplice portarli alla sbarra. Quando ci rendevamo conto che la protesta non bastava, passavamo ad azioni plateali: lui tentammo di rapirlo. Alla fine sono stati tutti processati da corti tedesche, e noi abbiamo visto queste persone condannate dai loro figli».
Mai chiudere gli occhi….
«C'erano tanti figli di deportati che non potevano capire perché questi criminali fossero ancora in libertà e loro non avessero ottenuto alcuna giustizia».
In Francia è esploso il caso Dieudonné. Vede segni di razzismo e antisemitismo prendere corpo?
«Non è libertà di pensiero dire che non sono esistite le camere a gas ed essere contro la memoria dell'Olocausto. A Parigi ci sono state molte dimostrazioni di estrema destra e sinistra, in suo favore. Si diceva: è cabaret, umorismo, io vedo un pericolo politico».
Lei ora è presidente onoraria dell'associazione per il Memoriale sardo della Shoah.
«Con la nostra fondazione supportiamo tutti i luoghi legati alla memoria dell'Olocausto. Dal memoriale di Berlino a quello di Wannsee. Serge è il vicepresidente del Memorial della Shoah, a Parigi. Il campo prigionieri di Camp de Milles, in Aix en Provence, è diventato il luogo della memoria, e sono moltissimi i giovani che lo visitano. L'Italia è al secondo posto per numero di studenti che visitano il lager di Auschwitz. I treni carichi di ebrei, diretti a questo lager, partivano proprio da Camp de Milles. L'errore è stato credere che in Francia gli arresti degli ebrei fosse opera dei tedeschi. Non è così. Il caso Papon ha ben messo in evidenza le responsabilità del governo di Vichy. Serge ha raccolto tutte le storie e le foto di bimbi ebrei francesi scomparsi in Francia».
Ci sono dossier ancora aperti?
«Per otto vecchi, ci lavora il centro Wiesental. È l'ultimo soffio».
Caterina Pinna

dalla siria due storie : quella di Ahmad Ayham l pianista siriano che suona fra le bombe e macerie ., e quella di Ghina Khalil ha 14 mesi "bimba miracolo": sopravvissuta sotto le macerie


la  prima  è quella  di  Ghina Khalil ha 14 mesi,




ed è stata soprannominata dai media di tutto il mondo "la bambina miracolo". Ghina è rimasta seppellita sotto le macerie della sua casa di Aleppo, bombardata da un raid delle forze governative. Sua madre è morta, lei è rimasta sepolta per tre lunghi minuti. Il video, diffuso su Internet dal Nour Media Centre e rilanciato dalla Ap, mostra uomini che scavano freneticamente a mani nude per rimuovere i detriti. Poi la testa riccioluta che emerge, e la bimba che si strofina gli occhi. Più tardi la bambina è ripresa con abiti nuovi, e non appare ferita. è sopravvissuta a un attacco aereo che ha ridotto in macerie la sua abitazione in Siria. Si sta riprendendo pochi giorni dopo il raid del 22 gennaio che ha colpito il suo villaggio, Maasraniyeh, vicino Aleppo, secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani. Dieci persone sono morte, tra cui 5 bambini e tre donne, anche la madre di Ghina, mentre venti sono rimaste ferite. Nel video di un attivista il momento in cui la piccola è stata salvata, dopo essere rimasta sepolta per almeno tre minuti. Ne è uscita fortunamente indenne. Al contrario di tanti altri minori morti nel conflitto: oltre 11 mila nel giro di tre anni, secondo diverse ong siriane. Sette su dieci sono rimasti uccisi da razzi e bombe.
la  seconda  


 Ahmad Ayham suona fra le vie di Camp Yarmouk, il più grande campo profughi palestinese che si trova a Damasco.Prima della guerra con suo padre costruiva e riparava strumenti, ora suona come volontario per alleviare il dolore della gente del suo quartiere



SIEDE al piano scordato fra le macerie di Damasco, e sotto la musica l'eco delle bombe. Ahmad Ayham suona fra le vie di Camp Yarmouk, il più grande campo profughi palestinese, quartiere che si trova nella capitale siriana, ne ospita oltre 137 mila. Con i suoi amici Ahmad porta in giro un piano scassato e suona le canzoni della storica tradizione palestinese o quelle più recenti, della resistenza siriana. Chi passa si ferma e canta.
"Lunghi anni sono passati, abbiamo assaggiato la amarezza del dolore. Dacci di più nostra Patria, chiediamo ciò che abbiamo perso. Dacci più amore e speranza, dacci di più". La sua musica si muove stonata fra le vie in cui non ci sono più cibo nè medicine.
L'osservatorio siriano per i diritti umani calcola che soltanto negli ultimi due mesi 86 persone sono morte di stenti soltanto a Camp Yarmouk in cui si sopravvive grazie alla solidarietà e al volontariato anche di persone come Ahmad che di professione, fino a prima della guerra, con suo padre, costruiva e riparava strumenti. Ora che nessuno li suona più, ora che violini e pianoforti restano in silenzio fra la polvere delle macerie e non ci sono più bambini a studiare gli spartiti stracciati. Ora che le notti sono accompagnate dalle esplosioni. Lui suona. E idealmente è parte di un'orchestra. La sua musica si mischia a quella dell'uomo col passamontagna che suonava Einaudi all'esterno della City Hall di Kiev e alle note di "O sole mio" suonate al centro di piazza Tahrir mentre si scontravano esercito e dimostranti. E a quella dell'italiano Davide Martello e del suo Beethoven a piazza Taksim.

indifferenza e violenza = cyber bulllismo Bollare Una 15enne picchia coetanea per strada: nessuno la aiuta, il video è su Faceboo

  da  http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/02/06/


Una 15enne picchia coetanea per strada:
nessuno la aiuta, il video è su Facebook

L'aggressione fuori da una scuola a Bollate (Milano): la vittima, colpita a calci e pugni mentre nessuno dei compagni interviene, accusata di aver portato via il fidanzato all'altra ragazzina, che è stata denunciatadi SIMONE BIANCHIN

Presa a sberle e a calci fuori da scuola, dalla ex fidanzata del suo ragazzo, mentre i compagni ridacchiano, fanno il tifo e filmano con i telefonini. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, la quindicenne picchiata da una sua coetanea verso le 14 di mercoledì a Bollate, fuori dall’Itc Primo Levi di via Varalli, all’uscita di scuola si è trovata a discutere con una studentessa di un altro istituto che l’avrebbe accusata di averle rubato il ragazzo, mentre in realtà i due si sono lasciati tre mesi fa. Tutte e due vestite sportive si trovano una di fronte all'altra, circondate dai compagni di scuola della vittima, che dimostrano di conoscere la giovane con intenzioni bellicose.
Un ragazzo filma col cellulare e tra un paio di bestemmie commenta: «Dai m... che ansia, vi picchiate o no?». Poi rivolto all’amico: «Zio, saluta il Tg5». La ragazza bellicosa parte col primo calcio, la quindicenne colpita in vita risponde: «Ma sei c...?». E le arriva il secondo. Allora le dice: «Cretina, muori». La ragazza che aggredisce si carica: «M..., magari muori, adesso devi morire» e via uno schiaffo e poi un altro calcio. È adesso che la ragazza colpita comincia ad allontanarsi, cammina verso una sua amica: «Aiutami!». Viene inseguita e presa ancora a schiaffi e calci nella schiena mentre il ragazzo che filma commenta «Vai così, vai! Cattiva!».
Sul marciapiede, vicino a un cartello  stradale, viene costretta dalla rivale ad abbassarsi a terra. Si siede e le arriva un calcio in testa. Grida «per favore aiutatemi!». Poi «ti prego ti prego», ma la ragazza le tira il cappuccio e la colpisce di nuovo. Grida. Poi non si vede più nulla. Il filmato era finito su Facebook e la preside della scuola ha chiamato i carabinieri di Rho. Le due ragazze sono state convocate in caserma e la vittima, assieme ai genitori, ha denunciato la picchiatrice.

dalla parte del torto e mai ( o rara dalla parte della ragione )



canzone i sottofondo Dio è morto - Guccini  in particolare  questi versi : << (  .. )  l'ipocrisia di chi sta sempre\con la ragione e mai col torto>>qui sotto una cover dei





a chi mi dice perchè m'interesso   non solo  di  shoah  m a degli altrio olocausti   , ma  soprattutto   adesso anche recentemente  di foibe e di esuli istriani , raccontando non solo la volgata storico retorica dei crimini comunsiti \ tititini ma anche le porcherie e le atrocità da pulizia etnica che fecero i fascisti e gli ustascia aiutati dai primi e dai nazisti

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Bertolt Brecht ( 10 febbraio 1898, Augusta, Germania -Data di morte: 14 agosto 1956, Berlino Est  ) 
 


6.2.14

Napoli, ladro scippa una signora Interviene solo un immigrato . razzismo o indifferenza . secondo me entrambe

IL fatto di Napoli  è  una dimostrazione dell'attualità  dello scritto  (  più volte  qui citato )   odio gli indifferenti  di Antonio Gramsci
  
ecco il fatto.
Per  sicurezza lo ripeto due  volte   non si  sa  mai che il primo video    scompaia  per  chiusura  account   o  censura  di youtube  





Il ladro, caduto a terra dopo il tentativo di furto, snobbato dai passanti. Solo un senzatetto straniero tenta di fermarlo. Il video della scena fa il giro della Rete.


Napoli. In pieno centro un uomo a bordo di uno scooter tenta di scippare un'anziana signora. Lo "strappo" è violentissimo. La donna cade per terra e anche il ladro perde il controllo della moto, rovinando sull'asfalto. La via è trafficatissima, ma solo un nordafricano senza fissa dimora tenta di fare qualcosa. Le altre persone, pur circondando il rapinatore, non sembrano intenzionate a fare alcunché. Solo lo straniero, dopo aver restituito la borsetta alla malcapitata, tenta di bloccare lo scippatore, quando quest'ultimo rimette in piedi la moto e fa per scappare. Il ladro riuscirà comunque a fuggire, ma verrà intercettato successivamente dalle forze dell'ordine.


sempre  da repubblica
Scippo Napoli, parla Benjamin: ''Ho paura, ma lo rifarei''


E' stato l'unico a intervenire quando lo scippatore ha aggredito l'anziana trascinandola sull'asfalto dei vicoli di Napoli. Benjamin, il giovane africano, da 5 anni in Italia, racconta a Conchita Sannino d'aver agito d'istinto ieri, ma non vuole essere chiamato eroe e aggiunge: "La signora scippata diceva di chiamare la polizia, ma nessuno l'ha fatto. Molti di loro erano d'accordo, per questo io ora ho paura"
(video di Anna Laura De Rosa)

chi lo ha detto che bisogna andare a x factor o trasmissioni simili .Da Bitti a Oslo: i successi canori di un’ugola d’oro

dalla nuova  sardegna  online del  6\2\2014
 
NUORO. Trentatrè anni, una passione smisurata per la musica, una estensione vocale notevole, e la voglia di scoprire il mondo. Una passione così grande che l’ha portata, alcuni anni fa, a lasciare la natìa Bitti e le comodità di una vita in famiglia, per trasferirsi nella fredda Norvegia. E da lì cominciare una nuova avventura come cantante dei Tristania, un gruppo gotick metal di grande successo. Dopo un recentissimo tour tra Russia, Lucerna e Francoforte, Mariangela Demurtas e la sua ormai ricca esperienza musicale sono tornati in questi giorni in terra barbaricina, e per due giorni faranno un tuffo tra il pubblico nuorese.
Domani sera, infatti, venerdì, la cantante sarda dei Tristania incontrerà il pubblico da Mousikè in via Gramsci. L’appuntamento è per le 18. Ma l’incontro più atteso, per tutti i fan e gli appassionati, sarà qualche ora dopo, a partire dalle 21, nel locale “La tana del luppolo”, in via Deffenu quasi angolo con
via Roma. Perché sarà lì che la cantante di origine bittese si esibirà per la prima volta in un concerto accompagnata dal chitarrista sassarese Francesco Marras. Al pubblico i due proporranno un repertorio rock classico ma Mariangela Demurtas proporrà anche pezzi originali della sua band norvegese. Sarà la prima volta, per la cantante, a Nuoro con un concerto tutto suo. L’unico episodio precedente, infatti, risale a qualche tempo fa ma non si era trattato di un vero e proprio concerto, piuttosto di una esibizione estemporanea.
Quella di venerdì, insomma, sarà una esibizione del tutto speciale e pensata in particolare per il pubblico nuorese. Mariangela Demurtas e la sua band, i Tristania, sono reduci dunque da un tour in Russia con una tappa a Mosca, e poi a Lucerna, Francoforte e altre città europee. E in tutte le piazze, il gruppo ha riscosso successi e applausi. Per la cantante bittese, insomma, si è trattato di un’altra esperienza da conservare con cura tra i bei ricordi. Un altro percorso di musica e concerti nei quali ha arricchito ancora di più il suo curriculum canoro già piuttosto variegato.
Ma per chi volesse incontrarla e apprenderne i segreti, oltre all’incontro di domani sera da Mousikè, e il successivo concerto, sempre domani, ma alle 21, alla Tana del luppolo, potrà trovare la cantante anche sabato 15, da Mousikè per un seminario sull’uso della voce e sulla presenza scenica. Per informazioni si può chiamare il numero di telefono 0784/208008.

come sprecare i soldi .. gli sprechi dela regione sardegna Pagati per fare nulla in enti soppressi da anni

 Se  gli tagliassero  da qui i  soldi   , anziché  che spremerci  l'ulteriormente   la  nuova  sardegna  del  5\2\2014
Pagati per fare nulla  in enti soppressi da anni
gli sprechi della Regione sardegna 

di Giovanni Bua
SASSARI Non saranno come Hiroo Onoda, l’ultimo soldato giapponese ad arrendersi trent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ma poco ci manca. Da ben sei anni infatti e, a quanto è dato sapere, a tempo indeterminato, due dipendenti e un dirigente vanno ogni mattina a lavoro nelle Comunità montane numero 1 (Ittiri, Osilo, Ploaghe, Villanova Monteleone) e numero 2 (Badesi, Chiaramonti, Erula, Nulvi, Perfugas, Tergu, Viddalba). Ufficialmente soppresse, come le altre 23 (5 sono state poi ripristinate) dalla giunta regionale nel 20 marzo 2007. I giapponesi. Ogni mattina aprono l’ufficio (negli anni sono stati relegati in una stanza), si siedono alla loro scrivania, leggono i giornali, prendono qualche caffè e aspettano che scorra il loro orario di lavoro (dalle 18 alle 36 ore settimanali). E poi, almeno fino al 2013, a fine mese incassano il loro stipendio, erogato da mamma
Regione. Una situazione surreale, causata da un buco normativo e dalla solita approssimazione. La soppressione. All’atto dello soppressione delle comunità infatti i dipendenti dovevano essere ricollocati o nei Comuni del territorio, o nelle Province, o nelle nascenti unioni dei Comuni. Nessuno dei tre però, tra blocco delle assunzioni per il patto di stabilità, Province appena formate e poi in via di scioglimento e Unioni dei Comuni mai decollate in zona, ha trovato alloggio. Le norme. L’obbligo formale a prenderli non esiste, licenziarli è impossibile. I tre dunque rimangono a scaldare la sedia in un ente che non esiste. Ma che, per la loro presenza, la Regione deve continuare a finanziare. Noccioline, certo, rispetto agli 11 milioni che valeva la torta delle comunità prima del 2007, ma comunque soldi letteralmente buttati. Zero stipendi. E se la ricca comunità dell’Anglona, proprietaria anche della sua sede, può pagare con le sue riserve di cassa lo stipendio a 5 zeri di un dirigente (che, a esser precisi, ha fatto il diavolo a quattro per essere trasferito, senza riuscirci) ai suoi due colleghi del Coros è andata decisamente peggio: le casse sono vuote e i 60mila euro annui stanziati da Cagliari non arrivano più. L’ultimo bonifico è da 32mila euro per l’anticipo competenze del 2012. Risultato: il lavoro è pochino ma la busta paga è vuota. Assunzione post mortem. Ad aggiungere un ulteriore pizzico di follia due particolari: uno dei due dipendenti della comunità montana numero 1, con un contratto part-time da 18 ore a settimana, è stata assunta nel 2011. Dopo aver vinto il concorso nel 1999 infatti il posto non le era stato assegnato. Lei ha fatto ricorso al Tar, la giustizia ha i suoi tempi. E il via libera definitivo è arrivato solo 24 mesi fa, a Comunità montana sepolta già da tre anni. Il secondo invece ha compiuto sessant’anni, e sperava che a risolvere tutto sarebbe arrivata la pensione. Ma Fornero gli ha regalato in zona Cesarini altri cinque anni di non lavoro. La soluzione. Per risolvere il tutto in realtà il modo ci sarebbe: la Regione dovrebbe mettere mano alla legge numero 12 del 2 agosto 2005 sulle “Norme per le unioni di comuni e le comunità montane”. Quella che ha deciso le soppressioni e le destinazioni degli esodati. Aggiungendo alle possibili vie di uscita previste la Regione stessa (che di fatto già paga i loro stipendi). Facendo così i tre impiegati sarebbero ricollocati, troverebbero anche qualcosa da fare, e le due comunità zombie potrebbero essere finalmente chiuse. Gli zombie. Modifica che in molti promettono. Ma nessuno fa. Anche perché risolverebbe i problemi di sole tre persone. Che, a differenza di Hiroo Onoda, non si possono arrendere. E riempiono le loro giornate con denunce per mancati pagamenti e demansionamento, lettura dei giornali e tanti caffè. Ultimi giapponesi di una guerra per la razionalizzazione della macchina amministrativa che non avrà mai fine.
  Però  tale  situazione  dev'essere  cosi  snervantge  se  addirittura   gli stessi protagonisti  si lamentano
Il racconto del geometra Lombardi: mi sento inutile, stare qui è deprimente

«Prima era bello, ora è un incubo»

SASSARI «Il primo mese è stato bello. Perché negarlo. Erano i primi di marzo del 2007. E formalmente eravamo chiusi. Nessuno a controllarti, nessuno a darti ordini. Un po’ di lavoro rimasto da smaltire, qualche pagamento da fare. Ma senza fretta, senza ansia. Il primo mese è stato bello, ma poi è iniziato l’incubo». Sulle prime viene difficile credere a Stefano Lombardi, geometra di Ploaghe di sessant’anni, quando ti dice che di non lavorare (pagato) non ne può proprio più. Ma poi, mentre ti conduce passo dopo passo dentro il suo kafkiano ménage, quasi vien voglia di dargli una pacca sulla spalla, e di dirgli di tener duro. Eppure a prima vista la sua situazione è, a dir poco, invidiabile. Unico dipendente a tempo pieno della comunità numero 1, chiusa dal marzo del 2007, viene pagato per non fare nulla. «Letteralmente nulla – spiega –. Non abbiamo pratiche, non abbiamo competenze, non abbiamo soldi. Non potremmo far nulla nemmeno se volessimo. Anzi, a dirla tutta, non esistiamo proprio. Quindi far qualcosa è proprio proibito». La vista scorre uguale da quel marzo del 2007. «La sede della comunità è a Osilo, in via Sanna Tolu. All’inizio l’abbiamo tenuta, ma è di proprietà del Comune, e quindi dopo un po’ ci hanno messo la sede dei servizi sociali. A noi hanno dato una stanzetta». Il noi è perché Lombardi dal 2011 non è più solo: «Sì, va meglio – spiega tra il serio e lo scherzoso – dal 2011 hanno assunto una persona. So che sembra assurdo, visto che non esistevamo più da 4 anni, ma lei aveva vinto un concorso nel 1999, ha fatto ricorso, ne aveva diritto». La seconda impiegata lavora part-time, 18 ore a settimana. «Cerchiamo di metterci d’accordo per venire a turno. Non so perché poi, visto che non possiamo ricevere nessuno». La questione è completamente autogestita: «Nessuno ci controlla. Io ad esempio so quanti giorni di ferie devo fare e li faccio. Ma non devo renderne conto a nessuno. E, a parte gli amici del Comune con cui scambio due chiacchiere, dubito che qualcuno si accorga». Un sogno ad occhi aperti verrebbe da pensare: «Verrebbe solo, purtroppo. I problemi sono vari. Prima di tutto non avere nulla da fare è deprimente, il tempo non passa mai. Dire che ti senti inutile non rende l’idea. Poi di fatto non impari più niente. Io sono un geometra, gestivo progetti, appalti, direzione lavori, lo sportello unico di dieci Comuni. Ho chiesto in tutti i modi di essere trasferito in un Comune, in Provincia. Ma adesso, se me lo concedessero, dovrei imparare tutto da capo. Non conosco più leggi, normative. Il primo periodo mi tenevo aggiornato, ma poi ha perso senso farlo». Come se non bastasse da ormai oltre un anno è venuta meno anche l’ultima parte del sogno: la busta paga che comunque arrivava ogni mese. «La Regione ha iniziato a pagarci a singhiozzo. Ci ha dato prima un anticipo del 2012, che ha coperto un terzo delle nostre paghe. Poi niente per il 2013. È oltre un anno che non prendiamo stipendio. E, comprensibilmente, non facendo nulla, è difficile portare avanti qualsiasi tipo di rivendicazione». Il problema è che, per i due impiegati, il nulla è tutto. «È il mio lavoro – spiega il geometra sessantenne – che faccio da 32 anni. Potrei non venire, potrei cercare qualcosa in nero. Ma mi dico, perché? Hanno chiuso il mio posto di lavoro e per legge mi dovevano ricollocare. E io, aspettando questo, ogni mattina mi alzo e vengo in ufficio. Penso che prima o poi riprenderanno a pagarmi. Ho parlato con qualche avvocato per una causa di demansionamento, forse la farò anche. Ma alla fine la speranza è che qualcuno arrivi a risolvere amichevolmente le cose». L’ultima fregatura? «Ho compiuto 60 anni – chiude il geometra – la pensione, e la fine dell’incubo, era vicina. Ma poi è arrivata la Fornero, con la sua riforma. Se ne parla tra cinque anni almeno. Ne avrò di tempo per leggere giornali e prendere caffè».

 ma  per  questioni burocratiche   come  dice l'articolo sulla nuova sardegna del  6\2\2014
Tre al lavoro nei due enti “fantasma” del Sassarese: un pasticcio burocratico
 Manca ancora un accordo per trovare una nuova occupazione ai dipendenti

I fondi della soppressione
 utilizzati per gli stipendi

di Giovanni Bua wSASSARI È messa nero su bianco nella delibera 52 del 10 dicembre 2013 la sopravvivenza delle due comunità montane “giapponesi” nel Sassarese. Le uniche scampate alle rasoiate della legge del 2005 firmata da Renato Soru. Una delibera che assegna 5 milioni di risorse a favore di
Comuni singoli o associati e Province che hanno assorbito negli anni le 132 unità provenienti dai 22 enti cancellati. Ventidue su 24, perché: «Il processo di soppressione può dirsi ormai concluso ad eccezione del trasferimento dei tre dipendenti rimasti in carico alla Comunità 1 con sede a Osilo e la Comunità 2, con sede a Perfugas, per i quali, nonostante i ripetuti tentativi, non si sono concretizzate le ipotesi di mobilità previste in legge». Insomma, mentre sono state sottoscritte le intese per l’assegnazione dei beni e dei procedimenti in corso, non è stato possibile raggiungere l’accordo anche per il personale che rimane ancora in servizio negli enti disciolti, pur non potendo fare assolutamente nulla se non guardare il muro per 36 ore settimanali. Di fatto rendendo impossibile la loro dismissione. A rendere ancor più surreale il tutto quella che per i tre “giapponesi” sull’orlo di una crisi di nervi è comunque una buona notizia. Il loro stipendio infatti sarà garantito anche quest’anno dagli stessi fondi che dovevano servire a incentivare i Comuni o le Province ad assumerli. Difficile ipotizzare quale sarà la soluzione definitiva del problema. La legge regionale 12 del 2005 prevede che i dipendenti delle comunità montane soppresse vengano assegnati previa intesa con gli enti destinatari, che a Sassari è completamente mancata, ad esempio, nel caso di Perfugas, con dirigente e Provincia finiti in tribunale. Che vengano assegnati prioritariamente all’unione di comuni, che però a Osilo, dove lavorano gli altri due impiegati, non è nata. In subordine alla Provincia, che ora però è in via di scioglimento, e per la quale presto si presenterà lo stesso problema moltiplicato per cento. E in ulteriore subordine ai Comuni, che però non possono, causa patto di stabilità, assumere proprio nessuno. Motivo per cui: «Il personale delle comunità montane 1 – spiega la delibera – non ha trovato collocazione in nessuna delle ipotesi indicate e l’attuale formulazione della norma non prevede alcun percorso alternativo nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta». «Per ovviare a questo – continua la delibera – sono stati presentati emendamenti, anche nella manovra finanziaria 2014-2016, con lo scopo di introdurre una soluzione alternativa al mancato raggiungimento dell’intesa ed evitare eventuali responsabilità amministrative». Emendamenti di cui però nulla è dato sapere. Come del futuro dei tre dipendenti. Che continuano il loro non lavoro quotidiano, intrappolati in un vicolo cieco di assurda burocrazia.




5.2.14

onesta in tempo di crisi "un precario della tirrenia trova 26mila euro sulla nave e li restituisce senza pensarci un attimo



leggo  mi pare  sulla pagina  facebook  di repubblica  questa news  . Lo so che per  alcuni  non ha  niente  d'eccezionale  ma condividfo e mi sono chiesto  come  ( Paolo Nacchia )    : << Leggendo i commenti mi rendo conto che l' arte delle furberie è la piu' ammirata in assoluto, mentre l' onesta' è dei fessi. Questo è uno dei motivi per il quale abbiamo avuto i politici che abbiamo avuto negli ultimi 20 anni, e che a quanto pare ci meritiamo in pieno. >>  ed  è questo che mi ha spinto  a  riprenderla 

"Così ho trovato 26mila euro sulla nave e li ho restituiti senza pensarci un attimo"

Il precario della Tirrenia e il tesoretto dimenticato da una passeggera. "La signora, una imprenditrice cinese, mi ha dato 200 euro. Troppo pochi? Ma io non ci pensavo neanche, alla ricompensa..." Andrea Tarantino, palermitano di 49 anni, da 32 lavora come "piccolo di camera" sui traghetti dove rimette in ordine le cabine dei viaggiatori Andrea Tarantino  (  foto  a destra  ) , eroe per un giorno 

ROMA - Dentro quella borsetta vedeva quindici mesi del suo stipendio da «piccolo di camera», vedeva un
pezzo del mutuo che le banche non gli hanno mai dato, vedeva il premio aziendale che non ha mai ricevuto. Eppure Andrea Tarantino, una vita passata nel ventre dei traghetti Tirrenia a rassettare cabine, quei 26mila euro nemmeno li ha voluti toccare. «Mi facevano paura... e se poi servivano per pagare le cure di una bambina malata?». Il “piccolo di camera”, questa la sua qualifica a bordo, davanti al tesoretto non ha vacillato. L’ha restituito subito, rivelandosi per quello che è. Un gigante.
È una storia minuscola, questa, e dunque enorme. È accaduta ieri sulla “Vincenzo Florio”, nave della ex compagnia di bandiera, al momento dell’approdo nel porto di Napoli. Per Tarantino, 49 anni, una mattina come tante. Sveglia alle 5.45, un caffè veloce, poi giù nel corridoio di ferro: «Cinquanta cabine da riordinare, appena i passeggeri escono», racconta a Repubblica.
Toglie le lenzuola sporche, cambia le federe, mette le lenzuola pulite, passa il battitappeto. Sette minuti per i vani da due letti, dieci per quelli da quattro. Una routine lunga 32 anni. «Ho cominciato come “piccolo di camera” nel 1982, e quello sono rimasto». Mai una promozione vera, anche se ultimamente ha anche il ruolo di garzone. Mai la possibilità di un’assunzione a tempo indeterminato. Quando serve, lo chiamano. E lui sta 50 giorni in mare, lontano dalla sua Palermo, dalla moglie Maria, casalinga, da Roberta e Federica, le sue figlie di 21 e 14 anni, entrambe da mantenere a scuola. In tasca gli entrano tra i 1600 e i 1800 euro netti al mese, poi, una volta a terra, viene liquidato. In tutti i sensi. A volte è rimasto a casa due mesi. Non si lamenta, però. Va avanti con uno sti pendio che finisce sempre troppo presto, una mattina dopo l’altra, un porto dopo l’altro.
Poi un giorno capita che una signora cinese di mezza età dimentichi una borsa sotto il cuscino nella sua cabina. Dentro c’è un portafoglio con 26mila euro in tagli da 50, da 20, da 10. Solo quelli, nessun documento. E capita anche che sia proprio Andrea Tarantino a trovarli, ieri, mentre da solo cambiava le federe. Ora, nove persone su dieci, un pensiero ce lo fanno. Forse anche più di uno. Lui no. «Il cuore mi è diventato piccolo piccolo — dice — ho pensato che potevano servire per fare un’operazione a un bambino». Non ha dubbi. Parla con in mano quel cuore che gli si è ristretto alla vista di tanti soldi. «Rispetto la società, se trovo qualcosa la riconsegno sempre al commissario interno ». Come qualche anno fa, quando riportò un braccialetto d’oro trovato sotto un letto.
Così è stato anche questa volta. La signora cinese è tornata in cabina alla svelta una decina di minuti dopo essere sbarcata, intorno alle 7, ha ringraziato Andrea, se n’è andata lasciandogli in mano 200 euro. Non proprio uno slancio di generosità. «Ma io non ci pensavo nemmeno alla ricompensa». Poi è stato convocato con l’interfono dai direttori dell’azienda per i complimenti ufficiali. «Per festeggiare porto i pasticcini palermitani ai miei colleghi. Magari faccio un regalo a mia moglie». Si sono anche sentiti al telefono, con Maria. «Mi ha detto che ho fatto la cosa regolare.
Nella mia famiglia il dna è questo, siamo onesti, paghiamo tutto quello che dobbiamo pagare. Di altri pani non ne mangiamo...», dice. Per quegli altri pani, il furto, la furbata all’italiana, la bassezza, non hanno i denti adatti. Viene quasi voglia di non credergli, di pensare che ha riconsegnato il borsello solo per paura di essere scoperto e licenziato. Poi però ti parla così del suo lavoro: «Io li amo i traghetti, mio nonno era fuochista sulle “Nere”, come si chiamavano allora, negli anni Trenta. Mio padre, Francesco, faceva il panettiere a bordo. Mia moglie dice che ho sposato le navi. Quando non vedrò più il nome “Tirrenia” sullo scafo, morirò un po’ anch’io».
Intanto aspetta. L’assunzione, magari. «Così le banche si decidono a darmi quel mutuo, mi serve per comprare casa. Sono ancora in affitto». Una promozione, forse. «Non ci penso, io faccio il mio dovere, quando trovo un portafogli e anche quando non lo trovo. Mi preoccupo solo di non perdere il mio lavoro». Il “piccolo di camera” non ha fretta. Vive come i traghetti che ama, lentamente, adagio. Un porto dopo l’altro. E domani ci sono altre 50 cabine da pulire.

Il cervo prigioniero della neve commuove le Dolomiti

repubblica  del 5\2\2014  


Un incontro documentato da una fotografia scattata dal giovane studente che sta commuovendo i social network. Potrebbe sembrare una “strana alleanza” quella tra cacciatori e animali selvatici. Eppure il foraggiamento (di questo si tratta) ha una grande tradizione nella cultura venatoria mitteleuropea perché mantiene numerose (e concentrate) le comunità di cervi e caprioli.
Ma per un cervo sfamato dal cacciatore, ce ne sono migliaia affamati sui versanti innevati. E sono migliaia gli animali condannati a morte da questo inverno particolarmente rigido. Nel 2008-2009 furono circa 1.800 nella sola provincia di Trento i cervi vittime della neve che aveva ricoperto le montagne. Va un po’ meglio per i camosci, che vivono alle quote più elevate, dove il vento spazza i versanti e si può trovare qualche arbusto quando una valanga scarica la neve a valle. Ma alle quote più basse, il regno di cervi e caprioli, la vita è dura e ogni spostamento alla ricerca di cibo richiede grandi energie. Così è frequente, per chi abita nei fondovalle, trovare al mattino le impronte degli ungulati che si spingono fino ai giardini delle abitazioni alla ricerca di cibo.
Eppure il foraggiamento — richiesto negli ultimi giorni anche dai cacciatori e da alcuni sindaci bellunesi allarmati per i rischi della fauna selvatica — non piace ai responsabili di parchi e foreste. La Provincia di Trento — ad esempio — ha varato un regolamento piuttosto restrittivo per i cacciatori che intendono portare il fieno agli animali: «Si tratta di una pratica che deve essere programmata per tempo, già in autunno, anche perché intervenire quando gli animali sono stremati, con il fisico ormai provato, può rivelarsi inutile » dice Maurizio Zanin, direttore del servizio foreste di Trento che annuncia un censimento a fine stagione. Se le comunità di ungulati risulteranno molto ridotte, verranno ridotti anche gli esemplari da cacciare. Nel Parco naturale di Paneveggio (ai confini tra Veneto e Trentino, attorno alle Pale di San Martino) il foraggiamento è addirittura vietato: «Capisco che possa sembrare crudele — spiega il direttore Vittorio Ducoli — ma questa è la natura. Al di là del singolo cervo che si avvicina alle case, non possiamo che prendere atto che l’inverno sta svolgendo la sua funzione: selezionare la specie e stabilire qual è il numero massimo di esemplari che possono vivere in un determinato territorio». Lasciare fare alla natura o soccorrere gli animali? Il tema fa discutere. Ma se abitate in montagna e lasciate sulla neve le bucce della frutta potete stare tranquilli: nessuno vi farà mai la multa.

E' morto Camillo, il cane che prendeva l'autobus da solo e riusciva a tornare a casa.

Apprendo  ora leggendo la pagina facebook  dell'unione  sarda  che  



E' morto Camillo, il cane che prendeva l'autobus da solo e riusciva a tornare a casa.


A Sanremo e zone limitrofe lo conoscevano tutti: Camillo, il cane che prendeva l'autobus da solo e attraversava sulle strisce, se n'è andato. Questa volta definitivamente. La sua morte è stata comunicata dalle sue due padroncine, madre e figlia. L'animale, che aveva 12 anni e girava con un cartello con scritto: "Non datemi da mangiare, devo dimagrire  , perché turisti e cittadini spesso lo rimpinzavano di dolcetti e altri alimenti, era abituato a uscire dalla casa vicino al teatro Ariston, salire su un autobus, scendere a una determinata fermata, ogni volta diversa, ed era capace di ritornare alla fermata, dall'altra parte della strada, per riprendere il bus e ritrovare la sua dimora. Le sue padrone, preoccupate perché spesso Camillo si allontanava per ore, avevano anche pensato di dotarlo di una telecamera "gps" in modo da sapere sempre dove fosse.
Ora Camillo non c'è più, rimane la pagina Facebook che la signora Lina, la sua padrona, aveva aperto per lui, "Camillo U Defissiu".

4.2.14

INTERVISTA DELLA NUOVA SARDEGNA DEL 2\1\2014 A BAINZU PILIU il professore-ideologo condannato per il complotto separatista


Parla il professore-ideologo condannato per il complotto separatista .«Meglio non allearsi coi partiti italiani, il voto rischia comunque di essere inutile» .«Una rivoluzione culturale per ’indipendentismo»
Un sogno intatto Una Sardegna sovrana è possibile anche ai tempi della globalizzazione

di Pier Giorgio Pinna
SASSARI «Il mio sogno resta intatto: l’indipendenza dell’isola è ancora possibile, non è un’utopia». A 79
anni Bainzu Piliu conserva la grinta di un ragazzo. Non l’hanno piegato né le condanne né il carcere né le amarezze della vita. «Ma non credo nel voto, meno che mai per le regionali, e ai movimenti dico: indipendentisti, non pensate alle urne, ma alla rivoluzione culturale», incalza il professore-ideologo. E per lui il tempo sembra non passare. Occhi vivacissimi, fisico asciutto, neppure una ruga, dimostra 20 anni di meno e non è mai stanco di nuove esperienze. Come la recente laurea in psicologia e la stesura di un’autobiografia. Perché ritiene che il voto sia inutile per gli indipendentisti sardi? 
«Temo che gli eletti si facciano blandire, condizionare. Che alla fine possano corrompersi. E ho paura che l’idea di fondo si sbricioli nelle ambizioni individuali o di gruppo». Quale appello si sente di lanciare, allora? «Direi, state attenti: così rischiate di amplificare le divisioni. Alla Sardegna Nuova occorre piuttosto un’azione di penetrazione nella coscienza del nostro popolo». Invece, mai come in quest’occasione si sono presentate tante sigle indipendentiste. «Non do giudizi. Ma io non mi sarei schierato né a sinistra né a destra. Allearsi con i partiti italiani significa che queste forze cercheranno, più che di combatterci, di lusingarci con proposte economiche». Come mai questa convizione? «Mi riallaccio al passato. Non sempre chi si dichiara sardista lo è sino in fondo: in ogni caso resto scettico sull’utilità di queste intese per la nostra causa». Eppure ci sono anche movimenti che non si sono schierati da una parte o dall’altra. «È vero. Per esempio Progres, che si presenta in lizza con Sardegna Possibile di Michela Murgia. Ma nel caso dei suoi candidati quel che so l’ho appreso dai giornali. Posso quindi riferire soltanto un’impressione». Quale? «Sono contento ne facciano parte persone che hanno studiato e girato il mondo. Che insomma non siano degli sprovveduti». Che cosa pensa del Fronte Unidu? «So che “unito” in sardo di solito si dice “aunidu”. Ma può darsi che in qualche parte dell’isola esista quest’accezione e che sia io a sbagliarmi. Al di là delle disquisizioni lessicali, comunque, per aver seguìto alcuni loro incontri, mi paiono persone oneste, animate da ideali sinceri». Ma più in generale qual è il suo pensiero sull’area politica che nell’isola le sta più a cuore?



























«Parlare d’indipendentismo oggi sta diventando quasi di moda. È il segno che non si corrono più molti rischi. Se si esclude l’inchiesta giudiziaria su “A manca pro s’indipendentzia”, mi sembra che lo Stato si limiti a osservare, senza più intervenire. Ma certamente posso sbagliarmi». E quindi qual è la sua valutazione? «Vedo polloni nati in perfetta buona fede, ma un indipendentismo ancora agli albori. Le vere domande che ci potremmo porre sono altre. Perché lo Stato italiano ci dovrebbe concedere l’indipendenza? E oggi ha intenzione di farlo più di ieri?» Lei che ne pensa? «Dico che una situazione del genere si verificherebbe solo se la Sardegna costasse troppo allo Stato, e non è questa la condizione attuale. E poi penso che la nostra isola sia ancora di grande utilità per la Nato e per gli Stati Uniti: quindi, anche se volesse, l’Italia non sarebbe in grado di garantire l’indipendenza alla Sardegna». Tutto è perduto per la vostra causa, allora? «Neanche per sogno. Bisogna essere cauti e intelligenti, certo, ma determinati. Io non ho cambiato idea. Il mio pensiero resta identico a quello che avevo nel momento in cui sono stato arrestato. Oggi si può fare quel che io facevo ieri: aiutare l’Italia a commettere errori e nel frattempo fare opera di convincimento sulla popolazione». Crede che misure come la zona franca o il riconoscimento di altri vantaggi fiscali possano contribuire al benessere dell’isola? «No. Sono semplicemente strumenti che servono a snervare il movimento. E non sono io l’utopista: la vera utopia a suo tempo è stata quella di dar vita all’Unità d’Italia». Che cosa ribatte a chi le rimprovera di essere anacronistico, a chi le contesta una mancata aderenza rispetto alla realtà storica contemporanea? «Rispondo con una domanda: nel secondo dopoguerra chi avrebbe mai pensato che gli ebrei riuscissero a ottenere un proprio Stato?». Ma non pensa che la politica finanziaria internazionale e i mercati globalizzati oggi esercitino più potere degli Stati? «Com’è naturale, vedo il cambiamento. Ma il processo non è lineare come appare. In realtà, a Est come a Ovest, gli Stati vogliono ancora tenersi strette le loro prerogative. Lo dimostra il fatto che nessuno in Europa pensa a cedere neppure un millimetro dei suoi apparati per la Difesa a favore di un unico potere centrale Ue». Come mai ha scelto, dopo la laurea in farmacia, di studiare psicologia? «Una delle principali ragioni è di carattere politico: capire

meglio il nostro popolo». Che cosa ha ricavato da queste nuove esperienze? «Ne ho dedotto che tutti i sardi, anche quelli che mascherano i loro sentimenti, hanno un fortissimo desiderio di esercitare il proprio potere sulla loro terra». E poi? «Beh, un altro aspetto di rilievo è l’importanza del dialogo: chiunque, se ti confronti davvero con lui, potrà illuminarti». Che idea si è fatta delle forze in campo alle regionali? «Ritengo che vincerà il centrosinistra». Per quale motivo? «In questi anni il centrodestra ha fatto troppi errori. Presto ne pagherà le conseguenze in termini elettorali». A che cosa si riferisce? «Al Piano paesaggistico proposto da Cappellacci, per esempio. Io ho sempre pensato che andasse bene quello di Soru. Quando il territorio della Sardegna viene consumato e distrutto, che cosa resta? Più in generale sono convinto che il centrodestra non abbia operato abbastanza per salvaguardare l’interesse generale». Lei ha ultimato in questi giorni l’autobiografia: c’è qualche retroscena inedito sui processi a suo carico? «Viene svelato un enigma sul nostro ipotetico mandante, una sorta di Grande vecchio. Preferisco però non fare anticipazioni: meglio lasciare un po’ di mistero». Nel raccontare la sua storia fa valutazioni analitiche su tutta la vicenda? «Una la posso fare anche adesso. In origine eravamo 30 accusati. Siamo stati processati in 27. Alla fine però siamo stati condannati in pochi, e non alle dure pene che imputazioni tanto pesanti avrebbero richiesto secondo l’ordinamento italiano. Come si dice in questi casi: poche prove, poca pena». Come mai questa certezza? «Perché in definitiva l’onore di aver cospirato contro lo Stato italiano ce lo siamo divisi in 4: Salvatore Meloni, io e altri due compagni. È uscito subito di scena persino quell’esponente libico che non si è mai capito quale ruolo avesse avuto». A proposito di Meloni che cosa pensa di Meris, la lista esclusa dalle regionali? «Salvatore si è sempre presentato come un appassionato indipendentista. Oggi preferisco non aggiungere altro». Ma dopo tanto tempo che idea si è fatta sul processo a vostro carico? «La stessa di allora: ritengo che già prima degli arresti siano state esercitate pressioni perché le cose prendessero una certa direzione». C’è qualcosa di cui si pente? «Nulla. Ho commesso un unico errore: essere stato troppo disponibile con gli altri».


per  i non sardi  e per  coloro che  non ricordano  o hanno dimenticato   ecco un sunto su  di lui sempre  dalla nuova sardegna



3.2.14

Gela, nato bimbo dal sesso incerto "Caso di malformazione neonatale"


al mio post  precedente  http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/02/la-vita-va-avanti.html  la  vita  non  finisce mai di stupirmi 

                                       Il neonato sottoposto a esami di laboratorio a Palermo.

Solo gli esami di laboratorio potranno stabilire se il neonato venuto alla luce a Gela (Caltanissetta) e poi trasportato a Palermo è di sesso maschile o femminile. Il piccolo, nato con parto spontaneo, è stato sottoposto a diversi esami: "Occorre comprendere - ha spiegato Michele Palmeri, primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia del Vittorio Emanuele - se l'ambiguità sia frutto di una malformazione genetica o sia dovuta a un fattore esterno". Secondo i medici, il neonato, che comunque gode di ottima salute, ha genitali ambigui, una patologia che si verifica ogni 5mila parti secondo le statistiche. I genitori sono una giovane coppia.

Lu carruleddu i ricordo della mia infanzia





uno  dei tanti giochi     tipici ormai  scomparsi  o quasi    che io e mio fratello ( io  del  '76 e lui del  73  ) abbiamo conosciuto perchè i miei genitori   e nonni    tentavano qualunque  cosa  pur  di  distrarmi  e  sottrarmi dalla televisione  
 Gioco  riscoperto sia   grazie a :




 qui sotto  ne  trovate    un  elenco  tratta  da  http://web.tiscali.it/iscolaponte/giochi1.htm#tabella



e  voi   nelle vostre regioni come  giocavate  un tempo  ?


2.2.14

quando alle foibe saranno ricordate a 360* e non solo le brutture comuniste si potrà avere un ricordo comune o condiviso . io ricordo ma non celebro

per  approfondire  l'argomento

Terribile constatare  che  man mano che  ci si avvicina  al  10  febbraio , come   per la giornata della memoria  : << quasi tutti si affannano a ricordare le vittime dell'olocausto, ma alcune persone che conosco personalmente, non sono nemmeno capaci di far pace con il loro cervello, e portano rancore per i propri simili ,familiare e amici. Fino a ieri gridavate morte per l'intera umanità. Ma stranamente questo fenomeno "TELEVISIVO" dell'olocausto lo usate come pretesto per ricorda (AGLI ALTRI) che si deve essere buoni con ebrei,sunniti ,rom, omosessuali etc. Ricordate a voi stessi che siete FALSI COME LA MERDA .
 

Gli altri non hanno bisogno delle vostre finte prediche. Sicuramente e vi vedete un trans che vi sculetta davanti, vi viene voglia di prenderlo a mazzate, così come se ascoltate un discorso di un ebreo , sul fatto che vi considera INFERIORI siete i primi ad urlare "H H" merde ipocrite.>> , tutti    s'affanno a ricordare   e celebrare  le  vittime delle foibe    slave  - comuniste   ed   l'esodo   di tali popolazioni  dimenticando  ed  omettendo   le cause  che  l'hanno originate     e decontestualizzandole  .   iL Corsivo è  tratto    dalla pagina  (  vera  o presuinta  )  facebook di valentina  nappi   https://www.facebook.com/valex.nap 

Inizialmente    volevo non celebrare  ( ATTENZIONE   COSA BENE  DIVERSA  DAL RICORDARE  O  INVITARE  AL RICORDO  )  perchè   : <<
(  .... ) Forse oggi il problema sta proprio nel fatto che abbiamo ripulito le nostre coscienze istituendo una giornata della memoria. Abbiamo relegato il compito di ricordare a quei docenti volenterosi che il 27 gennaio mostrano ai propri alunni La vita è bella e le immagini Auschwitz, dimenticando di parlare, per esempio, delle leggi razziali e scordando di studiare con dovizia il fascismo. Stamattina il ministro della Pubblica istruzione, Maria Chiara Carrozza, parteciperà alla classica inaugurazione di una mostra e poi da domani nelle scuole si torna a far finta di nulla. Una memoria da “operazione edicola” dove per l’occasione è spuntato persino un Dvd della Nazionale italiana che visita il campo di sterminio di Birkenau.
La memoria deve diventare vita. Nelle mie classi ricordo l’Olocausto quando parlo di razzismo e intolleranza leggendo con i bambini Girogirotonda di Federico Taddia, la storia di una piccola rom, che lava i vetri agli incroci o quando abbiamo ospitato il partigiano bolognese 86enne Armando Gasiani che ha passato ai miei ragazzi il testimone.
Faccio memoria di quella tragedia quando ogni giorno leggo il quotidiano con loro, quando in storia, arrivato al capitolo sulla civiltà ebraica, nonostante il libro di quinta citi a malapena la Shoah, mi fermo per qualche giorno a scoprire chi erano gli ebrei nel nostro territorio, cosa facevano e che fine hanno fatto. Onoro i rom, gli omosessuali, i partigiani, gli ebrei quando parliamo di Europa perché come scrive Bensoussan “bisogna avere ben chiaro che in realtà l’Unione Europea l’ha istituita per celebrare la rifondazione dell’Europa. L’unità europea è stata costruita sull’antinazismo e il simbolo del nazismo, ciò che lo differenzia dall’altro grande totalitarismo, il comunismo, è appunto la Shoah. È la Giornata della Memoria europea, non ebrea. È l’Europa dei lumi contro la notte della ragione”.
Non abbiamo bisogno di mostre, di dvd, di inaugurazioni, di belle parole a tempo determinato ma di assumere i valori che la Storia ci ha insegnato a tempo indeterminato, vivendoli nelle nostre classi ogni giorno.   (....)   da   http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/27/shoah-oggi-in-classe-si-celebra-il-funerale-della-memoria/858144/
 Sul perchè bisogna  ricordare ed  ascoltare  oltre che cercare  di bloccare  con scritti  , video  , ecc   le terstimonianze     anche a costo  di    passare per matti  e \o fissati   perchè    "Quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti, la si vede sempre male. Sono pochi quelli che sanno guardarla in faccia." ( Gustave Flaubert )  ecco altri due  url  


 Ma  sopratutto  come   ho già detto  in tutti i miei  post precedenti  su  tale  evento   per  evitare  che  :
-  che tali eventi  siano   da  una parte  ( sinistra  )  e  dall'altra  ( destra  )   usati , travisati e decontestualizati  ideologicamente  sminuendo  quello che  è avvenuto prima  o quiello  che avvenuto  dopo  
-  che  non accada mai  più . 
- perchè     Il silenzio   durato  60  anni  ( salvo  poche  eccezzioni  )  per  oportunità politichje  \  ideologiche  derivate  dal clima  della guerra fredda  . Infatti secondo lo storico Gianni Oliva il silenzio è da ricondurre a tre motivi principali :     <<  (....)  innanzitutto la necessità, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, del blocco occidentale di stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia in funzione antisovietica; cause politiche dal momento che il PCI non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale; un silenzio da parte dello Stato Italiano che voleva sorpassare tutto il capitolo della sconfitta nella guerra da poco conclusasi.  (...) >>  da  http://www.quotidianogiovanionline.it/  per   l'articolo  completo   di  Nicolamaria Coppola  qui  . Ecco   dunque   che  esso  è  un brutto segnale per un Paese che voglia vivere serenamente il suo presente e progettare unito il suo futuro.

la vita va avanti

in sottofondo il vagabondo stanco - MCRla storia   non si ferma  mai  anche la  vita  ( in senso  fisico  fino alla morte , in quello psicologico  fino anche  le  nuove generazioni , glia mici e perchè anche i nemici   si ricorderanno di te  )  va  avanti   con tutte le conseguenze  anche spiacevoli che  ciò comporta




Istria per capire l'origine delle foibe



da  uno dei siti più obbiettivi e  più documentati  su tali eventi  http://www.diecifebbraio.info Riporto  dei documenti   sui crimini italiani    necessari  per capire  e  contestualizzare    le  atrocità e  òle  nefandezze  comuniste  .  OVVIAMENTE   non sto  e ne tanto meno     assolvendo  gli  infoibatori  . ma  fornendo   notizie  utili per  inserirle  nel contesto

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...