Jake ha 17 anni ed è l'unico giocatore omosessuale dichiarato in attività nel Regno Unito. Ha scelto di dichiararsi alla vigilia della giornata contro l'omofobia: “Voglio essere me stesso. Per tanto tempo ho nascosto la verità per arrivare fra i professionisti. Ma non potevo andare avanti così”
LONDRA Si chiama Jake Daniels, ha 17 anni e ha già fatto la storia del calcio inglese. Perché oggi, dopo il suo coming out, ha rotto un lunghissimo tabù ed è diventato l’unico calciatore professionista maschile in attività nel Regno Unito a essere dichiaratamente omosessuale. Daniels, attaccante del Blackpool (nord dell’Inghilterra), ha commentato oggi il suo raro e straordinario annuncio: “Voglio essere solo me stesso. Non ne potevo più di dire continuamente bugie ed essere falso, come lo sono stato per anni”, ha detto a Sky News britannica. L’attaccante sinora non aveva mai dichiarato la sua sessualità e pensava di rivelare tutto a carriera finita, per la paura di essere oggetto di offese, insulti e discriminazioni dentro e fuori dal campo: “Per tanto tempo ho pensato di nascondermi e celare la verità, perché volevo diventare un calciatore professionista e nessuno sinora era dichiaratamente gay. Ma non potevo andare avanti così”, dice adesso, “e soprattutto sentivo di non avere ciò che davvero volevo. Adesso provo un sollievo enorme”. E per lui è arrivato anche il messaggio di ammirazione del premier Boris Johnson: "Grazie per il tuo coraggio".
Daniels è una giovane promessa del calcio inglese. Il Blackpool, che milita nella Championship (la “Serie B” dell’Inghilterra) lo ha messo sotto contratto professionistico lo scorso febbraio dopo le sue ottime performance nella squadra under 19, dove ha realizzato ben 30 gol questa stagione, tra cui quello allo Stamford Bridge nella Fa Cup giovanile contro il Chelsea. L’annuncio di Daniels è storico ed estremamente coraggioso perché da oggi è il secondo giocatore calciatore apertamente omosessuale del calcio inglese dopo Justin Fashanu. Il cui coming out purtroppo finì in tragedia. Fashanu, primo giocatore di sempre a dichiararsi gay in Occidente, si uccise a Londra nel 1998 a 37 anni dopo i tanti problemi che gli causò il suo annuncio, incluse accuse di molestie sessuali da un 17enne che lui ha sempre definito come “rapporto consensuale”, anche nella lettera di addio lasciata dopo il suicidio nel suo garage della capitale britannica. Ma Daniels non teme un simile e tragico destino: “Dopo questo mio coming out pubblico, tutto lo stress mentale andrà via. Sono fiducioso. Familiari, amici e compagni di squadra mi hanno dimostrato tutto il loro affetto e sostegno. Non sono mai stato preoccupato. Anzi, molti calciatori del Blackpool mi hanno chiesto: “Perché non ce lo hai detto prima?””.
Cari amici e colleghi, cari lettori fissi o occasionali da quando nel lontano 2004 ( se si considera anche il vecchio splinder ) mi capita e mi è capitato di pubblicare tesi per me non condivisbili sostenute da svariate nostre firme. Ma ne sono felice e anche un po’ fiero, perché non ho mai inteso il nostro blog come una fureria e il mio ruolo di "direttore" come quello di gendarme della verità o dell’accettabilità. Quindi, messa in salvo l’oggettività dei fatti, che varia da persona a persona continuerò a pubblicare ed a lasciar pubblicare post articoli da coloro che vi scrivono direttamente o che trovo sui social o altri siti ed blog ed dopo moderazione ( onde evitare che si faccia flamewar ) i giudizi dei nostri commentatori, anche di quelli più urticanti, stimolanti e provocatori senza alcuna censura se non la mancanza di rispetto . Riservando a me e a chi vorrà l’eventuale diritto di replicare. Ma sempre sul piano dello scambio delle
Come ben sapete , sia che mi seguite qui o sull'appendice facebookiana , il blog è libero e plurale in cui c’è, e deve rimanere, spazio per tutti i collaboratori o semplici commentari nessuno escluso. Ed ogni volta che che qualcuno\a si cancella perchè non sopporta le critiche \ osservazioni com'è avvenuto nell'ultima discussione ( la trovate qui con i relativi commenti ) m'intristisco perchè il blog cosi come la sua appendice social è fatta da utenti \ compagnidistrada che si confrontano civilmente e si scambiano idee e non degli insulti ( specialmente gratuiti e personali perchè anche se a volte succedeun Vaff può capitare ed essere accettato\ tollerato ) , delle scomuniche e degli ostracismi.
Una discussione quotidiana, ancor più necessaria in un momento storico così difficile, che rende tale spazio già di per se caotico vivo e mai appiattito su una singola tesi. Allo stesso tempo, pluralità non vuol dire sempre condivisione. Una cosa sono le opinioni, come quelle sulle responsabilità e le cause della guerra, un’altra le tesi , alcuni di noi inaccettabili ma per sempre da rispettare seppur nel contrastarle Possiamo assicurare a ***** e ***** che hanno partecipato alla discussione ed hanno abbandonato per un semplice rimprovero sui toni usati che se vogliono possono rientrare quando vogliono e replicare i nostri post o i commenti degli altri utenti o gente di passaggio (in quanto i commenti sia qui che sull'appendice social sono aperti anche agli anonimi ) purché seguano le regole di buon senso . Infatti Il dibattito tra noi utenti ed anche con gli esterni testimonia, ancora una volta, che la varietà di opinioni ed punti di vista sono valore da difendere. Ai lettori assicuriamo che il lavoro delle sue redattrici e dei suoi redattori ed pure i commenti anche duri saranno sempre a garanzia della libertà di questo Blog .
Maria V. Longhitano "Io, prima donna vescovo contro i pregiudizi"di Giada Lo Porto
La sua Chiesa è quella episcopale, ramo della famiglia anglicana con lo sguardo rivolto al cattolicesimo ma che non obbliga al celibato 13 MAGGIO 2021
"Avevo dieci anni quando, nella mia Enna, il parroco mi disse che non sarei mai potuta diventare prete". Maria Vittoria Longhitano, 46 anni, non si è arresa. È la prima donna vescovo in Italia, sarà ordinata a Catania il 29 maggio. Fa parte della "Inclusive anglican episcopal church", chiesa della tradizione anglicana, che non obbliga al celibato. Maria Vittoria è sposata, è madre di una bimba di 5 anni e vanta molteplici primati: è stata la prima donna sacerdote ordinata in Italia, nel 2010, la prima a celebrare nozze religiose gay e la prima vicaria episcopale per le comunità di lingua italiana. Per tanti anni alla guida del "Gesù Buon Pastore" di Milano, è tornata in Sicilia nella parrocchia Madonna del Carmelo a Catania.
Quattro risposte a quella frase del parroco. "Penso a quello che dice il Signore: "gli ultimi saranno i primi". Così mi sento. Io che da bambina ho sempre immaginato la mia vita esclusa dall'altare e dai sacramenti. "Gesù non vuole chierichetti o preti femmine", mi diceva il parroco. Sono nata nella chiesa di Roma dove questo è normale: ci pensa che, nel 2021, non esistono neppure donne diacone? E poi c'è l'idea che si associa il vescovo al potere, ai soldi, all'impudenza politica, c'è l'idea che uno faccia il vescovo per mestiere. Io non la vedo così, continuerò a insegnare filosofia al liceo artistico Emilio Greco di Catania, continuerò a guadagnarmi il pane col mio lavoro, allo stesso tempo celebrerò la messa e assolverò a tutti i doveri che questo nuovo titolo comporta. Ho fatto questa scelta sin da quando mi hanno comunicato che sarei diventata vescovo per l'Italia, qualche giorno fa, della "Inclusive anglican episcopal church" (non giuridicamnete legata a Canterbury ndr.). Il lavoro sarà il triplo, ma non mi spaventa". Ricorda il momento esatto in cui ha deciso che sarebbe diventata prete? "L'ho sempre saputo. Da bambina giocavo a dire messa, usavo le patatine come ostie, le sciarpe diventavano stole, ero così piccola che non arrivavo neanche al lavello e battezzavo le bambole nel bidè. Anche lì sono stata pioniera, ho fatto i primi matrimoni gay, ho sposato le Barbie tra loro". Poi però li ha celebrati davvero e per questo è stata minacciata. "Sì, nel 2010. Ho officiato pubblicamente le nozze tra due omosessuali a Cormano, nell'hinterland milanese. Sono arrivate diverse minacce e sono stata per un periodo sotto scorta, erano neonazisti, gente che si firmava con la svastica. Neppure questo mi ha fermata". È stato difficile abbandonare definitivamente la chiesa di Roma, immagino. "All'inizio non volevo e ho cercato la cosa che era più vicina, ossia le suore di clausura. Sono entrata in monastero ma il caso ha voluto che venisse chiuso per le pressioni della Curia perché tra le monache circolavano idee ritenute troppo progressiste. Così mi sono avvicinata alla comunione anglicana". Un anno fa il Papa ha nominato la prima donna con diritto di voto al Sinodo dei vescovi. Uno spiraglio? "Il problema è che purtroppo nella chiesa di Roma l'autorità reale è legata all'ordine sacro, è inutile che nominano sottosegretarie. Una prima vera svolta sarebbe dare l'autorizzazione alla donne diacone. E poi pian piano arrivare al sacerdozio, fino all'episcopato e alla possibilità del pontificato anche per le donne. Come in tutte le altre chiese del mondo. Per fortuna che per me è intervenuta Santa Rita". Cosa c'entra Santa Rita? "Quando ero piccola mia nonna mi diceva sempre che se volevo qualcosa di difficile da realizzare dovevo chiedere a lei. Mi diceva: "Santa Rita è la santa delle cose impossibili". Nel mio paesino, Nissoria, durante la processione le chiesi di aiutarmi. Me ne dimenticai, ma quando il mio vescovo stava guardando la data di ordinazione sull'agenda, l'unico giorno libero dell'anno era il 22 maggio, giorno della festa di Santa Rita. Come faccio a non credere alla comunione dei santi?". Anche Santa Rita discriminata come donna, tra l'altro... "Esatto. Prima perché era vedova e aveva perso la verginità fuori del matrimonio, poi perché aveva sposato un disgraziato. Ma alla fine chi tiene duro vince". Un po' come lei? "Racconto un aneddoto. La mia bimba l'altro giorno alla ludoteca rivolgendosi agli altri compagni ha detto di aver celebrato la messa con la mamma: i bimbi invece di stupirsi hanno iniziato a dire "anche io". La teologia dei bambini ha prevalso sulla discriminazione" La purezza dei bambini. "Quella che ognuno di noi dovrebbe ritrovare".
Di cosa stiamo parlando Centinaia di molestie: monta il caso degli alpini dopo l'adunata nazionale Sono arrivate a 150 le testimonianze raccolte dall'associazione Non una di meno: "Non sono atti goliardici, ma violenze, non si deve minimizzare". Il ministro della Difesa, Guerini: "Episodi gravissimi, non vanno sottovalutati"
Alpini e molestie, il sindaco di Trieste: "Solo normali apprezzamenti, siamo maschi". NonUnaDiMeno? "Gentaglia"Il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (ansa) Il primo cittadino forzista Dipiazza commenta il caso dell'adunata di Rimini: "Ma stiamo scherzando? La violenza è un'altra cosa"
Le sue dichiarazioni mi hanno fatto ...... e mi hanno portato di a scrivergli di getto qiuesta specie di lettera
Spett Roberto Dipiazza
E' vero che noi uomini non siamo dei pezzi di legno cioè e solo razionalità e quando vediamo una bella donna o ragazza ( capita anche alle donne di fare lo stesso ) non ci tratteniamo da commentare la sua bellezza o bruttezza ma un po' di garbo dovrebbbe distinguerci dalla maggior parte degli animali che usano solo l'istinto . Ecco che replico a chi come lei ( almeno cosi mi è sembrato ) usiu come giustificazione di tali gesti il fatto che siano naturali e fanno parte dell'istinto dell'uomo . Sappia che concordo con << [...] Qui mi viene da dire soltanto che se ci credete davvero, se credete davvero che ci sia un istinto animale che non si può controllare, allora il vostro posto non è in strada. È in una gabbia. Poi le donne potrebbero venire, in minigonna e senza paura, a portarvi le noccioline.>> ( Cecilia Strada ) . Ora Non credo che se le stesse cose che sono successe a tale manifestazione vengono fatte a sua figlia o sua moglie o a ruoli invertiti oppur e un uomo lo fa aa altri uomini come di mostra quest esperimento sociale sia una cosa bella
saluti Giuseppe Scano
Concludo con il resto dell'articolo di Cecilia Strada
In questi giorni ho letto tanti commenti sulle molestie, a Rimini e in generale. Alcuni non mi vanno proprio giù.
"Eh per forza, succede ogni volta che metti tanti uomini tutti insieme"/"Eh per forza, succede ovunque ci siano fiumi di alcool": non credo. Se metti insieme tante brave persone non succede, non è che di colpo ti trasformi in un molestatore perché ci sono altri uomini presenti. Idem per l'alcool: le brave persone che bevono troppo ridono sguaiatamente, vomitano, si addormentano. Se molesti qualcuna o qualcuno vuol dire che sei un molestatore, semmai l'alcool ti ha dato solo più coraggio per mostrare al mondo il molestatore che era già dentro di te. Parlare di branco e di alcool è spesso, mi pare, solo un modo per deresponsabilizzare gli individui che molestano.
"Eh però i fischi e gli apprezzamenti sono una cosa, dai, non sono gravi come la pacca sul culo, non esageriamo!". Questo non mi va giù per due motivi. Il primo: se seguo questo ragionamento, allora a sua volta la pacca sul culo è "meno grave" di uno stupro. Uno stupro è "meno grave" di un omicidio. Quindi ci facciamo andare bene tutto, perché poteva esser più grave? Accettiamo tutto, fino all'omicidio? Oppure già che ci siamo accettiamo anche l'omicidio, purché poi non ci sia vilipendio di cadavere, dai.
Il secondo motivo è questo: io non mi metto a spiegare a una donna nera quanto e come deve offendersi (o meno) se subisce un insulto razzista. Perché io, donna bianca, non lo subisco: chi sono io per insegnare a una vittima come deve sentirsi, quando deve offendersi, quando deve invece "farsi una risata" o "prenderla come un complimento"? Quindi esattamente perché alcuni uomini si sentono in diritto di spiegare alle donne che "ma dai, non è così grave"?
"Ad alcune donne però piace essere fischiate!". Sarà. Allora però facciamo che la regola è "non fatelo, non fate catcalling e non rompete il cazzo a una sconosciuta che cammina"; le donne a cui fa piacere ve lo faranno capire, che ne so, mettendosi una maglietta "fischiami pure!". Una soluzione opt-in, che lascia in pace tutte e tutti.
e sempre come Lei mando A fanculo persone del genere che sono poi alcune che mi hanno bloccato ed insultato .
Qui non è questione d'ideologia ma di dignità , di civiltà ed di rispetto .
Infatti purtroppo i #senzagiridiboa sono tanti . alcuni troppo radicati . la lotta è sempre più lunga è difficile se non s'affronta culturalemente e senza contro proposte come di mostra questo recente fatto
Infatti eccocosa ho risposto ala freelance Giulia cerino ( una delle firmatarie vedere post precedente dell'iniziativa #noaigiridiboa e del post d'istangram riportato sotto )
Nonostante ciò , poichè da qualcosa bisogna partire , continuo a disciutere o almenoci provo di tali argomenti , anche con i benaltristi o gente a loro vicino . Ecco che tra i commenti alll'intervento su istangram di Giulia C
Purtroppo però questa campagna non sta dicendo quale sia questo modello alternativo. Quale sia la soluzione. La Franchi non ha parlato di lavoro femminile in generale ma di manager di azienda. Ha detto una cosa vera: “un’azienda non può permettersi di fare a meno per un anno del proprio direttore venditemagari, che ha contatti personali e di fiducia con i clienti. Ci sono posizioni, poche ma ci sono, che non sono sostituibili in un’azienda. E un’imprenditrice deve pensare alla continuità aziendale anche per responsabilità verso i propri dipendenti. È una questione complicata e mi piacerebbe sentire delle proposte per affrontarlo invece di dire semplicemente che è sbagliato quello che ha detto.
in quanto non propone ma chiede agli altri proporre .I modelli come si faceva un tempo e come si fa nel nord europa , spazi per le allattare , e per i nidi all'interno delle ditte , ecc
In un paese in cui la maggior parte e fatta da queli che Quelli che pensano “è un’azienda privata e fa quello che vuole, l’editore pubblica chi gli pare e piace, anche se scrive infilandosi la penna dove il
sole non batte, l’imprenditrice assume solo donne dopo gli anta, così non fanno figli e l’azienda ha meno spese” , non si rendono conto che non stiamo nell’Ottocento e che le aziende dovrebbero seguire una certa etica, tra cui rispettare le pari opportunità, senza differenza di genere, di età nei limiti del possibile, di classe sociale . Concetto come dice la mia amica https://www.facebook.com/blindflowers
che capirebbe pure un bambino di sei anni, a quanto pare non è chiaro a tutti nel Paese dei balocchi. Infatti , come succede dopo qualcuno in questo caso le frasi e il tentativo ridicolo di scusarsi : << sono state fraintesa >> dell’imprenditrice Elisabetta Franchi su donne, maternità e lavoro h24, insorgono le done e poco gli uomini . In questo caso a lanciare la protesta sono state cinque giornaliste – Sara Giudice, Giulia Cerino, Francesca Nava, Valentina Petrini e Micaela Farrocco – hanno deciso di lanciare una campagna social sotto gli hashtag : #senzagiridiboa e #notinmyname. Alla campagna hanno piano piano aderito numerose altre giornaliste, scrittrici, opinioniste, attiviste. Professioniste, lavoratrici insomma Con e senza figli . in quest articolo del settimanale Tpi l'elenco completo . NB: gli uomini che hanno aderito per ora si contano sulla punta delle dita, tra loro c’è Claudio Santamaria). Di seguito il testo della campagna.
“Abbiamo deciso di lanciare una campagna che racchiude in un hashtag i quattro giri di boa citati da Elisabetta Franchi e che segna l’inizio di un percorso molto più lungo per smuovere e scardinare le storture che in questo Paese (inteso come aziende, società civile, politica) si presentano costantemente quando si parla di donne e lavoro.
Vi aderisco anch'io perchè odio le discriminazioni . Ma soprattutto perchè Le donne incinta e con prole possono fare sia la carriera sia il lavoro infatti
Tale battaglia di retroguardia \ di civiltà non ha appartenenza sessuale . Ecco chge condivido la lettera di Simone Terreni ( foto sotto a destra ) uno dei rariuomini che si schierano con loro . Egli lo scorso febbraio aveva assunto una donna di 27 anni che al colloquio aveva rivelato di essere incinta. , qualcuno lo ricorderà, è l’Imprenditore - vero, con la I maiuscola .
Oggi Terreni, dopo le lunari dichiarazioni di Elisabetta Franchi, ha preso metaforicamente carta e penna e le ha dato una di quelle lezioni di stile e di imprenditoria a cui raramente purtroppo abbiamo la fortuna di assistere. Da leggere fino in fondo.
“Cara Elisabetta Franchi,
Mi si chiedeva un’opinione in merito a una sua intervista che ha suscitato un vespaio, ed è finita su tutti i social e tutti i media.
Qualche settimana fa era toccato a me finire su tutti i social e su tutti i giornali per una vicenda opposta alla sua: una ragazza incinta era venuta a colloquio da me “confessando” con timore la sua gravidanza e io l’ho assunta lo stesso. Non entro nel merito delle sue affermazioni discriminatorie che si commentano da sole.
Le faccio rilevare che se effettivamente si fosse comportata così sarebbe semplicemente fuorilegge. C’è però una cosa non mi torna. Lei si definisce Imprenditrice. Io però non mi sento suo collega. Proprio no! Lei non è un’imprenditrice, ma una donna d’affari, abituata ad avere le persone al suo servizio H24.
Un imprenditore, invece, è al servizio dei propri collaboratori e non viceversa. Un imprenditore assume le persone in base alle capacità e alle competenze e non in base al sesso o all’età. Un imprenditore sa pianificare e non teme di perdere una collaboratrice per qualche mese. Un imprenditore crea una squadra di persone, non un’azienda piramidale. Un imprenditore non ha paura di una gravidanza, ma è felice se con la sua azienda aiuta giovani madri e giovani padri a dare la vita a delle creature.
Perché un bambino, lo ridico, non può mai essere un problema.
Ogni volta che leggo ognuna delle 200 storie ogni anno come quella di Claudia Cecconcello (una ogni due
giorni), ripenso a quelli che, il 27 ottobre scorso, in Senato, nel voto decisivo per il Ddl Zan, avevano l’occasione storica di stare dalla parte della vittima e hanno scelto di proteggere il carnefice. Tra gli applausi del pubblico pagato.Andatelo a dire a lei che ”non era una priorità”.
Dopo mesi in cui veniva ricoperta di insulti al telefono si è presentata a casa sua: "Qual è il problema?". Hanno fatto pace con una brioche. Una storia singolare raccontata in un post su Facebook dalla sindaca di Russi Valentina Palli. ( foto a destra ) Da quando è stata eletta, con una lista civica legata al centrosinistra, il signor Renato, 90 anni, ha cominciato a tempestarla di telefonate (con offese): decine e decine di chiamate per mesi in Comune, a lei, alla sua segretaria e ai collaboratori, alla Provincia, proprietaria della strada. Il motivo? Il traffico, i camion
che passavano davanti a casa. "Non mi lasciano riposare", la lamentela. "Determinato, caparbio, testone finanche. Perennemente arrabbiato - scrive la prima cittadina del Comune nel Ravennate - Il suo problema era il traffico pesante davanti a casa sua, a suo avviso cresciuto esponenzialmente, tanto che non lo lasciava più riposare. E allora si attaccava al telefono proferendo insulti a tutti. Gli insulti di Renato sono stati, per mesi, una sorta di ricorrenza quotidiana per i malcapitati che rispondevano alle telefonate". Così la sindaca ha deciso di reagire. "In un giorno di sole - racconta - senza avvisarlo, mi sono presentata a casa sua. Sono stata lì un’oretta, un tempo di chiacchiere, di storia della sua vita e della sua famiglia. Di vicinanza umana. Abbiamo parlato anche un po’ della strada ma in effetti nel nostro tempo insieme quello fu un tema del tutto residuale. Da quel giorno, le sue telefonate sono cambiate. Il rumore della strada deve essere cessato perché non lo ha mai più citato". Poi Renato ha preso il Covid ed è stato ricoverato. "Dall’ospedale, visto che è solo, chiamava noi e noi abbiamo fatto altrettanto con lui, chiamandolo al telefono e chiedendo ai medici come stesse, per assicurarci che non si sentisse solo (all’ospedale ci era vietato andare…) e così Renato è tornato a casa. Come dice lui: “alla mia età sono anche tornato!” e si è commosso al telefono quando lo ho chiamato per dargli il bentornato". Il lieto fine? "Adesso, ogni tanto, mi fisso (da sola e senza avvisarlo) un appuntamento in agenda. Gli porto una brioche (che non mangia) e lo passo a salutare - conclude Valentina Palli - La strada deve essere diventata nel frattanto tranquillissima perché non ne abbiamo mai più parlato". In compenso quelle visite sono diventate un appuntamento fisso: brioche con Renato.
sempre in ambito di pace e di coesistenza \ convivenza ci sono queste due storie soprattutto la prima
Dall’Italia a San Pietroburgo in bicicletta, il messaggio di Monokov contro la guerra
Daniil, in arte Monokov, è un ragazzo russo di 18 anni che vive in Italia dal 2009. Da oltre sessanta giorni sta viaggiando per l’Europa, a bordo della sua bicicletta, partendo da San Ginesio, un comune in provincia di Macerata, nelle Marche. Il suo obiettivo è diffondere un messaggio contro la guerra e contro la Russofobia nel continente. Al momento si trova in Polonia, dove i suoi canali social sono diventati virali, ma ha già percorso circa 3 mila chilometri e attraversato 9 Paesi, con la speranza di arrivare fino a San Pietroburgo. Nei video e nelle foto che pubblica, spesso Monokov mostra una bandiera che porta i colori bianco blu bianco. “È la bandiera dei russi che sono contro la guerra”, ha spiegato Monokov, aggiungendo che i colori sono stati scelti prendendo la bandiera russa e togliendo il colore rosso, che “simboleggia il sangue della guerra”, motivo per cui è stato sostituito con il bianco. Durante il suo percorso, Daniil ha avuto modo di confrontarsi con diverse persone, anche con profughi ucraini. Daniil vuole veicolare un messaggio di pace, senza schierarsi politicamente “non voglio parlare di politica, sono neutrale”. diTommaso Bertini
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Lugansk, 15enne ferita guida un'auto sotto i bombardamenti e porta in salvo 4 persone: l'intervista
"Mi sono trovata sotto un bombardamento a Popasna, nella regione di Lugansk. Eravamo in macchina quando all'improvviso i russi hanno iniziato a sparare".
Liza, 15 anni, si trovava in compagnia di quattro persone in quel momento, tutti suoi compagni di viaggio. Il guidatore è stato ferito da alcune scheggie così la ragazza ha preso la situazione in mano Lugansk, 15enne ferita guida un'auto sotto i bombardamenti e porta in salvo 4 persone: l'intervista
"Mi sono trovata sotto un bombardamento a Popasna, nella regione di Lugansk. Eravamo in macchina quando all'improvviso i russi hanno iniziato a sparare". Liza, 15 anni, si trovava in compagnia di quattro persone in quel momento, tutti suoi compagni di viaggio. Il guidatore è stato ferito da alcune scheggie così la ragazza ha preso la situazione in mano e ha portato tutti in salvo a Bakhmut, città dell'Ucraina orientale. A raccontare la sua storia è stato il canale "Ucraina-24", che ha raccolto la testimonianza della ragazza mentre questa veniva trasferita in ospedale in ambulanza. L'intervista è stata rilanciata anche dall'ex ambasciatore ucraino in Italia, Dimitri Volovnykiv. .
e ha portato tutti in salvo a Bakhmut, città dell'Ucraina orientale. A raccontare la sua storia è stato il canale "Ucraina-24", che ha raccolto la testimonianza della ragazza mentre questa veniva trasferita in ospedale in ambulanza. L'intervista è stata rilanciata anche dall'ex ambasciatore ucraino in Italia, Dimitri Volovnykiv. .
Nonostante abbia problemi di sordità fino a poco tempo fa ridevo vedendo in tv i tg ed altri programmi in cui i testi venivano tradotti per i sordi nella lingua dei Lis . Poi dopo aver appreso due storie ( riportate anche questo blog ) quella di : 1)
ed ora questa storia che risponde alla domande Come condividere con la propria sorella sorda la passione per la musica? Graziana e Davide scoprono la Lis performance e così riescono a tradurre canzoni, rime, tonalità e sentimenti attraverso le mani ed " Cantare" con le mani Mia Martini e Caparezza
Si chiamano Lis performance, sono degli spettacoli ed esibizioni artistiche che aprono dei contatti fra i non udenti o sordi e gente " normale " . Infatti qui si va oltre la lingua
in quanto con viso e corpo traducono la musica ai sordi, trasmettendo ritmo, tonalità e sentimento di una canzone
video di Gianvito Rutigliano
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I cavalcavia diventano arte grazie ai sogni dei bambini
di Salvo Catalano
Un quartiere popolare di Catania cambia volto grazie ad un progetto che ha coinvolto quattromila abitanti: è nata così la Porta della Bellezza. E ora l'opera si estende ad altre parti della città
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Algoritmi su tela: i capolavori dei numeri di Ilenia Mura Partendo da testi classici con la tecnologia del machine learning, un ingegnere rapper insieme ad un gruppo di creativi ha creato opere d'arte che sono pezzi unici
Giulia, assunta dopo aver detto di essere incinta. Katia, accanto alla figlia colpita da malattia misteriosa. Alessia, ucraina che accoglie le mamme profughe
Le storie di queste tre donne lombarde - di nascita o d'adozione poco importa - sono il nostro modo per celebrare la Festa della Mamma, che quest'anno ricorre l'8 maggio: arrivano due mesi esatti dopo la Festa della Donna e sono racconti di coraggio, generosità e determinazione tutti al femminile.
Giulia Pagnoni, architetta, assunta dopo aver detto di essere incinta
Giulia, che diventerà mamma tra qualche mese, domani potrà già festeggiare perché la sua datrice di lavoro l'ha assunta a tempo indeterminato dopo aver saputo che era incinta. Katia vive da 17 anni in funzione di sua figlia Virginia, affetta da una malattia sconosciuta, e sa che per loro il cordone ombelicale non si reciderà mai. E poi c'è Alessia, madre di due bambini e ucraina d'origine, ha scelto di accogliere nella propria famiglia quattro connazionali in fuga dalla guerra con i loro bambini.
È stata assunta dopo avere detto che era incinta. Una situazione che dovrebbe essere normale, ma che invece è “particolare”. E il purtroppo ovviamente è d’obbligo, visto che a differenza sua, tante altre persone, nella stragrande maggioranza donne, hanno dovuto rinunciare al posto di lavoro una volta scoperto di aspettare un figlio. E i dati parlano chiaro: secondo un rapporto di “Save The Children” sulla maternità in Italia, nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni.Giulia Pagnoni è un’architetta, si è laureata con ottimi voti al Politecnico di Milano, ha avuto varie esperienze lavorative durante e dopo gli studi, ha cambiato città per arricchire il curriculum, ha anche provato a trasferirsi negli Stati Uniti per fare un salto di carriera. E oggi che ha 33 anni, dopo avere incontrato il suo attuale compagno, ha fatto una scelta comune a tanti: avere un figlio. “Mi ero appena dimessa da un altro posto perché il carico di lavoro era troppo pesante, quando ho scoperto di essere incinta. Ci avrei pensato due volte prima di lasciare una scrivania grazie alla quale avevo delle tutele, ma le cose sono andate nel modo migliore”. Nella sua storia un ruolo lo ha avuto anche la pandemia. “Nel settore dell’arredamento la mole di lavoro è aumentata moltissimo, ma ho tanti amici che hanno fatto scelte simili andando prima di tutto alla ricerca della serenità lavorativa”. Circa un mese fa Giulia, che vive a Lissone, uno dei paesi del mobile della Brianza, ha ricevuto una proposta da uno studio dove aveva iniziato 12 anni prima, all’epoca in cui era una studentessa e lavorava part-time nei week end. “Un contatto con una dei proprietari dello show-room “Domus Arredi”, Paola, l’ho sempre mantenuto, essendo un rapporto di amicizia e stima reciproca - racconta - e quando è girata la voce che ero nuovamente libera mi ha contattata. Si era aperta una possibilità e mi ha proposto un incontro per farmi un’offerta”. Ovvero un contratto a tempo indeterminato, full-time, con tutte le garanzie. “E’ stato a quel punto che ho comunicato di essere incinta. E lei su due piedi mi ha detto: non c’è problema. Mi ha proposto di fare un part-time in modo che potessi comunque avere dei clienti miei, ma senza stancarmi troppo”. E’ per questo che Giulia ha accettato e deciso di raccontare la sua storia. “Sto per entrare nel quinto mese di gravidanza e ho appena iniziato un nuovo lavoro, sapendo che a partire da ottobre sarò in maternità e avrò tutte le tutele”. Ecco il messaggio che Giulia sente di dare ai datori di lavoro. “Io penso che un lavoratore sereno è un lavoratore che si impegna di più e meglio. I clienti lo percepiscono e hanno molta più fiducia quando la persona che hanno davanti è tranquilla e ha passione per quello che fa. Quindi, come nel mio caso, assumere qualcuno che gli sarà riconoscente darà sicuramente i suoi frutti positivi anche a chi offre un lavoro”.
Katia, mamma coraggio che assiste la figlia con una malattia sconosciuta
"Per chi ha un figlio affetto da una malattia senza diagnosi, la festa della mamma è ogni giorno". In vista dell'8 maggio, a raccontare la sua storia è Katia di Cermenate (Como), madre coraggiosa e premurosa, soprattutto nei confronti di sua figlia Virginia, la cui disabilità fisica e mentale dalla nascita è stata causata da una patologia sconosciuta. E il motivo di 'una festa della mamma quotidiana è da ricercare nell'essenza del rapporto che le lega da quasi 17 anni: "Quando tua figlia non parla e non cammina, nonostante sia ormai un'adolescente, vivi in funzione sua e viceversa: è un po' come se il cordone ombelicale non fosse mai stato davvero reciso", racconta Katia."Sin da piccola, Virginia cresceva poco e non interagiva come tutti gli altri bimbi della sua età - sottolinea la mamma -. Così dai primi momenti insieme, scanditi da ricoveri in ospedale e visite specialistiche, a causa anche di gravi crisi che l'hanno portata in rianimazione, i medici non sono mai riusciti a dare un nome alla sua malattia e, inizialmente, tutti concordavano sul fatto che sarebbe vissuta al massimo fino ai 5 o 6 anni". Però Virginia, contro ogni aspettativa, oggi è una ragazza, "con le sue difficoltà, ma anche con un certo caratterino", ironizza sua mamma. "Nonostante il traguardo, però, non abbasso mai la guardia - aggiunge -. Ed è proprio il fatto di sapere che da un giorno all'altro Virginia potrebbe non esserci più, che mi porta a vivere ogni momento con lei intensamente senza fantasticare troppo sul futuro; ogni giorno faccio i conti con le rinunce e la stanchezza, ma alla fine il suo sorriso e i suoi sguardi mi fanno sentire la mamma più fortunata del mondo".L'8 maggio, che è alle porte, quest'anno per Katia sarà una giornata 'normale rispetto al passato. "Faremo un pic-nic vicino alle cascate dell'Acquafraggia, in Valchiavenna - racconta - e in quell'occasione Virginia mi donerà gli orecchini che, grazie alla complicità del papà, ha scelto di regalarmi".Una normalità, la sua capacità di scelta, raggiunta anche grazie ai professionisti della Casa Sollievo Bimbi Vidas di Milano, che da quasi un anno la seguono: "La sua situazione clinica in questo periodo è migliorata e così abbiamo potuto beneficiare della comunicazione aumentativa e alternativa (quella che avviene attraverso le immagini) e di tante altre attività educative e riabilitative, che mi stanno aiutando a riconoscere ancor di più i suoi bisogni - spiega Katia -. Virginia, inoltre, sta iniziando a interagire con il mondo esterno e, dato che è un'adolescente a tutti gli effetti, anche poter fare piccole scelte, come quelle riguardanti l'abbigliamento o la scelta dei trucchi, per lei è una grande conquista".
Alessia Anokhina, mamma ucraina che ospita le mamme profughe
Sarà una Festa della Mamma da ricordare anche quella di Alessia Anokhina, che è ucraina di origine, ha un figlio e una figlia di 10 e 5 anni e da 15 anni vive in Italia: insieme al marito Diego Ghilardi gestisce l'agriturismo Green Valley a Cene (nella Bergamasca), che da oltre un mese ospita quattro donne e due bambini fuggiti dalla guerra in Ucraina. "Abbiamo riservato loro tutte le cinque camere del nostro agriturismo. E sono in arrivo un'altra madre con il suo bambino - racconta - Si tratta di miei parenti e dei loro amici, non avrei mai potuto fare diversamente. Quando è scoppiata la guerra, ho provato rabbia, paura e anche un grande senso di impotenza. Rendendomi utile a queste persone, io per prima mi sento meglio e devo ringraziare mio marito, che mi supporta in questa iniziativa". Lo scorso febbraio, quando nel suo Paese natale è iniziata l'invasione russa, Alessia non ha perso tempo. Si è immediatamente data da fare per organizzare l'accoglienza dei profughi e non solo: "Sono andata personalmente a Varsavia a prendere queste donne e i loro bambini e dopo varie peripezie, perché la situazione è veramente drammatica, siamo riuscite ad arrivare a casa - continua - Ora stanno recuperando un po' di serenità, anche se ovviamente la nostalgia di casa e la preoccupazione per chi è rimasto in Ucraina sono forti". I bambini stanno crescendo - "il più piccolo aveva solo un mese e mezzo quando è arrivato. Ora ha appena compiuto i tre mesi. Per fortuna non ricorderà nulla della fuga dalle bombe" - e le donne si sono ormai ambientate, soprattutto grazie agli sforzi di Alessia, che fa di tutto per aiutarle anche dal punto di vista linguistico: "Mi ricordo quant'era difficile per me appena arrivata in Italia, quando non riuscivo a farmi capire". Proprio per questo, sta aiutando le insegnanti della scuola di sua figlia a interagire con una bambina ucraina e a Bergamo ha facilitato il lavoro di alcuni medici impegnati a valutare le condizioni di decine di profughi ospitati in un albergo. "Ogni giorno cerco di trovare delle attività da proporre alle nostre ospiti per non farle concentrare sulle loro angosce - prosegue Anokhina - Facciamo delle passeggiate, chiacchieriamo e ci scambiamo ricette in cucina. Loro preparano i piatti tipici ucraini che mi ricordano l'infanzia e mia nonna che non c'è più e io ricambio con quelli bergamaschi, a cominciare dai casoncelli che a loro piacciono moltissimo". A qualche chilometro di distanza, sempre nella Bergamasca, si trova la Frutticoltura Sant'Anna di Sant'Omobono Terme: la titolare Anna Cuter ha messo a disposizione un appartamento a due mamme ucraine con i loro bambini. "Ho coinvolto anche altre donne e con il loro prezioso supporto provvediamo alla spesa e a tutte le altre necessità - spiega - Le nostre ospiti hanno la loro indipendenza, ma io sono sempre in contatto con loro: in un certo senso è come se avessi allargato la mia famiglia". Del resto quest'anno Donne Impresa Coldiretti ha deciso di dedicare la giornata della Festa della Mamma proprio alla solidarietà verso le 55mila donne in fuga dall'Ucraina, molte delle quali con i figli al seguito.E molte imprenditrici agricole lombarde hanno risposto all'appello oltre ad Alessia Anokhina e Anna Cuter: per esempio a Truccazzano (nell'hinterland milanese) Maria Antonia Ceriani, madre di quattro bambini e titolare dell'azienda agricola di famiglia, da qualche giorno ospita una coppia di ucraini, moglie e marito, che stanno cercando di ricongiungersi alla figlia.E a Montalto Pavese (in provincia di Pavia) le sorelle Marcella e Simona Canegallo con la madre Assunta stanno ospitando nel loro agriturismo tutto al femminile una mamma ucraina insieme ai suoi due figli, che hanno iniziato a frequentare le scuole del territorio. "Queste esperienze si basano sui forti legami e sull'aiuto concreto che da sempre sono alla base della cultura contadina - sottolinea Wilma Pirola, responsabile di Donne Impresa Coldiretti Lombardia - Le aziende agricole sono entrate a far parte di una rete solidale che coinvolge associazioni di volontariato, parrocchie, amministrazioni locali e anche singoli cittadini impegnati nel sociale".
la mia prima reazione a caldo espressa sul mio facebbok a questa notizia
Una vicenda terribile, che ha letteralmente sconvolto una famiglia. Accade in Abruzzo dove una bambina di 8 anni, baby influencer e attrice e modella in erba, era in diretta su Instagram quando uno sconosciuto ha chiesto di partecipare e, attivata la fotocamera, si è mostrato con le parti intime nude. Collegati in quel momento, oltre a tanti bambini, c'erano anche le loro mamme, e anche la mamma della stessa baby attrice, che al quotidiano Il Messaggero ha raccontato il suo disagio per quanto avvenuto. [... dal sito Leggo ]
è stata
questo mio sfogo \stato confermato dal fatto che : : << [.... ] Su Instagram la bambina ha già oltre 21mila follower, eppure, dice la madre, «ogni giorno ne blocco almeno 30 perché vado a controllarli tutti e vedo se hanno a loro volta dei follower, una foto, se pubblicano qualcosa, è un modo per capire chi c’è dietro e tutelare la bambina ». sempre dal sito Leggo >> e da questo articolo di https://www.notizie.it/cronaca/ preso dal portale\ aggregatore di notizie https://www.msn.com/it-it/ su un fatto simile
Polemiche per la “baby influencer” di 10 anni, ma la madre la difende
È polemica per il successo di una baby influencer di 10 anni, protagonista di diversi video sui social dov'è ritratta in pose non adatte alla sua età.
Il problema della sessualizzazione del corpo dei minori passa troppo spesso anche dai social network, dove ormai esistono vere e proprie baby influencer che imitano le loro controparti adulte con pose ammiccanti e balli provocatori per nulla adatti alla loro età. È proprio il recente successo di una di queste baby influencer che ha negli ultimi giorni scatenato vive polemiche tra gli utenti social italiani, i quali si sono scagliati contro i genitori della star di Instagram Benny G. Ciò che molte persone sui social hanno denunciato in queste ultime settimane è una situazione decisamente poco consona per una bambina di soli 10 anni, che sul suo account Instagram si comporta come una donna di più del doppio dei suoi anni, indossando vestiti succinti e lasciandosi andare al twerking o a pose dai connotati fortemente sessuali.
Ora --- sempre secondo l'articolo --- per i genitori della piccola influencer e cantante neomelodica però la situazione è invece completamente “sotto controllo”, ed è anzi proprio la madre a sottolineare come in realtà lei stia facendo tutto questo (gestire il profilo social della figlia) soltanto per la felicità della bambina. “Lei é felice, sono io che carico i video.La criticano perché la gente é ignorante”, così la madre ha commentato nel corso di un’intervista rilasciata a Selvaggia Lucarelli su Radio Capital, affermando inoltre di non guadagnare dalle attività svolte dalla figlia . Allora doverebbe spiegarci come mai il profilo Youtube di quest’ultima venga gestito direttamente da una casa discografica.
Fanno bene , è segno che qualcuno non manda il cervello il cassa integrazione \ all'ammmasso , coloro che in molti sul web invitano a indignarsi per come viene sfruttata l’immagine di una bambina di 10 anni.
Tra le azioni di protesta che stanno prendendo piede vi è ad esempio quella organizzata da alcuni utenti Facebook, che si stanno organizzando per segnalare in massa i profili social della piccola influencer (sia alle piattaforme che alla Polizia postale) in modo da portarli direttamente alla chiusura.
Qui non si tratta di censura o d'essere arrettrati ma di buon senso . diamo il tempo , non creiamo mostri o influencer precoci . Ma soprattutto non sbraitiamo contro i pedofili e i depravati quando siamo noi i primi a " fornigli la merce " permettendogli d'usare il cellulare o il tablet , soprattutto sui social , ad un età cosi bassa ed senza un controllo serio o blando .
A chi mi chiederà ma ogni uno di noi non è libero di fare ciò che vuole ? certo che si ma poi però non si lamenti se : 1) il proprio figlio\a avrai problemi vista la sua sessualizzazione precoce di pornodipendenza o problemi psichici affini ., 2) se cade vittima di pedofili ., 3) problemi di anoressia .