5.7.22

Nuovi Genitori, Alessia ed Eleonora: "Mamme con il metodo ROPA, ma l'Italia non lo riconosce"perchè non distingue tra maternità surrogata tradizionale e matternità surrogata gestionale - utero in affitto

 


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https://www.ivf-spain.com/it/metodo-ropa/
Cos’è la maternità surrogata? | Sapere.it differenza  tra   maternità surrogata: tradizionale e gestazionale.


Fu per   storie  come   questa  ripotata  sotto che   ai referendum abrogativi in Italia del 2005 che  si tennero il 12 e 13 giugno ed ebbero ad oggetto quattro distinti quesiti, diretti ad abrogare specifiche disposizioni della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita"  votai Si  e  feci campagna  per  il Si

 Anche  se  contrario prima totalmente  ora   parzialmente  in quanto    sostengo che    il fenomeno   andrebbe  regolamentato  per evitare speculazionr  ed  mercificazione     di tali   drammi  perchè   non sempre   ache se   è lo 0,01   su  99,99 chi lo  fa  ci specula  ) all'utero  in affitto \   maternità surrogata  perchè  indegno  di un paese   che  per  poterlo fare  sia con  quella  gestazionale (  vergognosa  e  abrrobio la  lascio il divieto   )  con  quella  tradizionale  ( più acettabile  lì'accetto a  detterminate  condizioni  )   come  il metodo della ropa  debba  andare  all'estero in quanto  l'italia  non  ammette    tale distinzione.  trovate   nei link sopra  la differenza   

Ma  ora   bando alle  ciancie  ed  veniamo alla storia   in questione

Ogni anno aumenta il numero di bambini nati grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma). "Nuovi Genitori" racconta le storie di chi grazie a questo percorso - fatto di burocrazia, viaggi, difficoltà e gioie - è riuscito ad avere un bambino.



Dopo sei anni di relazione, Alessia ed Eleonora hanno deciso di mettere su famiglia: vivono a Roma ma per diventare mamme sono dovute volare all'estero perché affrontare un trattamento di Pma non è ancora possibile in Italia per le coppie omosessuali. Hanno scelto di rivolgersi a un istituto di fertilità spagnolo che durante il periodo del lockdown le ha accompagnate prima da remoto e poi nella loro sede di Barcellona nel percorso che ha portato al concepimento del loro Tommaso. "Abbiamo scelto il metodo ROPA per sentirci entrambe mamme: una ha donato gli ovociti e l'altra ha portato avanti la gravidanza", hanno spiegato. L'acronimo ROPA sta per "Recepción de ovocitos de la pareja", ovvero "Ricezione di ovociti dalla coppia", ed è un metodo di "maternità condivisa" per le coppie di donne: una delle due, solitamente la più giovane, fornisce gli ovuli che verranno successivamente trasferiti alla madre gestante, la ricevente. Eppure agli atti Tommaso di mamma ne ha una sola. "Io non l'ho potuto riconoscere - ha detto Eleonora - nonostante geneticamente lui sia mio figlio. Un padre può chiedere il test del Dna, perché io non posso?".
 
 Intervista di Corinna Spirito Riprese e montaggio di Francis D'Costa

“Oggi di superficialità nella sanità si muore fisicamente e psicologicamente” Il racconto di un dolore, nella speranza che “nessun altro possa mai dover vivere di nuovo una simile esperienza”

 Cara Unione,

La mia e quella della mia famiglia è una storia di dolore, che voglio raccontare per unire le persone che come noi hanno dovuto affrontare un vero e proprio calvario. Sardi isolati è un’espressione fin troppo usata ma che rappresenta bene la nostra quotidianità, non possiamo decidere di partire quando vogliamo, dipendiamo sempre da navi o aerei, da giorni e da orari. E da costi.Mio marito, qualche settimana fa, si è sottoposto a una serie di esami che hanno fatto pensare a un tumore al pancreas. Siamo andati in ospedale, io avevo le lacrime agli occhi, mi sono presentata con tutta la mia disperazione, conscia del fatto che quell’organo sia tanto particolare. La prima ipotesi è stata quella della pancreatite. Pochi giorni dopo è peggiorato e siamo andati al pronto soccorso dove lo hanno trattenuto. Era anche risultato positivo al Covid, poi ci hanno detto che era stato un errore, ma questo non è stato un problema quanto il fatto che lo abbiano poi praticamente abbandonato, a consumarsi come un cerino. E invece il fattore tempo, nelle malattie, è fondamentale. In breve, dopo le dimissioni senza una diagnosi, abbiamo deciso di rivolgerci a un altro medico in Emilia Romagna, attraverso l’interessamento di nostri familiari. E tanto ha fatto per noi l’associazione Codice Viola di Milano, con la quale siamo sempre in contatto.Sulla base degli esami che avevamo portato da casa, il medico nuovo si è detto ottimista su un possibile intervento, ma che non si doveva aspettare molto, mi ha dato la mano e mi ha detto ‘tornate in Sardegna, poi ci sentiamo e ci teniamo aggiornati’. Ho pensato che fino a quel momento eravamo stati solamente sfortunati, capitati con persone sbagliate.Purtroppo la tac fatta in quella struttura ha cambiato le carte in tavola: erano comparse metastasi al fegato e ai linfonodi, l’unica soluzione era la chemioterapia. Il mondo ci è cascato addosso. La cosa insopportabile era che tutto intorno fosse andato a ritmo troppo lento nonostante questa mia disperazione io la rappresentassi di continuo, ogni giorno.Una volta a casa abbiamo organizzato subito le cure. E qui ci siamo trovati di fronte un'altra orribile esperienza. Non voglio fare nomi né luoghi, ma siamo stati accolti da una dottoressa che ha esordito - senza buongiorno né ‘come sta?’, che è la prima cosa che un dottore chiede - rivolgendosi a mio marito con ‘lei è depresso, con una diagnosi del genere non si può che essere depressi’. E ancora: ‘Del resto lei sa che l’intervento non lo farà mai’. In quel momento avrei voluto a

iun ospedale Ansa
lzarmi dalla sedia e andarmene, ma non volevo peggiorare la situazione, dovevo pensare a mio marito, a come curarlo al meglio. E quella dottoressa non si è fermata: ‘Se fosse capitato a me, avrei dato di matto’. Purtroppo ho potuto dire poche cose, quello che penso. Ognuno di noi ha un biglietto per lasciare questa vita. Ma nessuno conosce la data. Ecco il nostro destino. Tutta questa storia l’ho voluta raccontare perché vorrei far sapere che nella sanità ci sono anche medici e personale senza un briciolo di umanità e tatto, con nessun orientamento all’utenza. Chi lavora a contatto con malati oncologici non può essere superficiale perché oggi di superficialità si muore fisicamente e psicologicamente. Mio marito, che può essere il ‘signor nessuno’ per molti, non lo è per noi, per me e per i suoi figli. Avrò un sacco di colpe, ma l’ho accompagnato per mano in questa dura esperienza e vorrei riunire chi ha vissuto difficoltà simili. In tanti possiamo meglio rappresentare lo stato della sanità alla Regione, all’assessorato, non arriveremo mai ad avere centri di eccellenza se non abbiamo persone che curano non solo i pazienti ma anche la propria crescita professionale.E vorrei tanto, anche, evitare che situazioni simili passino sulla pelle di altri pazienti e di altre famiglie.

Grazie”. 
Lettera firmata*

N.B
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RICORDO NON SOLO AGIOGRAFICO DI RAFFAELLA CARRA'

 Era il febbraio del 2016, in Italia infuriava il dibattito sulle Unioni civili e, in particolare, sulle adozioni per le coppie omosessuali. Qualcuno a “Repubblica” mi pare di ricordare decise di chiedere un parere a Raffaella Carrà. E quello che rispose è forse una delle cose più intelligenti mai dette e mai lette sul tema da un vip della vecchie generazioni impastate salvo eccezioni di fascismo e di democrazia cristiana .

“Le voglio dire una cosa: io sono cresciuta senza un padre. Era danaroso, ma troppo playboy, e mia madre divorziò nel 1945. Era molto avanti, forse qualcosa mi è rimasto. Non mi sono mai voluta
sposare e mi ha sempre fatto arrabbiare non potere adottare figli senza l’obbligo di quest’anello!
Oggi, quando si parla delle adozioni a coppie gay ma anche etero, faccio un pensiero: ‘Ma io con chi sono nata, con chi sono cresciuta?’ Mi rispondo: con due donne, mia madre e mia nonna. Facciamoli uscire i bambini dagli orfanotrofi, non crescono così male anche se avranno due padri o due madri. Io le ho avute. Sono venuta male?”.Un anno fa esatto, il 5 luglio, se ne andava una delle donne almeno dai miei ricordi d'infanzia più grandi dello spettacolo in Italia, forse la più grande, la più carismatica, avanti di 30 anni rispetto a tutti, su tutto senza essere radical chic o cavalca corrente .

I VERI EROI SONO QUELLI CHE VENGONO RIEMPITI DI MERDA E CON CUI QIUASI MAI SAPUTA LA VERITA' NON CI SI SCUSA O LO SI FA IPOCRITAMENTE IL CASO Eugeni Giannini COMANDATE DELL'ANDREA DORIA IL TITANIC ITALIANO

   "Il mare è dolce e meraviglioso, ma può essere crudele".
                                       Ernest Hemingway



DA     Altre Storie | La Newsletter di Mario Calabresi

«Ho deciso di interrompere la mia carriera di marinaio quando, tornando a casa dopo un lungo periodo per mare, mia figlia Luisa, vedendomi entrare in cortile, corse da mia moglie urlando: “Mamma c’è uno in giardino”. Ecco, in quel momento ho capito che dovevo smettere». E così, nel 1963 Eugenio Giannini è sbarcato per l’ultima volta da un transatlantico ma la sua vita è rimasta legata al mare e alla notte più terribile della sua vita, quella dell’affondamento dell’Andrea Doria, il 25 luglio 1956, quando era sul ponte di comando, come terzo ufficiale della più grande e prestigiosa nave della storia italiana.
 

L'Andrea Doria mentre si inabissa al largo dell'Isola di Nantucket

Ci aspetta nel suo appartamento di Padova, dove vive con la moglie. Una coppia di splendidi novantenni, affettuosi e gentili, visitati frequentemente dalla figlia Luisa. Eugenio Giannini si è diplomato aspirante Capitano di lungo corso nel lontano 1948, tempi durissimi - l’anno delle prime elezioni politiche della storia repubblicana (e della prima vittoria democristiana), dell’attentato a Togliatti, di scioperi e tumulti – in cui la Marina Mercantile italiana era ancora malconcia, quasi inesistente dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale. «Trovare un imbarco, per me, giovane diplomato senza tradizioni famigliari marinaresche, non era facile, così ho accettato la prima chiamata, come mozzo, sul Salento, uno scava-fango della Grande Guerra di provenienza austriaca, che faceva rotta tra Genova e Famagosta, sull’isola di Cipro. Ci ho vomitato sopra per tutta la prima notte di navigazione, poi basta, da allora non ho più sofferto il mal di mare». La gavetta, Giannini, se l’è fatta tutta. Dopo il Salento è stata la volta delle petroliere di Ernesto Fassio, un nome che oggi ai più non dice molto, ma che, insieme ad Angelo Costa e Achille Lauro, componeva la triade dei grandi armatori italiani del dopoguerra. «Scendere nel locale pompe di quelle navi, a tentoni, senza vedere né scalini né il fondo, era un’impresa ardua. Una temperatura infernale e un vapore soffocante. Tutto questo in Golfo Persico, senza aria condizionata e spesso con i frigoriferi guasti!». 
 

La prua dell'Andrea Doria

Su quelle petroliere ottenne per la prima volta il grado di terzo ufficiale, lo stesso grado con cui, dopo diversi anni e numerosi altri imbarchi su navi differenti, il 10 aprile 1956 fu chiamato, con telegramma, sull’Andrea Doria. «Quando arrivai al pontile e la vidi, in tutta la sua maestosa bellezza, mi venne il groppo in gola. Era il coronamento dei miei sogni, mi stavo per imbarcare sull’ammiraglia della Marina Mercantile italiana». 
Non una nave qualsiasi. L’Andrea Doria era un transatlantico di una bellezza straordinaria, un gioiello di design, dalle linee incredibilmente armoniose: «Al confronto – sbotta Giannini - le colossali navi da crociera di adesso a me sembrano dei ferri da stiro!». Una nave che doveva simboleggiare la rinascita italiana dopo la catastrofe del conflitto mondiale «perché il mondo doveva sapere che in noi era rimasto un po’ di orgoglio che ci spronava a risorgere».

Destinata alla rotta più prestigiosa, quella che collegava Genova a New York, soprannominata la “Rotta del sole”, l’Andrea Doria fu davvero un eccezionale biglietto da visita per l’Italia e per la sua industria manifatturiera, un “lembo di patria semovente”, come la descrivevano firme prestigiose sui quotidiani, che trasportava personalità politiche e del mondo dello spettacolo in prima classe, ma anche emigranti in quella terza classe che era stata rinominata “classe cabina” e che, come ricorda Giannini, «non aveva proprio nulla della terza classe di una volta: la maggior parte delle persone, quando ci avvicinavamo al porto di New York, non voleva scendere. Sapevano che una vita così agiata non l’avrebbero più vissuta».  
Solo tre mesi dopo il suo primo imbarco, Eugenio Giannini assisterà alla fine dell’Andrea Doria. La notte del 25 luglio 1956, al largo di Nantucket, l’isola da cui Melville faceva partire il Pequod alla caccia di Moby Dick, la motonave svedese Stockholm speronò in modo irreparabile il transatlantico italiano, condannandolo a una lenta agonia prima dell’affondamento, avvenuto alle 10:10 del 26 luglio, con ancora il motore di emergenza acceso. «Il rumore, quando l’acqua la ricoprì completamente, sembrò quello di un rantolo. E forse lo era».
 

L’Andrea Doria durante il naufragio

Giannini rimase fino all’ultimo sul ponte di comando assieme al comandante Piero Calamai e ricorda tutte le fasi di quella notte: l’angoscia per la disperata consapevolezza di quello che stava per accadere a molte persone che stavano serenamente dormendo nelle loro cabine o festeggiando nei grandi saloni della nave; il sangue freddo del comandante Calamai, che riuscì a gestire la peggiore delle situazioni di emergenza – la nave si era subito sbandata oltre i 20 gradi, impedendo l’utilizzo di metà delle scialuppe di salvataggio –, coordinando le attività di soccorso e di evacuazione del transatlantico; la sua idea di utilizzare le reti di copertura delle piscine come improvvisate scale di emergenza e mille altre situazioni di disperazione o di coraggio. Alla fine di quella drammatica notte, tutti i passeggeri rimasti in vita dopo la collisione, e tutto l’equipaggio, furono salvati. I morti furono 46.

La sua memoria è lucidissima, pari alla sua rabbia, per come andarono le cose nei giorni e nei mesi successivi all’affondamento: «Perché noi avevamo ragione, ma l’Italia non si fece valere e alla fine ci restò attaccata una colpa che non avevamo». Giannini non ha mai dimenticato le ingiurie e le menzogne che furono rovesciate, strumentalmente, in ambienti svedesi e americani, contro l’equipaggio e gli ufficiali italiani: «Eravamo incolpevoli nella collisione, avevamo salvato tutti quelli rimasti in vita dopo lo speronamento, portando a termine il più grande salvataggio della storia della marineria di tutti i tempi, ma ci lasciarono insultare».
 

Il comandante Eugenio Giannini

La campagna denigratoria, organizzata principalmente dagli armatori svedesi per tentare di diluire le responsabilità dei suoi ufficiali – che navigavano fuori rotta e avevano sbagliato la taratura del radar –, ma ben vista anche dagli armatori americani – le cui navi spesso partivano semivuote per l’Europa poiché i passeggeri preferivano i nuovi transatlantici italiani (all’Andrea Doria si era aggiunta la gemella Cristoforo Colombo) – non fu minimamente contrastata dalla compagnia armatrice italiana, la Società di Navigazione Italia, appartenente al gruppo IRI. 
Probabilmente per l’elefantiaca e burocratica struttura di questa impresa statale, ma forse anche perché nei cantieri di Sestri, sempre di proprietà IRI, si stava completando la costruzione della nuova ammiraglia svedese, una commessa molto ingente che si sarebbe rischiato di perdere.

Alla fine, insomma, in Italia sembrò prevalere l’idea che fosse meglio “lasciare cadere” la cosa. Si preferì giungere a un accordo extragiudiziale tra armatori svedesi e italiani che non stabilì con chiarezza le cause e le responsabilità della collisione.

Un accordo che lasciò l’amaro in bocca a Eugenio Giannini e a tutti gli ufficiali e gli uomini dell’equipaggio dell’Andrea Doria. Da allora, fino a oggi, il comandante Giannini non ha mai perso occasione per ricordare la verità sull’Andrea Doria e ricordare il valore del suo comandante di allora Piero Calamai, scomparso nel 1972, senza avere mai più ricevuto un incarico: «Una cosa vergognosa, lui era il migliore comandante che si potesse desiderare, fece tutto il possibile e non aveva colpe. Non meritava di essere trattato così».
 

La Ballata dell’Andrea Doria”, il podcast di Chora Media per Archivio Luce raccontato da Luca Bizzarri

La voce del comandante Giannini, ancora appassionata e vivace, è una delle protagoniste della serie podcast realizzata da Chora Media per Archivio Luce e narrata da Luca Bizzarri, in cui si ricostruisce la storia di quell’eccellenza italiana e si racconta, in modo approfondito, ogni aspetto di quella tragica notte.
Un cinegiornale dell’Archivio Luce, commentando la fine dell’Andrea Doria, affermava: “l’oceano è cattivo, quando ha sete beve tutto”. Forse la cattiva memoria è ancora peggiore. Grazie al comandante Eugenio Giannini, la verità sull’Andrea Doria è stata ristabilita.

*Davide Savelli, autore e regista di documentari, programmi e serie, ha scritto la serie podcast “La Ballata dell’Andrea Doria”. Il suo ultimo libro è: “Venezia 1902, i delitti della Fenice”

LA MAFIA NON HA ONORE IL CASO DI GRAZZIELLA CAMPAGNA DI Leonardo Cecchi

    Una  delle prime  ,  se  non la prima  storia  di mafia   , che  lessi e  da  cui  vidi il  film   per la  tv   La vita rubata.  è  proprio quela  di Graziella Campagna    la  trovate   sia  sotto   nel post  facebook  di Leonardo Cecchi  sia    fra  i link  ed  la  bibliografia   riportati a  fine  post 

La trascinarono via, in preda al panico. Poi arrivati in un prato, le spararono cinque colpi di fucile in piena faccia. Infine, una volta rovinata a terra, le si accanirono contro sferrandole altri colpi alla testa. Graziella Campagna [ foto a sinistra ] aveva solo diciassette anni quando venne uccisa dai mafiosi. Era una lavoratrice, aveva dovuto abbandonare gli studi per vivere, lavorando in nero in una lavanderia a Messina per una miseria. E lì, in quel posto di lavoro, trovò la sua condanna a morte: una piccola
agendina caduta da una camicia che stava lavando. L’agendina di un boss, con informazioni sensibili per i mafiosi.
Dalla lavanderia, qualcuno fece il suo nome, dissero che aveva visto quell’agenda. Pochi giorni dopo, dei mafiosi la fermarono mentre tornava a casa, la sera. La caricarono su una macchina, la portarono in un prato e la giustiziarono in quel modo orrendo. Accanendosi su di lei che non aveva colpe, che non aveva fatto del male a nessuno. Graziella Campagna nasceva oggi, il 3 luglio.Non arrivò ai diciotto anni perché dei mostri le tolsero la vita. Uno dei quali, poi condannato, ha ottenuto la semilibertà proprio pochi giorni fa. Perché in Italia le cose funzionano così. Nel suo ricordo, non dimentichiamo mai cos’è la mafia.Non ha onore, non ha dignità. È solo morte, dolore, ignoranza e vigliaccheria.



Bibliografia  di  Omicidio di Graziella Campagna - Wikipedia
  • Associazione antimafia "Rita Atria" di Milazzo - Comitato messinese per la pace e il disarmo, Graziella Campagna. A 17 anni vittima di mafia, Armando Siciliano, Messina 1997. ISBN 978-88-7442-042-1
  • Carlo Lucarelli. Blu notte - Misteri italiani (quarta stagione) 2 Episodio Graziella Campagna 24 ottobre 2001
  • Rosaria Brancato. CON I TUOI OCCHI. STORIA DI GRAZIELLA CAMPAGNA UCCISA DALLA MAFIA Edizioni La Zisa.
  • Il cantautore Giampiero Mazzone le ha dedicato la canzone "Gramigna"

Bullizzato dalle maestre alla scuola Carducci di Pavia, la mamma-collega denunciata per aver «spiato» le chat

 canzone  in sottofondo

 la storia  che  trovate  sotto  è uan delel tante  conferme  , di  quanto    dicevo  da più  parti  ,  facendomi ridere  dietro (  ma m'importa  'na sega ⁕ ) ,  che  le  leggi sula  privacy  sono  fatte  non  per tutelare  ideboli   ma  i prepotenti (  in questo caso  ) ed  i potenti  .

 
 https://milano.corriere.it/notizie/lombardia  4\7\2022
di Eleonora Lanzetti

Suo figlio di 8 anni era stato preso di mira dalle insegnanti per mesi. Su Whatsapp decine di insulti, messaggi vocali offensivi e foto dell’alunno in castigo «scoperti» dalla madre, collega delle docenti: è stata a sua volta denunciata per violazione della privacy

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La chat tra le maestre

La mamma che aveva denunciato le colleghe maestre del Carducci di Pavia, accusate di aver bullizzato il figlio (alunno nella scuola dove la stessa madre insegna) è stata denunciata a sua volta: avrebbe violato la corrispondenza privata di una collega, dopo aver «spiato» la chat di Whatsapp rimasta aperta sul pc della scuola.La vicenda delle maestre pavesi, che per mesi avevano insultato il figlio di otto anni della collega, condividendo foto denigratorie e offese quali «pirla», «bambino di merda», «sporco», ha ora un seguito. Il caso è passato a Milano, all’esame della Corte d’appello del capoluogo lombardo, competente per i reati informatici di tutta l’area. La storia aveva destato parecchio scalpore a Pavia, dove diversi genitori si erano allarmati dopo la scoperta delle conversazioni in chat, che avevano portato alla sospensione delle maestre accusate di aver bullizzato un alunno di seconda elementare.La mamma del bimbo, però, leggendo le conversazioni delle insegnanti, e facendo gli screenshot di messaggi e di foto che riguardavano il bambino, suo figlio, avrebbe violato la loro privacy. Ed è stata denunciata.


4.7.22

non si sono fatti attendere gli interventi di Salvini e Meloni sullla tragedia della Marmolada



 In queste ore Salvini e Meloni “pregano” commossi sui social per le vittime della Marmolada e mandano
accorati “abbracci” ai soccorritori. E fin qui niente di male se tali gesto fosse sincero coerete . Ma putroppo G
li stessi Salvini e Meloni sono fra quei nostri politicanti che hanno , nell’ordine:

- Da anni negano l’esistenza del surriscaldamento globale.
- Hanno votato contro gli accordi di Parigi sul clima.
- Hanno votato contro la riduzione del gas serra del 60% entro il 2030 in Europa.
- Hanno bocciato, ancora pochi giorni fa, la riforma dell’Ets sulle emissioni fossili.
- Per Meloni Greta Thunberg è una pericolosa “fondamentalista climatica”.
- Per Salvini “Da quando hanno lanciato l’allarme sul clima, non c’è mai stato così freddo in Italia”.
Non abbiamo bisogno di preghiere e abbracci ma di politici seri che conoscano quello di cui parlano, che rispettino e ascoltino la scienza, che votino di conseguenza. O al massimo stiano zitti ed non parlino a vanvera . Non c’è un modo più serio e umano per rispettare i morti di oggi ed evitare quelli di domani.Il resto è solo populismo da quattro soldi, pietismo d’accatto e squallida ipocrisia.

anomalie italiane, il caso del 14enne esce dal coma ma rischia di essere bocciato all'esame di terza media e di Lui è Matteo Iacobacci ed è il ragazzo di 21 anni che sull’Aurelia ha aiutato a salvare 30 bambini dal rogo, dirigendo le operazioni di evacuazione dell’edificio ma per due punti al test non è passato al cocorso per i vigili del fuoco.

 

Massa, 14enne esce dal coma ma rischia di essere bocciato all'esame di terza media
          di Chiarastella Foschini

Si è svegliato dal coma dopo un terribile incidente e adesso rischia di essere bocciato perché non potrà sostenere l’esame di terza media entro il 31 agosto. Luca (nome di fantasia), 14 anni di Massa, era in fin di vita. Ha aperto gli occhi e si è riaffacciato alla vita ascoltando le voci dei suoi familiari, che gli sussurravano parole dolci mentre lui era in un letto del reparto di rianimazione.La storia dello studente è finita sulle pagine del Tirreno. Dopo l’incidente stradale che ha avuto il 13 maggio scorso, il ragazzino ha subito un importante trauma cranico ed è stato ricoverato all’ospedale Cisanello di Pisa dove è rimasto in coma fino a quando si è svegliato e i medici hanno appurato che non aveva riportato danni neurologici permanenti. Per tornare alla vita di prima, Luca dovrà sottoporsi a una lunga riabilitazione neurologica all’ospedale Versilia, che lo costringerà a una permanenza in ospedale e non gli consentirà di sostenere l’esame di terza media, scritto e orale, entro il 31 agosto.Uno studente modello per gli insegnanti e per la preside, che lo hanno ammesso all’esame di terza media con la media del sette, in attesa del suo risveglio. Il ministero dell’Istruzione prevede una sessione suppletiva d’esame per gravi e documentati motivi, valutati dal consiglio di classe, il problema è dato dalla data ultima fissata dall’ordinanza del ministero all’ultimo giorno di agosto. La preside dell’istituto in cui studia Luca non vorrebbe bocciarlo e si dice disponibile a fissare una data alternativa. E lancia un appello al ministero dell’Istruzione per dare un’opportunità al ragazzino che ha lottato tra la vita e la morte.

  Questa  notizia  me  ne  fa   venire   alla mente un  altra    di qualche  giorno fa    trovata    sulla pagina di  Lorenzo Tosa    che rilancia  il  post  di  Valerio Capraro

Lui è Matteo Iacobacci ed è il ragazzo di 21 anni che ieri sull’Aurelia ha aiutato a salvare 30 bambini dal rogo, dirigendo le operazioni di evacuazione dell’edificio. “Beh, cosa c’è di strano? È un eroe.” Domanderete voi. Ecco. Ve lo dico subito. La cosa strana è che Matteo sogna di fare il vigile del fuoco, ma una settimana fa è stato bocciato alla prova scritta del concorso, per soli due punti. Una prova scritta che, come la stragrande maggioranza delle prove scritte per i concorsi pubblici, ha pochissimo a che vedere con il lavoro che poi si andrà a fare. Una prova che spesso non fa altro che eliminare persone di talento, che, per un motivo o per un altro, sono deboli in cultura generale o in materie che non gli saranno mai utili per fare meglio il lavoro che sognano di fare.Spero che Matteo venga riconsiderato al concorso e che la sua storia diventi una occasione per ripensare i concorsi pubblici.

Ora   mi associo a  Lorenzo Tosa  : << Per quello che vale, a Matteo voglio dire grazie per il suo gesto. A prescindere se diventerà vigile del fuoco (glielo auguro) o farà tutt’altro nella vita, uno così troverà il modo di mettere se stesso al servizio della comunità. A 21 anni, l’unico consiglio che ha senso dargli è di insistere, di rifare il concorso se quello è il suo sogno. Un test non è un giudizio sulla persona, così come non è un esame o un concorso a definire chi siamo >>


3.7.22

Marines e suore, alleanza che non ti aspetti Insieme stanno ripulendo ed recuperando un edificio storico di Caltagirone: per destoinarlo a un centro di recupero per le done sotratte alla tratta

dalle cronache locali ( https://www.ilfattodicatania.it/    ed  altri  ) 

Ex istituto Agrario di Caltagirone abbandonato, degradato di proprietà statale è stato donato alla Curia

Ex istituto Agrario abbandonato, degradato e di proprietà statale sarà donato alla Curia

È la scelta voluta dal Sindaco di Caltagirone. L’ex istituto Agrario è attualmente abbandonato e ciò ha prodotto incuria, degrado ma soprattutto spinto i soliti incivili a vandalizzare la struttura. Adesso che i costi di un eventuale ripristino sono più alti che mai, si   è  trovata Un’intesa tra Città metropolitana di Catania, Amministrazione comunale e Curia vescovile, per affidarlo a quest’ultima e farne un Centro d’accoglienza.Attualmente la proprietà dell’immobile

a Caltagirone è della Città metropolitana di Catania. La volontà è di mettere la parola “fine” al degrado in cui versa l’ex Istituto tecnico agrario, da tempo abbandonato e oggetto di ripetute incursioni vandaliche, per presumibilmente donarlo alla Curia e tramutarlo in Centro di accoglienza per gli “ultimi”, in particolare ragazze madri e altre donne in condizioni difficili.Un primo incontro è già avvenuto al municipio calatino tra il Sindaco di Caltagirone Fabio Roccuzzo, il commissario straordinario della Città metropolitana di Catania, Federico Portoghese, e il vescovo della Diocesi calatina, Calogero Peri. La riunione è servita a fare il punto della situazione sulle modalità di utilizzo dei vari immobili che, di proprietà dell’ex Provincia, si trovano a Caltagirone e costituiscono un significativo patrimonio da utilizzare nel migliore dei modi.Riguardo all’ex Istituto agrario, monsignor Peri, accompagnato da suor Chiara, della Congregazione delle Sorelle minori del Cuore Immacolato, ha illustrato la proposta della Curia di rendersi comodataria della struttura per finalità sociali. Esse    Insieme  ai militari americani provenienti  dalle  basi   della  sicilia  stanno  come  dice  il  video  sotto  di  Alessandro Puglia  ripulendo un edificio storico di Caltagirone: abbandonato da anni, diventerà un monastero e un luogo di accoglienza. Per aiutare donne vittime della tratta



Il “si“ dopo 36 anni di convivenza , L’incredibile storia di Stefania, che a 53 anni scopre di avere 5 fratelli

  da   il  Quotidiano.Net


 Dopo trentasei anni di vita in comune Francesco Del Giudice, un vivace ottantenne e Marina Bertolotti, una bella signora di settant’anni sono diventati marito e moglie. Lui ex dipendente dell’Arsenale militare, lei fisioterapista. Si sono detti si in Comune alla Spezia davanti all’ufficiale di stato civile, in questa occasione il consigliere comunale Marco Raffaelli, in una commossa cerimonia a cui hanno partecipato i famigliari della coppia. Del Giudice, personaggio molto conosciuto è stato anche un appassionato sportivo. Giocatore della Fezzanese era chiamato “Combin“ per la sua somiglianza con il calciatore argentino Nestor Combin, attaccante naturalizzato francese. Dopo la cerimonia, la coppia ha festeggiato con tutta la famiglia al ristorante Marina 3 B di Sarzana

Il “si“ dopo  36 anni  di convivenza
© Frascatore
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da  https://www.fanpage.it/attualita/

L’incredibile storia di Stefania, che a 53 anni scopre di avere 5 fratelli Stefania Gajotto ha 53 anni e per tutta la sua vita ha sempre pensato di essere figlia unica. Poi ha trovato un documento in casa della madre e, dopo varie ricerche, ha scoperto di avere cinque fratelli.

                                                  A cura di Elia Cavarzan
Si
La storia di Stefania Gajotto, vicentina di Creazzo, ha dell'incredibile. All'età di 53 anni, durante il trasloco della casa, rovistando nell'armadio della madre, scopre una cartellina impolverata del tribunale dei minori di Venezia. "Quando l'ho vista ho subito compreso
che lì dentro ci sarebbero state scritte delle cose che mi avrebbero cambiato la vita", racconta Stefania a Fanpage.it.
Dopo 53 anni di vita scopre di avere altri cinque fratelli: l'incredibile storia della vicentina Stefania Gajotto che mentre metteva ordine tra le carte a casa della mamma ha ritrovato un documento del tribunale minorile di Venezia in cui veniva indicato il suo vero cognome e i nominativi dei suoi veri genitori.
 Stefania Gajotto con la madre adottiva

"Ho iniziato subito a fare una ricerca e nel giro di una settimana ho scoperto di avere cinque fratelli". Ora, sta riallacciando in punta di piedi i rapporti con i suoi fratelli, mentre tra lei e la madre adottiva non ci sono più segreti: "Ho liberato mia madre adottiva di un peso lungo 53 anni. Ora ci vogliamo ancora più bene"."Sapevo di essere stata adottata ma non sapevo che avevo dei fratelli, non sapevo le identità dei miei veri genitori, il perché mi avevano tolto dalla loro custodia, e non ho mai chiesto a mia madre e a mio padre informazioni a riguardo per paura di ferirli", racconta Stefania Gajotto, "quel giorno, durante il trasloco, quando ho aperto quei documenti ho visto nomi e cognomi dei miei genitori e il paese in cui avevano vissuto, Poiana Maggiore, sempre qui in Veneto".           

A quel punto, assieme al marito, Stefania ha deciso di scrivere sul gruppo Facebook del paese d'origine chiedendo se qualcuno conoscesse la famiglia in oggetto e nel giro di un giorno è riuscita ad entrare in contatto con delle persone che avevano conosciuto sua madre e pure i suoi fratelli. Ma Stefania ancora non sapeva che era venuta al mondo come la più piccola di altri cinque fratellini."Quando mi sono incontrata con la mia prima sorella eravamo tutte e due incredule, ci siamo guardate, ci siamo abbracciate. È stato come sentire i nostri cuori battere allo stesso ritmo. Ci assomigliamo molto con le mie sorelle maggiori, anche nei modi di parlare e di gesticolare", ci racconta ancora Stefania che ora, lentamente, sta conoscendo tutti i suoi fratelli. I suoi occhi sono un tripudio di gioia."La cosa più bella è aver liberato mia madre adottiva di questo peso. Per paura di ferirmi o di perdermi mi ha protetto dal mio passato. Ora la sento libera. Non abbiamo più segreti e davanti a noi, la prospettiva di una famiglia che si allarga e si ama", conclude la donna.

La fabbrica di birra regalata al paese ., L'architetto dei sogni che progetta parchi a tema

 Roccasparvera, un nome che suona quasi d’invenzione, quasi uscito dalle pagine di un

racconto romanzesco d’ambientazione medievale. Invece siamo in provincia di Cuneo, e comunque, sì, in una collocazione “avventurosa”, trovandosi il comune di cui parliamo (745 abitanti appena) all’imbocco della Valle Stura, vigilato da una rupe sulla quale, un tempo, sorgeva un castello (la rocca evocata nel toponimo).

Qui, dal 2014, sbuffano i fermentatori del marchio Birra Anima, alimentati da una sala cottura di cospicue dimensioni (20 ettolitri su singolo ciclo d’ammostamento) e “governati” dal birraio Umberto Tomatis, voluto al timone dal titolare dell’attività, Alberto Degiovanni. Decisamente belga l’impronta della gamma locale, alla quale non manca peraltro l’interesse verso le correnti tendenze orientate verso uno “way of brewing” statunitense.

Egli ,come racconta il video di Gedi a cura di di Francesco Doglio riportasto Non sopportava l'idea che potesse finire nelle mani di una multinazionale.
Così un imprenditore ha donato il marchio al Comune. Per garantire il legame col territorio




un ottima iniziativa    divalorizzazione  del territorio  e    d'attuazione del motto    pensare  globale   agire  locale   in cui  una  produzione   
una  delle  loro  birre   dal  loro sito  

 non viene  de localizzatra  cioè mandata  all'esterero    ma  rimane  sul territorio  .

 ulteriori informazioni 
http://www.birraanima.com/
Società Agricola AnimA ss ©2015
Strada Provinciale 337, 1
12010 ROCCASPARVERA (CN)
C.FISC / P.IVA 03442490045
+39 0171.1740132
+39 0171.1740109








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Di professione è architetto. Ma da undici anni ormai, ha lasciato calcoli e disegni strutturali per edifici convenzionali e si è dedicato ad un mondo completamente diverso. Quello dei parchi a tema 
dove Alberto Bertini, 36 anni, è divenuto apprezzato direttore artistico nei cantieri.
La sua ultima creazione? L'area Jumanji a Gardaland. Alberto Bertini, 36 anni, è uno degli art manager più quotati. E ora svela cosa c'è dietro alle grandi attrazioni



  di  Nicola Saccani

i pride non sono solo esibizione -ostentazione o pagliacciate

 "I diritti non dovrebbero dividere politicamente", spiega Alessandro Zan ai microfoni di fanpage prima di unirsi


al corteo arcobaleno di Milano, che ritiene "una medicina contro l'invisibilizzazione".⁣

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"La notizia della morte di Cloe Bianco, isolata ed emarginata, è il caso emblematico che dimostra quanto sia necessaria una legge contro i crimini d'odio. Una legge non ha solo effetti penali, crea cultura in un Paese. Noi siamo riusciti – nonostante il fermo del ddl Zan – a istituire dei fondi per i centri anti discriminazione e le case rifugio grazie al cosiddetto "decreto Agosto". Ci sono già tantissimi centri in diverse città italiane che proteggono le vittime di violenza e forniscono assistenza psicologica, fiscale, sociale a chi subisce discriminazioni.Si tratta di una rete importante di sostegno, ma bisogna assolutamente lavorare nelle scuole : la scuola forma i cittadini di domani, quella è la base da cui partire. Dando ai bambini la consapevolezza che la differenza è un valore contribuiamo a contrastare l'odio nella società"⁣
Alcuni diranno che Combattere x i propri diritti non significa fare pagliacciate, si possono pretendere anche manifestando in modo sobrio . Ma finche c'è rispetto si può fare come suggerisce Lina Nappi : << certo che è possibile, ma noi preferiamo combattere con allegria>>perchè fin quando non insulta l'altro ognuno ha diritto di esprimersi come vuole,se a te sembra una pagliacciata il problema é tuo.

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA

da  Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...