Contro il malaffare dell’atomo, favorito da stampa e Vaticano, bisogna essere molto intelligenti. Contro le ambiguità del centrosinistra e gli appetiti della destra occorre una nuova informazione. E lavoro per migliaia di giovani ricercatori
A pochi giorni dalla presentazione da parte del ministro Claudio Scajola del piano per il ritorno del nucleare in Italia, si è già spenta sui giornali l’eco della discussione e delle dichiarazioni dei vari esperti.
Ma noi, anche se a distanza di poche settimane dal nostro articolo sui rischi del nucleare, vogliamo ritornare sull’argomento delle centrali che sfruttano l’energia dalla scissione dell’atomo, perché riteniamo importante mantenere viva l’attenzione su un tema che ha risvolti sempre più inquietanti. Il piano del nuovo ministro delle Infrastrutture è già stato benedetto dalla neopresidente di Confindustria Marcegaglia e dal Vaticano, vero governo ombra e neanche tanto, e approvato dall’ambientalista Veltroni, con buona pace del responsabile dell’Ambiente del suo partito, Ermete Realacci, unica flebile voce contraria. È chiaro che non intendiamo ritornare a parlare degli aspetti tecnici delle centrali di tale tipo e dei rischi connessi al loro impiego. Vogliamo invece soffermarci su altri aspetti, forse anche più pericolosi per la libertà e la democrazia del nostro Paese. Ci riferiamo al cosiddetto primo livello del piano, ovvero il nuovo quadro normativo che prevede la modifica del titolo V della Costituzione, che ripartisce le competenze fra Stato ed enti locali, alla faccia del federalismo di Bossi, per centralizzare le scelte strategiche al livello più alto, cioè Parlamento e governo.
Tradotto in termini più semplici, visti anche i recenti provvedimenti per imporre le scelte delle discariche con l’esercito, si tratta di costruire le centrali nucleari nei siti scelti dall’Enel e imporle alle popolazioni locali anche con l’uso della forza in nome del bene della nazione. Fra centrali e discariche si parla, insomma, di militarizzare il territorio per tenerlo sotto controllo costante. Infatti, se mai un malaugurato giorno una centrale nucleare dovesse davvero esser costruita, dovrà pur essere difesa da eventuali attacchi terroristici e quindi il controllo militare potrebbe addirittura aumentare. Insomma uno scenario davvero cupo contro il quale nessuna voce si leva, tantomeno quella di Di Pietro e soci la cui cultura in termini di ordine pubblico non è così lontana dal governo di destra. Se poi vogliamo soffermarci sul programma cronologico della realizzazione del piano nucleare l’unica parola che ci viene in mente per commentarlo è: ridicolo.
Quattro anni per costruire quattro centrali nucleari più uno per un eventuale ritardo! Come abbiamo avuto modo più volte di dire e scrivere, negli ultimi anni le poche centrali nucleari entrate in servizio in Paesi come il nostro privi di strutture e normative adeguate hanno richiesto, dal tempo zero della decisione alla messa in rete della prima energia prodotta, dai quindici ai venti anni.
Ciò significa, oltre all’inutilità di tale scelta per fronteggiare qualsiasi tipo di emergenza chiamata in causa per giustificarla, la totale incertezza dei costi da sostenere che non possono che lievitare enormemente col passare degli anni. D’altra parte è questo il motivo principale per il quale negli Stati Uniti non si costruiscono più centrali nucleari da venticinque anni. Quale investitore rischierebbe un capitale in un’impresa che comincia a remunerare l’investimento dopo quindici anni?
Quello, infatti, che il piano del governo non dice è chi dovrebbe finanziare il tutto. L’Enel certamente no perché deve dare conto ai suoi azionisti, gli imprenditori italiani che stanno facendo a gara per l’Alitalia neanche, le banche tanto meno, non resta che lo Stato. Ma questo governo forse mira solo a mettere la prima pietra del primo impianto, poi si vedrà. Insomma tutta la storia non ci piace e pensiamo che vada fortemente contrastata non solo per i soliti sacrosanti motivi di opposizione al nucleare (sicurezza, scorie) ma anche per la difesa della civiltà e libertà del nostro Paese.
La lotta non potrà dunque essere solo quella del nucleare “no grazie” degli anni Settanta, ma dovrà avere contenuti più profondi e propositivi che andranno minuziosamente, e pazientemente, spiegati alla gente, oggi affascinata dal decisionismo del governo e malinformata da una stampa sempre più velinara. I no non bastano, il consenso delle popolazioni va conquistato su un altro progetto. In ogni territorio dovremo convincere e coinvolgere le persone che lo abitano spiegando che si può fare a meno del nucleare se si investe per rendere il Paese più efficiente dal punto di vista energetico. La parola d’ordine deve essere: aver bisogno di meno energia anziché produrne di più. Con poca spesa e senza pericoli si otterrebbe un risultato molto più efficace di quello che la costruzione delle centrali atomiche potrebbe dare. Più efficace per i cittadini che pagherebbero meno luce e gas e avrebbero meno inquinamento dell’aria. Più utile al clima e alla qualità dell’aria, perchè meno energia prodotta significa meno emissioni climalteranti e inquinanti. Infine più utile alla democrazia del Paese, perché per imparare a usare bene l’energia è necessario coinvolgere, informare, far partecipare le persone e non militarizzare i territori. Lo stesso ragionamento lo si può fare per le fonti rinnovabili che in pochi anni, non fra venti anni come per il nucleare, potranno darci l’energia che effettivamente serve alla società, dandocela però rinnovabile e pulita. E, ancora, il nostro no al nucleare sarà tanto più efficace se sarà in grado di mettere al lavoro migliaia di giovani ricercatrici e ricercatori per scoprire nuove tecnologie e materiali, e rendere più efficienti e meno costose quelle che già conosciamo e che ci consentono di sfruttare le fonti rinnovabili. Ai tanti “stranamore” che perdono tempo e sprecano denaro con il nucleare preferiamo puntare su una politica energetica fatta di usi razionali e intelligenti e sfruttamento del sole, del vento e delle biomasse. Non tutto e subito perché sappiamo che, prima che il modello energetico sia totalmente rinnovabile e che questa prospettiva venga aiutata non sprecando energia, passeranno anni e quindi è necessario continuare a produrre elettricità e calore con fonti non rinnovabili. La scelta meno costosa e meno inquinante è quella del metano soprattutto se lo useremo per alimentare impianti di microcogenerazione e trigenerazione, e piccole centrali a ciclo combinato. Per un’unica cosa queste proposte sono meno efficaci del nucleare: per i profitti delle grandi aziende costruttrici ed elettriche a cominciare da Enel ed Eni. Una ragione in più per ribadire il nostro “nucleare no grazie” e imporre la svolta energetica che abbiamo cercato di proporre.
La grande, ci auguriamo, manifestazione di Milano del 7 di giugno, promossa da un vastissimo arco di associazioni, sindacati, movimenti, riviste e giornali, fra cui left, sarà la prima tappa di una lunga marcia per il clima e il benessere collettivo, che dimostrerà che la sciagurata scelta nucleare del governo non ha il consenso del popolo e che un’Italia solare è necessaria e possibile.