12.7.15

finalmente un sardo ed un gallurese che non mitizza la costa smeralda ma ne fa un ritratto obbiettivo . Cosa Conta, edito dalla Taphros di Dario Maiore di Francesco Giorgioni

colonna sonora    cosa  conta  davvero  - Ustmamo'

per  approfondire   sull'autore  dopo il libro ovviamente  un po' romanzato  ma   autobiografico



Venerdì 10 luglio, a partire dalle 21, nella saletta    della libreria Max 88 di Tempio Pausania 
da http://www.sardanews.it/
si è tenuta la presentazione del romanzo Cosa Conta   / Foto a destra )  edito dalla Taphros di Dario
Maiore di Francesco Giorgioni   Sardo . Il romanzo è ambientato tra la Costa Smeralda e la Sardegna (non credo sia un errore) tra il 1998 e il 2000, il protagonista è un giornalista. Parleremo dunque di informazione, coscienza, identità, prostituzione fisica e intellettuale, speculazione immobiliare e tanto altro.
Un romanzo  fiero ed  indigesto   a  chi    scende  troppo ai comprmessi  tanto  da non capire  se  è un lachè  .Ma  soprattutto  a   chi   crede ancora  che la costa smeralda  sia un vanto per  i sardi  e che dia  lustro  e lavoro Ha presentato la serata Emiliano Deiana
sono stati letti brani di Cosa Conta da Romina Fiore e Tore Dessena (che non è parente di Massimo, il padrone di casa ( Ecco alcune mie   foto della serata  più mio video  










infatti  l'ho letto in un pomeriggio   di una  giornata  ventosa   al mare  nelle pause tra  una  foto  e  l'altra  a mio fratello  e i suoi amici  che  facevano wind  surf  ecco il reportage  sotto 






ottimi i riferimenti musicali ed in particolare questo  ritornello di  una famosa  canzone   qui  il testo  e  nell'url sopra il video   degli ani  '90


Pietra dura se cosa che cura

Libera me dal male e della mia paura

Pietra dura tu sai cos'è che cura
Insegnami a capire
Aiutami a vedere

Cosa conta davvero

 che poi da origine al titolo del libro e nei momenti   di suspense  del libro  in particolare  ...    mi fermo qui  altrimenti vi tolgo  il piacere  di leggerlo

11.7.15

Maturità, storia di Silvia studentessa Down da centoMaturità, storia di Silvia studentessa Down da cento

 queste  sono storie    e fatti altro che gossip . Ora  è vero che    << i commissari ho presentato una tesina su di me. Devo dire che me li sono conquistati, soprattutto i prof di inglese e di filosofia: hanno apprezzato tantissimo le mie poesie>> Ma Silvia Barbarotto, quasi 20 anni, è una studentessa affetta dalla sindrome di Down. Ha appena finito il liceo di Scienze umane all’istituto Virgilio di Milano. Con il massimo dei voti: cento centesimi. Certo, la prova non era quella ministeriale, ma un esame adatto al suo «Pei», cioè il percorso educativo individualizzato sviluppato nel corso dei cinque anni grazie a una rete di insegnanti di sostegno. E non avrà il valore di una normale maturità infatti : Silvia riceverà un «certificato di competenze acquisite». Ma è comunque un risultato di cui essere fieri.

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Silvia, appassionata di poesia, è uscita dal liceo Virgilio di Milano con il massimo dei voti nella prova personalizzata. «Da grande vorrei imparare a fare i massaggi»
di Alessandra Dal Monte











«Ai commissari ho presentato una tesina su di me. Devo dire che me li sono conquistati, soprattutto i prof di inglese e di filosofia: hanno apprezzato tantissimo le mie poesie». Silvia Barbarotto, quasi 20 anni, è una studentessa affetta dalla sindrome di Down. Ha appena finito il liceo di Scienze umane all’istituto Virgilio di Milano. Con il massimo dei voti: cento centesimi. Certo, la prova non era quella ministeriale, ma un esame adatto al suo «Pei», il percorso educativo individualizzato sviluppato nel corso dei cinque anni grazie a una rete di insegnanti di sostegno. E non avrà il valore di una normale maturità: Silvia riceverà un «certificato di competenze acquisite». Ma è comunque un risultato di cui essere fieri.
Dalla poesia ai massaggi
«Sono molto contenta — racconta Silvia —. Nel primo scritto ho dovuto commentare un testo di Pirandello mentre nella prova di Scienze sociali un brano sulla situazione di un ragazzo. Poi all’orale, oltre all’autopresentazione, ho portato diverse materie: filosofia, inglese, matematica, storia, italiano, scienze sociali. E ho parlato tanto di poesia, che per me è una vera passione». Silvia legge alcuni suoi versi al telefono. Asciutti e incisivi. «Il mio poeta preferito è Ungaretti. Ma mi piacciono anche Shakespeare, Pascoli, Leopardi, Omero. E un po’ D’Annunzio». Da quando la scuola è finita Silvia è un po’ dispiaciuta. «Mi sono trovata bene in classe con i miei compagni. Adesso non so bene cosa farò: mi piacerebbe andare all’Istituto San Giusto — la scuola di Milano che insegna un lavoro ai ragazzi Down attraverso laboratori pratici (giardinaggio, ceramica, cucito, cucina e bar, informatica), ndr —. E, in futuro, imparare a fare massaggi».
Un futuro difficile
Mentre Silvia sogna, mamma Cristina fa i conti con le questioni pratiche: «I posti al San Giusto sono molto pochi. E proseguire gli studi è difficile. Intanto dovrei far riconoscere la maturità di Silvia, magari in questo mi può aiutare l’associazione Gpd, genitori persone Down, a cui siamo iscritti. Ma poi? Purtroppo dopo le superiori per chi è affetto da questa sindrome c’è il nulla. A maggior ragione devo ringraziare il liceo Virgilio, che l’ha accolta e seguita per cinque anni. Questo percorso Silvia l’ha finito alla grande. Adesso ci rimettiamo in pista per il futuro».

ADDIO MONSIEUR IBRAHIM


"Ma è arabo per davvero?": chiedevo a proposito di Omar Sharif. Il volto non dava adito a dubbi, ma volevo sapere se giungesse proprio da quelle parti, se non si trattasse d'un mezzosangue, se il nome fosse proprio quello. Non lo era, ma nessun problema: come la conversione religiosa, da cristiana a musulmana per amore della prima moglie, anch'essa attrice. Misto lo rimaneva, perché era nato egiziano da genitori libanesi e il Libano, ai suoi tempi, aveva una squisitezza da cartolina polverosa, corpi arabi avvolti in vesti occidentali. Mi sono sembrati sempre belli e un po' goffi, e quel periodo, pur meno tribolato e intellettualmente ricco, non lo ritengo auspicabile oggi. Lui non era goffo, si capisce. Colto e bello, sì. Bellezza letteraria, fiabesca; di qui la mia esigenza d'autenticità. Artisticamente non lo seguii molto. Quand'era all'apice della fama muovevo i primi passi, poi lui cadde e risorse troppe volte. Il gioco, l'alcool, le donne (quante ne ebbe? Anche lì: troppe). E probabilmente l'iracondia, quell'istintualità indomabile, da belva. Si sa: certe nature sfuggono, per  continua qui    su https://www.facebook.com/pages/I-libri-di-Daniela-Tuscano/128059093909394

10.7.15

.Vino vecchio, otri logori di © Daniela Tuscano

.
I media e la blogosfera sembrano essersi accorti soltanto ieri del viaggio papale in America Latina. E solo a causa di “quella” foto, il crocifisso incastonato, tutt’uno con un martello in cui s’intreccia una pesante falce, dono del presidente boliviano Morales. Un crocifisso “comunista”, come ha titolato la quasi totalità della stampa e l’ha presentato l’astuto Evo, pronto a sfruttare propagandisticamente il colpo. All’aggettivo, che molti volevano confinare fra le anticaglie della storia, lo scandalizzatissimo Socci ha aggiunto nei suoi editoriali di fuoco altri vocaboli: vergogna e coca. Mancano all’appello sesso & rock’n’roll, ma non mancheranno i pretesti e con essi l’ennesima scomunica socciana.
Eppure Francesco è lì da settimana scorsa. Ha visitato l’Ecuador, si trova in Bolivia, andrà in Paraguay. Eppure i suoi appelli, la sua voce, avrebbero dovuto destar l’attenzione non solo dei cattolici, ma anche di chi, non credente, si è però sempre proclamato a fianco dei popoli terzi, delle
periferie del mondo, ha invocato giustizia e diritto, lamentato la collusione della Chiesa coi poteri forti e le multinazionali.
Invece. I devoti, gli zelanti, i pii, i lettori assidui delle testate religiose, sono perlopiù costernati. Tralasciamo pure il summenzionato Socci, ormai collocato su posizioni lefebvriane (a proposito, nessuno sconcerto da parte sua quando il da lui rimpianto papa Ratzinger riammise senza pentimento nel seno del cattolicesimo questa setta scismatica, antisemita e filonazista). Se restiamo dalle parti del cattolico medio, ecco un florilegio di mugugni a mezza bocca, sospiri, cachinni che talvolta sfocia in aperta ribellione: “Quanto sono lontani i viaggi di Wojtyla!”, “Benedetto dove sei?”, “Con tutto il rispetto, Santità, quel dono empio avrebbe dovuto rifiutarlo...”. Quel dono empio, diciamolo subito, era la riproduzione del crocifisso di Luis Esquivel, il Romero argentino, gesuita, poeta, giornalista, cineasta torturato e ucciso dai sicari del dittatore fascista Meza per aver difeso i diritti dei minatori. Pochi l’hanno rilevato, ovviamente gli zelanti e i pii lo ignoravano totalmente e una di loro, dai social network ha così commentato: “Poeta, regista ecc., a tempo perso faceva il gesuita”.
Dal lato opposto, quello dei cosiddetti progressisti, identica distrazione/fastidio. Ne esce snudato il terzomondismo da salotto. I loro strali contro le gerarchie ecclesiastiche complici del potere non erano pertanto frutto di solidarietà ma del qualunquismo dell’occidentale sazio, che inganna il tempo a digitare bolse frasi su una tastiera. 
Lo prova il silenzio presto calato sull’enciclica “Laudato si’”, dura denuncia della finanza speculativa subito degradata a documento ecologista o manuale per vegani. 
In realtà, sia i reazionari sia i nichilisti non hanno altro interesse che per i falsi temi; in particolare il sesso, in tutte le sue varianti e variabili.
Nella (in)civiltà delle immagini, non sappiamo più discernere i messaggi. I simboli. Siamo, insomma, divenuti analfabeti anche della vista. Riteniamo blasfemo il crocifisso marxista e non la Madonna del Manganello, le benedizioni delle armi, i cappellani militari e Wojtyla al balcone con Pinochet (pur se Francesco sarebbe ferito da queste contrapposizioni, che riterrebbe speciose; ne siamo consapevoli, ma corriamo il rischio). Perché i secondi ce li aspettiamo, ci sembrano ovvi e normali. Sia per osannarla, sia per maledirla, siamo convinti che il posto naturale della Chiesa sia a fianco dell’imperatore, dimentichi che il Fondatore ci aveva ordinato l’esatto contrario. Obliosi del fatto che la prima, vera Chiesa, non è la gerarchia, non è nemmeno il tempio, ma la nostra casa; l’assemblea; noi.
Bergoglio “comunista” è l’ultima idiozia della memoria smemorata. Avendo cancellato la vicenda umana e religiosa di Murri, Mazzolari, don Milani, ma anche – perché no? – Simone Weil e Madeleine Delbrêl, per tacere di Matteo Ricci, non comprendiamo che la preoccupazione dell’attuale Pontefice, per natura un centrista – come lo definisce Massimo Faggioli – non è politica ma pastorale; evangelica, totalmente e semplicemente evangelica. Sempre che si conferisca all’avverbio il suo reale senso, quello cioè di bastante a sé stesso, risolto, totale. 
Francesco non è un teologo della liberazione. È un teologo del pueblo; proviene da lì, ne è la fisicità. È un uomo di 79 anni, conservatore e ottimista, parroco del mondo. Non europeo. Dagli occhi meridionali, asiatici. Volutamente decentrato.
Uomo di ricostruzione e macerie, scomodo ai vertici ecclesiastici costretti però a seguirlo, consapevoli della gravità del momento, fra miseria, inequità, sfruttamento, terrorismo. Dove spesso i cristiani si sono ritrovati, come alle origini, dalla parte dei perseguitati e non dei persecutori. 
Tutto quanto è incomprensibile sia ai farisei da sagrestia, sia agli odifreddini in salsa rosa. Il loro è il classico vino vecchio in otri logori. Il dio dell’indifferenza e della sazietà è morto, ma essi ancora non lo sanno. 

© Daniela Tuscano

Intervista ad Alina Rizzi autrice di Pelle di Donna


per la serie  interviste  ai  compagni di viaggio  \  di strada  oggi  è la  volta  dell'affabulatrice  e poliedrica  Alina Rizzi   come dimostra  la  sua bibliografia  ed  i suoi lavori  ( qui sul suo blog maggiori dettagli ) 

Alina Rizzi è nata a Erba (CO). Giornalista dal 1991, ha scritto articoli e servizi per i seguenti periodici: Cosmopolitan, Tuttodonna, GrandHotel, Cavallo Magazine, Lo Sperone, Argos, Maxim, 20Anni, Essere e Benessere, Comogolf, Natural Medicine, Trentadì, Il Corriere di Como, Marea.
Giornalista pubblicista dal 1991, si dedica da sempre a realizzare iniziative rivolte alla valorizzazione del mondo femminile. Attualmente collabora col settimanale F e il mensile Natural (Cairo Editore). Per  contatti oltre il  suo blog  citato sopra nelle righe  precedenti    e il suo account facebook  la potete  trovare  a questo indirizzo email  :  alinarizzi67@vodafone.it.
Ora poiché  non sta bene  iniziare  dall'ultima opera  Pelle  di donna  ( per  la  casa   editrice Bonfirraro  editore Viale Signore Ritrovato  5 94012 Barrafranca (EN) che  potete   trovare 

Telefono: (+39) 0934 464 646 oppure  via   email   info@bonfirraroeditore.it o  al  sito   web Sito:    )
ovviamente  si parlerà anche dell'ultimo  libro )  un intervista   a  tutto tondo . 

Scelta  un po'  dura  come titolo  del  tuo  ultimo libro,  puoi spiegarci  da  dove  deriva   la scelta  ?
PELLE DI DONNA perché le storie vere che racconto in questo libro hanno lasciato profonde cicatrici nell’anima di queste donne e quando si rischia molto ci si gioca la pelle. E’ un modo di dire che rende subito l’idea del pericolo attraversato.

Cosa  proponi  oltre  a raccontare  come   in pelle di donna   storie  di donne che   hanno attraversato il dolore della coercizione, dell'esclusione, della violenza fisica e psicologica, quasi sempre perpetrata da uomini. Perchè   queste (ma   anche  quelle  che    quotidianamente    subisce  simili situazioni  )   donne non devono essere dimenticate, perché come loro ce ne sono centinaia di altre, che solo uscendo dal buio e dall'anonimato, possono forse ritrovare un po' di giustizia. E di serenità  per  eliminare  o  secondo alcuni ridurre   (perchè secondo me  non si    sconfiggerà mai )  la piaga del femminicidio  ? Credo che le leggi adatte per proteggere le donne esistano ma non siano fatte rispettare, molto spesso. Su questo c’è da lavorare. Inoltre l’applicazione di pene più severe funzionerebbe sicuramente da deterrente contro questi crimini.

In quanto  già a  14\15  si sono già  formati  i pregiudizi , ed  i primi atti  di bullismo    e  le  prime  forme  di  omofobia ,   di sessismo  (  quello che un tempo si chiamava maschilismo  ) ed  i pregiudizi  che portano al : razzismo  , .al l femminicidio e  allo stalking    molti propongono d'intervenire  nel spiegare  \insegnare la convivenza    e la  tolleranza  (  ovviamente  critica  da  non confondere  con quella  passiva   )  fino  dalle scuole  materne  per   spiegare  le tematiche  ( ed  eventuali antidoti  \  anticorpi  per  evitare e   ridurre al minimi termini  visto che l'odio e la paura  non si posso  mai cancellare  \  rimuovere )  che  hai    trattato nei  tuoi libri ed  in particolare    nel  tuo ultimo libro . Tu cosa ne pensi  ?

Sì, credo che l’educazione al rispetto delle donne debba iniziare dalla più tenera età, dalla scuola materna. E debba rivolgersi ai maschi come alla femmine. Non dobbiamo scordare che, ancora oggi, sono soprattutto le donne che allevano i figli, quindi sono le prime che devono chiedere agli uomini di domani di non avere pregiudizi e atteggiamenti violenti. L’esempio, comunque, resta la più efficace forma di insegnamento.

visto che spesso le donne che hanno subito ingiustizie e violenze si aprono principalmente con una giornalista donna immagino che non hai avuto difficoltà a farti raccontare tali fatti

Non credo che la disponibilità a raccontarsi dipende dal sesso del giornalista, quanto piuttosto dalla sua sensibilità e capacità di empatia. Non è facile raccogliere testimonianze così dolorose, mi rendo conto che le mie domande rischiano di riaprire ferite non sempre cicatrizzate del passato, ma h



Cambiamo argomento ma  parlando  sempre   di  te visto che  ti sei   e  ti occupi di erotismo  ( anche  giustamente   hai fatto notare http://www.oltreilgiardinoonlus.it/da-scrittrice-erotica-ad-arteterapeuta-intervista-ad-alina-rizzi/     e   si  nota  dal  tuo   blog    che  ti va  stratta   ed  limitativa  la definizione  di  scrittrice  erotica  )   come  vedi  l'aumento  della fruizione della pornografia da  parte  delle  donne  legalizzare la prostituzione quindi abolire la  legge  Merlin  è un bene o  un  male ?

L’uso di pornografia da parte delle donne non mi stupisce: penso sia un interesse legittimo e privato, da rispettare senza tanti sbandieramenti.
Per quanto riguarda la legalizzazione della prostituzione non vedo soluzione facili all'orizzonte: non mi pare che nei paesi dove la prostituzione è legale sia scomparsa la tratta, lo sfruttamento e la violenza sulle donne che fanno questo mestiere.


  usi di  più   sia  nello scrivere  \  intervistare     e  nelle  tue  opere  il cuore  o  la mente  ? oppure per  non essere d'assente le  usi  entrambi  ?

Scrivo per passione, che nasce da mente e cuore, secondo me.


Esiste o non esiste la  teoria  del gender ? 

Non è una teoria è un dato di fatto. Uomini e donne appartengono a due generi diversi e hanno quindi caratteristiche diverse. Vogliamo ancora negarlo? E’ ridicolo.


Come  mai  nelle tue  interviste  intervisti solo donne  e  anche  di  uomini  ? 

Intervisto le donne perché mi interessa l’universo femminile in tutte le sue sfumature. Sono felice di dedicare il mio tempo e le mie competenze a chi, da sempre, ha avuto meno possibilità di espressione personale.


Non hai  mai , almeno   da  quel poco che ho letto  visto che ti  conosco  da poco   raccontato  o intervista   pornostar  o porno dipendenti  (  ce  ne  sono kma  ri mangano  sommersi   in quanto provano più vergogna  degli uomini  )   femminili ?
Non mi è capitato di incontrare donne interessate a condividere la loro storia intima e personale. E il superficiale o l’apparenza non mi interessa.



 non so  più  che   cosa chiederti    se  vuoi aggiungere   o rettificare  qualcosa  o magari  lasciarci    un estratto   dal  tuo  ultimo libro o libro precedente   finiamo qui  Bene, grazie, ti mando a parte un racconto tratto dal mio libro PELLE DI DONNA.

LAPIDATA  

Giulia era mia figlia. Aveva trent’anni, era bella, solare, intelligente. Si era laureata in psicologia,aveva un buon lavoro alla Unicredit di Sassuolo.Dopo sette anni di fidanzamento, nel 2005 aveva sposato Marco, impiegato in un ufficio tecnico di progettazione di impianti elettrici. Giulia non pretendeva troppo dalla vita, era una ragazza senza grilli per la testa. Voleva una famiglia, dei figli, fare qualche viaggio. Io desideravo per lei solo la sua felicità.Era la mia bambina. Ma un freddo sabato sera del2009, senza alcuna ragione al mondo, suo marito l’ha uccisa. L’ha attirata nel garage dei suoceri come in una trappola e forse non le ha dato neppure il tempo di aprire bocca per parlare, per chiedergli  spiegazioni. L’uomo che lei amava da dieci anni ha  lapidato la mia bambina. Per sette volte ha infierito su di lei con un grosso sasso, le ha spaccato la testa, poi l’ha caricata in auto, è arrivato sulle sponde alte del fiume Secchia e l’ha gettata di sotto, come una bambola di stracci, come volesse ucciderla per la seconda volta, lasciandola tutta rotta sulle rocce appuntite bagnate dal fiume. Ma Giulia non era un pupazzo, Giulia era una donna, Giulia era mia figlia,e lui l’ha massacrata.Erano circa le ventitre dell’11 febbraio 2009, io e  mio marito eravamo già a letto, era inverno e faceva freddo. All’improvviso squillò il telefono. Mi alzai  con un balzo e corsi a rispondere. Era mio genero Marco, che mi chiedeva se Giulia era con noi. Mi parve una domanda assurda. Perché doveva essere a casa nostra? Lui disse che era uscita, che non rispondeva al cellulare, che avevano litigato al telefono.Questa non era una novità. Ultimamente non andavano d’accordo e mia figlia era molto triste e delusa,però ancora sperava di ricucire il rapporto. Tant’è vero che solo un paio di settimane prima, un sabato nel primo pomeriggio, venne a casa nostra con una piccola borsa, affranta per come l’aveva trattata il  marito e ci raccontò tutto. La sua infelicità, il fatto  che lui non voleva più avere figli, che probabilmente non la reputava in grado di essere una buona madre.Era stanco di lei e glielo aveva gridato in faccia.“Mi stai chiedendo la separazione?” aveva domandato Giulia incredula.“No, per adesso no”, le aveva risposto il marito. “Se esco da quella porta non mi rivedi più”, gli aveva risposto mia figlia, sperando dimostrasse unpo’ di rimorso o di preoccupazione. Invece lui non battè ciglio e, in seguito, disse ai giudici che dormì  bene quella notte, senza la moglie in casa. Infatti  non la fermò quando lei uscì per venire da noi a sfogarsi  piangendo.“Marco non mi vuole più”, singhiozzava.Rimase a casa nostra per quella notte, ma il giorno dopo volle tornare da lui. Disse che voleva cercare una riconciliazione, che dovevano spiegarsi, che non poteva finire così. E per qualche giorno riuscì a rappezzareil matrimonio. Almeno così noi credemmo.Ma la notte del 23 febbraio Marco, al telefono, era ansioso, parlava trafelato e l’ansia mia e di mio marito cominciò a crescere di minuto in minuto. Marco  ci chiese di andare da lui, di aiutarlo a cercare Giulia perché aveva un brutto presentimento: lei aveva lasciatoun biglietto prima di andarsene. Il cuore cominciò a martellarmi nel petto, idee confuse mi attraversavano la mente. Cosa stava tentando di dirci mio genero? Che genere di biglietto aveva trovato?Riattaccai e iniziai a chiamare Giulia sul cellulare e  a lasciare messaggi imploranti.– Giulia, rispondi, cosa sta succedendo?– Dove sei tesoro?– Fatti sentire, per carità!Stranamente, lei sempre così sollecita nelle risposte,non rispondeva. Ci vestimmo in fretta per correrea San Michele Dei Mucchietti, dove Marco ci attendeva. Le ciabatte di mia figlia erano lì nell’ingresso e Marco prese a recitare la sua “pantomina”. Fu lui  stesso a definire in questo modo la sua recita, durante  il processo. Ci mostrò il biglietto, in cui Giuliadiceva di non aver più motivo di esistere, e per  quanto mi sembrasse folle quell’ipotesi, cedetti all’angoscia  e insieme a mio marito ci precipitammo a  cercarla fino a Sassuolo, avanti e indietro sulla strada. Per fortuna ci fermarono i carabinieri di Petrignano, per un normale controllo, e noi raccontammo  i fatti. Era presto per dichiarare una persona scomparsa ma decisero di aiutarci e presto ci mandarono  a casa, dicendo che avrebbero fatto delle ricerche. Rincuorati per il loro sostegno seguimmo il consiglio, con la speranza di ricevere presto buone notizie. Invece, tutto precipitò. Verso le tre di notteudimmo un’auto entrare nel cortile e corremmo alla porta, quasi certi che fosse nostra figlia. Ma erano i carabinieri e portavano la più tremenda delle notizie: Giulia si era davvero suicidata, e il suo corpo era stato trovato sulle rocce che circondano il fiume Secchia,  in un punto in cui le sponde sono alte quindici metri. La terra mi franò sotto i piedi, sentii che il mondo crollava, che non c’erano più speranze. Mia  figlia era morta.Seguimmo i carabinieri in caserma, dove rilasciammo le nostre dichiarazioni: eravamo costernati.Uscendo incrociammo mio genero che non ci degnò  di uno sguardo: era un pezzo di ghiaccio. La mattina  alle otto decisi che dovevo chiamare Elena, la sorella  di Giulia, e informarla dei fatti, ma lei non volle credermi.Disse che la sera prima era stata un’ora al telefono con Giulia, che era felice perché alle venti doveva  incontrarsi con Marco: lui dopo tanto tempo  l’aveva cercata per stare un po’ insieme. Anzi, l’aspettava nel garage dei suoi genitori, perché doveva mostrarle una cosa. E Giulia, sorpresa per la richiesta  del marito, aveva ipotizzato che lui volesse consegnarle  il regalo che non le aveva fatto a Natale. Era  impaziente, eccitata, non poteva essersi uccisa! Infatti, c’è persino un sms a provarlo, scritto da Giulia  al marito alle diciannove e venti di quella sera: «Ciao  amo’! Come sei messo? Io sono appena rientrata.Stasera preferisci mangiare in casa o vuoi che ti passi a  prendere e andiamo a mangiare  qualcosa  insieme? X me è  uguale».Elena raccontò tutto ai carabinieri, i quali già nutrivano  dei sospetti, avendo trovato tracce di sanguee un orecchino di mia figlia vicino al ciglio del fiume.Grazie alla deposizione di Elena si precipitarono nel garage dei genitori di Marco e anche lì trovarono altre tracce di sangue. Nel giro di ventiquattro ore l’uomo fu arrestato, e poiché le prove erano schiaccianticonfessò l’omicidio dichiarando: “ Una volta  arrivata all’interno del garage dell’abitazione dei miei genitori, la discussione è degenerata in un vero e proprio litigio. Preso da un improvviso raptus d’ira, vedendo vicino a me un grosso sasso grigio, che nonso neanche perché si trovasse lì, lo afferrai con la  mano destra e colpii violentemente il capo di mia  moglie. Lei cadeva a terra e io mi sono buttato su di  lei colpendola più volte, tanto che nell’impeto ho colpito la mia mano sinistra ferendomi. L’ho colpita  fino a quando non ha smesso di respirare…” È stato tremendo ascoltare queste parole, ma nel contempo ero sollevata: la giustizia avrebbe seguito  il suo corso. Invece mi sbagliavo. Le cose non sono andate come speravo per quell’uomo che, pur essendo  reo confesso, fu così abile, gelido e astuto da far credere ai giudici di aver uccido per gelosia, convintodi essere tradito dalla moglie. Ma mia figlia  non poteva essere lì a difendersi e Marco sì invece,pronto a recitare la parte del marito ingiustamente  maltrattato, della vittima, nonostante lui sì aveva un’amante, che chiamava “Volpe”, a cui scrisse un sms subito dopo aver confessato il crimine per informarla che non poteva più tornare da lei. E sebbene non esista più il reato di adulterio, il delitto d’onore,la realtà dei fatti ha poi dimostrato che un uomo che convince i giudici di aver lapidato la moglie per gelosia,riesce in qualche modo a farla franca, cioè ad  ottenere uno sconto di pena, fingendo di aver agito accecato dal dolore e dall’umiliazione procuratigli dalla compagna e non con determinata e lucida premeditazione.Per me questa non è giustizia. Perché mia figlia è morta massacrata dall’uomo da cui desiderava un bambino. Vorrei che qualcuno mi spiegasse  che senso ha tutto questo.I giudici non hanno saputo farlo. 

Concludo    confermando   da  questa  breve  chiacchierata  e  post   che  ha  scritto pere  il nostro blog    e   quanto dice   sulla  bacheca  la sua utente  e lettrice
Grazie Alina Rizzi , per avermi permesso di esprimere le emozioni che hanno evocato i tuoi racconti nella analisi introduttiva.
".....la "pelle delle donne", che separa e unisce le differenti sensorialita', spesso intermediaria di un dolore che procura comunque un sentimento di riappropriazione di sé stesse, incatenate come sono a corpi che sembrano inadatti al piacere , disaffezionati, disabitati, interni svuotati completamente dell'aggressivita' necessaria per qualsiasi affermazione di sé. ..." 😻


buona lettura e alla prossima

8.7.15

Donald Gould , clochard di 51 anni,Voleva racimolare qualche dollaro, non pensava certo di diventare una star del web.

Inizialmente pensavo  fosse qualche  bufala  o  notizia  riempitivo  di cui sono sempre  più  pieni  le pagine fb  dei quotidiani   , insomma post  farlocchi e frivoli per  attirare  utenti  e lettori  . 

 dall'unione  sarda del 8\7\2015


 

Voleva racimolare qualche dollaro, non pensava certo di diventare una star del web. Donald Gould , clochard di 51 anni, è stato filmato con un telefonino da un passante, che ha poi pubblicato il video su Youtube. La sua performance al piano a Sarasota, in Florida, in pochi giorni è stata apprezzata da migliaia di persone. Da allora Donald è stato accolto da una comunità, gli è stata offerta una borsa di  studio   per finire gli studi di musica e dei soldi per mettersi in contatto con suo figlio.

  e  da  blizquotidiano  (  eccetto la foto  )  

NEW YORK - Donald Gould, un senzatetto di 51 anni, pensava giusto di ‘alzare’  qualche   dollaro quando si è seduto ad uno dei pianoforti messi in strada dal comune di Sarasota, in Florida, in modo  che ognuno possa suonarli. Ha posato lì il suo cappello consunto e ha eseguito un brano degli Styx, “Come Sail Away”, del 1977: e inaspettatamente, è stato un successo incredibile, che potrebbe davvero cambiargli la vita. La sua performance è stata filmata con un telefonino da un passante che l’ha poi postata su YouTube, il 30 giugno scorso. Da allora, fino a questa mattina era stata visionata oltre 7,6 milioni di volte. E altre 5,3 milioni di volte su Facebook.E da allora, scrive il Washington Post, per Donald Gould le cose hanno iniziato a cambiare. Si 
da http://www.boredpanda.com/ 
 più  recisamente  da  qui

è rasato la lunga barba e tagliato i capelli, è stato accolto una comunità temporanea per senzatetto e gli è stato offerto un  conto  bancario che ha finora ricevuto donazioni per oltre 35 mila dollari. E ancora, gli è stata offerta un borsa di studio per finire gli studi di musica al college ed è riuscito a mettersi in contatto con suo figlio, che aveva perso di vista molti anni fa. Donald Gould ha iniziato a suonare il clarinetto sin da bambino. E ancora ha suonato quando era nel corpo dei Marine. E ha anche studiato musica alla Arbor University, in Michigan.Ma poi è rimasto senza soldi e ha abbandonato gli studi. E poi ha avuto problemi con l’alcol, e con la droga. E ne ha tutt’ora. Ma ora appare determinato a risolverli. E’ determinato ad entrare in un centro di recupero. Lo ha detto anche a suo figlio, Donny, di 18 anni, quando lo ha sentito al telefono. “Spero che tu riesca  a fare   un po’ di pulizia nella tua vita, così che possiamo rivederci”, gli ha detto Donny, secondo quanto ha raccontato ad una tv lo stesso Donald, che gli ha risposto: “spero di farlo nei prossimi giorni, figliolo”.


O quanto fosse ( cosa  che    non mi sembra  , ma  che importanza   ha  poi , certo indigna  un po'   che anche le cose belle  e anti-sistema posso diventare  merce  , ma  cosi  va ilmondo e  non ci pui fasre niente    bellezza  puoi solo limitarne  o cercare di   non farti fagocit re   da esso  )     meno  un trovata pubblicitaria  visto   che lo stesso protagonista  ha un  suo profilo  su   facebook 

  
Invece  mi sembra   visti  gli articoli che  ho trovato   rete  ecco secondo me il migliore  e più completo    da  http://www.aol.com/

Donald Gould sat down at a piano at a public arts exhibit in Sarasota, Florida, and played. The images of him with his scraggly beard, unwashed hair, and dirty clothes making magic at the keyboard were seen around the world.Within two days the  video  received more than two million views.




Now, Gould has a chance for a new beginning.

In an INSIDE EDITION exclusive, we're giving this homeless man, who is a former Marine, the break he deserves -- Donald Gould is going to get cleaned up .First, a new wardrobe for him at Sarasota's Island Pursuit. Gould tried on an outfit in a dressing room .When he came out of the dressing room, he said: "People won't recognize me."next stop: The Gent Essential Barber Spa. It'll be his first haircut and shave in 18 months.
He saw his new look revealed in the mirror for the first time. After his haircut and shave and after it all came off, he said: "No more caveman!"
What a remarkable change!



There was another stop to make: Gould performed for the first time  before   a paying crowd thanks to the good folks at Michael's On East.
At the venue, the emcee said: "We are so very happy to enjoy the company of a very new and exciting celebrity here in Sarasota."
Gould walked on and played his first some, he Beatles classic "Let it Be," and the crowd loved it.
After the performance he said: "Before, they look at me with the scruffy face, they're like, 'Who is the raggedy homeless looking man?' But here, I just walk in like a pro. And no flak whatsoever."
It's more than just a new look. Gould says this day has gone a long way in restoring his sense of worth. "I got a lot of new respect out here today. I feel pretty confident I can do it. As long as I keep  myself together." People in restaurant shook his hand and

RAGAZZO DI VITA di © Daniela Tuscano





Tu, ti ricordo con gli occhi ancora buoni, in un sussulto ridarello, e sempre era estate. Lo so, lo so cosa pensavi. Ti piaceva la penombra degli adulti, la studiavi a loro insaputa; salivi sull'auto sgangherata del nonno, inebriandoti dell'odore di benzina. Ma non lo rivelavi: chi avrebbe capito? Era, per te, odore di libertà; ti vedevi oltre la campagna, in fuga perenne, sparato fra il chiasso dei condomini. Avevi bisogno di perderti, di assommarti a una miriade d'altri Tu. E però ti sentivi solo e amavi esserlo, come il tuo sorriso, d'una timidezza fiera e impertinente. Non stavi fermo mai, il tuo pensiero balzava oltre il muro, la fretta mordeva nelle scarpe troppo larghe, e ti sentivi unico, fragile e brillante guerriero, nell'illusione dell'immensità.
                                © Daniela Tuscano

7.7.15

Pompei: nasconde videocamera in un camerino, i carabinieri lo salvano dal linciaggio


Interferenza nella vita privata?"" Ma che .... caspita di accusa è? Questo è un pedofilo maniaco...e nel minore dei casi un guardone onanista non gli daranno nemmeno una multa con un'accusa del genere...‪#‎soloinitalia‬ . Vero sono non violento ma a volte mi viene lo stesso pensiero di una commentatrice ,Anna Rita Melis , dell'unione sarda Avrebbero fatto meglio a lasciarlo linciare dalla folla inferocita, quel porco! Credi a me che non ci avrebbe provato una seconda volta a "interferire nella vita privata"! Perché questo è una dimostrazione di come ci si gioca l'onore personale e la fiducia dei clienti del negozio.. non mi spiace per questo pezzo di somaro ( metaforicamente parlando ) ma per gli incolpevoli che grazie al lavoro nella sua attività commerciale, andavano avanti.
Cronaca - Approfondisci su UnioneSarda.it del 7\7\2015
UNIONESARDA.IT

La mamma di Federico Aldrovandi ritira le querele: "Ma non è un perdono" Unione sarda del 7\7\2015



La capisco ne ha subita già tanta di merda ed stanca di doverne subire ancora . la miglior risposta contro questi ...... putribondi figuri ( metaforicamente parlando  ) . in culo a chi dice che è una prima donna ed una opportunista e non gli ne fregato niente del figlio se non da morto .




La mamma di Federico Aldrovandi ritira le querele: "Ma non è un perdono"  Unione sarda  del 7\7\2015 



patrizia moretti la mamma di federico aldrovandi morto il 25 settembre 2005
              Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, morto il 25 settembre 2005

Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, ritirerà le querele presentate verso Carlo Giovanardi, senatore, e Paolo Forlani, l'agente di polizia condannato in via definitiva per la morte di Federico, e di Franco Maccari, segretario del Coisp, sindacato di polizia.
Lo ha annunciato la stessa Moretti al Senato: "Non è un perdono, e d'altra parte nessuno mi ha mai chiesto scusa - ha detto - non spenderò più minuti della mia vita per queste persone e per i loro pensieri. Non voglio più sapere nulla di loro".
Per quanto riguarda Giovanardi, la querela era stata presentata dopo che il senatore "ebbe il coraggio di dire - ha raccontato Moretti - che il cuscino sotto la testa di Federico all'obitorio non era macchiato di sangue ma era rosso".
Altre "falsità e bugie" sono attribuite al segretario del Coisp Franco Maccari, che organizzò una manifestazione proprio sotto le finestre dell'ufficio della donna a Ferrara, e all'agente Forlani.
"Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto dopo la sentenza della Cassazione - dice Patrizia - è stato lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti della vita di mio figlio".


GLI ULTIMI PASTORI SACERDOTI DEL RITO DELLA TRANSUMANZA In viaggio con gli allevatori che da Laconi tornano in paese

ha  ragione il mio contatto  

 
Michele Santoro   della  rivista  Saperepopolare
5 h · 
LA TRANSUMANZA È MONTAGNA E PIANURA...OCCASIONE DI CONFRONTO E CONOSCENZA TRA LE DIVERSE COMUNITÀ
"La Transumanza ha dato la possibilità alle comunità della montagna di confrontarsi con quelle della pianura e viceversa"..."La transumanza muove anche le storie degli uomini e durante il tragitto che da Laconi porta verso le montagne del Gennargentu...le parole poggiano sull'orgoglio e la fierezza...di una famiglia depositaria di valori, usi e costumi trasmessi di generazione in generazione..."


Infatti confermo con i miei ricordi  d'infanzia se   pur  indiretti e mediati     tramite testimonianze  indirette   nonni paterni  (  galluresi )   e   soprattutto  materni  ( nuorese  \  campidano  )  tale  evento che  aveva   caratterizzato la  mia regione  e  che sta    scomparendo  . Riporto qui sotto   la storia  degli ultimi    che  ancora  la praticano .


  Da http://www.sardegnalive.net/it  che riporta   l'articolo  de  
L'Unione Sarda, del 06/07/2015 di Roberto Tangianu


“La transumanza rappresenta la storia e la cultura della nostra comunità e il suo significato va ben oltre il tragitto che si percorre per spostare i capi di bestiame da un ovile all’altro. Il viaggio dei pastori trasferisce da sempre un carico di vissuto e di esperienze, diventando patrimonio di tutti.La transumanza ha dato la possibilità alle comunità della montagna di confrontarsi con quelle della pianura e viceversa”. Nel racconto di Massimo Locci e nel suo essere desulese c’è una carica emotiva che accompagna la ricchezza degli aneddoti, mentre riavvolge il nastro della sua vita con proiezioni di futuro.
La transumanza muove anche le storie degli uomini e durante il tragitto che da Laconi porta verso le montagne del Gennargentu, nel caldo afoso di un luglio che apre le porte all’estate che brucia, le parole poggiano sull’orgoglio e la fierezza del suo percorso personale e di una famiglia depositaria di valori, usi e costumi trasmessi di generazione in generazione.Nel giorno della transumanza la sveglia suona quando ancora il buio della notte protegge il riposo dei sognatori. Le lancette dell’orologio indicano le ore due e i quattro fratelli Locci nella loro azienda di Laconi si affrettano nei preparativi per guadagnare tempo: è forte il desiderio di fare rientro a casa, tra gli affetti familiari.“Prima di affrontare il viaggio bisogna provvedere alla mungitura” spiega Massimo. “La distanza che separa Laconi da Desulo è di 45 chilometri, si parte alle quattro del mattino”.Il gregge di 500 pecore attraversa un lungo sentiero di campagna e solo alla fine imbocca la strada statale 128, poco prima del bivio che porta verso Aritzo, Belvì, Desulo e Tonara. Riaffiorano i ricordi anche tra i sentieri della memoria per dare forma al racconto.
“Avevo solo 10 anni quando ho fatto la mia prima transumanza - dice Massimo -. Mio babbo negli anni ‘80 aveva acquistato due terreni, uno a Laconi e l’altro ad Atzara. Durante il trasferimento del bestiame scoppiò un diluvio all’improvviso e arrivai in azienda bagnato fradicio. Dissi a mio padre che non volevo fare il pastore, da grande, ma il prete. Lui sorrise senza dirmi nulla. E’ stato l’amore per le nostre montagne a riportarmi a Desulo, dopo essermi diplomato a Iglesias negli anni Novanta”.Il pastore comunica anche con i silenzi e le pause indicano una misura, occupano i tempi quando l’azione richiede una particolare concentrazione.“La famiglia è un valore fondamentale per fortuna ancora vivo nelle nostre comunità - prosegue Massimo - . Tra me e i miei fratelli Giannetto, Salvatore e Antonello c’è un legame non solo affettivo ma anche di fiducia e collaborazione provato dal fatto che lavoriamo insieme da sempre”.La transumanza nella storia della Sardegna è un fenomeno complesso denso di significati e di contenuti e investe soprattutto le comunità pastorali interessate da spostamenti lunghi e duraturi verso i pascoli di pianura più abbondanti e fiorenti. In passato era tutto molto più complicato mentre oggi, anche grazie alle tante comodità e agli effetti del progresso, le cose sono cambiate e si può fare affidamento, ad esempio, sulle aziende stanziali. Un censimento del 1981 condotto dalle guardie campestri all’interno delle terre pubbliche rivela che a Desulo avevano fatto rientro 23 mila capi ovini e 4 mila capi caprini.
“Oggi nel nostro paese sono poche le greggi che fanno rientro - spiega Massimo -, si parla di circa 4 mila capi. Io e i miei fratelli continuiamo a fare la transumanza perché amiamo il nostro territorio e vogliamo che i giovani sappiano che significato riveste questa tradizione. Tutti devono essere a conoscenza che la nostra comunità esiste grazie al fatto che siamo figli di pastori transumanti e caminantes”.Il viaggio giunge al termine e i fratelli Locci, dopo aver percorso 45 chilometri e riposato per una breve sosta, arrivano a Desulo in tarda serata. E’ un sentimento consapevole quello che ripaga da tanta fatica, caldo di accoglienza e carico di valori che trovano un riparo.