6.4.14

gite di primavera [ il 30 marzo 2014 Muse Man di Nuoro mostra di Robert Capa e fonte di Su tempiesu Orune ]






Il 30 marzo ho fatto una gita con il gruppo ( qui la pagina facebook aperta ) a Nuoro e Orune,  loro  famiglie  e  partner  comprese    . Lo scopo era vedere si il Museo Ciusa sia la mostra di Robert Capa al man . Per poi la sera il pozzo sacro di U tempiesu ad Orune . Alla fine ( salvo alcuni che hanno voluto fare a modo loro saltando il ristorante e mangiando un panino ) si è visto solo il man e il pozzo sacro .


Per chi capitasse al Ciusa di uoro ( maggiori informazioni per la logistica e i biglietti nel link sopra ) e vuole vedersi la bella mostra , oltre le collezioni di Ciusa , di Stanis Dessy, sotto maggiori dettagli  presi dal sito  del museo tribu\  ciusa  



                             STANIS DESSY, maestro del colore e delle tecniche

                                       20 Dicembre 2013 11 Maggio 2014






Venerdì 20 dicembre, alle ore 18:00, al TRIBU Spazio per le Arti - Museo Francesco Ciusa di Nuoro si inaugura, alla presenza del Sindaco di Nuoro Alessandro Bianchi e dell'Assessore alla Cultura Leonardo Moro, la mostra Stanis Dessy, maestro del colore e delle tecniche.

La mostra si propone di rileggere l’opera di Stanislao Dessy (Arzana 1900 - Sassari 1986) in una prospettiva antologica e originale. Se si è generalmente concordi nel considerare Stanis Dessy uno dei protagonisti indiscussi del risveglio artistico sardo del primo Novecento, con una fortuna critica che non gli è mai venuta meno nel tempo, è pur vero che questa mostra oltre a presentare diversi inediti, alla consueta scansione cronologica affianca una differenziazione per generi artistici che mette in risalto l’estrema versatilità dell’artista e la sua insaziabile propensione alla sperimentazione.
Un utile approccio didattico dunque, per capire la grande perizia tecnica di un maestro capace di spaziare dal disegno alla xilografia, dalle diverse prassi calcografiche all’acquarello, dall’olio alla scultura, ma senza perdere di vista quella lettura critica che privilegia l’individuazione di due fasi ben distinte nell’opera dell’artista: da un lato gli anni della sperimentazione, dal 1918 al 1928, dall’altro gli anni della maturità, dal 1930 in poi. I due periodi, diversi per qualità e quantità, trovano nell’incisione sia xilografica sia calcografica un elemento unificante e coerente. L’esposizione è ulteriormente percorsa trasversalmente da alcuni nuclei tematici che nel tempo hanno caratterizzato la produzione pittorica dell’artista, soprattutto gli autoritratti e i ritratti della moglie Ada e dei figli.
Essendo stato il TRIBU sede del vecchio Tribunale di Nuoro, in un omaggio alla sede, in mostra è presente la vasta tela della Giustizia, raro dipinto del 1940, realizzato e mai collacato nella Sala delle Assise del Tribunale di Sassari.
Una mostra nella mostra...
Uno spazio all'interno del percorso espositivo è dedicato al lavoro di Paola Dessy, figlia di Stanis essa stessa artista, colonna del gruppo avanguardista sassarese, che dagli anni Sessanta ha intrapreso una ricerca che l'ha vista coinvolta non solo nella pittura ma anche nelle arti applicate, in particolare nella ceramica.





Organizzazione: Associazione Stanislao Dessy, ILISSO Edizioni.

Allestimento: Antonello Cuccu
Catalogo: Ilisso Edizioni, testi di Caterina Limentani Virdis

Ma  ora  ritorniamo a   noi .

Questa mostra mi ha permesso  di  conoscere  anche un Robert Capa, diverso  dai suoi reportage  testimonianza di  cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d'Indocina (1954). E  di dibattiti politici  dell'epoca  : il discorso di Leon Trotsky, foto  realizzate senza autorizzazione
a Copenaghen nel 1932 , i  tumulti delle lotte operaie e del fronte popolare  nelle  elezioni  francesi del  1936
Capa documentò inoltre il corso della seconda guerra mondiale a Londra, nel Nordafrica e in Italia, lo sbarco in Normandia dell'esercito alleato e la liberazione di Parigi.Infatti non sapevo che  : 1)  avesse fatto  delle   foto  i ritratti realizzati al gotha  del cinema  a  e dell'arte  dell'epoca   ( da Gary Cooper a Ingrid Bergman, sua amante, da Truman Capote a John Huston, fino alle celebri immagini di Matisse e dell’amico Pablo Picasso.  dalle  classiche pose  , quasi intime  e  conviviali     ., 2  )  che  avesse  collaborato come  fotografo  ecome attore  in :   I 400 milioni documentario di Joris Ivens (1939) - direttore della fotografia ., Tentazione (Temptation) di Irving Pichel (1946) - attore .,  Notorius, l'amante perduta (Notorious) di Alfred Hitchcock (1946) - fotografo di scene ., Il tesoro dell'Africa (Beat the Devil) di John Huston (1953) - fotografo di scene .
Un  Capa che  riesce   a fare il carpe diem   dell'nimo delle persone e  degli eventi   . Un vero peccato che  sia morto prematturamente   a  41  anni nella guerra  d'indocina  . Lo so  che   gli eventi si vicono  e  non , se non a posteri  con un velo di nostalgia,  si raccontano    con Se o con Ma  , ma  mi  viene in  mente  questa  elucubrazione   chi sà come  Capa  avrebbe racontato  il vietnam . il 68-77 , l'89-92 . Sarà  perchè  a volte mi piace  fantasticare  \ imaginre  come un artista   ( ma  anche no )  avrebbero raccontato   ciò che accadese  fossero ancora  vivi  .
Una  mostra stupenda  ed istruttiva  .  Che  può essere   riassunta da  questa  frase  contenuta  sulla  parete  d'ingresso  alla sezione   delle foto parigine 




non riporto  le  foto della mostra  perchè  :  1) ho fotografato " clandestinamente "    solo le  più note  e quelle  che mi ricordano  la mia infanzia e lamia  gioventù  , cioè  il  volontario repubblicano colpito a  morte  dellla  guerra civile   spagnola  , il vecchio   che  indica  al solfdato americano appena sbarcato in sicilia  la  strada  da seguire  o  dove  si  sono  ritirati i tedeschi  , ecc  .   Foto      che potete trovare  in rete  oppure insieme ad  altre    su questo libro , che riporto sotto  a destra   (  che  poi   è salvo  4\5  in  più  il catalogo delle  foto in mostra  ancora  fino  al 18 maggio )  , chi le  vuole  le  trova  qui  in un mio post  su facebook  ., 2)   perchè ho fatto  sto cercando di fare   mio il consiglio di un amico  fotografo

Entrate in punta di piedi....non portate la macchina fotografica...godetevi appieno ogni singola immagine che Capa col suo lavoro ci ha donato .



Ci saranno scatti che vi emozioneranno , altri che vi turberanno....alcuni che non capirete perché magari necessitano di un po' di tempo per essere metabolizzati...visto l'argomento trattato! L'autore comunque , anche se ignaro, avrà raggiunto il suo scopo...quello di donare a ogni uno di voi un emozione. Il suo lavoro acquisterà un significato ancora diverso ma non per questo meno importante...
Buona mostra a tutti!






Dopo un   pranzo   mediocre  e  dal conto  un po' esagerato   per  la   quantità  non per  la qualità    ci siamo riuniti  e  ci siamo diretti alla  fonte  sacra   vedere  foto  sotto  )    ,  su tempiesu    :  

 http://www.sutempiesu.it/  riferimenti per  tenervi aggiornati    da cui    ho  preso le  news  sotto

  Esso si  raggiunge

1. Uscita Nuoro, poi seguire direzione Nuoro-centro o Nuoro-ospedale, infine innesto per la SS 389 Bitti-Orune (km 25).
2. Dalla SS 131bis: uscita diretta per Orune, poi SP 51 (km 12): percorso consigliato.


Loc. Sa costa ‘e sa binza, 08020 Orune (NU), SARDINIA
Coordinate GPS: 40° 24' 41" N - 9° 24' 34" E

Dal paese di Orune, seguire le indicazioni per ‘Fonte sacra Su Tempiesu’. La strada conduce direttamente al Centro Servizi della Cooperativa L.A.R.Co.


Dal Centro Servizi, dove è possibile parcheggiare l’auto, per raggiungere il monumento si percorre un Sentiero Botanico di 800 mt. in discesa (15 min).   Ne  vale  la pena  per  il suggestivo  panorama  che   si


vede  immerso  nel  bosco  e  nel verde  Per ritornare alla struttura ricettiva è necessario risalire per altri 800 mt. lungo un Sentiero Faunistico (30 min).
Ora  durante il percorso dal  centro servizi  alla  fonte   non ho scattato foto : 1) perchè non ero ispirato  , cioè mi sembravano i soliti paesaggi  sardi   visti e stra visti   sia dal vivo  che in foto  poi me  ne  son pentito  .perchè   come dice  Roberto Grafffi e  Franco Pampiro   mai dare  niente  di scontato  e   tutto  cambia  basta  osservare  senza  fissarsi  inschemi rigidi e  prestabiliti  2)  paura  di rimanere  i solato dal  gruppo  e odi far  aspettarte  gli altri  mentre  io  cercavo  di prendere  i parametri  ( diaframmi , tempi , ecc ) per  non  scattare  in automatico  .  Ecco quindi  che  riporto  foto  di due  miei   "  colleghi  "  del  corso    di   :   Giuseppe Goddi (  la  prima  )  ,


                                                            Giuseppe  Goddi

Antonio Asara

Ottima  la guida  


per  il monumento   ecco le mie  foto  (  non  complete perchè   c'erano sempre  davanti  gente  del gruppo  o loro   figli   ,  e perchè  la legge  sula privacy e  sula legge  della  pedofilia  non si  posso  divulgare  tali foto   anche se  poi  internet  specie  faceboook n'è  pieno  )  e


  e quelle  di  alcuni  mie colleghi di corso

                                                             tore  addis



                                                                Nicola  angioi



ecco invece le mie  





COSA HO IMPARATO A NUORO E ORUNE
  • Ho imparato che ci sono genitori che non nascondono gli orrori  della guerra, spiegano ai figli anche le immagini più drammatiche  come quelle  dei cadaveri  su un spiaggia  della Normandia  dopo lo sbarco  anglo -americano  o  altre  per far si che da adulti possano apprezzare la pace.
  • Che ci sono bambini e ragazzi che non vivono in un mondo virtuale, 
  • che sono curiosi e che sanno ascoltare le storie degli antenati.
  • Che c' è una nuova generazione di fotografi in erba molto bravi.
  • Che le storie arcaiche affascinano.
  • Che è emozionante la storia di Robert Capa, che ci sono uomini a cui agi e bella vita non riescono  a spegnere il fuoco delle passioni e a tenerli lontani da ciò che loro considerano una missione.
  • Che ci sono uomini che tutto hanno visto, ma non riescono a dimenticare la donna della loro vita.
  • Che anche nella guerra e nella tragedia si può amare e forse anche più intensamente.
  • Che ci sono fotografi che riescono a documentare la guerra in tutta la sua drammaticità senza però spettacolarizzarla e alla fine vedi tutte come vittime sia vinti che vincitori.
  • Che ci sono uomini che documentano la guerra per far amare la pace.
  • Che per entrare in sintonia e farti coinvolgere da ciò che vedi è preferibile il silenzio.
  • Che a volte è meglio non usare la macchina fotografica e ascoltare i luoghi e le immagini, che i ricordi non sono solo le foto, ma ciò che rimane nel cuore e nella mente. Infatti  a  vote  Non ce' macchina fotografica migliore dei nostri occhi e scheda SD come la nostra mente !!!
  • Che non è vero che viviamo in un mondo pieno di menefreghismo, esiste ancora la solidarietà e c'è gente disposta a sporcarsi le mani per offrire aiuto.
  • Che anche un imprevisto si può trasformare in un momento di ilarità se sei con le persone giuste.
  • Che una domenica passata in compagnia è più rilassante di una passata a casa a guardare la Tv. o a  sminchiare  al pc  

Il giovane centrocampista dell’Atalanta Primavera, Alberto GrassiCalciatore espulso per razzismo sconta la sua pena tra gli immigrati

in  sottofondo  
Francesco De Gregori - La leva calciStica della classe '68


 Su    http://www.dirittiglobali.it   foto  comprese , eccetto la  prima  scatata  con il  mio smartphone direttamente  da  repubblica  cartacea  .  trovo   questa  storia   presa  da  la Repubblica  5 aprile2014

Squalificato per aver detto “vu cumprà” a un avversario ghanese Il giovane centrocampista dell’Atalanta Primavera, Alberto Grassi, ha scelto di fare il volontario per dimezzare la punizione
PAOLO BERIZZI,

SORISOLE (BERGAMO) 
TRENTACINQUE giorni all’alba, e Franti sa che non può sgarrare. Dietro la lavagna della vita sta scoprendo che il centrocampo è popolato da «vu cumprà», però quelli veri. Senza tetto, giovani detenuti, drogati, malati di Aids e emarginati sbarcati a Lampedusa ai quali il reprobo adesso serve da mangiare e porta i vestiti che la gente imbuca nei cassonetti di raccolta. «Ho sbagliato, ma non sono razzista. Mai stato. Il compagno di squadra con cui mi trovo meglio è nero (Bangal, mozambichese, ndr) e mia madre ha tenuto a comunione una ragazza di colore. Che effetto mi fa stare qui? È una grande lezione umana, mi apre gli occhi e la testa», dice contrito mentre nel giorno delle presentazioni prende per mano Daniel che è rumeno e ha perso l’autosufficienza dopo aver tentato il suicidio in carcere inalando il gas di un fornelletto.
Franti è Alberto Grassi, 19 anni, bresciano di Lumezzane (la prima squadra di Balotelli professionista) anche se «ormai mi sento bergamasco dentro ». Centrocampista dell’Atalanta Primavera e dell’Italia Under19. Carriera in ascesa, con un prima e un dopo. Lo spartiacque è un insulto: «Alzati, vu cumprà!». È l’8 marzo: 44’ minuto del secondo tempo di Atalanta — Hellas Verona. Il destinatario dell’offesa è a terra e risponde al nome di Alimeyaw Salifù, ghanese, coetaneo di Grassi che è il mittente. Salifù non sente il garbato invito, l’arbitro sì. Risultato: Grassi espulso e mazzata del giudice sportivo. Dieci turni di squalifica per «insulto razzista». Passano pochi giorni e la punizione viene dimezzata (da 10 a 5 giornate). Grazie all’intervento di un sacerdote. È un prete di trincea, uno di quelli che, fuor di retorica, meritano la fama di «amici degli ultimi». Lui è don Fausto Resmini  (  sotto a destra  ) , cappellano del carcere di Bergamo e presidente del Patronato San Vincenzo. La comunità di don Resmini da vent’anni accoglie sulla collina di Sorisole, a 3 chilometri da Bergamo, disperati da ogni continente: soprattutto ragazzi.
Che c’entra il prete con Alberto Grassi? «Lo conosco da quando viveva alla Casa del Giovane (dove alloggiano i ragazzi delle squadre giovanili dell’Atalanta che vengono da fuori provincia, ndr). Quando lo squalificano gli scrivo una lettera e lo invito a venire da noi a svolgere un servizio socialmente utile», spiega Resmini (l’anno scorso il prete “rieducò” due giocatori degli Allievi che avevano postato su Fb un video blasfemo con al centro un crocifisso). Pronti. L’Atalanta, a cui la squalifica di Grassi era sembrata un’enormità ma che ha appena varato un nuovo codice etico, rinuncia a fare ricorso alla Corte di Giustizia Federale. Che dimezza la pena a Grassi perché il giocatore accetta di pagare dazio qui, nel girone degli ultimi. «È un’esperienza che mi servirà e che mi farà crescere — dice — . So che è una specie di castigo ma io non lo vivo così. Sono qui perché ho fatto un errore. Quel giorno ho detto una stupidata. Salifù mi ha insultato e io ho risposto in quel modo.


Non dovevo farlo». «Percorso rieducativo », lo chiamano. È il “dopo” di Alberto. Per De Amicis sarebbe Franti. Per don Fausto è un «ragazzo che non viene a sostituire qualcuno ma a liberarsi dal pregiudizio». La catarsi può iniziare. Sveglia alle 7.30: Grassi parte da Lumezzane, accompagnato dal padre. Alle 9 è in comunità. I suoi tutor si chiamano Roberto, Paolo e Fabio, sono tre educatori. Si comincia con la distribuzione del vestiario alle persone che vivono per strada e che vengono accolte nei container durante la
notte. Poi Alberto da’ la sveglia ai residenti. Sono i ragazzi che abitano e lavorano all’interno della struttura. Detenuti che scontano la condanna in regime alternativo, rifugiati, ex tossicodipendenti, malati, vittime di tratta. Coetanei scappati dall’orrore e la miseria di terre lontane. Come Tamer, 15 anni, egiziano: 5 mila euro agli scafisti per arrivare a Lampedusa, altri 300 euro per il treno e per conoscere l’indirizzo della Questura di Bergamo che lo manda qui. «Davanti alle storie di questi ragazzi capisci quanto sei privilegiato e quanto ancora hai da imparare dalla vita», dice Alberto. Che gliel’abbiano suggerito o sia farina sua, non importa. Conta di più leggere dentro i suoi occhi quando gli si fa incontro Daniel: il passo incerto, una tuta da meccanico, le parole che non escono. A 21 anni voleva farla finita col gas, si è salvato per miracolo ma adesso è come se avesse 2 anni. «Ha bisogno di assistenza continua, non puoi mollarlo un attimo», spiega don Fausto. Turnano accanto a lui i ragazzi della comunità, ora c’è anche Grassi. Arriva, lo saluta. «Ciao Daniel, come stai? Hai lavorato?», butta lì un po’ imbarazzato. È l’ora del girolaboratori: assemblaggio, serigrafia, rilegatoria. «I miei genitori mi hanno detto che ho sbagliato e che devo stare attento a quello che dico in campo. Io vivo per giocare a pallone, però qui dentro ti dimentichi di tutto, e ti fa solo bene». Famiglia umile, i Grassi di Lumezzane.
Lavoratori, gente onesta, quel figlio che a 16 anni è finito in Nazionale. «Esco sempre con l’amico di Balotelli, figuriamoci se sono razzista ». Per cinque settimane, dalle 9 alle 12, ogni martedì e mercoledì — i giorni in cui non si allena a Zingonia, il quartier generale dell’Atalanta — Alberto non solo sfamerà e vestirà i sans papiers che approdano a Sorisole. Andrà anche sul “campo”. Niente maglietta e pantaloncini. Il campo è la stazione della Autolinee. «Salgo sul camper della comunità e raggiungo quel posto che è la casa degli emarginati. Lì arriva gente disperata che chiede aiuto, cerco di rendermi utile come posso… ». Don Resmini fissa un concetto. «A Grassi chiedo di fare uno sforzo: stare in mezzo a queste persone e aprire lo sguardo. Capirà che cosa vuol dire essere “vu cumprà”… la fatica che si fa a vivere da straniero in Italia». La chiosa finale è un pezzo di contrappasso: il calciatore che si fece volontario. Dice Alberto: «Se prima avevo delle chance di esordire con la prima squadra (in serie A), adesso con questa storia me le sono giocate». Palla al centro. Chissà se finirà davvero così.



chi vivra'  vedrà 

4.4.14

"Certe parole fanno più male dei pugni ma ce l'ho fatta e ho sconfitto il razzismo" Domenico Spada, Di etnia rom , tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, si racconta. ,

musica  in sottofondo  Giorgio Gaber - Io non mi sento italiano

La sua storia rassomiglia a quella dei primi due film della serie Rocky . Una storia di rabbia , gavetta , lotta contro i pregiudizi e luoghi comuni presenti nel nostro linguaggio quotidiano oltre che mediatico basta vedere i commenti al suo gesto provocatorio   di  qualche  giorno  fa  : <<  Spada: "Salirò sul ring con la bandiera rom, niente tricolore e inno di Mameli".Per il match contro Rubio, valido per il Mondiale dei pesi medi, il pugile romano rinuncia per protesta ai simboli dell'Italia: "E' il terzo mondiale che faccio, e sempre all'estero. Mai una parola da un ministro dello sport, la federazione non sta dalla parte dei professionisti, e neanche la tv ha acquistato i diritti. Che combatto a fare per questo paese? alla  vigilia  dell'incontro di domani   qui maggiori dettagli 
Ora  per chi non avesse voglia di leggersi la  storia  di Domenico Spada  contenuta  in  questo bellissimo articolo intervista  su repubblica  dell'anno  scorso  trova  qui   sotto una sintesi  della   storia  in questione 


"Certe parole fanno più male dei pugnima ce l'ho fatta e ho sconfitto il razzismo"
Domenico Spada, tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, si racconta. Di etnia rom, mille mestieri, l'ombra della discriminazione sempre presente, ma anche un grande riscatto sul ring e nella vita, con l'apertura di una palestra tutta sua e un possibile futuro da attore. "L'Inno di Mameli che suona per gli altri è anche il mio, darò il titolo del mondo all'Italia" 
Domenico  Spada 
Lo sguardo determinato non lascia spazio a movimenti delle palpebre, tipico di chi guarda avanti, concentrato sull'obiettivo, sempre deciso a saltare gli ostacoli. E Domenico Spada, uno dei pochi pugili in grado di dare lustro al panorama professionistico italiano, di ostacoli ne ha dovuti scavalcare parecchi prima di affermarsi come pugile e come uomo. A febbraio dovrebbe vedersela con il messicano dal pugno di pietra Marco Antonio  Rubio (50 ko su 58 incontri vinti) per il Mondiale ad  interim dei medi : "Rigorosamente all'estero, in Italia è difficile organizzare un match di quel livello, è difficile reperire soldi". In alternativa, il suo manager Franco Cherchi potrebbe offrigli una chance europea contro l'ucraino Maksim Bursak. L'asta per il match è fissata per metà dicembre.

Domenico  spada  a    sinistra  
All'estero. Perché Spada come pugile ha già dato tanto all'Italia, ricevendone in cambio poco. Si è battuto due volte per il titolo del mondo dei pesi medi, non accadeva dai tempi di Vito Antuofermo, il Paisà che fu capace di resistere quindici round all'assalto del 'meraviglioso' Hagler nonostante il volto devastato (ci vollero 33 punti di sutura). Ha perso entrambe le volte ai punti, non senza recriminazioni, contro il tedesco Zbik, ma è dovuto andare nella tana tedesca dove se non si vince per ko è tosta strappare il verdetto. Stesso discorso quando è andato in Inghilterra per l'Europeo: Barker è un bel pugile, ma l'arbitro gli ha dato la possibilità di fare ostruzionismo, poi i tre giudici hanno fatto il resto.

In attesa di cogliere l'attimo fuggente in chiave iridata, Domenico si è anche dedicato a prendere a calci le discriminazioni, lui che è di etnia rom. E non sono stati isolati gli episodi su qualche brutta frase riferita alle sue origini.
"Non mi piace la gente ignorante, irrispettosa delle culture degli altri. Quando sento pronunciata con rabbia, abbinata alla volgarità, la parola 'zingaro', quel tono dispregiativo, non ci vedo più dalla rabbia. Sono parole che fanno più male dei pugni".

Anche perché essere rom non significa essere delinquente...

"Io in vita mia non ho rubato nemmeno un centesimo. Ho preso la licenza media, poi prima di fare la boxe a livello professionistico ho fatto di tutto. Dal pasticciere al muratore, al parrucchiere".

Il parrucchiere?

"Si, ha capito bene, ma non tagliavo i capelli, ero shampista... Ho sempre cercato di aiutare in tutti i modi la mia famiglia. Io, i miei genitori, papà faceva il muratore, e cinque sorelle. Tutti in un appartamento di 40 metri quadrati. Va anche detto che nella nostra cultura, ma questo aspetto sta cambiando, le donne non lavorano. Quindi il peso economico della casa era tutto su me e mio padre. In casa e non in roulotte? Altro luogo comune, nella roulotte non ci ho vissuto un giorno in vita mia".

Si batte contro lo stereotipo del pugile violento, senza cultura, che fuori dal ring non riesce ad affermarsi

"Certo, basta. E' come la questione del rom sul ring. Viene strumentalizzata, l'inno di Mameli che suona per i calciatori è lo stesso che viene eseguito prima di un incontro titolato. La mia famiglia ha dato tanto alla bandiera. Tra i miei cugini Michele Di Rocco è attualmente campione d'Europa, Pasquale Di Silvio è stato
campione italiano, Romolo Casamonica ci ha rappresentato alle Olimpiadi".

Ma torniamo al fatto della strumentalizzazione

"Sì, le cito qualche nome. Il grande Charlie Chaplin, la bella Rita Hayworth, il carismatico Yul Brinner, Andrea Pirlo, Joquim Cortez. Sono tutti di etnia rom, ma nessuno lo sottolinea. Poi magari sali sul ring, e tutti a ricamarci... La mia gente è partita dall'India tanti secoli fa, ma ormai sono 600 anni che siamo in Italia. Mio nonno Alizio ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, è stato prigioniero per anni, insomma...".

Ma la grande risposta è l'apertura di una palestra tutta sua

"La Vulcano Gym, a Santa Maria delle Mole. L'ho aperta anche grazie all'aiuto dei miei genitori. Ci vengono pugili amici, ma anche e soprattutto tantissimi amatori. Avvocati, dottori, studenti, tanta gente che vuole mantenersi in forma e ama quel grandissimo sport che è la boxe".

Vulcano è il suo nome di battaglia, chi glielo ha dato?

"Me lo ha dato il padre del romeno Simon. Da dilettante avevo sconfitto il figlio ma lui era rimasto colpito dal mio modo di combattere".

Da dilettante come mai non è andato alle Olimpiadi?

"Avevo vinto il titolo italiano nel 1999, poi feci quattro tornei vincendone tre, battei il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le Olimpiadi di Sydney, il ct di allora, Patrizio Oliva, scelse Di Corcia".

E come andò a finire?

"Di Corcia fu battuto da Simon, proprio lui...".

A proposito di dilettanti, che pensa di Russo e Cammarelle, agli onori della cronaca spesso più di lei?

"Non voglio fare polemica, ma restando dilettanti saranno sempre pugili incompleti. Stanno facendo come facevano i pugili sovietici o come fanno i cubani: prendono lo stipendio dallo stato (azzurri quasi tutti nelle forze armate, ndr) e non passano prof. Certo, vanno alle Olimpiadi e quindi la federazione pugilistica li tutela, ma non va dimenticato che anche noi professionisti quando combattiamo per un titolo le tasse alla Fpi le paghiamo eccome...".

Nuova provocazione. Altri pugili, a nostro avviso non al suo livello, hanno avuto chance più importanti sul ring della Capitale

"Provocazione che raccolgo volentieri. Nella precedente amministrazione comunale, nel mio sogno di combattere per il titolo a Roma, ho avuto quattro anni di promesse puntualmente disattese, chissà perché... (ghigno). Ora spero che con il sindaco Marino cambi qualcosa".

Qualcuno dice che lei ha la faccia d'attore?

"Sicuramente la pensa così Aureliano Amadei, il regista di '20 sigarette'. Con lui ho girato un documentario che si intitola 'L'incontro della vita', stiamo attendendo che possa venire distribuito, questione di fondi".

Dunque le piacerebbe lavorare nel cinema?

"Perché no. In fondo la passione per il cinema è un po' una tradizione di famiglia. Da bambino ho partecipato al film di Sergio Rubini 'Il viaggio delle sposa'. Parecchi miei parenti hanno avuto parti con Sergio Leone, Pier Paolo Pasolini. Sono stati accanto ad attori come Marcello Mastroianni e Alberto Sordi".

Visto che ha sempre denotato una certa precocità, il piccolo Spada è subito salito sul ring?

"No, ma ci ho messo poco per capire la strada maestra, visto che già dai novizi primeggiavo. In precedenza ho provato a giocare a pallone con una società oratoriale, la Juvenilia 88, ma non era cosa per me".

Altra curiosità, Spada nelle vita privata?

"Sto da anni con Claudia che presto sposerò, abbiamo tre figli maschi".

E se uno dei tre volesse diventare pugile?

"Non mi opporrei, anche se mi piacerebbe una società più meritocratica, ma qui non parlo solo di boxe. Vorrei andasse avanti chi lo merita, con le proprie forze. E' una società ideale, lo so. Ma io ci credo".

3.4.14

Dipinse un muro in strada, writer di San Sperate assolto a Milano Il giudice ha stabilito che i graffiti di “Manu Invisible” sono arte e non vandalismo


Il graffito in una strada di Cagliari

Sentenza storica quella depositata qualche giorno fa dal Tribunale di Milano a proposito di street art e vandalismo: il giovane writer sardo Manu Invisible è stato assolto dall’accusa di vandalismo perché il suo graffito realizzato illegalmente in una strada milanese è considerato un’opera d’arte.
Con questa decisione crolla così per la prima volta il pregiudizio che accosta arte di strada e degrado: il giudice dell’VIII sezione del tribunale di Milano ha ricordato che il graffito era realizzato con l’intento di abbellire il muro di una strada periferica, già sporco e in degrado, e soprattutto riconosciuto il valore artistico dei lavori di Manu Invisible.
Il giudice ha assolto con formula piena il giovane di San Sperate che in quegli anni viveva nel capoluogo lombardo. Manu, 23 anni, era stato fermato dalla polizia la notte del 20 giugno 2011 quando dipingeva sul muro di via Piranesi. Il graffito rappresentava un paesaggio notturno milanese ma è rimasto incompleto a causa della denuncia e oggi è quasi completamente cancellato dalle scritte di altri writer.

aggiornamento de4l caso di bullismo ad olbia oggi dovrebbe incminciare a lavorare in officina


fai del bene con il cuore ed senza aspettare niente in cambio, dare vuol dire umanità'..la colpa della povertà e la ignoranza ed indifferenza nostra..


 qui la  vicenda
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/04/olbia-bullismo-al-panedda-spara-in.html
 da la nuova sardegna  , eccetto il video  ,  del  3.4.2014  cronaca di Olbia-Gallura

OLBIA. Comincia oggi la lezione di vita per il ragazzo terribile dell’istituto tecnico Panedda. Questa mattina il 15enne che ha sparato a una compagna di classe con una pistola a pallini, entrerà nell’officina del padre della ragazza di 14 anni ferita. Ieri il dirigente scolastico della scuola di via Mameli, Gianni Mutzu, ha accettato la richiesta dell’uomo, condivisa anche dalla famiglia dell’adolescente turbolento. Il meccanico aveva rinunciato a sporgere denuncia contro il feritore di sua figlia. In cambio aveva voluto dargli una possibilità di riscatto. Dal momento che il ragazzino è appassionato di auto e motori, ha pensato di insegnargli i segreti del mestiere. Una scelta nata dal cuore.Resta invece confermato il provvedimento disciplinare disposto dalla scuola. Dieci giorni di sospensione che mettono a rischio l’intero anno scolastico dell’alunno. 

Ma anche in questo caso il babbo della ragazza ferita ha mostrato tutta la sua bontà. Se il 15enne, per cinque giorni si comporterà bene e dimostrerà di voler provare a essere una persona migliore, il dirigente valuterà se ridurre il tempo della sospensione. Il compromesso è arrivato dopo oltre due ore e mezzo di confronto serrato tra l’uomo e il preside. Alla fine Mutzu ha dato l’ok. Il meccanico dovrà però vigilare sul comportamento del ragazzino e tenere costantemente aggiornata la scuola. Nel caso in cui non mantenesse fede agli impegni, l’accordo salterà.Ieri il padre dal cuore d’oro ha tirato a lucido l’officina. Ha sistemato macchinari e strumenti di lavoro in modo che l’adolescente ospite non si faccia male. "Spero davvero di vederlo in officina questa mattina – commenta il meccanico –. Questa è una occasione per cambiare e io voglio crederci".Rientrerà invece a scuola oggi la ragazzina ferita con i pallini. Michela (nome di fantasia) ha deciso di anticipare il ritorno in classe. Dopo essere stata colpita al polso e alla coscia durante la seconda ora di lezione, la ragazza aveva raccontato l’episodio all’insegnante e poi al dirigente scolastico. Il padre, arrivato subito a scuola, l’aveva accompagnata al pronto soccorso. I medici la avevano visitata e le avevano assegnato due giorni di malattia. Ma Michela ha voglia di voltare pagina, di ricominciare la sua vita fatta di studio, amici e spensieratezza.

2.4.14

quello che sei lo scopri solo quando capisci a cosa hai scelto d'appartenere


Olbia .bullismo al Panedda Spara in classe con la pistola giocattolo ala compGNA e il padre della ragazza non lo denuncia ma gli offre la possibilità di riscattarsi lavorando nella sua officina

un , come dicevo dal titolo , buon gesto  per   sconfiggere i bullismo  . Non solo repressione  
  da la nuova  Gallura  edizione  Olbia-Gallura  del  2\4\2014
di Serena Lullia 

OLBIA Appena 15 anni, ma arriva a scuola con una pistola giocattolo. 
l'istituto panededda  
E spara pallini di gomma contro una compagna di classe. Lei finisce in ospedale, i medici le danno due giorni di cure.
il braccio  della  ragazza
Lui viene sospeso e rischia una denuncia. Ma l’atto di bullismo si conclude con una lezione di vita. Il padre della ragazza non sporge denuncia. Decide di aiutare il ragazzino che ha ferito la figlia di 14 anni. Il babbo di Michela (nome di fantasia) vuole dare al 15enne la possibilità di riscattarsi. La sera, dopo la scuola, lo porterà con lui al lavoro. L’uomo è proprietario di una officina, il ragazzo è appassionato di meccanica. Per il turbolento adolescente una lezione di vita. Molto meno morbida la decisione della scuola in cui frequenta la prima classe. Il tecnico Panedda ha sospeso il 15enne per 10 giorni. Un provvedimento severo, che mette a rischio l’intero anno scolastico. Il ferimento di Michela avviene durante la seconda ora, quando è in corso la lezione. Il ragazzino arriva in classe con una pistola che spara pallini di gomma. L’arma giocattolo è una fedele riproduzione di quelle vere. Lo sparo viene accompagnato da uno scoppio rumoroso. I proiettili sono pallini di gomma spessa. La pericolosità della pistola viene confermata anche dalla polizia. Il primo colpo viene sparato tra la prima e la seconda ora. Michela viene colpita al polso destro. La ragazza reagisce con una occhiataccia e un invito al compagno di classe a non farlo più. Scatta la seconda ora di lezione. La professoressa è in classe. C’è un po’ di confusione, gli alunni sono più di 20. Il 15enne dice a Michela di abbassare la voce perché il tono, a suo dire troppo alto, lo infastidisce. Poi prende la pistola, la sistema sotto il banco e prende la mira.
un immagine  simbolo  
 Il pallino di gomma centra la coscia di Michela. La ragazza non intende sopportare ancora gli atteggiamenti da bullo del compagno. Chiede l’intervento dell’insegnante. Poi va nell’ufficio di presidenza. Denuncia il fatto e come prova del suo racconto porta il pallino di gomma che l’ha ferita. Michela avvisa anche il padre, che si precipita al Panedda. Interviene anche la polizia locale. La ragazzina viene accompagnata al pronto soccorso. I medici, dopo averla visitata, le danno due giorni di cure. Babbo e figlia ritornano a scuola. L’uomo vuole capire bene cosa sia successo, parlare con il dirigente, capire come è possibile che a scuola si possano portare delle armi, anche se giocattolo. Nel frattempo la classe di Michela sta uscendo dal Panedda per l’ora di educazione fisica. Il ragazzino getta la pistola nel cassonetto della plastica e poi cerca di fuggire. Il meccanico lo ferma e prova a parlarci, senza troppo successo. Alla fine della mattinata Michela e il padre si incontrano con la famiglia del ragazzino davanti agli uomini della polizia, in commissariato. Ci sono gli estremi per la denuncia. Ma il babbo di Michela ha un cuore grande. Parla con il 15enne che ha ferito la figlia, prova a fargli capire che il gesto che ha fatto è sbagliato. Il ragazzo scoppia in lacrime, piange, chiede scusa, abbraccia Michela. Da qui la decisione dell’uomo. «La denuncia non servirebbe a nulla e lo rovinerebbe – dice l’uomo –. Non mi piacciono queste cose. So che è un appassionato di meccanica, io ho un’officina. Lo porterò con me dopo la scuola, gli spiegherò il mestiere. E chiederò anche al preside che revochi il provvedimento disciplinare nei suoi confronti». 
Infatti , continua  l'articolo  , La rabbia ha ceduto quasi subito il posto alla ragione, ai sentimenti. Il padre di Michela ha pensato a cosa fosse meglio per i due adolescenti. Una vita davanti, una strada difficile da percorrere, l’adolescenza, piena di grandi cambiamenti. «Non me la sono sentito di sporgere denuncia – racconta l’uomo –. Di certo con quella pistola qualcuno si poteva fare molto male. I poliziotti l’hanno provata. Un’arma grande, molto simile a una vera. Ogni volta che parte il colpo si sente un rumore molto forte, uno scoppio. Impossibile non sentirlo». L’uomo è convinto che la vera lezione per il ragazzino turbolento non sia nè una denuncia, nè la sospensione. Ma i dirigenti del tecnico Panedda, dopo aver valutato la gravità dell’episodio, hanno deciso di applicare una sanzione disciplinare molto severa. Dieci giorni di sospensione. Un provvedimento pesante, che potrebbe compromettere l’anno scolastico del ragazzino. Di certo quanto accaduto ieri mattina apre anche una riflessione. Come sia possibile portare a scuola un’arma, anche se giocattolo.

1.4.14

gite di primavera 23.3.014 giornata Fai a Perfugas

Con il post   d'oggi  , cercando ulteriormente    di   : ridurre  e  d  incanalare  in qualcosa  di costruttivo la mia logorrea e  prolissità  ,  di  provare  ad essere più sintetico  . Riassumo  almen con  le foto  fatte  con il cellulare  , in quanto come mio solito  , mi lascio   nel pc la scheda della macchina digitale  . 

le news  sono tratte  da  
Mentre le  foto  sono del sottoscritto

Visto  l'incertezza  del tempo  , la fissazione (  ma   bisogna   capirlo   sono  vecchi  70 mamma 73 babbo  )  non volevano   andare  in greffa  o  lo cose  organizzate  , siamo andati di  sera  quindi abbiamo visto  le visite  guidate   a  :



CHIESA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI – RETABLO DI SAN GIORGIO




Il Retablo di San Giorgio è il più grande della Sardegna ben cinquantadue tavole. E’ stato dipinto da un anonimo nel XVI secolo, costituisce la quinta di sfondo delle opere esposte nel Museo Diocesano di Arte Sacra, allestito nella cappella del Retablo di San Giorgio, nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria degli Angeli a Perfugas.



POZZO SACRO DI PREDIO CANOPOLI

 databile alla fine del Bronzo medio, Bronzo recente, Bronzo finale, età del Ferro; è ubicato nel centro storico di Perfugas, nell’area antistante la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Il pozzo sacro deve il nome al proprietario dell'orto nel quale nel 1924 venne ritrovato: tale a Domenico Canopoli.


al Il museo, realizzato grazie all’attività di censimento e scavo di siti archeologici del territorio di Perfugas, si compone di una sezione paleobotanica e una archeologica.Ma Abbiamo perso l'evento collegato la Mostra di arte grafica “la Sardegna di Giuseppe Biasi”; mostre su cultura e tradizioni locali


per conto nostro , abbiano visto l'antica parrocchiale di S. Maria de Foras,con relativo porta  santa   \  portale delle    indulgenze   chiesa romanica originariamente mono navata restaurata di recente. La sua costruzione è attestata da un'epigrafe del 1160. Di particolare pregio è il monumentale portale dicromo, costruito con blocchi bianchi e rossi disposti a scacchiera, che è il più antico dell'isola. Da questa chiesa proviene l'altare ligneo del 1750 attualmente collocato nel presbiterio della chiesa parrocchiale. ma abbiamo trovato una guida della Società “Sa Rundine” mentre le altre due Visite guidate a cura degli Apprendisti Ciceroni®: Scuola Media statale “Sebastiano Satta”










Il bellissimo museo archeologico .Il museo, realizzato grazie all'attività di censimento e scavo di siti archeologici del territorio di Perfugas, si compone di una sezione paleobotanica e una archeologica. E quato  èsolo una parte  dei reperti  viosto che  ci sono ancora  quasi  5 mila casse in magazzino non esposte  per mancanza  di spazio e di fondi per  allargare il museo  .  Poiché avevo poca  batteria nel cellulare e le teche da fotograre erano molte preferisco riassumerlo cosi : Affinché il tempo non cancelli il lavoro degli uomini e che i grandi risultati raggiunti non cadano nell'oblo ( erodoto )

anche i portoni e le finestre , poggioli , hanno una storia da raccontare


da  https://www.facebook.com/franco.pampiro

Per secoli sono stati il centro della vita attiva delle nostre città, ma nel volgere di pochi decenni hanno subito un progressivo spopolamento e un veloce degrado. Sono i centri storici di molte aree del nostro Paese che, a causa di una politica che negli ultimi 40-50 anni ha favorito la cementificazione delle periferie con la creazione di quartieri dormitorio e lo spostamento delle attività commerciali e artigianali ai margini dei centri abitati, sembrano inesorabilmente destinati al totale abbandono. Dove una volta sorgevano abitazioni, negozi e botteghe ora è facile incontrare solo porte chiuse.
In questo progetto presento alcuni scorci di vecchi edifici abbandonati di Tempio Pausania, posti a poche decine di metri dai bar e dai negozi delle vie principali.
In mancanza di interventi mirati di recupero, nel volgere di pochi anni molti rioni potrebbero subire ulteriori danni determinando la perdita di parti importanti del nucleo storico della città.
L'ultima immagine vuole rappresentare la speranza che le nuove generazioni possano dare un impulso per riaprire queste porte chiuse contribuendo anche alla riscoperta delle proprie radici e tradizioni.
Questa la didascalia che accompagnava le mie foto presentate a Sardegna Reportage

Giulia Ghiretti l'altra pellegrini del nuoto di cui i media embed non parlano o a malapena gli dedicano due righe





Una nuova Pellegrini peccato che la sua storia sia quasi del tutto ignorata come dicevo nei titolo , dai media embed pieni oltre che di faziosità evitabile di notizie edulcorate , pettegolezzi , ecc . 
da Swim4life del Giovedì 06 Marzo 2014 14:37
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Scritto da Paco Clienti


Decisa, forte e senza paura, ecco chi è Giulia Ghiretti!
La parmigiana è uno degli astri nascenti della nazionale paralimpica.




Giulia Ghiretti, 20enne da meno di un mese, parmigiana d’origine, milanese di adozione dopo essersi in parte trasferita nella città della moda per seguire il percorso universitario alla facoltà di Ingegneria Biomedica, era una ginnasta. Poi nel 2010, all’età di 15 anni, l’incidente durante un allenamento al trampolino elastico. Giulia cade e si rompe una vertebra, infortunio che le fa perdere l’uso delle gambe. Ma lei non si è fermata nemmeno per un istante, ha continuato a vivere la sua vita come se nulla fosse accaduto, con quel sorriso raggiante che illuminerebbe chiunque, attraverso il quale mostra ogni volta quanto sia gioioso vivere la vita. Ha voluto continuare a praticare l’attività agonistica, perché le mancava l’adrenalina delle gare. Si è tuffata quindi nel nuoto, dove ha continuato ad essere ciò che era prima, a fare ciò che faceva, competere nello sport! Ad oggi detiene i Record Italiani nei 50 dorso, 100 rana e 100 misti in vasca corta e 50 dorso e 100 rana in vasca lunga. Ad agosto 2013 ha preso parte al grandioso Mondiale Paralimpico per l’Italia che si è svolto a Montrèal, dove la Ghiretti ha conquistato una medaglia d’argento nella storica staffetta 4x50 stile libero ottenuta dalle Azzurre alle spalle dell’Ucraina ed ha partecipato a tre finali individuali su quattro, nei 50 dorso classe S5, nei 200 misti classe SM5 nei quali tra l’altro è stata protagonista di una esaltante rimonta, passando dalla settima alla quarta posizione e nei 100 rana classe SB4, dove è giunta al sesto posto dopo che in batteria aveva strappato il nuovo Record Italiano segnando 2’07”31!
Dopo le sue eccezionale vittorie, in vasca e fuori dalla vasca, nella vita di tutti i giorni, Giulia è diventata un esempio da seguire, una persona alla quale ispirarsi, una “insuperabile”.
Recentemente è stata testimonial dell’attività di promozione dello sport paralimpico a Parma, in occasione
della manifestazione Abili per lo sport e poi ospite della rassegna di film e documentari Senza capo né coda che si è tenuta presso il teatro comunale di Felino, dove sedevano tra gli altri anche i giovani nuotatori del Nuoto Club Parma ’91. Oggi è insieme a noi di Swim4life per raccontarci un po’ di lei, un po’ di Giulia Ghiretti.

Iniziamo subito dai Campionati Italiani Invernali disputati a Como. Sei soddisfatta dei riscontri ottenuti? 

«Si, molto, soprattutto nei 200 misti, sono molto contenta anche perché stiamo lavorando tanto ed eravamo tutti curiosi di cosa poteva venir fuori da questi Campionati Italiani e siamo rimasti molto soddisfatti di come è andata la gara. Anche nei 50 dorso sono rimasta contenta in quanto era dai Mondiali di Montrèal che non riuscivo più ad andare tanto bene.»

A Como hai ritrovato il ritmo giusto quindi.

Si, ho ritrovato un po’ di smalto.»

Quali sono gli obiettivi per questa stagione?

«Non lo so nemmeno io, sicuramente fare bene e migliorare.»

Troppo facile questa risposta, sembra quasi tu non voglia dire ciò a cui punti veramente.

«Troppo difficile la domanda – risponde sorridente la Ghiretti - No a parte gli scherzi, voglio far bene agli
Europei dove voglio conquistare le finali, poi si vedrà.»

Magari un’altra super staffetta anche a Eindhoven.

«Mi piace molto la staffetta perché tra compagne ci si stimola l’un con l’altra, è fantastico!»

Adesso facciamo un salto nel tuo passato che è da ginnasta. L’avventura nel mondo del nuoto è iniziata circa tre anni fa, a seguito di un incidente che si è verificato mentre ti allenavi al trampolino elastico. Cosa ti ha spinto a voler iniziare subito l’avventura in vasca?

«Essere in competizione era una cosa che mi mancava, già da quando ero in ospedale, non riuscivo a starne senza. In acqua era l’unico posto dove non si doveva stare seduti su una carrozzina e quindi ho deciso di nuotare.»

Quali cambiamenti più significativi hai dovuto accettare dopo l’incidente?

«Più che cambiamenti, si trattava di adattarsi. In effetti si tratta solo di trovare un modo diverso per fare le cose.»

Cosa ti ha dato il nuoto in un momento di forti cambiamenti per ciò che ti era capitato?

«Iniziare a nuotare è stato per me molto naturale, non si trattava nemmeno di ripartire, ma continuare ciò che facevo già, ciò che ho sempre fatto. Com’era la mia vita prima, così doveva continuare ad essere dopo e il nuoto ha fatto si che così fosse.»

Cosa provi quando sei in acqua?

«Mi sento bene, mi sento libera! Sei tu con tutto il tuo corpo! Non hai una carrozzina, non hai limiti.»


Cosa provi e cosa pensi invece quando tocchi la piastra ed il tabellone cronometrico ti mostra il tuo personale?

«Appena arrivo mi viene sempre di alzarmi e guardare il tabellone. Gli ultimi metri sono sempre i più duri, ma anche i più belli. Poi guardo il cronometro e mi viene da sorridere per ciò che sono riuscita a fare.»

Sei una nuotatrice agonista da poco, ma nonostante questo sei arrivata già in nazionale e ad agosto 2013 hai partecipato al tuo primo mondiale prendendo parte alla gloriosa spedizione Azzurra di Montrèal. Cosa hai provato quando è arrivata la convocazione?

«Ero molto contenta, anche perché dopo poco tempo che nuotavo, avendo notato che i tempi ce li avevo, ci ho provato e sono riuscita ad arrivare dove sognavo di arrivare. Ricordo che il giorno in cui arrivò la chiamata, stavo studiando in preparazione della maturità che avrei dovuto a affrontare di lì a poco. Poi il cellulare prese a squillare, era il tecnico Riccardo Vernole e allora smisi subito di studiare e speranzosa mi dissi “adesso vediamo cosa mi deve dire”. Quando ho attaccato il cellulare ero molto felice perché si trattava per me di una grande conquista, una conferma del lavoro fatto e quindi una grande soddisfazione, energie che poi mi hanno permesso di avere una gran voglia di far bene!»


E infatti nonostante fosse il tuo primo mondiale, non ti sei fatta prendere dall’emozione, dimostrando da subito un grande carattere ed una grande preparazione mentale nell’affrontare una competizione di così alto livello, dote da vera campionessa. Come ti sei preparata fisicamente e mentalmente per affrontare così bene un evento così importante (nella foto a destra la staffetta vice campione del mondo a Montrèal)?

«Bè l’emozione c’era ed era anche tanta, però poi ho affrontato il Mondiale trasformandolo in una gara qualunque, senza pensare che fosse un Mondiale, pensando solo di andare a competere per fare il meglio che potevo.»

Quindi hai realizzato un nuovo record italiano e conquistato un argento con la staffetta 4x50 stile libero, risultati eccellenti al tuo primo Mondiale, in scioltezza?

«Si, tutto senza pensarci troppo.» – risponde sorridendo la Ghiretti.

Lo sai che sei entrata per sempre nella storia del nuoto paralimpico italiano vincendo quell’argento con la staffetta ai Mondiali?



«Si, l’ho scoperto dopo! Per me è comunque tutto un mondo nuovo, ma la gioia è stata ugualmente tantissima.»

Della tua avventura di Montrèal, cosa ricordi con più nostalgia?

«Il freddo me lo ricordo bene perché è stato qualcosa di allucinante! A parte le battute, si è creato davvero un bel gruppo insieme a tutti quanti, siamo stati molto bene, ci siamo affiatati e sono sicura che questo ha fatto si che poi venissero fuori risultati importanti per tutta la squadra.»

Come trascorri il tuo tempo fuori dalle vasche? 

«Adesso sto seguendo Ingegneria Biomedica alla facoltà dell’Università di Milano dove vivo per tutta la settimana, tornando a casa a Parma dai miei solo nel fine settimana. È stata una decisione che ho preso un po’ all’ultimo momento e quando l’ho comunicato ai miei, non sono stati proprio entusiasti di questo distacco.»

Cosa sogni per il tuo futuro?
«Sicuramente laurearmi, poi si vedrà. Non sogno di fare qualcosa in particolare, mi piaceva questo percorso di studi perché volevo seguire comunque qualcosa di scientifico ed ho deciso di intraprenderlo, ma senza particolari obiettivi futuri.»

Pensi che il nuoto farà sempre parte della tua vita?

«Si, assolutamente. Una vita senza il nuoto, oggi, non riesco ad immaginarla!»

Come convivi invece con la tua disabilità nel quotidiano?

«Affronto e vivo giorno per giorno quello che viene. Fortunatamente la mia famiglia mi è sempre vicina e quando voglio fare qualcosa, troviamo insieme il modo per farla. Non ci siamo mai fermati davanti a niente.»
Cosa diresti a chi come te si ritrova ad affrontare una disabilità fisica?                                          «Di non fermarsi mai, perché un modo per fare le cose c’è sempre.»

Il nuoto per te in una parola?

«Divertimento! Se non ti diverti, non vai avanti e questo vale per qualsiasi cosa!»