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16.6.25

DIArio di bordo n 128 anno III Lui non insegna calcio, insegna vita. il caso di Silvio baldini ., “Dopo l’amputazione sono rinato grazie allo sport, ma ora lo Stato mi ha abbandonato”: la storia di Massimo castellani., «Il judo mi mantiene giovane» A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe ., Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà.,Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela

 fonti  cronache  della  sardegna  msn.it    e  unione  sarda 

Lui non insegna calcio, insegna vita.
È nato povero. I suoi sono valori trasmessi da genitori che sono stati umili operai e dai nonni che hanno vissuto la guerra.
Quando non allena si rifugia in montagna, gli piace fare il pastore e andare a caccia di pernici.
È un uomo che ha commesso degli errori ma che poi ha saputo rimediare ed imparare dagli stessi.
Come quella volta che tirò quel famoso calcio nel sedere a Domenico Di Carlo. Un gesto che gli è costato tanto, a tal punto, da restare senza panchina per sei lunghi anni.
È rientrato nel calcio accettando di allenare gratis la Carrarese, senza pretendere nemmeno i rimborsi spese.
L'ultima volta che ha fatto qualcosa per denaro è stato nel 2004 quando Zamparini gli ha offerto per la panchina del Palermo un milione di euro l'anno per tre stagioni. Un'esperienza finita malissimo: da quel momento si è promesso di non fare più niente se spinto solo dai soldi.È un uomo schietto, onesto, sincero e mai banale.È uno dei pochissimi che davanti ai microfoni dice ciò che pensa, senza leggere un copione come fanno quasi tutti i suoi colleghi.È uno che nel bene o nel male ha portato sempre avanti con coraggio le sue idee.È un uomo dall'anima feroce ma che si commuove facilmente perché ha un cuore enorme in petto.Per lui la famiglia è sacra: ama tremendamente la moglie Paola e suoi tre figli, la prima delle quali, Valentina, disabile.È un uomo di fede e cerca di trasmetterla anche ai suoi calciatori per condividere l'esperienza dell'amore, della fatica, della vittoria e della sconfitta.È un allenatore preparato, delle volte sottovalutato.Chi lo conosce bene lo definisce un genio.Ha promosso e salvato l'Empoli in Serie A.Ha promosso il Palermo in Serie B.E proprio ieri sera, ha riportato il Pescara in Serie B, dopo 4 anni di purgatorio.Il calcio dovrebbe essere pieno di gente come te, sarebbe sicuramente un mondo migliore.Complimenti Silvio Baldini...
👏🏻❤️
Testo e foto di Calcio totale.

Lo sport salva la vita. Lo sanno  bene 

Massimo Castellani, 50 anni, che da quando nel gennaio 2024 ha subito l'amputazione della gamba destra ha sperimentato una lunga fase di depressione. A convincerlo a uscire di casa dopo molti mesi di solitudine è stato proprio lo sport al quale si è dedicato grazie al supporto delle associazioni della sua Rimini.
Praticare tiro con l'arco, scherma e tiro al piattello gli ha ridato la voglia di lottare per una vita che non sentiva più sua, e conoscere compagni di corso e istruttori lo ha convinto a uscire fuori dalla sua stanza
per mettersi ancora in gioco. Ora però anche questa speranza sembra destinata a spegnersi, come racconta al portale Fanpage.it : "Da quando tutti gli amici si sono dileguati mi sono isolato, ma da quando lo sport ha cominciato a fare parte della mia vita tutto è cambiato. Il problema è che le attrezzature per le persone con disabilità come me sono spesso molto diverse dalle altre e acquistarle in maniera autonoma è praticamente impossibile a causa del costo".
Castellani ha quindi rivolto via mail un appello al ministro dello Sport, Andrea Abodi, e alla senatrice e atleta paralimpica Giusy Versace. "Ho scritto a entrambi ma per il momento la situazione non è cambiata, sento di non avere speranze".
L'appello di Castellani: "Con lo sport ho ritrovato la voglia di vivere, non fatemi smettere"
Dopo l'amputazione della gamba avvenuta l'anno scorso a seguito di una malattia, per Castellani è iniziato un lungo periodo di isolamento, come ammette lui stesso: "Tra luglio e novembre ho passato un periodo di buio totale. Non uscivo mai a causa degli attacchi di panico. Ogni giorno era uguale all'altro". Poi, pian piano, attraverso i benefici ottenuti con la fisioterapia, in lui si è acceso qualcosa e ha iniziato a contattare le associazioni e i circoli sportivi della sua regione.
Da ex atleta di livello agonistico, Castellani aveva già un'idea di come muoversi in questo mondo, e nel momento più buio della sua depressione si è rivolto al comitato paralimpico. Gli organizzatori gli hanno messo a disposizioni i loro contatti e lui è riuscito a entrare all'interno dei gruppi presenti sul suo territorio. Da quel momento la sua vita è cambiata: "Ho trovato un motivo per uscire di casa".
Castellani dopo una serie di mail e telefonate a vuoto tra Roma e Rimini finalmente ha incontrato le persone che lo hanno fatto uscire da casa: "L'allenatore di tiro con l'arco mi viene a prendere tutti i giorni per gli allenamenti e poi mi riporta a casa. Abbiamo partecipato anche al Rimini Wellness ed è stata una esperienza bellissima. Lo è stata ancora di più perché l'ho vissuta con altre persone con le quali ho socializzato. Per me che amo lo sport e ho sempre fatto agonismo sento di riuscire a respirare di nuovo. Prima preferivo gli sport di contatto, ma quando hai l'arco tra le mani devi essere concentrato, se non sei lì con la testa non puoi fare nulla, e questo mi ha fatto bene".
Oltre al tiro con l'arco, Castellani ha iniziato a praticare anche la scherma, ottenendo gli stessi benefici: "Siamo diventati subito come una grande famiglia, la sera andiamo a mangiare tutti insieme. Però c'è un problema che riguarda le attrezzature e non sono il solo a viverlo".
I costi per le attrezzature adatte alle persone con disabilità sono spesso proibitivi e Castellani ha pensato di rivolgersi alle istituzioni, dalle quali, però non ha trovato il riscontro che voleva: "Mi sento preso in giro. Leggo di fondi regionali e nazionali ma al momento di ottenere informazioni concrete spariscono tutti".
"Scarsa informazione e difficoltà di accesso ai fondi"
Castellani ha quindi scritto al ministro dello sport Andrea Abodi e poi alla senatrice Giusy Versace, oggi tra le fila di Azione. Con una mail firmata dalla segreteria di Versace, è stato spiegato a Castellani che i fondi esistono, e che un emendamento della senatrice alla Legge di Bilancio ha destinato 3 milioni di euro in tre anni (dal 2025 al 2027) per protesi e ausili funzionali allo sport. La mail invita quindi a "verificare sul sito della sua regione se è stato già pubblicato un bando al quale può accedere".
Una risposta che non aiuta Castellani, il quale aveva contattato direttamente la senatrice proprio a causa della scarsità di informazioni reperite in Rete: "Mi sento preso in giro io, ma dovrebbero sentirsi presi in giro anche i politici che creano questi fondi di cui poi spariscono tutte le notizie. Penso alle persone che non sono fortunate come me, che non hanno un allenatore che va a prenderli e che li aiuta. Come fanno le persone sole se lo Stato non c'è?".
Anche nel caso del ministro Abodi ha risposto la segreteria e il 22 maggio, il giorno dopo l'invio della mail, Castellani ha ricevuto una telefonata con numerose rassicurazioni. Da allora però è tutto fermo, e nessun ente locale, ad esclusione della Provincia, ha mai fornito informazioni o riscontro.
Eppure, la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni conosce bene il valore dello sport, come ha dichiarato lei stessa nel corso il comizio ad Ancona in occasione della campagna elettorale per le politiche del 2022: "Da ragazzina ero obesa sono stata e sono stata anche bullizzata […] Mi ha salvato lo sport, perché lo sport salva un sacco di gente". Il valore salvifico dello sport, soprattutto per le persone che vivono in contesti di marginalità sociale, non è aneddotico, ma reale.
La psicologa: "Depressione ancora sottovalutata in Italia"
"L'attività fisica agisce sul nostro benessere su più livelli: stimola la produzione di endorfine e serotonina, sostanze che ci aiutano a regolare l'umore, e migliorano e abbassano gli ormoni dello stress come il cortisolo. Inoltre, lo sport favorisce l'autostima e l'autodeterminazione, e crea situazioni di socializzazione molto importanti per chi sta affrontando un momento di difficoltà", spiega la psicologa psicoterapeuta Ilaria Falchi.
Oggi sappiamo che esiste un rapporto tra depressione e il sopraggiungere di una disabilità: "La depressione è collegata a una diminuzione di risorse di cui la persona può usufruire per affrontare il futuro. Si sperimenta la mancanza di ascolto e prospettive, la indisponibilità dell'altro, il voler fare qualcosa e non riuscire, e quindi l'isolamento sociale. Ovviamente non è così per tutti, molto cambia dal tipo di disabilità e dalla sua manifestazione".
Nel caso di persone che iniziano a vivere con una disabilità in età adulta si crea una vera frattura tra il prima e il dopo, come rileva la psicologa: "L'adulto è chiamato a riadattarsi e a trovare strategie compensative a livello fisico ma anche mentale. Si tratta di un'elaborazione simile a quella del lutto perché si è costretti a ripensare a com'era la vita prima rispetto a quella che si vive dopo. Mentre i bambini hanno una capacità velocissima di riadattamento, tale da non influire sempre sul loro stato emotivo, per gli adulti è diverso perché hanno tutta una serie di sovrastrutture, ambizioni e progetti che vengono messi a dura prova nel momento in cui le condizioni di vita cambiano profondamente".
Secondo i dati condivisi da Falchi, più del 30% delle persone con disabilità accusa sintomi depressivi o ansiosi, eppure si tratta di una condizione ancora largamente sottovalutata in tutta la popolazione: "Si fa molta fatica a riconoscerla come una malattia e a trattarla. Ci vogliono molte risorse anche per aiutare una persona a vedere che qualcosa non va e nel nostro Paese purtroppo la salute mentale non è una priorità. Ciò rende molto difficile l'accesso alle cure".



e Pietro Corona di 94 anni  che  continua  con il judo a essere un esempio per sportività, stile e classe



Tutti i giorni indossa pantaloni e giacca da judo, li chiude con la sua cintura bianca e rossa, quella che spetta ai settimo dan, e insegna questo sport ai bambini nella sua palestra a Genneruxi a Cagliari. A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe. «Per me il judo è stato la vita, mi ha fatto girare il mondo, mi ha dato tantissime soddisfazioni attraverso non soltanto i risultati che ho ottenuto personalmente, ma soprattutto per i traguardi conseguiti dai miei allievi e dalle mie allieve, che in tanti casi ho aiutato poi ad aprire le loro palestre. Questo per me è lo sport, l’insegnamento che ogni buon istruttore deve dare».

Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)
Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)

Pietro Corona è cagliaritano doc, figlio di un impresario edile di quelli tutti d’un pezzo. «Sono nato nel 1931, in seconda media venni rimandato e mio padre mi fece lavorare tutta l’estate come muratore. E si raccomandava al capo cantiere: nessun favoritismo, è mio figlio ma in questo lavoro è l’ultimo, devo solo imparare e obbedire». E così ha fatto: maestro Corona non è mai rimasto con le mani in mano, dopo la scuola ha fatto mille lavori e ha sempre praticato lo spot. «Giocavo a calcio, nella Gennargentu Pacini. Nel 1957 passavo per caso in via Verdi a Cagliari e vidi entrare in una palestra un gruppo di ragazzi vestiti di bianco. Rimasi letteralmente ammaliato da quella visione, li seguii, riuscii a seguire un loro allenamento. Il loro istruttore era Leonardo Siazzu, rimasi così colpito da quello sport che cominciai a frequentare quella palestra, quel gruppo di atleti. Soltanto cinque anni dopo disputai il campionato sardo, il primo organizzato nell’isola: la nostra società contro la Torres di Sassari, in una palestra all’angolo tra via Sonnino e via Grazia Deledda a Cagliari».

Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)
Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)

Pietro Corona ha cominciato tardi con il judo, ma ha subito dimostrato il suo valore e ha cominciato a ottenere importanti successi. «Ma i risultati più importanti poi li ho avuti da veterano, nella categoria master, dopo che sono andato in pensione: sono diventato campione del mondo nella categoria 66 chilogrammi, ho battuto anche alcuni maestri giapponesi. Una grandissima soddisfazione».L’insegnamento del judo è stato importante per la sua vita: «Ho cominciato in un locale di 50 metri quadri in via Giardini, ma subito grazie al passaparola sono venuti a me tantissimi bambini e giovani, così dopo qualche anno ho dovuto cercare uno spazio più grande, e l’ho trovato qui, a Genneruxi, dove ho aperto la palestra dal 1973». Judo non a tempo pieno, ovviamente. «Ero dipendente del Comune di Cagliari, ho sempre lavorato nel settore dei mercati sino a quando sono diventato direttore di quello di via Quirra: ancora oggi ho un bellissimo rapporto con tante persone che lavorano ancora nella zona di Is Mirrionis, ho sempre cercato di risolvere i problemi per il bene di tutti, spero di aver lasciato un buon ricordo anche negli uffici comunali».

Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)
Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)

Ancora oggi Pietro Corona mantiene il suo peso forma: «Mi sono pesato anche oggi: 66 chili spaccati. Quando sono alto? Non lo so, credo 1,68». In palestra ancora oggi dimostra tutti gli schemi dello judo ai suoi allievi. «Evito soltanto alcune cadute, ma non tutte» sorride.
Il segreto per una longevità che è anche sportiva? Corona comincia dalla dieta: «Uova, caffè e frutta a colazione, pasta e pesce a pranzo, pesce e verdure a cena. Niente dolci, niente alcol». E poi lo sport: «Ogni giorno faccio qualcosa, mi tengo in forma, sono ancora di fare piegamenti sulle braccia e sulle gambe, fondamentali per un sport come lo judo».E così che il suo palmares è davvero invidiabile per chiunque abbia praticato sport a livello agonistico: oltre a essere maestro benemerito di judo, Pietro Corona è settimo dan di judo, ha vinto la medaglia d’oro ai mondiali master di San Paolo in Brasile nel 2007 , lo stesso anno in cui gli è stata conferita la stella d’oro al merito sportivo del Coni. Riconoscimento che onora ogni giorno quando indossa pantaloni e giacca da judo, all’età di 94 anni, nella sua palestra di Genneruxi a Cagliari

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Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà
Partito da Cagliari si è stabilizzato in Florida, con delle “fughe” in Kenya per aiutare i villaggi senza acqua potabile


Al centro Andrea Cadelano dopo aver ripulito con un gruppo di amici le spiagge di Miami


In valigia, Andrea Cadelano aveva solo sei mesi. Il tempo per imparare l’inglese, «fare un’esperienza», guardare il mondo da un’altra angolazione. Ma come spesso accade ai viaggi più autentici, la meta si è trasformata in casa.
Andrea è partito da Cagliari con il desiderio di misurarsi con qualcosa di più grande, di nuovo. Ma non ha portato solo ambizione e competenze: con sé ha portato anche uno spirito profondo di appartenenza e un senso del dovere che ha radici nei valori della sua terra.
Così, mentre a Miami costruiva un’azienda solida e innovativa, metteva anche le basi per iniziative

di solidarietà che oggi toccano gli Stati Uniti e arrivano fino all’Africa.
«Ho lasciato la Sardegna non perché non la amassi, anzi, le mie radici sono profondamente legate a
quell’Isola meravigliosa, ma perché sentivo il bisogno di mettermi alla prova in un contesto nuovo, dove poter crescere professionalmente e realizzare alcuni progetti che lì, purtroppo, erano difficili da sviluppare».
A segnare quel punto di svolta anche un evento personale doloroso: la perdita del padre. Un vuoto che Andrea ha trasformato in forza propulsiva. L’idea iniziale di un soggiorno breve si è allungata fino a diventare una nuova vita, fatta di lavoro, responsabilità e anche tanto altruismo.
«Sono partito con l’idea di restare sei mesi – racconta – per migliorare l’inglese e fare un’esperienza all’estero. Avevo un visto studentesco valido per cinque anni e, quasi senza accorgermene, ho finito per costruire una nuova vita qui».
Prima della svolta americana, Andrea aveva già tracciato un percorso professionale importante in Sardegna: dalla finanza ai media, collaborando con testate e realtà come Sardegna 1, Videolina, Radiolina, L’Unione Sarda e i portali del gruppo PBM. Un’esperienza che ha mescolato comunicazione, creatività e impegno civico.
«È stato un periodo intenso e creativo – ricorda – che mi ha lasciato tanto a livello umano e professionale».
Il volo verso gli Stati Uniti parte grazie a un suggerimento arrivato quasi per caso, da un’insegnante di inglese. Tra le ipotesi sul tavolo, Londra, New York e San Francisco. Poi la scelta di Miami, dove il clima favorevole e le condizioni economiche più accessibili lo convincono.
«La Florida, rispetto ad altri Stati americani, offre anche numerose agevolazioni fiscali e incentivi finanziari per le nuove imprese: un elemento fondamentale per chi, come me, desiderava costruire qualcosa da zero».
Quel “qualcosa” è oggi un’impresa specializzata in servizi ambientali, sanificazione e sicurezza. Ma il giovane cagliaritano non si è fermato alla logica del profitto.
Nei momenti più duri della pandemia ha messo gratuitamente a disposizione i suoi mezzi per aiutare la comunità, disinfettando ambienti pubblici, partecipando a iniziative per pazienti oncologici e fondando una charity – Victor Water for Life – che ha già portato acqua potabile in dieci villaggi del Kenya.
«Credo profondamente nel restituire qualcosa – spiega – . Sono partito da solo, senza conoscere nessuno, ma oggi sento il dovere di aiutare chi è in difficoltà, così come io stesso sono stato aiutato nei momenti più duri».
C’è però qualcosa che Miami non potrà mai dargli. Lo si intuisce quando parla dei ricordi, dei profumi della macchia mediterranea, di certe albe sarde che non si dimenticano.
«Gli affetti, prima di tutto. La mia famiglia, i miei amici, i miei nipoti. E poi gli odori, i sapori, la luce del sole. Non si dimenticano mai».
Per Andrea Cadelano la Sardegna non è mai davvero distante. Non solo perché ci torna ogni volta che può, ma perché ogni gesto – imprenditoriale o umanitario – ha la forma di chi parte da lontano, senza mai tagliare il filo.
«Sì, torno. Almeno per le vacanze. Ma intanto continuo a costruire, a lavorare, a dare il mio contributo qui. Perché, anche lontano, un pezzo di Sardegna resta sempre con me».


Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela




(Adnkronos) - "Dopo sei anni di inferno, dieci operazioni complicate e altrettante anestesie, posso finalmente dire che è finita. E non ho dovuto amputare la mia gamba. Oggi sono davvero felice. Il prossimo passo sarà adesso il processo. Intanto, mi voglio godere questo momento, dopo tanti mesi, anni, di angoscia...". Ha gli occhi che brillano, Angela Grignano, 30 anni, la giovane trapanese che la

mattina del 12 gennaio 2019, rimase gravemente ferita nella tragica esplosione avvenuta in Rue de Trévise, a Parigi, che causò 4 morti e centinaia di feriti tra i quali anche lei, che ha visto distrutto il suo futuro nella danza. Ha rischiato l'amputazione della gamba sinistra, ma grazie all'intuizione di un chirurgo e ad un complesso intervento è riuscita a salvare la gamba e la vita, anche se il sogno di un futuro da ballerina a Parigi si è infranto.
"Negli ultimi tre anni, dopo l'ennesimo intervento chirurgico, il piede era peggiorato molto. Tendeva a torcersi verso l'interno. Era una postura dolorosa, difficile, anche realizzare le scarpe ortopediche era molto complicato. Non riuscivo più a camminare. Era davvero molto doloroso. Il piede non aveva la possibilità di essere mantenuto adeguatamente. La situazione era peggiorata l punto che non riuscivo più a camminare. Negli ultimi mesi avevo anche ripreso la sedia a rotelle, quando dovevo fare tratti un po' più lunghi", racconta all'Adnkronos Angela, visibilmente commossa.
"Mi sono rivolta a diversi medici ortopedici. Il Covid, poi, non mi aveva permesso di fare visite e altri interventi, nonostante sia andata a Londra, Milano, e in altri posti. Ho visto almeno dieci chirurghi. Erano sbalorditi per il lavoro fatto dai chirurghi francesi, ma quando chiedevo questo intervento avevano paura, perché c'era il rischio di amputazione. Quando vedevo gli altri con le protesi, pensavo 'Se va bene abbiamo superato un altro limite, se va male metto la protesi. Ormai ti danno una buona qualità di vita. Meglio che camminare con il dolore". Poi, la svolta.
"Alla fine ho conosciuto un chirurgo francese che mi ha parlato della ipotesi di artrodesi, cioè il blocco definitivo e permanente della caviglia", racconta ancora Angela Grignano. L'artodresi è un intervento chirurgico che trasforma un'articolazione mobile in una rigida, fissando le ossa che la compongono. Questa procedura, conosciuta anche come anchilosi chirurgica o fusione articolare, può essere eseguita su diverse articolazioni del corpo, come il ginocchio, la colonna vertebrale, il piede, come nel caso di Angela. "Da ex ballerina sentirmi dire di avere la caviglia totalmente bloccata, un po' mi spaventava- continua Angela- Alla fine ho deciso di fare l'intervento. Almeno poteva essere il penultimo passaggio, prima dell'amputazione. Ad agosto 2024 sono tornata a Parigi con la previsione di due interventi. A settembre mi hanno tolto la placca che avevo nella gamba. Ma siccome si è ben consolidato, mi hanno detto è inutile tenerla. E a novembre sono stata operata per artrodesi. Hanno dovuto forzare parecchio la caviglia per rimetterla in asse. L'intervento è durato diverse ore. E ho tenuto il gesso per quasi tre mesi"
"Il chirurgo mi aveva avvertito: 'La situazione migliorerà, ma dovrai tenere scarpe ortopediche perché ci possono essere differenza e di altezza tra le due gambe'. Ringrazio sempre mia madre e gli amici perché il Comune di Parigi se n'è lavato la mani. A gennaio quando abbiamo tolto il gesso ci siamo commossi perché abbiamo capito che la gamba aveva recuperato, tanto da permettermi di camminare. L'ortopedico mi ha detto che è andata meglio di come immaginavamo. E' andata meglio di quanto immaginassi". "Ho cercato di rimettermi in sesto, ho comprato le prime scarpe normale, da ginnastica, cammino senza stampelle ed è incredibile. E' migliorata la posizione della schiena, anche loro sono rimasti".
"Se fosse andata male sarei stata costretta a fare l'amputazione. Adesso finalmente riesco a camminare quasi normalmente. Posare tutto il piede per terra è stata una sensazione incredibile, Camminare scalza per casa è stata quasi commovente- dice - La sensazione più bella è vedere gli altri felici per me. Mi sono rasserenata, non avere il dolore forte come prima è un'altra storia. Prima era una coltellata a ogni passo. Prima contavo i passi, perché ogni passo era un dolore. Oggi riesco a modulare anche la velocità del mio passo. Da sei anni il mio desiderio era quello di potere camminare bene".
Ma ora arriva la nota dolente: il risarcimento. A distanza di sei anni ancora non si è celebrato il processo. "A Parigi hanno detto che il processo poteva essere fatto a febbraio 2026. A quanto pare il Comune di Parigi ha chiesto di potere spostare le date e hanno posticipato all'autunno 2026, dopo le elezioni", racconta. "Sa quale è la verità? Che siamo stati abbandonati, ma continuiamo la nostra battaglia per ottenere giustizia e i risarcimenti adeguati e proseguiamo la lotta per ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento e un adeguato supporto per ricostruire le nostre vite". "La situazione burocratica va molto per le lunghe nonostante il comune di Parigi sia stato dichiarato colpevole di omicidio colposo con la società proprietaria dell'immobile", dice.
"Le assicurazioni sono di una crudeltà inaudita- si sfoga - Volevano pagare un risarcimento da 500 mila euro per una donna morta nell'esplosione, una spagnola. E alla figlia un risarcimento da 10 mila euro. Aveva solo un anno quando è morta la sua mamma...". E conclude: "Non mi fermerò mai. Voglio ottenere giustizia. E la otterrò". (di Elvira Terranova)

San Sperate, Amelia a 86 anni di nuovo a scuola per la licenza media., oh capitano o mio capitano il commovente saluto dei ragazzi i 5 dell'Artistico Amoretti d' imperia al Prof Eugenio Ripepi

 

la vicenda di Amelia Casti non è solo la classica storia di quello anziani che non hanno potuto studiare o studiare fino in fondo o il desiderio ( ma quest ultimo non è o almeno non completamente il suo caso vista la vita che la vita emozionante e ricca che ha vissuto ) di colmare un vuoto o senso di colpa /rimorso per non aver completato gli studi e oaura di sentirsi emarginata o inferiori rispetto agli altri . Anzi il contrario una di quelle storie speciali. Un esempio di passione e d'inclusione . La sua storia è un inno alla vita, alla solidarietà e alla forza di volontà, che ispira chiunque creda che l’età sia solo un numero e che i sogni possano diventare realtà a ogni età.

  infatti 

DA  L'UNIONE  SARDA  ONLINE  

 Allieva del Cpia, è impegnata negli esami finali: per Natale ha preparato l’agnello per tutti i suoi compagni stranieri, che sarebbero rimasti soli. Ha trascorso molti anni al servizio di un cardinale


A ottantasei anni è tornata tra i banchi di scuola. E ora Amelia Casti, la più anziana allieva del Cpia 1 Karalis, dopo aver studiato nella sede di San Sperate, è pronta per raggiungere il suo traguardo: sta sostenendo, con emozione e orgoglio, l'esame di licenza media.Un'alunna modello, già di fatto promossa per interesse, partecipazione e interazione con il resto della classe. Si è appassionata al teorema di Pitagora, ha partecipato a tutte le gite. E, a Natale, ha invitato a pranzo i compagni di classe che altrimenti sarebbero rimasti soli: ha condiviso l'anno con corsisti italiani e stranieri, molti dei quali ospiti di una struttura di accoglienza e originari del Gambia, Camerun, Tunisia, Honduras e Costa d'Avorio. Per loro ha cucinato l'agnello e altre specialità sarde e loro, per ringraziarla, le hanno regalato un cesto di frutta, visto che lavorano quasi tutti nei mercati rionali.Amelia è nata alla vigilia della seconda guerra mondiale, suo padre era stato mandato diverse volte a combattere - prima in Spagna, dopo al fronte - e la sua numerosa famiglia aveva bisogno di tutto l'aiuto possibile. Dopo la guerra l'Italia era affamata e devastata, così Amelia ha frequentato la scuola lo stretto necessario: studiare era un lusso non per tutti. Poi subito a lavorare, come succedeva alla maggior parte delle bambine di allora.Lei ha svolto diversi lavori, dentro e fuori casa, fin quando ha trovato un impiego come domestica alle dipendenze di un cardinale. Con lui e la sorella dell'alto prelato, è partita per Roma: nella capitale ha prestato servizio per 30 anni. Al seguito del cardinale, nunzio apostolico in diversi continenti, ha avuto l'occasione di conoscere tanti luoghi.È molto orgogliosa di aver visitato il Messico, folgorata dalla bellezza dei luoghi. Rientrata nella sua amata San Sperate è diventata presidentessa del Cif, Centro italiano femminile, e - sempre pronta ad aiutare gli altri - attiva volontaria della Caritas oltre che assidua frequentatrice della biblioteca comunale. Quest'anno Amelia è tornata a scuola per ottenere l'ex licenza media. E ora è a un passo dal traguardo.

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dopo il caso dellì'anno scorso il saluto di una classe di maturandi al prof i  un liceo  d  i Battipaglia    : la scena si  ripete   quest'anno  in  un  liceo   d'imperia  da  a  msn.it




"Oh Capitano, mio Capitano" il commovente saluto dei ragazzi dell'Artistico al loro Prof


Il commento del professore: "Andate a educare alla bellezza questo arido mondo, che solo voi potete salvare. Solo così potrò sentire meno il peso della vostra mancanza" Il commovente saluto al professor Eugenio Ripepi

Saluto liceo Amoretti Imperia al prof. Eugenio Ripepi - Primalariviera
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E' una delle scene più commoventi del film "L'Attimo fuggente" con il bravissimo Robin Williams nei panni del professor John Keating, docente di letteratura che viene trasferito nel collegio maschile di Welton (Vermont). Un professore fuori dagli schemi che valorizza però ogni singolo studente.Ebbene prima di lasciare il college il professore viene salutato dai suoi allievi che, uno a uno, salgono sui banchi pronunciando la frase "Oh Capitano mio Capitano".Ebbene quello che è accaduto oggi, ultimo giorno di scuola, in una quinta del Liceo Artistico di Imperia è stato esattamente come nella scena del celebre film.Cinque minuti prima dell'ultima campanella i ragazzi, di fronte al loro insegnante Eugenio Ripepi, uno a uno sono saliti sui banchi pronunciando la nota frase che racchiude tutta la gratitudine di un'intera classe per il proprio docente.A postare su facebook l'accaduto è stato lo stesso professore che ha commentato "Ultimo giorno di scuola al Liceo Artistico, e i miei figli grandi di Quinta vanno via. Hanno deciso di salutarmi così, e sono commosso ancora mentre scrivo adesso. Andate a educare alla bellezza questo arido mondo, che solo voi potete salvare. Solo così potrò sentire meno il peso della vostra mancanza"

eroi . ma per la maggior parte del paese sono estranei....


 o peggio .gente da sfruttare o deridere . infatti mentre avevo  finito  di   pubblicare  l'articolo :<<Aymane come Paolo >> inviatomi da Daniela Tuscano leggo tramite cronache della sardegna   che


[....]

Articolo pubblicato ieri dal Dott. Marco Zavagli, direttore di Estense.com

Oggi mi hanno segnalato un commento sulla pagina Facebook di #estensecom, il giornale che dirigo.
Un agente, un pubblico ufficiale (credo non importi sapere di quale corpo), vantandosi - giustamente - di aver salvato un cagnolino, definiva ironicamente “risorse” chi viene da paesi che non rientrano nell’Unione Europea. Mi sento di aggiungere che per “risorse” intendesse persone che arrivano in Italia da Africa, Asia, insomma quei posti dove la pigmentazione della pelle offre facili intuizioni di provenienza.
Dubito, insomma, si riferisse a statunitensi, svizzeri o altre nazionalità che per le stesse ragioni possono sentir definiti i propri cittadini come “extracomunitari”. A quel pubblico ufficiale vorrei dire che Aymane, dall’alto dei suoi 16 anni, ha fatto capire a persone privatamente piccole come lui cosa vuol dire quel concetto sorpassato che risponde al nome di umanità. Ai genitori di Aymane, invece, vorrei dire grazie per aver infuso nel loro figlio il valore della vita umana. A tal punto da sacrificare la propria per salvare quella di perfetti sconosciuti.
Aymane, lui sí, era una risorsa. Ma era una risorsa che purtroppo non abbiamo più.Qui la foto di Aymane, tratta dal suo permesso di soggiorno ottenuto per motivi familiari".

15.6.25

Aymane come Paolo di Daniela Tuscano ©

È stato un po' il fratello, o il figlio, di tutti noi, Aymane. Di lui ho letto stamane e mi è sembrato di conoscerlo da sempre. Eppure sfuggiva, come quella fototessera che resta di lui, anonima e segnata, forse per un timbro. È un ritratto senza tempo, potrebbe risalire a oggi come agli anni Quaranta del secolo scorso, anche l'espressione è eterna, seria, «antica», per una vita brevissima e gracile, ma tanto piena dell'entusiasmo - della foga - dei suoi sedici anni, quelli che non si accontentano. Me lo figuro silenzioso, Aymane, a scuola come a casa. Con gli amici si scatenava, certo. Ma sempre discretamente, quasi alla retroguardia. Dev'essere andata così anche due giorni fa, quando si è unito ad altri ragazzi per una gita sul pattino a Lido degli Estensi. La fine della scuola, il caldo già torrido, la voglia di ridere e giocare liberi nell'acqua: chi non ha visto, in lui, i suoi anni verdi? Chi non vi ha visto i propri figli e nipoti?                             


Poi è accaduto altro, tutto. Due bagnanti stanno annegando in un canale. Aymane e gli amici li avvistano, chiamano il bagnino, ma ad Aymane non basta. Si getta anche lui. I compagni lo imitano, ma è Aymane che si spinge avanti, si spinge troppo, i soccorsi arrivano, sono tutti salvi, ma lui no, lo perdono di vista, e quando lo recuperano, esanime, è tardi. È il suo istinto primordiale, animale direi, che lo ha catapultato tra i flutti, esattamente come nel 2002 fece Paolo Foglia nelle acque del Ticino, salvando una famiglia albanese. Anche Paolo non pensò ma agì, pensò agendo, perché ciò che ci fa umani non è il «cogito» ma il «sum», anzi il «sumus». Per Aymane e Paolo l'io esisteva in funzione del noi, plurale che affratella. Non in base a un ragionamento. Ma per l'intrinseca natura che nei giovani ancora grida. Paolo aveva 35 anni e stava per sposarsi, a Bresso dov'era nato. Aymane era un adolescente e alla vita si era appena affacciato. Ma già l'aveva compresa tutta, al punto di esagerarla per gli altri. Ecco perché, a distanza di anni e luoghi, questi due ragazzi appaiono uniti, e se gli somigliassimo di più, le guerre finirebbero in un quarto d'ora.


                                             © Daniela Tuscano

14.6.25

selfie e contro selfie il caso di Verona, turista si siede su una sedia tempestata di Swarovski esposta al museo e la rompe viene ripreso dalle telecamere e il video diventa virale

Al museo Maffei di Verona un visitatore si avvicina alla sedia di cristallo dell’artista Nicola Bolla, che ricorda quella del celebre quadro di Van Gogh. Non gli basta guardarla, e nemmeno fotografarla. Per il visitatore l’opera d’arte non è la sedia in sé, ma la sedia con sé, cioè con lui seduto sopra.
La corporatura ragguardevole sconsiglia l’azzardo. Il visitatore lo sa e si piega davanti all’opera come su  un gabinetto alla turca, affinché la foto che la compagna si accinge a scattargli dia l’illusione del contatto. Però le gambe non reggono e l’uomo si abbatte sulla sedia in un infrangersi di cristalli. Si rialza con agilità insospettabile e si dà alla fuga.
La videocamera del museo immortala la scena, che viene poi diffusa dalla direttrice Vanessa Ceccon assieme al monito «l’arte va ammirata e rispettata». Si tratta di un esperimento sociale
. Nel vedere le immagini dovrebbe scattare l’identificazione: «Guarda come si diventa ridicoli e narcisi con un telefono in mano».


Immagino a che cosa starete pensando, perché è la stessa cosa a cui ho pensato io: ma noi non ci saremmo mai scattati una foto sulla sedia di cristallo… Può darsi. In ogni caso da oggi abbiamo una ragione in più per non farlo. Oltre che una funzione educativa, quel video ne ha infatti una sottilmente dissuasiva: è lì a ricordarci che, in un mondo dove ormai ci sono più telecamere che bambini, ogni volta che facciamo un selfie c’è sempre qualcun altro che sta facendo il contro-selfie a noi.


13.6.25

Il loro abbraccio commuove il web: il Barboncino e il Labrador si ritrovano dopo mesiSeparati per un lungo periodo, due cani si rivedono e si abbracciano: un gesto carico di emozione che ha toccato milioni di cuori. Un legame oltre le distanze e le differenze Ci sono immagini che parlano più di mille parole. È il caso del video che mostra il momento emozionante in cui due cani, un Barboncino bianco e un Labrador Retriever marrone, si ritrovano dopo un lungo periodo di separazione. Appena si rivedono, si abbracciano con trasporto, come farebbero due vecchi amici che si ritrovano dopo anni. Il filmato ha commosso milioni di utenti sui social network. Chitarra Per Pasta Svendita - Temu Svendita Ann. Chitarra Per Pasta Svendita - Temu Svendita temu.com Scopri di più call to action icon more I due cagnolini si riconoscono all’istante, si avvicinano lentamente e poi si stringono in un abbraccio che sembra voler recuperare tutto il tempo perduto. Un gesto che, anche nel mondo animale, ha un significato profondo: affetto, riconoscenza, sollievo. Una scena che ha toccato il cuore del web. Un abbraccio che racconta sentimenti autentici Le immagini hanno fatto il giro delle piattaforme digitali, suscitando reazioni da tutto il mondo. Il Barboncino, dal manto candido, e il Labrador, dallo sguardo tenero, dimostrano come tra gli animali possano esistere legami profondi, basati su esperienze condivise e relazioni autentiche. Il loro abbraccio è un gesto spontaneo, naturale, sincero. Dove vivi lo spirito di avventura? Scopri i più bei percorsi per mountain bike in Tirolo. Ann. Dove vivi lo spirito di avventura? Scopri i più bei percorsi per mountain bike in Tirolo. tirolo.com Scopri di più call to action icon more Secondo gli esperti, i cani sono in grado di provare sentimenti complessi come nostalgia, empatia e affetto. Questo abbraccio ne è la dimostrazione concreta. Per i due quattro zampe, quel momento non è solo una manifestazione di gioia, ma anche il segno di quanto abbiano sofferto durante la lontananza. Il valore della socializzazione tra animali Etologi e psicologi confermano che la socializzazione tra cani riveste un ruolo fondamentale nel loro equilibrio emotivo. I cani imparano non solo dagli esseri umani, ma anche osservando i loro simili. Le interazioni positive, come quella tra il Labrador e il Barboncino, favoriscono lo sviluppo emotivo e relazionale, oltre a rafforzare i legami affettivi. Il video è diventato virale proprio perché racconta qualcosa di universale: l’importanza della vicinanza, del riconoscersi, del volersi bene. In un mondo spesso diviso da differenze e pregiudizi, due cani insegnano che l’amicizia vera non conosce razze, limiti o barriere.




Separati per un lungo periodo, due cani si rivedono e si abbracciano: un gesto carico di emozione che ha toccato milioni di cuori.
Un legame oltre le distanze e le differenze
Ci sono immagini che parlano più di mille parole. È il caso del video che mostra il momento emozionante in cui due cani, un Barboncino bianco e un Labrador Retriever marrone, si ritrovano dopo un lungo periodo di separazione. Appena si rivedono, si abbracciano con trasporto, come farebbero due vecchi amici che si ritrovano dopo anni. Il filmato ha commosso milioni di utenti sui social network.
I due cagnolini si riconoscono all’istante, si avvicinano lentamente e poi si stringono in un abbraccio che sembra voler recuperare tutto il tempo perduto. Un gesto che, anche nel mondo animale, ha un significato profondo: affetto, riconoscenza, sollievo. Una scena che ha toccato il cuore del web.
Un abbraccio che racconta sentimenti autentici
Le immagini hanno fatto il giro delle piattaforme digitali, suscitando reazioni da tutto il mondo. Il Barboncino, dal manto candido, e il Labrador, dallo sguardo tenero, dimostrano come tra gli animali possano esistere legami profondi, basati su esperienze condivise e relazioni autentiche. Il loro abbraccio è un gesto spontaneo, naturale, sincero.
Secondo gli esperti, i cani sono in grado di provare sentimenti complessi come nostalgia, empatia e affetto. Questo abbraccio ne è la dimostrazione concreta. Per i due quattro zampe, quel momento non è solo una manifestazione di gioia, ma anche il segno di quanto abbiano sofferto durante la lontananza.
Il valore della socializzazione tra animali
Etologi e psicologi confermano che la socializzazione tra cani riveste un ruolo fondamentale nel loro equilibrio emotivo. I cani imparano non solo dagli esseri umani, ma anche osservando i loro simili. Le interazioni positive, come quella tra il Labrador e il Barboncino, favoriscono lo sviluppo emotivo e relazionale, oltre a rafforzare i legami affettivi.
Il video è diventato virale proprio perché racconta qualcosa di universale: l’importanza della vicinanza, del riconoscersi, del volersi bene. In un mondo spesso diviso da differenze e pregiudizi, due cani insegnano che l’amicizia vera non conosce razze, limiti o barriere.

La crisi del calcio italiano riguarda tutti: le conseguenze del disastro della nazionale azzurra

Cari   amici \  che  vicini e  lontani con questo  post  sembrerò contro corrente , io che    ho sempre

criticato ( infatti la scorsa edizione un diario del mio boicotaggio sui modiali ) il calcio in se giudicandolo , pur raccontandone gesta e storie , psssando da ultra a critico come questa  famosa  canzone 


   

Ma  concordo   come  me   controcorrente con quest'articolo diel sito Atletica Live preso da msn.it perchè 

La crisi del calcio italiano riguarda tutti: le conseguenze del disastro della nazionale azzuri Ciò non di meno, sulla crisi della nazionale di calcio e in generale sul calcio italiano, bisogna riflettere anche per chi segue l’atletica, visto che gli effetti negativi del collasso del sistema calcio portano, a cascata, a problemi che si riversano su tutto il sistema dello sport italiano.a partiamo dall’inizio. Il calcio italiano sta attraversando una crisi profonda e cronicizzata, che non si limita al rettangolo di gioco, ma si riflette negativamente sull’intero panorama sportivo nazionale. Con la Nazionale che ha fallito la qualificazione agli ultimi due Mondiali e rischia di mancare anche il prossimo dopo la batosta storica in Norvegia, il declino del calcio nostrano sta inopinatamente danneggiando anche altri sport. Il calcio infatti rappresenta il principale motore economico e mediatico dello sport in Italia: ok, lo sappiamo tutti, con tante derive, deviazioni, ossessioni e cadute di stile, ma così è. Nel 2022, il calcio ha generato ricavi per 3,8 miliardi di euro, pari al 70% del fatturato sportivo totale. Quando questo motore rallenta, le conseguenze si fanno sentire altrove. Discipline come basket, pallavolo e atletica, che dipendono in parte dai fondi del CONI e dalle sponsorizzazioni legate al calcio, subiscono una riduzione di visibilità e di risorse. In Italia le ragnatele della politica (che hanno i loro terminali in Parlamento) hanno la facoltà di riallocare le risorse verso il calcio, come del resto già successo dopo il fallimento alle qualificazioni dei mondiali del 2018, con uno spostamento di denari per sostenere il mondo del calcio a detrimento delle altre federazioni, che in quel periodo subirono un taglio medio del 10%. Uno studio del 2023 evidenziava che il 40% delle federazioni sportive italiane ha registrato un calo dei finanziamenti da terzi (quindi tolto il CONI il cui budget è stabile attorno ai 440 milioni di euro) negli ultimi cinque anni, un fenomeno attribuibile in parte alla contrazione dei ricavi calcistici. Lungi dall’essere un evento da accogliere con favore, questa crisi è un segnale d’allarme per tutto il sistema sportivo italiano, che rischia di perdere competitività a livello globale e che è compensato – per quanto riguarda gli sport individuali – dai gruppi sportivi militari. Quando il calcio è in difficoltà—ad esempio, dopo scandali o scarsi risultati—gli sponsor tendono a ridurre i loro budget complessivi per lo sport. Un rapporto di SportBusiness del 2024 ha rilevato che, in periodi di sottoperformance calcistica, le sponsorizzazioni per sport non calcistici sono calate del 15%. Questo succede perché le aziende vedono meno ritorno economico da un calcio in crisi e tagliano i fondi anche altrove. Ma il vero problema, a mio parere, è un altro, e questo non lo troverete certo sui grandi quotidiani sportivi i cui editori, incredibile a credersi ancor’oggi, sono a rotazione i proprietari di squadre di calcio di Serie A: atteggiamento, questo, che si sposa a meraviglia con un sistema che non funziona sin dai fondamentali, pur essendo tutto perfettamente legittimo. Il problema Ora, negli ultimi anni, la Serie A ha visto un cambiamento radicale nella proprietà dei suoi club. I presidenti “romantici”, simbolo di passione e tradizione, sono stati sostituiti da fondi di investimento stranieri e businessman internazionali. Nel 2021, oltre il 50% dei club della massima serie era controllato da investitori esteri, una tendenza che come stiamo assistendo, è in continua crescita. Per questi nuovi proprietari, il calcio non è più un patrimonio culturale da tutelare, ma un’opportunità di profitto. Questo approccio si riflette in maniera paradigmatica nelle strategie di mercato, favorite fino al 2023 dal Decreto Crescita, che ha offerto sgravi fiscali sugli stipendi dei giocatori stranieri, rendendoli più convenienti rispetto ai talenti italiani. I club acquistano così continuamente calciatori internazionali a basso costo, li valorizzano e li rivendono a cifre elevate, spesso all’estero, privilegiando il bilancio rispetto alla crescita del movimento calcistico locale. Le statistiche sono eloquenti: nella stagione 2021/2022, i giocatori italiani under 21 hanno disputato solo l’1,9% dei minuti totali in Serie A, mentre gli stranieri over 21 hanno coperto il 61,3%. (Fonte “Report Calcio 2022”) Ruoli strategici, e mediaticamente a grande impatto, come l’attaccante o il trequartista, sono spesso appannaggio di giocatori provenienti dall’estero, relegando i giovani italiani ai margini. Anche nei campionati giovanili, come la Primavera, la presenza di giocatori esteri è aumentata, passando dal 29,2% nel 2020/2021 al 32,4% nell’ultima stagione. Il Lecce, campione Primavera 2023 con una squadra composta per oltre il 90% da giocatori non cresciuti nei vivai italiani, è un esempio lampante di questo nuovo asset di cui il calcio italiano si è dotato. Il risultato? La Nazionale si ritrova con un bacino di talenti limitato e poco rodato ad alti livelli. Diversi giovani devono cercare fortuna all’estero, impoverendo ulteriormente il calcio italiano. Sia chiaro: non si può pretendere di avere la moglie ubriaca e la botte piena, ovvero non si può pretendere di avere una nazionale vincente se non esistono calciatori italiani che giochino in Serie A e contemporaneamente vivere di finanza creativa acquistando solo giocatori da federazioni estere. E i giornali sportivi? Guardano il dito e non la luna Spesso i media italiani attribuiscono la crisi della Nazionale a carenze nei vivai o nelle scuole calcio. Tuttavia, questa lettura appare riduttiva e banalizzante. Sembra di sentire il mantra “bisogna ritornare nelle scuole” sentito milioni di volte quando l’atletica italiana andava male. Di fatto, poi, nessuno, a livello centrale ha fatto qualcosa (o avrebbe potuto fare qualcosa, visto che sarebbero servite risorse non immaginabili) se non qualche spot (non dimentico mai, personalmente, il demenziale “fai atletica e non farai panchina”, che ha ridotto questo sport a scarto da buttare nell’umido privo di qualunque dignità, ovvero proprio il contrario di quello che una campagna pubblicitaria avrebbe dovuto fare per coinvolgere i giovanissimi a presentarsi ad un campo d’atletica in massa). Tornando al calcio. I settori giovanili necessitano certamente di miglioramenti, come sostenuto da molti, ma il problema di fondo risiede altrove: se i club, guidati da investitori stranieri, vedono nel profitto l’unico scopo, lo sviluppo dei talenti locali diventa un’opzione secondaria. Incolpare solo i vivai significa trascurare l’impatto delle politiche fiscali e delle scelte di mercato che hanno stravolto le priorità della Serie A. La fissità delle classi dirigenti: l’aggravante Un’ulteriore concausa della crisi è la staticità delle classi dirigenti del calcio italiano. Problema non certo sconosciuto anche nell’atletica, con dirigenti che sono arrivati anche ben oltre i 10, 20 o 30 anni di “cadrega”. Nel 2021, Gabriele Gravina, presidente della FIGC dal 2018, è stato rieletto con il 73,45% dei voti, nonostante i ripetuti insuccessi della Nazionale. Quest’anno ha raccolto addirittura il 98,,7% dei voti, ovvero la totalità del mondo del calcio. Nato nel 1953, Gravina incarna una generazione di dirigenti che ha dominato il calcio italiano per decenni, spesso opponendosi al rinnovamento. Questa fissità ha bloccato riforme necessarie, come l’introduzione di quote per i giocatori italiani o la revisione degli sgravi fiscali per gli stranieri. Le classi dirigenti, votando in blocco per confermare Gravina, molto in là con gli anni, hanno scelto la continuità invece del cambiamento, aggravando un sistema già in difficoltà e incapace di guardare al futuro. Il parallelo con il calcio Inglese Un confronto con la Premier League è utile. Con circa 3 miliardi di euro annui dai diritti TV (contro il miliardo della Serie A), il campionato inglese è il più ricco al mondo e vede il 60% delle rose composto da calciatori stranieri. Eppure, la Nazionale inglese non vince un titolo dal 1966, anche se recenti progressi (semifinale ai Mondiali 2018 e finale a Euro 2020) mostrano un’inversione di tendenza. A differenza dell’Italia, l’Inghilterra ha però investito pesantemente nei vivai e nelle infrastrutture giovanili, mitigando almeno in parte l’impatto dei giocatori provenienti dalle altre Federazioni. In Italia, invece, questa visione a lungo termine manca del tutto, è del tutto evidente. Le stesse squadre U23 di alcuni top-club, nate con lo scopo di dare spazi ai giocatori giovani dei top club, dove non trovano spazi, in un contesto professionistico, non hanno certo lasciato il segno, anzi: il Milan Futuro è addirittura retrocesso dalle serie professionistiche in Serie D. Che futuro? La crisi del calcio italiano è strutturale, non solo tecnica. Capisco che (quasi) tutti l’abbiano compreso, senza però arrivare al nocciolo del problema (più che altro, per interesse a non disturbare magari qualche presidente). Politiche fiscali che favoriscono i calciatori di altre realtà e altre federazioni, l’orientamento al profitto degli investitori esteri e l’immobilità delle classi dirigenti hanno trasformato la Serie A in un mercato di passaggio, anziché in un serbatoio per il calcio italiano e, di conseguenza, della Nazionale. Siamo tutti perfettamente consapevoli che i grandi campioni, una volta affermatisi in Italia, vadano in UK o in Spagna, e, quando sono cotti, in Arabia Saudita. La stessa Nazionale non ha più una sua anima, non è più espressione di una “scuola”, quella italiana, con determinate caratteristiche e peculiarità. Se in Serie A giocano per la stragrande maggioranza calciatori presi da altri campionati, la “cultura” calcistica non esiste più, se mai fosse un valore sportivo da salvaguardare. Potremmo anche dire che così va il mondo, che sarebbe del tutto anacronistico fermare le tendenze alla globalizzazione dei mercati, compreso il mercato del lavoro (anche se in questo preciso momento storico, la tendenza andrebbe verso la contrazione di tali spinte). Potrei anche essere d’accordo, ma allora non pensiamo più alla Nazionale come un “bene” da salvaguardare o dal quale aspettarci chissà cosa. La Nazionale di calcio è semplicemente il frutto del suo campionato, delle sue logiche sistemiche (che spesso, fiscalmente, non sono così virtuose), e dei suoi dirigenti, che in Italia sono diventate un fardello enorme da trainare. Detto questo, andare ad un mondiale di calcio sarà sempre più un’impresa sportiva con queste premesse se non cambierà qualcosa (o qualcuno). Con conseguenze su tutto lo sport italiano.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto antiviolenza antonio bianco . puntata n XXX : NON SI PUÒ CIRCOLARE CON UN TASER NELLA BORSETTA! + autodifesa verbale

legale   o  illegale   come  strumento  di  autodifesa  (  per  chi vuole   approfondire   l'argomento   consiglio  questo  articolo   : « Taser: quando l'utilizzo è legale »  di  https://www.studiocataldi.it/ ) cìè  di  certo     che      come  dice l’esperto anti aggressione Antonio Bianco nel   Manuale di autodifesa  del settimanale   giallo 

  

In  Italia il taser non può essere portato con sé liberamente, a meno che non si sia in possesso di un porto d’armi che sia valido per la difesa personale. Si tratta di un’arma propria, vale a dire di un ogge$o il cui scopo principale è l’offesa alla persona, proprio come le armi da fuoco o altri strumenti la cui natura e realizzazione le rendono destinate a essere utilizzate per ferire. Questo, in parole povere, signifca che nessuno può passeggiare liberamente con un taser in tasca o nella borsetta, nemmeno per difendersi da potenzianli aggressori. Anche se si è in possesso di un porto d’armi, il taser non può essere portato con sé nemmeno per il semplice trasporto, come nel caso in cui ci si debba spostare da casa propria a un’armeria o viceversa. Occorre un porto d’armi specifico per difesa personale. Questo significa che lasua custodia e il suo trasporto sono regolamentati dalla legge sulle armi. Il porto d’armi, per fare chiarezza, è una licenza che permese di detenere e utilizzare armi da fuoco, ma non è sufficiente per il taser. In questo caso, è necessario un permesso specifico che ne autorizzi il trasporto e l’uso, come il porto d’armi per difesa personale. Lo possono usare invece le forze di polizia e i carabinieri, che sono autorizzati a portarlo con sé per l’esercizio delle loro funzioni, per respingere una violenza o vincere una resistenza, sempre nel rispetto della proporzione rispetto al pericolo. Ma perché tutte queste atteenzioni? Perché l’uso improprio del taser potrebbe causare danni collaterali che possono nuocere gravemente a chi viene colpito: per esempio l’impatto col suolo a seguito della scarica oppure il possibile aggravarsi di pregresse patologie cardiache. Come per tutte le armi, sono necessari una conoscenza profonda, una formazione e un addestramento specifici prima di poterle utilizzare. Gli effetti della scarica elettrica che deriva dal taser comprendono stordimento, confusione e un effetto paralizzante della durata di alcuni secondi: il tempo necessario per immobilizzare un sogge$o o fuggire da un’aggressione. Essendo studiato per sortire effetti temporanei e non permanenti, il taser viene quindi annoverato tra le armi non letali.Aggiungo,insieme  ai link  sotto    per  chi  volesse  approfondire l'argomento,  ai  consigli di bianco   un altra    forma  di   prevenzione   o  d'autodifesa  conro la   violenza  di genere   \  femminicidio    è  l'autodifesa  verbale   ovvero  l'arte di gestire gli attacchi verbali, le provocazioni e le situazioni conflittuali attraverso l'uso consapevole delle parole, del tono di voce e del linguaggio del corpo, senza ricorrere alla violenza fisica. L'obiettivo è proteggere la propria integrità emotiva e la propria autostima,mantenendo la calma e, se possibile, preservando la relazione.  Infatti   è difficile credere che non sia capitato a quasi tutti di ricevere un’aggressione verbale, e non concordare sul fatto che si tratti comunque di un atto di violenza.

 Imparare le strategie di autodifesa verbale è fondamentale perché le parole hanno un peso specifico e la loro forza non si imprime nella carne ma insiste, attraverso la sua eco, sull’aspetto emotivo delle persone, scavandoci lentamente un solco ampio. Un processo da cui sembra arduo sfuggire e opporsi, anche se in realtà ci sono dei metodi per sottrarsi a questo con efficacia. Dobbiamo imparare a difenderci da scomode situazioni, proprio per evitare che l’erosione psicologica porti a termine la sua funzione distruttiva che puà portare  ad  accettare  violenze  fisiche    o ei casi più  gravi   al femminicidio o suicidio    . E per iniziare si parte dall’allenamento all’autodifesa verbale. I sistemi per attivarla non sono difficili da adottare ma richiedono pratica: qui ne snoccioliamo alcuni per prendere confidenza col metodo ed evitare di sentirsi intimiditi.  



per  chi  ha  fretta    un video  sintetico  ma  efficace  



Ecco i principi  Chiave:


  • Rimanere Calmi e Lucidi: La reazione istintiva spesso è controproducente. Mantenere la calma è fondamentale per non farsi travolgere dalle emozioni e per poter pensare lucidamente a una risposta efficace. Tecniche come la respirazione profonda possono aiutare.
  • Non Farsi Trascinare: Evita di cadere nella trappola dell'aggressore, che spesso cerca di provocare una reazione rabbiosa o spaventata. Non rispondere con insulti o aggressioni a tua volta.
  • Empatia (ove possibile): Cerca di comprendere il punto di vista dell'altra persona, anche se non lo condividi. Mostrare empatia può diminuire la tensione e aprire la strada a una soluzione.
  • Consapevolezza e Autostima: Riconosci il tuo valore e non lasciare che le parole altrui minino la tua autostima. La consapevolezza di avere gli strumenti per reagire ti rende più forte.
  • "Morbido vince sul duro" (Verbal Jiu Jitsu): Ispirandosi alle arti marziali, questo principio suggerisce di deflettere e assorbire i "colpi" verbali, mantenendo il proprio equilibrio, anziché opporre resistenza diretta che potrebbe alimentare il conflitto.

e le  Tecniche di Autodifesa Verbale:


  • Ignorare o Non Rispondere alle Provocazioni: A volte, la strategia più efficace è non dare peso all'attacco, non alimentando così l'aggressore e facendolo sentire insignificante.
  • Il "No" e la Consapevolezza: Impara a dire "no" in modo fermo e risoluto quando una situazione non ti agrada o ti senti a disagio. Sii consapevole del contesto e valuta se è opportuno partecipare a un dialogo o meno.
  • Porre Confini Chiari: Stabilisci i tuoi limiti e comunicali. Ad esempio, puoi dire "Non accetto che tu mi parli in questo modo" o "Se continui a urlare, interrompo la conversazione."
  • Ascolto Attivo e Parafrasi: Ascolta attentamente ciò che l'altra persona sta dicendo e poi ripeti con calma le sue parole per dimostrare che hai capito. Questo può disarmare l'aggressore e costringerlo a rallentare. Ad esempio: "Quindi mi stai dicendo che pensi che ho sbagliato in questo punto. Puoi spiegarmi meglio?"
  • Domande Aperte: Fai domande che richiedono una risposta più elaborata di un semplice "sì" o "no". Questo può deviare l'attenzione dall'aggressività e spingere l'altra persona a riflettere.
  • Distrazione e Ridefinizione: Puoi provare a distrarre l'aggressore cambiando argomento o riformulando la situazione in un modo più neutro o positivo.
  • Il Complimento Imprevisto: Inaspettatamente, fai un complimento all'aggressore dopo un commento inopportuno. Questo può spiazzarlo e interrompere il flusso dell'aggressione.
  • Disarmare con l'Accordo (parziale): Invece di negare in blocco, puoi concordare con una parte della critica, anche minima, per poi reindirizzare la conversazione. Ad esempio: "Capisco che tu possa sentirti frustrato, ma il modo in cui me lo stai dicendo non mi aiuta a capire."
  • Umorismo (con cautela): L'uso dell'umorismo può stemperare la tensione, ma va usato con attenzione per non sembrare sarcastico o minimizzare la situazione.
  • Prendere Distanza: Se la situazione diventa insostenibile o potenzialmente pericolosa, allontanarsi è la scelta più sicura.
  • Documentare gli Episodi: Nel caso in cui la violenza verbale persista,e  rischia o  arriva  alla  violenza  fisica  tenere traccia degli episodi può essere utile per eventuali conseguenze legali o per dimostrare i modelli di comportamento dell'aggressore.
  • Cercare Supporto: Non affrontare l'abuso verbale da solo. Parlane con amici fidati, familiari o professionisti (psicologi o psicoterapeuti). Il supporto emotivo è fondamentale.
  • Considerare le Vie Legali: In caso di minacce o intimidazioni gravi, o se l'abuso verbale integra un reato (come la diffamazione o le minacce), è possibile sporgere denuncia alle autorità.

                                 per  approffondire  


12.6.25

“Educazione Digitale in Comune” ideato e realizzato da Logout Livenow s.r.l. e dal coach di benessere digitale Gavino Puggioni, Niente smartphone nel parco di Ploaghe il gioco è offline Un armadietto all'entrata custodisce i cellulari

la  nuova  sardegna  del  12\6\2025

 Ploaghe
Un piccolo ma divertente espediente per provare a contrastare, almeno per qualche ora, l'effetto alienante dell'abuso degli smartphone, che purtroppo si registra anche in situazioni conviviali collettive come il gioco dei  bambini.

 Un armadietto in legno con 20 cassettine dotate di serratura, dove bambini, ragazzi ma anche gli adulti potranno depositare in sicurezza il proprio smartphone durante il tempo trascorso nel “ParcoXTutti”. Quello di Ploaghe, che sorge all'ingresso del paese da  Sassari è il secondo parco in Italia a implementare questo sistema, pensato per incentivare l’uso consapevole della tecnologia e per favorire l’interazione reale. Il messaggio è molto semplice ma efficace: per socializzare e giocare davvero serve lasciare da parte il telefono.L'iniziativa fa parte del progetto “Educazione Digitale in Comune” ideato e realizzato da Logout Livenow s.r.l. e dal coach di benessere digitaleGavino Puggioni, grazie ad uno specifico finanziamento del Dipartimento perle Politiche della Famiglia e del Comune di Ploaghe. Il progetto nasce per rispondere a una sfida concreta eattuale: l'uso eccessivo e spesso inconsapevole delle tecnologie da parte di bambini e adolescenti ha delle innegabili ricadute sul benessere psicofisico, sulle relazioni familiari e scolastiche,sull’attenzione, la motivazione allo studio e la socialità. L'iniziativasi rivolge ai bambini e ragazzi dai 7 ai 14 anni ,alle loro famiglie e agli insegnanti, con l’obiettivo di promuovere comportamenti digitali più sani, ridurre i rischi legati a dipendenza, isolamento e dispersione scolastica, formare genitori e insegnanti attraverso incontri di educazione digitale, favorire un approcccio  attivo , consapevole e sostenibile alla tecnologia, offrire esperienze formative e laboratori immersivi per riscoprire il valore del tempo ofîline e delle relazioni.Leattività, che in questi mesi hanno coinvolto circa 300 bambini e ragazzi delle scuole primaria e secondaria, insieme a genitori e insegnanti, sonostate differenti. Si è iniziato dai laboratori di educazione  digitale sino alla Giornata di Digital Detox, passando per diverse attività di giocoleria al parco, ovviamente senza l’uso dello smartphone sino alla redazione partecipata del Patto Educativo Digitale. In questo contesto l'istituzione del “Parco Offline” all’interno del  parco inclusivo presente all'ingresso del paese rappresenta uno degli elementi qualificanti del progetto che si concluderà il prossimo 15 giugno con l'allestimento del “Villaggio Digital Detox”, dalle 17 alle 21 negli spazi dell'ex convento dei Cappuccini di Ploaghe. Un'esperienza che potrà  sicuramente tornare utile a tutti ma sopratutto ai bambini per riabituarli al piacere di rallentare, di riconnettersi con la natura e riscoprire la bellezzael'utilità delle relazioni autentiche, almeno durante le ore di gioco collettivo, lontani dall'incessante susseguirsi di notifiche sugli schermi dei loro telefonini.



 


 


La rivolta inglese con il mega parco fotovoltaico. Quando l’eccesso di green è battaglia universale



Nell’Oxfordshire è previsto un investimento da 800 milioni di sterline su quasi 1.400 ettari: «Equivalgono a duemila campi da calcio». Per fermare l’impianto è stato chiesto aiuto a Re Carlo


Una veduta del Blenheim Palace, dove un ramo della famiglia proprietaria è disposto a cedere 810 ettari

Dici “green” e sembra che tutto debba andare bene per forza. Invece così non è. Universalmente. L’ultima protesta arriva da Oxfordshire, contea nell’Inghilterra meridionale. Lì, a Woodstock, poco meno di tremila abitanti, con Londra che dista neanche cento chilometri mentre a una dozzina c’è il capoluogo Oxford, continua a stupire il Blenheim Palace. È il fiore all’occhiello di una tenuta reale che nel 1705 fu donata dalla Regina Anna al duca di Marlborough, John Churchill, antenato di Winston, per la sua vittoria in Germania, proprio a Blenheim, dove gli inglesi alleati con la Prussia sconfissero le forze franco-bavaresi. Vent'anni dopo arrivò la costruzione del palazzo dove a luglio del 2024, per dire, i grandi dell’Ue si sono ritrovati per celebrare il sesto summit della politica europea. Comunque, torniamo all’attualità delle rinnovabili: anche nei terreni vicini al castello reale è prevista la realizzazione di un mega impianto fotovoltaico che partirebbe dalla cittadina di Botley per estendersi in gran parte a Woodstock e arrivare a Kidlington. Un errore madornale per i residenti della zona.
La rivolta è cominciata in grande. E non per le dimensioni della mobilitazione in piazza, quanto per il livello istituzionale a cui è arrivato il caso. Il Comitato che si oppone al “Botley west solar farm”, così si chiama il futuro mega parco, ha interessato della faccenda niente meno che Re Carlo. Il sovrano, si sa, è un sostenitore dell’energia alternativa e attraverso gli impianti green nelle Crown Estates, le proprietà della Corona, ha avviato la generazione di ricavi per un miliardo di sterline all’anno.
The King è chiamato a una scelta secca: non reagire davanti agli appetiti delle rinnovabili o tutelare la bellezza e l’integrità del Blenheim Palace, circondato in parte da una laghetto artificiale che sembra un dipinto. Pura campagna inglese, dove acqua e verde si alternano nel rigore professionale di giardini dove nulla è lasciato al caso. Nemmeno il fogliame.
La partita è solo agli inizi. Ma la risposta deve essere celere. Anche perché gli investitori non è che hanno intenzione di spendere spiccioli. Per il “Botley west solar farm” sono pronti 800 milioni di sterline. I pannelli si allungherebbero lungo 3.400 acri. Sono qualcosa come 1.376 ettari. «Sarebbe il più grande parco solare d’Europa», racconta la stampa inglese che si sta occupando del caso. Il Partito dei Verdi nell’Oxfordshire ha fatto i conti della serva: «Quella dimensione corrisponde a duemila campi da calcio».
Solo nella tenuta del Blenheim Palace, per continuare con la matematica dell’assalto, il fratellastro dell’attuale Duca di Marlborough ha accettato di cedere agli investitori duemila acri, il 58,8 per cento dell’estensione totale del parco. Un abominio per gli abitanti dell’Oxfordshire che hanno scritto a Carlo facendo appello a una legge del 18° secolo, il Queen Anne act del 1705, attraverso cui la tenuta venne ceduta al duca di Marlborough in segno di riconoscenza. Per gli oppositori del progetto, «affittare o cedere la proprietà dei terreni di Blenheim a terzi, che ne trarranno direttamente benefici economici, è un atto contrario» a quella norma. In calce alla missiva indirizzata a Re Carlo c’è una firma in particolare: la faccia ce la sta mettendo su tutti tale Tim Summer, che ha scritto: «Alla Corona chiedo umilmente di intervenire per far valere la sua proprietà del terreno di Blenheim, come voluto dalla Regina Anna, e rifiutare la cessione dell’area».
Il partito dei Verdi, dal canto suo, sta sollecitando i cittadini ad andare avanti con la rivolta. Vero che l’ufficio competente a decidere su questi progetti è «l’Ispettorato governativo per la Pianificazione», ma dopo «un processo continuo di consultazione, raccolta di prove e osservazioni da parte delle parti interessate». Ecco che «il Consiglio distrettuale del West Oxfordshire può influenzare la decisione attraverso le proprie risposte alle consultazioni», quindi presentando osservazioni ai progetti come si fa da noi in Italia, ma anche «attraverso la relazione di impatto ambientale. Sarà un processo lungo – si legge ancora nel sito dei Verdi – e la decisione non verrà presa prima del 2025. Aggiorneremo la nostra pagina con ulteriori informazioni non appena ci saranno sviluppi». Il partito ha una speranza: «Siamo ancora nella fase pre-app», cioè pre-approvazione. «È probabile che cambino sostanzialmente idea».
Insomma, tutto il mondo è paese. I Verdi fanno notare ancora: «Gli investitori sono consapevoli della forte resistenza ai loro progetti. A seguito della prima consultazione del 2022, sono state apportate modifiche, tra cui il ritiro da alcuni villaggi, l'aggiunta di un fondo di beneficenza per la comunità e l'impegno a vendere elettricità a prezzi scontati agli abitanti della zona». Ma la contropartita per i residenti è ritenuta comunque «non abbastanza grande, a nostro avviso», così come «l'offerta di altri appezzamenti di terreno ai coltivatori agroecologici locali».
Sembra una delle tante vicissitudini sarde. Invece accade in Inghilterra. E il braccio di ferro si trascina da tre anni.

11.6.25

l’intervista a Massimo Bossetti a Belve crime una brutta, bruttissima pagina di servizio pubblico.

Da libertario non riesco  rimproverare / cazziare chi dice o commenta :<< Trovo vergognoso che Bossetti, condannato definitivamente dopo TRE gradi di giudizio, possa andare in televisione ed essere intervistato per raccontare la sua verità. Ha compiuto un delitto efferato, posso immaginare il dolore dei genitori della povera Yara Gambirasio.>> .
Infatti da appassionato di : misteri,piste alternative , complorrrismo critico , hard boilet , noir e cronaca nera ho trovato l’intervista a Massimo Bossetti a Belve crime una brutta, bruttissima pagina di servizio pubblico e non solo in quanto non aggiungere niente di nuovo se non ulteriore dolore per i familiari della vittima .
E non certo - come dice qualcuno - perché Francesca Fagnani non sia in grado di fare un’intervista del genere, anzi, ne ho apprezzato la fermezza con cui, se non altro, ha mantenuto fermi i punti che inchiodano Bossetti oltre ogni ragionevole dubbio.
No, a turbarmi e a turbare è l’ennesima spettacolarizzazione di un caso di cronaca nera - tra l’altro dei più atroci e disturbanti della storia recente - per dare spazio, voce e visibilità a un uomo che è stato condannato per tre volte su tre e in via definitiva all’ergastolo per un omicidio brutale, solleticando la pancia - volontariamente o meno - a tutti quelli che ancora oggi, senza alcuna prova o vera argomentazione, mitizzano Bossetti trasformandolo in vittima, martire, gridando a oscuri e inconfessabili complotti. Da quel che apprendo leggendo la ompagina facebook di Lorezo Tosa : << [...] Nell’ora e un quarto in cui Bossetti ha risposto alle domande di Fagnani non è riuscito a fornire un solo argomento chiaro e credibile alla sua difesa, al di là di impacciati - e a tratti rabbiosi - “no”, “non è vero”, “non so come sia stato possibile” o, peggio ancora, insinuando accuse e giudizi personali sul padre di Yara e sul modo in cui ha elaborato il lutto. [...] >>
Infatti L’intervista di ieri a Bossetti è giornalisticamente ininfluente ( perché ripeto nulla aggiunge ai tre gradi di giudizio la stessa rivista giallo settimanale in cronaca nera con un inchiesta di qualche tempo fa lo ha dimostrato ) e moralmente uno schiaffo in faccia, l’ennesimo dopo la faziosa e mal fatta, per non dire di peggio, serie di netflix  intitolata Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio  docufiction di Gianluca Neri in cui sono stati utilizzati addirittura gli audio delle intercettazioni , alla famiglia di Yara Gambirasio, costretta ad assistere in prima serata alla versione dell’uomo che - secondo tre gradi di giudizio - ha ammazzato e occultato il corpo della loro figlia di 13 anni. Questo lo ripeto non è Servizio pubblico o un giornalismo . Questa è un ulteriore pornografia del dolore come quello che è avvenuto ed continua ( vedere il mio post : << garlasco dignità calpestata con il Caso di Garlasco . E francamente non ne sentivamo il bisogno di un ulteriore pornografia del dolore

L'appello di Pep Guardiola su Gaza: "Non si può restare immobili. Prossimi bambini a morire saranno i nostri"




Il tecnico del City, Pep Guardiola, è stato insignito della laurea honoris causa dall'Università di Manchester dove ha commosso tutti con il suo intervento andando oltre il calcio e parlando del massacro di bambini a Gaza
"Sia chiaro: non si tratta di ideologia. Non si tratta di dire che io ho ragione e tu torto. Si tratta semplicemente di amare la vita. Di prendersi cura degli altri. Ciò che vediamo a Gaza è doloroso. Mi fa male tutto il corpo".
Il tecnico del City, Pep Guardiola, è stato insignito della laurea honoris causa dall'Università di Manchester dove ha commosso tutti con il suo intervento andando oltre il calcio e parlando del massacro di bambini a Gaza. "Potremmo pensare di poter guardare bambini e bambine di quattro anni uccisi da una bomba o ricoverati in ospedale e pensare che non siano affari nostri. I prossimi bambini di quattro o cinque anni saranno nostri. Guardo i miei figli, Maria, Marius e Valentina, ogni mattina da quando è iniziato l'incubo a Gaza. E ho tanta paura... Forse questa immagine sembra molto lontana da dove viviamo ora. E forse vi state chiedendo cosa possiamo fare".
Mi torna in mente una storia - ricorda Guardiola - Una foresta è in fiamme. Tutti gli animali vivono, terrorizzati, indifesi, inermi. Ma il piccolo uccello vola avanti e indietro, avanti e indietro verso il mare, avanti e indietro, portando gocce d'acqua nel suo piccolo becco. Il serpente ride e chiede: 'Perché, fratello? Non spegnerai mai il fuoco'. L'uccello risponde: 'Sì, lo so'. 'Allora, perché lo fai ancora e ancora?' Il serpente chiede ancora una volta. 'Sto solo facendo la mia parte', risponde l'uccello. L'uccello sa che non può spegnere il fuoco, ma si rifiuta di non fare nulla. In un mondo che spesso ci dice che siamo troppo piccoli per fare la differenza, questa storia mi ricorda che il potere di ognuno non sta nelle dimensioni. Sta nella scelta. Nel presentarsi, nel rifiutarsi di tacere o di restare immobili quando è più importante".

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...