11.11.12

l'altro lato della vita . Amore e aborto . le storie di Valentina pitzalis e Gianna Jessen

Lo so che odio tali trasmissioni  , del genere  ma  non ho trovato   altri siti ( in italiano  del  secondo caso ) che raccontano tali vicende  .La  prima di cui avevo   ho  già parlato qui. ma concordo con le parole di  Giulioa Bongiorno ( vedere filamto )  e quindi parlo ancora di Lei  Video Pubblicato in data 25/mag/2012 da  http://www.youtube.com/user/rai/videos : << Ieri, dagli studi di Rai Uno de "La vita in diretta",
 la terrificante storia di Valentina Pitzalis ha raggiunto i milioni di telespettatori che seguono la trasmissione condotta da Mara Venier.La giovane di Carbonia è stata affiancata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, fondatrici di "Doppia difesa"la fondazione nata proprio per difendere le donne vittime di violenza. Tratto da "La vita in diretta" del 24 maggio 2012. >> .E la  utilizzo per  smontare il mito dell'amore  eterno  e  de del'amore rosa e  fiori  che ancora resiste nonostante  s'inizi a parlare in tv  d'argomenti  tabù  fino a qualche tempo  fa  d'amore  criminale  e  amore malato 
 La seconda storia è nata per  caso  . Avevo  su un calendarietto da  tavolo regalatami da un amico  ecumenico   dei lei  ecco  cosa  ho trovato in rete  in italiano  e in inglese   il primo video  è tratto da  dal canale   di  delay75



il secondo   dalla trasmisione italia sul Due del 6-2-2012

Oltre il link dela foto sotto  a destra   che in inglese  ho trovato   qualcosa in italiano  su Wikipedia,  alla voce Gianna Jessen 
da http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/4500022.stm
Gianna Jessen è nata a Los Angeles nel 1977 in una clinica per aborti legata alla associazione Planned Parenthood. La clinica aveva consigliato alla madre di Gianna, giunta al sesto mese e mezzo di gravidanza, di abortire con aborto salino, una tecnica abortista usata prevalentemente dopo il primo trimestre. Essa consiste nell'iniettare nell'utero una soluzione salina che corrode il feto e porta alla sua morte, dovuta, tra l'altro, all'alterazione delle funzioni della placenta. In seguito, a causa delle contrazioni uterine, il feto viene espulso morto entro le seguenti 24 ore. Nel caso di Gianna, la tecnica non funzionò e la bambina nacque viva, dopo 18 ore. Gianna venne trasferita in ospedale e riuscì a sopravvivere, nonostante pesasse solo nove etti; tuttavia la carenza di ossigeno causata dall'aborto le ha procurato una paralisi cerebrale e muscolare. Nonostante la paralisi cerebrale Gianna Jessen imparò a camminare con tutore all'età di 3 anni.La bambina fu adottata a tre anni. A vent'anni, grazie alle cure mediche e alla fisioterapia, riuscì a ottenere la capacità di camminare senza tutore, seppure con notevoli difficoltà.Attività nei movimenti pro life Nonostante la grave paralisi cerebrale, Gianna è sempre stata molto attiva nei movimenti che si oppongono all'aborto e ha raccontato la sua storia al Congresso degli Stati Uniti d'America e alla Camera dei Comuni del Regno Unito [1].Il suo caso è divenuto noto quando, in occasione del novantesimo anniversario dalla fondazione dell'associazione abortista Planned Parenthood, celebrata dal Senato del Colorado, il senatore Ted Harvey invitò Gianna a raccontare la sua storia ai membri del Senato [2]. Inoltre, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'aborto, nel 2006 è riuscita a partecipare e a completare la maratona di Londra, nonostante la difficoltà a correre.Nel 1999 è uscita una sua biografia, curata dall'autrice statunitense Jessica Shaver.




Note
^ BBC NEWS | Health | 'I survived an abortion attempt'
^ Ted Harvey for US Congress - Gianna's Story
E smonto i mito dell'aborto come  metodo  anticoncezionale  e  riduzione delle nascite  insomma  qualcosa di positivo  , ma  a nche  una cosa  che fa  male   che uccide la vita 

9.11.12

Le launeddas Lo strumento-simbolo della cultura musicale isolana




per  saperne  di più
  fonte  unione sarda del  9\11\2012 


Ero solo un ragazzino quando ho sentito per la prima volta il suono delle launeddas. Mi trovavo in campagna e,per caso,mi sono imbattuto in un suonatore,Vincenzo Piroddi. Fu in quel momento che mi innamorai pazzamente dello strumento e della sua affascinante melodia.Ero solo un ragazzino quando ho sentito per la prima volta il suono delle launeddas. Mi trovavo in campagna e,per caso,mi sono imbattuto in un suonatore,Vincenzo Piroddi. Fu in quel momento che mi innamorai pazzamente dello strumento e della sua affascinante melodia.

da     https://www.facebook.com/launeddasscuola.dionigiburranca/photos_albums

Qualche settimana fa ha festeggiato  l’ottantesimo compleanno. Ottant’anni ben suonati per il musicista che ha fatto conoscere le launeddas nel mondo. Luigi Lai è un monumento vivente della musica di tradizione orale.
«Quando si pensa alla musica della tradizione sarda -spiega l’etnomusicologo Marco Lutzu - i primi strumenti che vengono in mente sono senza dubbio le launeddas, tra tutti i più amati dai sardi e conosciuti fuori dall’Isola.Semplici nella fattura ed estremamente ricche nel repertorio, le launeddas continuano a essere un’immancabile presenza nelle diverse occasioni in cui,nella Sardegna meridionale,la musica di tradizione orale viene ancora oggi praticata». Luigi Lai con le sue inseparabili  launeddas partecipa a tutte le grandi manifestazioni religiose (è il suonatore ufficiale della festa di Sant’Efisio ) e continua a tenere concerti in tutto il mondo nei teatri più prestigiosi. Lo chiamano giustamente e rispettosamente maestro.Ha raccolto l’eredità dei grandi suonatori del passato, ma è riuscito a creare un suo stile.«Allora non c’erano molti soldi - racconta Luigi Lai - perciò dovetti insistere a lungo con i miei genitori perché mi comprassero le launeddas e mi pagassero le lezioni quotidiane a casa di Antonio Lara, celebre suonatore di Villaputzu. Si può dire che sono cresciuto al suo fianco: per cinque anni sono stato come la sua ombra, dove c’era lui io non mancavo mai.A Cagliari,ho avuto occasione di studiare con un altro gigante delle launeddas originario di Villaputzu,
Efisio Melis. Nonostante avessi cominciato già da tempo a esibirmi in feste e serate in piazza, ogni giorno mi esercitavo per ore nella sua casa di via Barcellona»
 Tumbu,mancosa, mancosedda, respirazione circolare e un suono originale: sono alcune caratteristiche dello strumento musicale sardo più conosciuto nel mondo. «Il materiale principale di cui sono fatte le launeddas è la canna - spiega Marco Lutzu - con questa specie vegetale vengono realizzati sia i tre tubi, sia i piccoli cannellini su cui vengono incise le ance. I costruttori utilizzano due differenti specie di canna: con la prima,denominata dai suonatori canna mascu (canna maschio) si realizzano i due tubi muniti di fori digitali,mentre la seconda,detta canna fèmina (canna femmina) viene impiegata per la realizzazione del tumbu, la canna priva di fori,e dei cannellini con le ance».

I costruttori di launeddas (che spesso sono gli stessi musicisti) per realizzare lo strumento oltre alla canna utilizzano anche lo spago. «In passato - conclude Marco Lutzu - si utilizzava esclusivamente quello di fibra naturale che veniva impermeabilizzato con un amalgama a base di pece, mentre oggi sempre più spesso i costruttori preferiscono quello sintetico».

                                  Francesco Pintore

Oltre  Luigi  lai  e  i suoi maestri   (  Efisio Melis e Antonio Lara   )    l'uso   delle  Launeddas  è   praticato anche di tanti altri musicisti,  personaggi del calibro di Giuseppe Sanna, Emanuele Lara, Giovanni Murtas e Dionigi Burranca per il passato  . Per la  scena   attuale   Spazio quindi ai suonatori: Efisio  Zuddas (Donori), Andrea  Pisu, Giancarlo  Seu  e Tore  Trebini  (Villaputzu),Stefano  Pinna  (Cabras), Roberto  Corona  (Quartucciu),Sergio  Lecis  (Assemini) e Giampaolo  Lallai   ( Cagliari).Fra  i costruttori perchè oltre che un strumento  è  anche artigianato  Antonello  Ghiani  (Assemini), Gianfranco  Mascia  (Villaputzu), Rocco  Me-lis  (San Vito), Pitano  Perra   ( Maracalagonis).

Camminate per 75 minuti e vivrete due anni in più

il problema  non è camminare o  farlo    , ma farlo velocemente   \  a passo svelto per  chi  è  abituato  a  camminare  e  fare m tutto  o  quasi  troppo lentamente



e non  a macchino alla  follia  come  il protagonista del precedente   post :   L'uomo che cammina 24 ore senza mai fermarsi se non...  e spesso     non  ho



Comunque  è utile    vedere sia  l'articolo   sotto riportato da cui  ho tratto il tutolo  del post  d'oggi   sia ( la  trovate  come  secondo    articolo )   la recensione    del libro   Camminare  e rivoluzionario  di Adriano Labbucci   tratta dal sito della  casa editrice   http://www.donzelli.it

il  primo articolo    preso da  repubblica del 9\11\2012

 PER SAPERNE DI PIÙ

ELENA DUSI


Roma .Meglio   un peccato di  gola che indulgere all’ozio. Tra i due sentieri che portano a una lunga vita,quello dell’attività fisica è più efficace di quello della dieta,purché sia percorso a passo
svelto e per almeno 75 minuti  alla settimana. A tanto infatti  ammonta l’esercizio fisico capace di regalare 1,8 anni in più  alla nostra vita.ma non a cantare, secondo la definizione tecnica. Se lo sport
prescelto è invece classificato come “vigoroso” (non si riescono a pronunciare più di poche parole), i vantaggi in termini di vita allungata si raggiungerebbero molto prima. Nelle raccomandazioni degli Istituti Nazionali per la Salute americani, infatti, le 2,5 ore a settimana di camminata rapida consigliate
per mantenersi in forma equivalgono a 1,25 ore di esercizio intenso. 
Anche se basati su un campione molto ampio (650 mila persone con almeno 40 anni di età, seguite per un lasso di tempo che arriva fino a 40 anni), i dati di Harvard sono comunque frutto di un’elaborazione statistica, e vanno dunque considerati cum grano salis. Tutte le informazioni su attività fisica svolta e durata della vita sono state ricavate da sei grandi studi (5 americani e uno svedese svolto dal Karolinska) progettati per calcolare il legame fra stili di vita e rischio di ammalarsi di tumore. Ma come
sempre avviene per questi enormi database, che comprendono decine di migliaia di volontari arruolati addirittura per decenni e raccolgono miriadi di dettagli sulla vita quotidiana, ogni ricercatore è libero in seguito di scavare nei dati per estrarne l’aspetto che più gli interessa. In  questo caso è toccato all'esercizio fisico, e al raffronto fra i suoi benefici e quelli della dieta. 
Un dato che sembra comprovato al di là di ogni dubbio sui limiti della statistica è poi quello
che lega l’esercizio fisico alla salute del cervello. Il primo novembre sul giornale dell’American Heart Association è uscito solo l’ultimo fra le decine di studi che indicano come camminare, pedalare, nuotare o andare in palestra mantengano il cervello ben irrorato di sangue, prevenendo la degenerazione delle
cellule e allontanando il rischio di ammalarsi di demenza del 40 per cento. Per chi come motivazione non trova sufficiente il benessere che segue a una bella camminata, da oggi c’è la forza dei numeri a convincerlo che  indossare le scarpe da ginnastica ha i suoi vantaggi. 
da  http://images.google.it/ alla  voce  camminare  
Camminando per 450 minuti nell'arco di sette giorni (poco più di un’ora al giorno) si può arrivare ancora più lontano, guadagnando 4 anni e mezzo al tempo che ci sarebbe stato assegnato se fossimo rimasti fermi. E purché l’esercizio fisico sia stato abbondante, anche permettersi uno stravizio a tavola è concesso. I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston e di Harvard che si sono dedicati a quantificare i benefici dello sport, infatti, hanno messo a confronto sportivi più o meno in regola con la bilancia. Ne è  emerso che un individuo attivo,anche se leggermente sovrappeso, vive in media 3,1 anni in più rispetto a un magro sedentario. Il divario più ampio in termini di età raggiunta si ha quando si confronta uno sportivo magro con un ozioso obeso: ben 7,2 anni di differenza nella durata del la vita. «L’esercizio regolare allunga la sopravvivenza in tutti i gruppi che abbiamo preso in
considerazione: persone che mantengono la linea, in sovrappeso e perfino obese» ha commentato Steven Moore, uno degli autori della ricerca. 
Il ruolo benefico dell’attività fisica è tanto grande da uguagliare quasi quello negativo del fumo. In passato è stato infatti calcolato che l’abitudine della sigaretta toglie in media dieci anni di vita. E una ricerca svolta dal Karolinska Institutet di Stoccolma, pubblicata ad agosto sul  British Medical Journal, aveva individuato fra i fattori che allontanano la vecchiaia una vitasociale intensa, hobby, lavori casalinghi e volontariato. Messi  insieme allo sport, questi fattori possono allungare la vita di un 85 enne di altri quattro anni. Anche limitandosi alla sola ricerca di Harvard, appena pubblicata dalla rivista ad accesso libero Plos Medicine, costi e benefici dell’attività fisica possono essere soppesati. Se camminare 75 minuti a settimana, ovvero 65 ore all’anno (poco più di 2 giorni e mezzo) basta a guadagnare  quasi due anni di vita, il gioco sembra valere la candela. Anche perché i ricercatori americani hanno calcolato i benefici di un’attività fisica piacevole e rilassante come il camminare a passo svelto, in cui il fiato basta a sostenere una conversazione ma non a cantare, secondo la definizione tecnica. Se lo sport prescelto è invece classificato come “vigoroso” (non si riesco-
no a pronunciare più di poche parole), i vantaggi in termini di vita allungata si raggiungerebbero molto prima. Nelle raccomandazioni degli Istituti Nazionali per la Salute americani, infatti, le 2,5 ore a settimana di camminata rapida consigliate  per mantenersi in forma equivalgono a 1,25 ore di esercizio intenso. 
 da  http://images.google.it/ alla  voce  camminare 
Anche se basati su un campione molto ampio ( 650 mila persone con almeno 40 anni di età, seguite per un lasso di tempo che arriva fino a 40 anni), i dati di Harvard sono comunque frutto di un’elaborazione statistica, e vanno dunque considerati cum  grano salis. Tutte le informazioni su attività fisica svolta e durata della vita sono state ricavate da sei grandi studi (5 americanie uno svedese svolto dal Karolinska) progettati per calcolare il legame fra stili di vita e rischio di ammalarsi di tumore.
 Ma come sempre avviene per questi enormi database, che comprendono decine di migliaia di volontari arruolati addirittura per decenni e raccolgono miriadi di dettagli sulla vita quotidiana, ogni ricercatore è libero in seguito di scavare nei dati per estrarne l’aspetto che più gli interessa. In questo caso è toccato all’esercizio fisico, e al raffronto fra i suoi benefici e quelli della dieta. 

Un dato che sembra comprovato al di là di ogni dubbio sui limiti della statistica è poi quello che lega l’esercizio fisico alla salute del cervello. Il primo novembre sul giornale dell’American Heart Association è uscito solo l’ultimo fra le decine di studi che indicano come camminare, pedalare, nuotare o andare in palestra mantengano il cervello ben irrorato di sangue, prevenendo la degenerazione delle cellule e allontanando il rischio  di ammalarsi di demenza del 40  per cento. Per chi come motivazione non trova sufficiente il benessere che segue a una bella camminata, da oggi c’è la forza  dei numeri a convincerlo che  indossare le scarpe da ginnastica ha i suoi vantaggi. 



il secondo   articolo

da  http://www.donzelli.it/libro/2282
«Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare oggi dominante. Camminare è una modalità del pensiero. È un pensiero pratico. È un triplo movimento: non farci mettere fretta; accogliere il mondo; non dimenticarci di noi, strada facendo». 
«Avviso ai lettori. Lasciate stare. Se cercate insegnamenti sul camminare all’ultima moda, con tanto di lezioni, corsi universitari e relativi professori, oppure sul camminare come cura di sé, o infine pagine e pagine di resoconti di camminate che si perdono invariabilmente tra il noioso, l’elegiaco o il paranoico, ripeto a scanso di equivoci: lasciate stare. Questo libro non fa per voi». Inizia così l’itinerario che Adriano Labbucci suggerisce al lettore e che del camminare si serve come di una bussola per percorrere un paesaggio insieme geografico e mentale, alla ricerca di punti di riferimento, alla scoperta di un modo diverso per impostare il nostro rapporto con gli altri e con il mondo che ci circonda, in un tempo invece in cui forse un po’ tutti la bussola la stiamo perdendo. Al punto che il camminare non solo è un’attività ormai poco praticata, ma spesso è anche guardata con sospetto e fastidio; un atteggiamento che può sfociare in frasi paradossali come questa: «Il pedone rimane il più grande ostacolo al libero fluire del traffico». Potrebbe sembrare una battuta di Woody Allen, ma in realtà è stata pronunciata da un gruppo di urbanisti consulenti del sindaco di Los Angeles: si tratta, scrive l’autore, dell’«espressione tragica e surreale di quel mondo capovolto che è il nostro». Così, pagina dopo pagina, scopriamo che

8.11.12

aggiornamento del caso del bambino rasato perchè perde una gara di nuoto


“Sono stata io a radere il bambino come gli ebrei per punizione”

Alla fine è arrivata l’ammissione. A radere a zero “come agli ebrei” per punizione il bambino di 11 anni ( ne  avevo parlato in qualche  post precedente  ) con tanto di croce disegnata in cima alla testa per non essersi impegnato a sufficienza in una gara internazionale di nuoto è stata un’atleta, nota solo per le sue iniziali, G.P.
COLPA MIA - “Si, sono stata io a rasare la testa con la croce in mezzo”. Con queste parole la donna ha confermato di essere stata lei a impartire al ragazzo una “lezione” impartita in realtà lo scorso maggio, in collaborazione con due istruttore. I genitori denunciarono subito alla magistratura tale violenza, magistratura che ha provveduto ad interrogare la donna la quale ha dato la sua versione dei fatti.


NON VOLEVAMO FARE MALE - Secondo l’atleta si è trattato di una specie di rituale avvenuto in una camera d’albergo con altri ragazzi grandi. Il gesto sarebbe stato deciso in maniera collettiva in un ambito sportivo. L’avvocato della donna, Michele Grigenti, ha riportato le parole della sua assistita la quale non ha voluto far male a nessuno confermando la loro intenzione di avere un atteggiamento aperto e collaborativo.
COLPA DEI RAGAZZI - Gli investigatori hanno sentito anche l’istruttrice del bambino, presente a sua volta nelal trasferta, la quale ha confermato che esisteva un sistema di disciplina basato su cartellini gialli e rossi. Le punizioni però sarebbero state più che altro fisiche come impegnarsi in esercizi addominali supplementari o vasche a delfino. Per quanto riguarda i capelli la responsabilità sarebbe di alcuni ragazzi più grandi che avrebbero chiesto anche ai piccoli di seguirli. Uno si è fatto “pelare” mentre un altro ha chiamato la mamma spaventato. Il tutto infine sarebbe avvenuto mentre gli allenatori erano al ristorante dell’albergo. (Ansa)


Con Raffaella e il suo psicotaxi, in una Milano noir piena di segreti e bugie


da http://max.gazzetta.it/lifestyle/ 11\10\2012

Tassista di notte e blogger di giorno, Raffaella, una laurea in filosofia e un lavoro "sporco", romanza e spiffera le vite degli altri. Le abbiamo chiesto un passaggio. Ci ha raccontato storie incredibili. 

Mi dà appuntamento un lunedì, a mezzanotte: perché, dice, «è il giorno migliore per quello che cerchi». Mi torna in mente un post del suo blog Psicotaxi e penso che ha capito tutto: «La notte a Milano arriva di lunedì, quando la gente per bene dorme, dentro le lenzuola che odorano di pulito, mentre io lavoro dentro il mio taxi, bianco come un lenzuolo sudicio, sporcato dalla notte: dalla luce giallastra dei lampioni, dall'odore dei clienti, non come quelli del sabato, tosati e pettinati come aiuole». Chi scrive si chiama Raffaella ed è la nostra «guida ghandiana» alla notte, per questa notte.
Stasera tocca a lei raccontarsi, lei di solito così abituata ad ascoltare: mi parla di sé e mi guida attraverso tre quartieri milanesi che hanno fatto da sfondo ai suoi post. Isola,Centrale e  Chinatown (vedi i tre video qui sotto). Chi sale sul suo taxi, spiega, spesso si confida: sarà perché è notte, sarà perché le donne tassiste di notte sono rare, sarà per un certo suo modo di parlare, confortevole e ovattato. «Quando poi scoprono che sono laureata in filosofia si lasciano andare, come se, solo perché ho studiato Kant, avessi più risposte di loro sulle grandi questioni», spiega. Da un'aula universitaria al taxi, il passaggio è stato facile: «Avevo bisogno di soldi, mio padre era tassista e così ho iniziato a fare i turni di notte nel weekend: era il mio modo per arrotondare, invece di fare la cameriera». Con il passare degli anni ci ha poi preso gusto, sia al taxi, sia alla notte. Perché «la gente di giorno è più nervosa, il traffico più folle: mentre il buio calma, tranquillizza». Ha iniziato ad ascoltare, e a raccontare, a partire dal 2007, quando ha aperto il blog: uno spazio in cui «spiffera» al mondo i segreti inconfessabili che ha raccolto, archiviato, romanzato. Una nipotina di Scerbanenco, «mezza donna e mezza macchina».
«Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l'altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre». Così De Niro in Taxi Driver. Tanti di quegli animali strani passano anche sul sedile posteriore del taxi di Raffaella, e, come sul lettino di un analista, parlano: senza inibizioni. E lei senza inibizioni li ascolta e ne scrive.

Le stesse atmosfere noir che animano il blog fanno da sfondo anche al racconto I frutti dell'odio, che sarà pubblicato a novembre nella raccoltaUltimo Bar a Sinistra: il libro è edito da Edizioni Ligera, che fa capo all'enoteca Ligera di via Padova (un posto in cui fare un salto, e non solo perché ci potreste incontrare Raffaella). «Sullo sfondo della storia, la vecchia Milano di Via Padova, con il naviglio Martesana e le vecchie case di ringhiera, e quella nuova, dell'immigrazione, con i dormitori clandestini e tutte le difficoltà, speranze ed esperienze dei nuovi e dei vecchi italiani», spiega Raffaella, «ma per l'occasione pubblico con uno pseudonimo, Sofia Corben».


Erika Riggi

Muore di tumore a 56 anni, per l'Inps può lavorare e non merita la pensione..

Meno male  che  c'è facebook .  
Lo  so  che la malasanità   e  le  pensioni date  ai falsi invalidi sono nella norma  e all'ordine del  giorno  .Cosi come  la  cattiva  e poco rispettosa burocrazia italica   e secondo i commenti  ,  che trovate qui,    all'articolo sotto  riportato anche fenomeni come questo .  Ma  come dice sconsolato  L'avvocato trevigiano Sossio Vitale  : «Purtroppo seguo anche altri casi del genere. Capisco l'esigenza di tagliare i costi, ma parliamo di un malato oncologico morto nel giro di tre mesi, che si muoveva in carrozzina e considerato, invece, in grado di camminare. Per i malati di questo tipo la pensione dovrebbe essere riconosciuta almeno durante il periodo della chemioterapia» è vergognoso  che  dei medici  dell'Inps  o di qualunque  altro ente  8 OVVIAMENTE SENZA   GENERALIZZARE  E FARE DI TUTTA L'ERBA UN FASCIO  PERCHE' IN MEZZO ALA MERDA POSSO ESSERCI ANCHE DELLE PERLE  )  ,  sia cosi frettoloso  e pressapochista   nel visitare   dei pazienti  . Riporto qui  uno   dei  commenti   all'articolo  , che  mi ha  colpito  molto  e che descrive  l'esatto calvario   che   ho conosciuto   benissimo  avendo mia nonna  paterna malata   d'alzheimer (  1 in inglese   2 3 in italiano) 
un medico inps legge le carte o valuta un paziente?
mi spiego meglio mia mamma colpita da alzheimer ha effetuato 3 visite per invalidità e accompagnatoria, 1^ visita 80% e niente accompagnamento, 2^ 100% e niente accompagnamento, 3^ 100% e accompagnamento, e tutto perche le prime due volte camminava, ha mai vissuto in casa con una persona che non distingue il bagno dalla cucina solo per non dire altro, non si poteva lasciarla sola un solo minuto però siccome alle visite i famigliari non possono parlare ma solo consegnare le carte per 2 volte niente accompagnamento, forse è per questo che le pensioni vengono date a chi non ne ha bisogno, basta presentare un bel pacco di visite e tutto è risolto, quando date le invalidità cercate di valutare la persona e non solo i documenti.
commento inviato il 08-11-2012 alle 18:04 da daniele
Ma  poiché  non sono della zona  e rischierei   di dire cose inesatte  lasci  che  a raccontare i fatti sia l'articolo  del  http://www.gazzettino.it/nordest/treviso  del 8\11\2012 



Muore di tumore a 56 anni, per l'Inps
può lavorare e non merita la pensione
Arriva in novembre l'esito della visita di marzo: Michelina è già
deceduta, per l'istituto è in grado di camminare: «Presi in giro»



di Paolo Calia
TREVISO - Assalita dal tumore, fiaccata dalla chemioterapia, costretta in carrozzina per evitare di cadere: per l'Inps però quella donna trevigiana, ex parrucchiera, così debilitata è invece in grado di camminare e lavorare e quindi non meritevole di una pensione d'invalidità.
Ma c'è di più: l'esito della visita davanti alla commissione medica fatta a marzo è arrivato ieri, 7 novembre, a cinque mesi di distanza dalla morte e dal funerale della diretta interessata. Una vicenda paradossale ma, purtroppo, estremamente reale.
La protagonista è Michelina Bruschetta, morta il 18 giugno a 56 anni. Nata a Castelfranco, residente a Silea ma conosciutissima a Treviso dove per 34 anni, assieme alla sorella Ivana, ha gestito un salone da parrucchiera. Tre anni fa le viene diagnosticato il tumore: mesotelioma pleurico. Una forma particolare, legata alle polveri d'amianto presenti, un tempo, in molti prodotti utilizzati dalle parrucchiere. Michelina è costretta a lasciare il suo lavoro. Un anno e mezzo fa anche Ivana si ritira, vende l'attività e si dedica alla sorella. Inizia il calvario tra dottori, ospedali e mille carte da firmare. L'avvocato trevigiano Sossio Vitale riesce a far ottenere a Michelina le agevolazioni previste dall'Inail per chi è colpito da malattie professionali. Poi le due sorelle si rivolgono all'Inps per l'accompagnatoria prevista per gli invalidi al 100 per cento.
«Abbiamo sempre pagato tutto, osservato tutte le leggi. Sinceramente mi sento presa in giro»


dice Ivana che ieri mattina ha ricevuto dall'Inps la risposta alla domanda fatta a marzo. Ovviamente la pensione d'invalidità non serve più a nessuno. Non è questo a ferire ma le motivazioni con cui i medici hanno bocciato la richiesta: «La commissione medica superiore riconosce l'interessato non invalido». Spiegando che la patologia non è "invalidante" e che la capacità lavorativa "non è ridotta". In poche parole: Michelina, attaccata dal tumore e debilitata dalla chemioterapia, costretta a muoversi in sedia a rotelle per non stancarsi troppo, per l'Inps poteva lavorare e camminare.
Vitale osserva sconsolato: «Purtroppo seguo anche altri casi del genere. Capisco l'esigenza di tagliare i costi, ma parliamo di un malato oncologico morto nel giro di tre mesi, che si muoveva in carrozzina e considerato, invece, in grado di camminare. Per i malati di questo tipo la pensione dovrebbe essere riconosciuta almeno durante il periodo della chemioterapia».
Giovedì 08 Novembre 2012 - 09:07    Ultimo aggiornamento: 16:32

7.11.12

L'uomo che cammina 24 ore senza mai fermarsi se non 70 minuti



Una camminata di 24 ore, quasi senza sosta, a una velocità media di 4 chilometri all'ora combattendo la stanchezza fisica e mentale. E' l'impresa record di Rosario Catania, il trekker siciliano che utilizzando la tecnica del "Nordic Walking", la camminata nordica, ha percorso, giorno e notte, una pista di atletica a Catania

 per  approfondire

Omofobia, bocciato il testo base Bloccato da asse Pdl-Lega-Udc


 fonte  repubblica  online 

La legge respinta dalla Commissione Giustizia della Camera. Concia: "La battaglia del Pd e dell'Idv continuerà in Aula dove per la terza volta chiederemo di approvare una norma di civiltà di cui il nostro Paese ha bisogno". Grillini: "Italia in controtendenza europea". Idv: "Destra guida lobby omofoba"
Anna Paola Concia 
ROMA - La Commissione Giustizia della Camera ha respinto, con i voti dei rappresentanti di Pdl, Lega e Udc il testo base per una nuova legge contro l'omofobia e la transfobia, che prevedeva l'estensione della legge Mancino e che era stato adotatto con i voti di Pd e Idv. "Ancora una volta la lobby omofoba si è espressa contrariamente alla nostra proposta di legge che prevedeva il contrasto dei comportamenti dettati da omofobia e transfobia. Proposta che perseguiva il suo obiettivo attraverso l'estensione della legge Mancino, quella che punisce i comportamenti razziali", ha scritto in una nota il deputato Idv Federico Palomba, capogruppo in commissione Giustizia, che ha annunciato battaglia in aula.
Anche per la parlamentare Pd anna Paola Concia, promotrice della nuova legge e leader del movimento omosessuale, la battaglia continuerà in Aula: "Pdl, Lega e Udc hanno votato contro, con le sole astensioni di Carfagna e Ria. Mentre il partito democratico e l'Italia dei Valori, che avevano proposto lo stesso identico testo normativo, hanno votato a favore. La battaglia del Pd e dell'Idv ovviamente proseguirà in Aula dove, per la terza volta, chiederemo di approvare una norma di civiltà di cui il nostro Paese ha assolutamente bisogno".
FOTO La polemica su Twitter in cui la parlamentare Pd Anna Paola Concia risponde cosi :<< E' vero le perversioni vanno curate. Infatti l'omofobia è una malattia". all'omofobo striscione  esposto nella notte da militanti di Forza Nuova davanti alla sede Arcigay Il Cassero di Bologna.

approfondimento 


"Mentre oggi nell'ordine veniva eletto 
il primo presidente americano apertamente schierato a favore del matrimonio omosessuale, tre stati americani approvavano le nozze fra persone dello stesso sesso, la corte costituzionale spagnola difendeva la legittimità della legge sul matrimonio egualitario e il governo francese approvava il testo che fra qualche giorno sarà presentato al Parlamento, in Italia una parte delle forze politiche del Paese sono state capaci di bocciare una norma contro la violenza omofoba e transfobica. Quelle stesse forze politiche credo debbano vergognarsi", ha continuato Concia.
Deluso anche il responsabile diritti civili Idv Franco Grillini, leader storico dell'Arcigay: "Per l'ennesima volta - ha accusato-  è stato bocciato alla Camera il testo contro l'omofobia richiesto da tutte le organizzazioni omosessuali italiane. Il testo, a prima firma di Pietro-Palomba, chiedeva l'estensione della legge Mancino anche per i reati motivati dall'orientamento sessuale". 
Dopo il voto il capogruppo Idv in Commissione Giustizia Federico Palomba ha denunciato come "capofila di questo voto contrario sono stati la Lega e l'onorevole Costa che hanno proposto il testo che loro stessi avevano contribuito ad affossare in aula. A questo punto la battaglia di civiltà deve necessariamente trasferirsi in Parlamento. Solo dinanzi a un dibattito pubblico che esca dunque dalla 'non pubblicità' dei lavori della Commissione, la lobby omofoba potrà assumersi le proprie responsabilità".

Quelli che “tengono tutto” la sindrome dell’accumulo

Per   approfondire
 metodo della sophianalisi

http://www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?ItemId=40191


L'articolo    , che trovate  sotto  , di repubblica  del  6\11\2012 , mi permette  di  spiegare  ( per  il resto  quando riuscirò a   trovare le parole   ed il coraggio  )   uno  dei motivi ( oltre  ad  altri sparsi  nei vari post  del  vecchio e dell'attuale  blog  )    per  cui  ho ripreso ad andare in analisi  e continuare  con il metodo della sophianalisi e  di vedere   sempre  di  più il mio analista   come un compagno  di strada , il merito  è anche di questa  canzone .




Ritornando  a noi  mi sono individuato totalmente in 6 e in una quasi   sui  8  del test  tranne del fatto che mi  vergogno   e lo  faccio di nascosto  che trovate sotto preso  , come l'articolo  sotto   riportato da repubblica  del  6\11\2012 sulla  sindrome  dell'accumulo 



Quelli che “tengono tutto” la sindrome dell’accumulo

da  http://www.erickson.it/Libri/
C’ è un  romanzo scientifico di 270 pagine, si intitola Tengo tutto [ foto  a  sinistra  ] , è stato scritto da due clinici americani,Randy O. Frost e Gail Steketee, e illustra il disturbo del decennio: il bisogno d’accumulo, l’incapacità di buttare via. Giornali, riviste, libri, biglietti dell’autobus. E non solo.Dalle conchiglie ai vecchi fornelli così tenersi tutto diventa una mania L’allarme degli esperti: “Per guarire date meno importanza agli oggetti” .
Poi lattine, ombrelli, tubi,scatole, sacchetti di plasti-
ca, fornelli, vecchie scarpe che non si sa mai, vasetti di yogurt finiti, tovaglioli usati, pezzi di automobili e di passeggini, pietre e conchiglie, set di molle, parti di carrozze, cavalletti per tagliare la legna e tavolozze per la pittura.
C’è chi ha portato dentro casa quattordici pianoforti a coda senza averli mai suonati e pure una Ford modello T. «Tengo tutto è un  racconto per immagini su chi  porta ogni cosa in salotto», spiega  chi l’ha tradotto. Inizia come un  film horror, il capitolo sui fratelli Collyer, e finisce come un manuale consolatorio: si può guarire, anche perché tutti siamo accumulatori. Basta dare meno importanza alle cose e affidarsi alla cultura emergente del riciclo (pubblico, non privato).Lettere d’amore e mail fulminanti, pagelle delle scuole elementari e i primi cento numeri di “Zagor lo spirito con la scure” sono accumuli in bilico tra il sentimento del ricordo e il piccolo collezionismo, alimentati dal timore di perdere memoria e quindi pezzi di sé. Ma quando smettiamo di possedere oggetti e iniziamo a esserne posseduti? Andy Warhol, inventore della pop art, trasformatore del banale in arte, nei Settanta e Ottanta frequentava assiduamente i mercatini delle pulci e conservava ogni cianfrusaglia di cui entrava in possesso: la sua casa newyorkese a cinque piani era  così stipata che lui poteva vivere solo in due stanze. A lato della scrivania Warhol teneva una scatola di cartone e, quando l’impulso lo colpiva, la ripuliva gettando tutto senza distinzione: francobolli di valore, contante, torsoli di mela, una bolletta elettrica. Era la sua “capsula del tempo”, la datava e immagazzinava: dava il senso di ciò che in quell'istante  e  quindi in quella fase storica, era oggetto quotidiano, quindi cultura. Warhol ha realizzato più di seicento capsule del tempo.
Mister Ralph, uno degli uomini incontrati nelle sedute collettive dagli esperti Frost e Steketee, per colpa degli oggetti recuperati nelle discariche la sua unica casa l’ha quasi persa. Si può vivere la sindrome da accumulo da virtuoso miliardario o da vittima degli ufficiali giudiziari. I disturbati, malati di disposofobia per la precisione, il cinque per cento della popolazione mondiale, rinchiudono i propri familiari in spazi sempre più angusti, li fanno spostare dentro corridoi larghi trenta centimetri, sentieri per capre, e poi li  perdono (i familiari). Tutti noi, mediocri accumulatori, nelle regioni subcorticali del cervello teniamo a bada la tendenza ad ammassare con la capacità di programmazione, il disposofobico
impila senza ricevere vantaggi e  pagando costi altissimi. «Sono  persone di intelligenza superiore  alla media», raccontano Frost e  Steketee.
Questa società fino a ieri ossessionata dagli averi (l’ipercrisi sta cambiando nuovamente i riferimenti) ha iniziato a studiare la sindrome d’accumulo focalizzando una storia da Anni Quaranta: i fratelli Collyer, Homer e Langly. Morirono nella loro villa in  arenaria di Harlem sepolti da 170 tonnellate di oggetti che nel tempo erano diventati piloni portanti dell’edificio. La sindrome di Collyer in Russia diventa la malattia di Plyushkin, grazie al racconto di Gogol. Sherlock Holmes era un disposofobico, «incapace di distruggere un documento, li accumulava alle pareti». Già, «senza queste cose non sono nulla».
Metà dei sopravvissuti del World trade center hanno speso tempo per raccogliere i propri averi prima di scappare, anche se le torri tremavano sotto i loro piedi.
Ecco sempre  dallo stesso articolo cosa  dice uno psicologo   Gabriele Melli   autore di una ricerca
“Una patologia che può distruggere una famiglia”“L’accumulo dà una falsa sicurezza che si trasforma in un grave disagio

 ROMA — A differenza degli Stati Uniti, in Europa la disposofobia è un campo della psicologia poco
esplorato. In Italia la prima indagine risale a un anno fa ed è stata curata dall’Istituto di psicologia e
psicoterapia comportamentale e cognitiva (Ipsico) di Firenze, presieduto dallo psicologo Gabriele
Melli. 
Dottor Melli, cosa è emerso dalla ricerca ?
«Su 1200 intervistati nella regione Toscana, soffrono di questo disturbo dal 3,7 al 6 per cento.
Non ci sono differenze significative in base a sesso, età, stato civile, lavoro. Si può solo dire che il rischio aumenta con l’avanzare degli anni e con la disoccupazione».
La sindrome di accumulo si manifesta insieme ad altre forme di disagio?
«È spesso associata allo shopping esasperato, ma sembra avere poco a che vedere con i disturbi compulsivo-ossessivi, il controllo ripetuto di alcune azioni come chiudere il gas o l’automobile. Il disposofobico non si pente mai di mettere da parte oggetti,sebbene lo faccia di nascosto perché se ne vergogna. Infatti evita il più possibile di avere ospiti in casa».
Quale significato hanno gli  oggetti per queste persone?
«Danno la sicurezza e un’identità. Senza oggetti si sentono persi. Guai a buttarli via o spostarli: la loro perdita li manderebbe in crisi. Il disagio di una persona affetta da disturbo da accumulo compromette a tal punto la vita familiare che queste persone possono arrivare ad avere problemi, anche gravi, con il partner e persino con i figli».
(c. d.)

  e da qui  che devo iniziare   per  evitare  che essa degeneri   e peggiori ulteriormente   come pote vedere  da  questo mio video  
girato  qualche  tempo fa  nella mia camera  

Per M. D.






 Onde di strade dentro me,
scherzo alieno e irriverente.
Mi troverai forse domani,
in un gomito di luce blu.

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