2.4.21

A Olbia la sfida di Natalie Belli, 22 anni: la sua barberia apre nel cuore della città. «Un vero salotto “vittoriano” all’insegna dell’esclusività e della sicurezza»

recentemente ad Olbia è stata inaugurata una nuova barberia più precisamente la


 

 Ora ci si chiederà , embeh .... che c'è di strano è solo qualcuno coraggioso o incosciente ( dipende dai punti di vista da : << [...] Da che punto guardi il mondo tutto dipende \Dipende, da che dipende,\Da che punto guardi il mondo tutto dipende [..] cit) che in tempo di pandemia apre un attività lavorativa ? . Beh il già il fatto d'aprire in piena ( o fase calante secondo alcuni ) epidemia è un evento . Ma il fatto speciale per gente normale normale per gente speciale è che ad aprire l'attività che il tabù ( quasi sessista e misogeno ) italiano considera che a tagliare i cappelli ad uomo siano solo gli uomini e considera strano \ stravagante che a farlo sia una donna , sia appunto una ragazza .
Essa si chiama , da quanto riferisce il suo sito  https://bellisbarberolbia.com/ ( da cui ho tratto foto e parte delle news )
Natalie Belli, titolare del salone, è nata il 25 Giugno 1998. Durante la sua crescita segue le orme della mamma parrucchiera, pe   poi ottenere anche lei la qualifica professionale.

Per proseguire la sua formazione Natalie decide di trasferirsi a Londra,
dove ottiene la specializzazione di barbiera.
Oggi, grazie all’esperienza maturata è riuscita ad aprire la propria attività di barbiere e parrucchiere per uomo ad Olbia.
Il logo del salone  (  vedere sopra   )   è rappresentato da una rosa che indica il mese di nascita di Natalie. Perché di colore nero vi chiederete ? La rosa nera ha un significato positivo: rappresenta l’inizio di nuove cose e grandi cambiamenti, ispira fiducia nella nascita di una nuova era portatrice di speranza e coraggio.
Il cognome Belli nel passato veniva usato come soprannome per indicare un bell’uomo, deriva dalla parola francese Beau ed è stato adottato a nome del salone perché il suo significato è appropriato allo scopo di Natalie, ovvero, rendere ogni cliente più bello.


Belli’s Barber Parlour è stato ispirato dalla fine del 19esimo secolo, periodo di grandi cambiamenti per il mestiere di barbiere, il quale utilizzando la sua abilità e determinazione ha spianato la strada al barbiere di oggi, focalizzando il lavoro nella cura dei capelli, della pelle e facendo apprezzare agli uomini la cultura di essere curati . Infatti    dalle  foto    del  locale    vedere  articolo   sotto  della  nuova  sardegna
Anche l’attenzione ai dettagli interni dei saloni iniziò a cambiare prestando maggior cura all’arredamento e alle comodità.  Il salone diventò uno spazio sociale dotato di ambienti confortevoli e rilassanti..Belli’s Barber Parlour è una combinazione tra tecniche tradizionali e nuove: offre un’alta qualità di servizi, riserva particolare attenzione all’igiene ed alla sicurezza, utilizza prodotti di elevata qualità in grado di dare benefici alla cute ed ai capelli.Infatti  come  dice   ella  stessa  nel  suo  sito   :   Con una sola postazione lavoro Belli’s Barber Parlour garantisce un’esperienza unica e di lusso, unendo lo stile alla funzionalità. Pulizia e precisione sono essenziali, queste vengono garantite dall’esperienza formativa di Natalie Belli e dall’utilizzo di prodotti disinfettanti ad alta efficacia prima di ogni servizio, da asciugamani e da mantelle taglio con utilizzo monouso.





Potrai rilassarti in un’ambiente esclusivo.
L’arredamento scelto è di altissima qualità. La poltrona taglio “Legacy 95” di Takara Belmont è una reinvenzione delle prime poltrone da barbiere con un design rinnovato, qualità giapponese ed elevato comfort.
Il lavatesta “Londra” rigorosamente Made in Italy di Pietranera è sinuoso ed elegante, con un altissimo livello di comfort grazie anche al massaggio Jet. Gli attrezzi da lavoro sono i più moderni sul mercato.
Concludo riportando l'articolo di qualche giorno fa della nuova Sardegna su di lei








A Olbia la sfida di Natalie Belli, 22 anni: la sua barberia apre nel cuore della città. «Un vero salotto “vittoriano” all’insegna dell’esclusività e della sicurezza»



OLBIA. «L’altro giorno, davanti alla mia vetrina, si è fermato un signore di una certa età. Sistemavo, mi sono avvicinata a lui. Era incuriosito. “Ma deve aprire qui una barberia?”, mi ha chiesto. “Sì”, gli ho detto. Poi mi ha chiesto chi fosse il barbiere. «Ce l’ha davanti», gli ho risposto».




Con un sorriso contagioso e una carica di entusiasmo incredibile, Natalie Belli, 22 anni, a partire da oggi farà barba e capelli agli uomini. Sfidando le difficoltà legate alla pandemia e mettendo a frutto tutta la sua esperienza accumulata a Londra, apre nel cuore della città, in via Sassari, “Belli’s Barber Parlour”, la prima barberia della città gestita da una giovane donna. «Quando ho pensato al nome da dare alla mia attività, ho messo in mezzo la parola “Parlour”: si chiamava così il salotto dell’epoca vittoriana, dove ci si riuniva per chiacchierare. Ed è proprio quello che voglio creare qui: il cliente deve sentirsi in un salotto, in un luogo esclusivo dove può anche leggere un libro (in italiano o in inglese), come Madame de Pompadour».Il locale, curato in ogni minimo dettaglio, fa rivivere i tempi della Regina Vittoria con un tocco di modernità. «Ho studiato ogni angolo, andando alla ricerca di pezzi unici e ricercati. Tra questi anche una collezione di antiche tazze da barbiere dove si mettevano l’acqua calda
e il sapone». 




Natalie Belli, nata a Sant’Elia Fiumerapido (in provincia di Frosinone), paese di suo padre Leonardo, si è trasferita a Olbia da circa un anno, ma ha vissuto soprattutto a Londra, dove si è formata. «E’ stata proprio mia madre, che è inglese e che ha fatto prima la parrucchiera e poi la formatrice, a trasmettermi la sua passione. Ma sin da subito sono rimasta attratta dal mondo delle barberie, più artistico e creativo. A me piace creare tagli per l’uomo, anche con acconciature. E’ importante seguire le tendenze, ma traggo ispirazione soprattutto da ciò che vedo: creo un contatto con chi ho davanti, parlo, ascolto. E a quel punto so esattamente cosa consigliare e che cosa fare. Ho fatto esperienza anche in un salone afro, a Londra, e lì ho davvero imparato molto»
Ma la passione più grande di Natalie è fare la barba. «Ho appeso su una parete della mia barberia tutti i certificati che dimostrano le competenze acquisite - spiega -. Non avrei voluto farlo, ma una ragazza che
apre una barberia deve conquistare la fiducia dei clienti e devono vedere con i loro occhi che sono una barbiera esperta e capace. Perché mi piace fare la barba? Innazitutto perché è rilassante anche per me e poi perché offro un servizio innovativo e di lusso. Comincio con un scrub profondo, poi applico le creme pre-rasatura, quindi passo a un trattamento con asciugamani caldi in modo da aprire i pori e far scorrere meglio la lama. Al termine della rasatura, metto sul viso altri asciugamani caldi per eliminare eventuali impurità, quindi stendo sulla pelle la crema dopobarba. Un’ora di relax totale con una musica soft nella parte iniziale. Il volume di alza leggermente quando è il momento di “risvegliarsi”. Ho concentrato tutto su esclusività, sicurezza e igiene. Tutti i miei attrezzi sono monouso, per rispettare le regole, ma ho anche ciò che serve per sterilizzare e igienizzare. E per rispettare l’ambiente, uso prodotti sostenibili». Sull’insegna della barberia “Belli’s barber Parlour”, c’è un disegno che raffigura un paio di forbici e una rosa nera. «Che ha anche, tra i tanti, un significato positivo. E’ il simbolo del cambiamento, è portatrice di speranza». E la speranza di Natalie Belli è che questa barberia possa rappresentare la svolta della sua vita.

    dove  trovarla

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Una vita senza Big Tech, storie di chi cerca alternative ai giganti del web: "Non barattiamo i nostri dati per i loro servizi


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Gmail? No, Protonmail o Tutanota. Whatsapp? Meglio Signal. Instagram o Twitter? Assolutamente Mastodon. E così via, per ogni singola applicazione o servizio che siamo abituati a conoscere e utilizzare, loro hanno un'alternativa. "Loro" sono quelli che, per ragioni legate principalmente alla protezione della propria privacy, ricercano opzioni differenti alle Big Tech come Google, Facebook o Apple per lavorare e rimanere connessi. Non sono migliaia ma sono molto eterogenei. Dall'ingegnere e padre di famiglia che installa un server in casa per gestire i documenti in cloud, fino ai ragazzi di Fridays For Future Italia, che hanno migrato il loro sito in un data center alimentato ad energia solare perché, in fondo, anche Internet inquina. "È come decidere di non mettere più lo zucchero nel caffè - dice l'ex parlamentare e imprenditore
informatico Stefano Quintarelli - all'inizio ti sembra amaro, poi scopri che ha un sapore diverso". Ma è
realistico vivere totalmente senza le grandi sorelle della tecnologia? "Non è semplice e per qualcuno anche impossibile ma richiede un primo passo, un po' come smettere di fumare", racconta Filippo Della Bianca, tra i fondatori di Devol, gruppo di sviluppatori che al motto di "degooglizzare l'Italia" ha messo a disposizione degli utenti una suite di servizi (dai motori di ricerca agli applicativi di file sharing) liberi e privi di traccianti. Il sito LeAlternative pubblica contenuti e approfondimenti su tutto ciò che, spiega l'ideatore, "in maniera etica si pone come opzione ai colossi di Internet". Spesso, anche se non sempre, i servizi alternativi sono gratuiti solo nelle versioni base. "Anziché pagare con i miei dati pago con i miei euro, in questo caso pure pochi", spiega ancora Quintarelli. Per molti è anche una questione di libertà di impresa e tutela della concorrenza: l'organizzazione no-profit francese eFoundation ha sviluppato uno smartphone pro-privacy alternativo ad Android e Iphone. "Il nostro è un progetto open-source ed è pensato - dice il fondatore Gaël Duval - per tutti gli utenti, anche per i non esperti". E così, a colpi di ricerche sul motore DuckDuckGo e tutorial sulla piattaforma PeerTube, abbiamo raccolto le storie di ha deciso di vivere una vita senza Big Tech. Ma Google annuncia: in arrivo nuove norme sulla privacy di Andrea Lattanzi

No, non è Leonardo quella della fiction tv



in parte Augias ha ragione << Nelle opere ispirate a nomi storici, l'invenzione drammaturgica coloriva il personaggio, drammatizzava la vicenda, senza però mai fondare l'intera struttura su un evento inventato >> e  con gravi errori  e mancanze storiche  (  e  siamo solo alle  prime di puntate  ) <<  Questo invece è ciò che accade nella serie tv su Leonardo da Vinci >> Ma in questa recensione  quasi preventiva ( anche se io preferisco chiamarla stroncatura ) pubblicata  su repubblica d'oggi 2\4\2021 vedere  articolo riportato sotto . Ma la sua critica mi sembra un po' : nostalgica legata ad una concezione ormai " arcaica " delle arti e della letteratura e poco aperta alla modernità , perchè si posso  fare  anche delle  opere  pseudostoriche   e di fantasia   storica. E  non parla    di ciò , anche  se poco ,   c'è di positivo  e  di   alcune qualità della regia e della fotografia, il fatto che non predomini il binomio sesso e violenza, come in tante altre serie in costume degli ultimi anni.  Ma ha  il pregio di farlo con garbo e  pacatezza  .
Infatti   egli stato , nonostante sia molto preciso raffinato ed non grezzo come la maggior parte dei critici attuali sulla sorta di Davide Turrini su il FQ di qualche giorno fa ,è nell'esposizione un poco precoce nel dare dare un giudizio ad un intera opera , per giunta ancora in itinere ed in pieno svolgimento 4 episodi su 16 ( cioè due a puntata ) di un kolossal  contemporaneo   anche se  incentrato  solo sul marketing    e sull'odiens     e poco sulla  storia    rispetto  a quelli classici  .


Quindi il caro Augias ha avuto troppa fretta nel dare un giudizio anzi una stroncatura .
A voi l'articolo in questione

Fino a che punto la rappresentazione scenica di una vita insigne può allontanarsi dalla verità storica? La domanda non è futile la risposta non è facile. Alessandro Manzoni preparando la sua tragedia Il Conte di Carmagnola scriveva: "I personaggi storici di una tragedia pronunciano discorsi mai detti e compiono azioni mai avvenute". Il Gran Lombardo non faceva a caso questa osservazione come dimostrano - per esempio - le numerose aggiunte e varianti da lui immaginate nella famosa vicenda della monaca di Monza inserita ne I promessi sposiManzoni inseguiva una finalità assai sentita in quegli anni come lo scrittore stesso conferma nella lettera Sul Romanticismo indirizzata al marchese Cesare d'Azeglio dove ribadisce che in un'opera d'arte ciò che deve prevalere è il valore sociale. In un'ottica del genere può anche rientrare qualche scostamento dalla verità per rendere la vicenda più avvincente allargandone così la cerchia dei possibili fruitori. C'è però un limite che non andrebbe superato. Forse in modo inconsapevole la giovane e valente attrice Matilda De Angelis, che interpreta nello sceneggiato la sensuale Caterina da Cremona, ha indicato questo limite davanti a Mara Venier con poche icastiche parole: "Questa è la storia di Leonardo, però strizzando l'occhio alla televisione... Non è che potevamo fare una rottura di palle".

Il confine da tenere d'occhio dunque è, a qualunque costo, la "rottura di palle". Possiamo tranquillamente assumere che i moderni sceneggiatori televisivi siano la versione aggiornata degli autori ottocenteschi di feuilleton: Balzac, Dumas, Hugo; tra gli italiani Carolina Invernizio, Guido da Verona, Pitigrilli. Storie inventate le loro, abilmente costruite in modo che alla fine di ogni puntata rimanga sospeso un interrogativo su come la storia potrà proseguire, a quale sorte i protagonisti andranno incontro. Quando si tratta di opere ispirate a nomi storici, come accadeva di frequente, l'invenzione drammaturgica coloriva il personaggio, drammatizzava la vicenda, suscitava aspettative, senza però mai fondare l'intera struttura su un evento inventato di sana pianta.
Questo invece è esattamente ciò che accade in Leonardo. Non è difficile capirne il motivo. Tale la versatilità di quel genio che si correva il rischio di esaurirlo, puntata dopo puntata, in un elenco di capolavori inevitabilmente ripetitivo. Bisognava trovare un filo rosso, un motore che spingesse il pubblico a seguire la vicenda.
E c'è qualcosa di più efficace d'una storia d'amore seguita da un delitto ? Leonardo arrestato per omicidio è da solo un bel titolo da prima pagina. Tanto più che il vecchio binomio Amore e Morte ha sempre funzionato assai bene. Questa volta però a danno dello stesso protagonista, falsandolo in modo così grossolano da mandare in malora anche l'utilità sociale dell'opera romanzesca che per i romantici giustificava le licenze narrative. La platea sarà vasta, ma a quale scopo ?
Curiosi anni i nostri. Da una parte si chiede di censurare Mozart per (involontario) suprematismo bianco, dall'altra ci si concedono invenzioni banali su uno dei massimi geni dell'umanità. Eccessi che hanno in comune solo il connotato del ridicolo.


1.4.21

Pietà e passione La Via Crucis della pandemia

 chi dice  che  i  laici e  i  non frequenti  alle messe   siano  atei   si legga   quanto scrive  nell'articolo riportato sotto  Stefano Massini    e  poi mi riscriva   per  riprovare  a dialogare  e  magari (  io ci credo  poco  ) si scusi per la  ...  che mi ha lanciato  togliendomi   dai  contatti  e  per  giunta  senza  dare  la possibilità di replicare   e provare  a capire  che esistono  anche  altri modi  di credere  e   che  esiste  anche  una  fede  diversa   da questa mia  citazione   musicale   che  per  una  qualche   strana  ed  casuale  coincidenza   corrisponde   alla canzone che    sto ascoltando  in radio  in questo istante  

 [...] 

Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perchè è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
[... ]
 da Dio  è morto  - F. Guccini 


Era mezzogiorno, quando si fece buio sulla terra… ». Da secoli la Via Crucis è paradigma di ogni sofferenza umana, tanto che usiamo il termine Calvario per definire il tragitto di chiunque combatta la sua personale lotta col dolore. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, è tuttavia il mondo intero a sentirsi ancora sul Golgota, per cui proviamo a rileggere le 14 stazioni della Passione come metafore di questa lunga, tormentata esperienza collettiva.



I. Condanna a morte

Fra i tripudi della folla che gli preferì Barabba, l’inizio del Calvario è nel segno di una leggerezza spiazzante, la massa sceglie chi sopravviverà con la stessa distrazione con cui si vota a un reality show. La banalità del male la descrisse la Arendt, a noi tocca declinare la banalità del dolore, che in genere ci beffa presentandosi come un’inezia. Due linee di febbre.

II. La presa della croce

Ci sono molte risate intorno alla crocifissione: scherni, dileggi, sarcasmi. L’estremo dolore va spesso d’accordo con la farsa, che sembra talvolta un disperato modo di compensare lo spettacolo della morte con un’artefatta botta di vitalità. Per la serie: mentre tu muori, a me interessa volare alle Baleari e sbronzarmi sotto una palma.

III. Prima caduta

La prima caduta del Calvario è quella dei morti uccisi dal virus, centinaia di migliaia. Ma a distanza di un anno dall’inizio di questa danza macabra, abbiamo perso quasi del tutto lo scandalo del morire. Scorriamo con sguardo asettico la lista dei caduti del giorno, perché valgono più le implicazioni dei decessi che non i cadaveri stessi. La morte ha perso il suo impatto, fa parte del paesaggio. E il virus killer, per paradosso, ha ucciso anche lei.

IV. Incontro con la madre

Nelle Rsa ci si può abbracciare solo attraverso il cellophane. Neppure il vaccino ha potuto scalfire questo aberrante diaframma, e nel frattempo migliaia di persone hanno visto svanire genitori e cari nel cono d’ombra di ospedali divenuti fortezze inaccessibili e impermeabili all’esterno. «Non so più niente di mia madre», «qualcuno mi dia notizie di mio padre». Il baratro.

V. Il Cireneo

Simone di Cirene passava per caso, ma venne obbligato a portare la croce. Insomma, suo malgrado si trovò coinvolto. E assomiglia davvero a quelli che sono finiti “dentro” la ruota del virus pur non essendone contagiati direttamente: passavano per caso, ma non volle dir niente. E i tentacoli di questa piovra ci hanno raggiunto di fatto tutti.

VI. Veronica deterge il volto

Unico tratto di tenerezza nell’abominio del Calvario è questa donna che grazie a un attimo di illuminata sensibilità, è stata celebrata nei secoli. Ma sono migliaia le Veroniche senza nome che in questo preciso istante, fra corsie Covid e Rsa, possono scegliere a un bivio che — sia chiaro — non è fra generosità e

egoismo, bensì fra l’umano e il disumano.

VII. Seconda caduta

Scrisse Dante “caddi come corpo morto cade”, e così è stato per molti, troppi, dal momento che dopo i morti per Covid, ci sono i caduti senza Covid. Sono quelli che in un anno hanno visto crollare l’equilibrio costruito per vivere. Ognuno di noi è a suo modo un equilibrista, per cui tutti, più o meno, siamo caduti dal filo. Posti di lavoro spazzati via, chiusure infinite, bandoni abbassati, agende vuote, sedie sui tavoli, luci spente, miriadi di cartelli “Affittasi” e “Vendesi”. Qui giace il lavoro.

VIII. Cristo parla alle donne

«Non piangete per me ma per i vostri figli…» sono parole che assumono adesso un’eco inquietante. Una generazione intera di giovanissimi uscirà razziata e sconvolta da oltre un anno di rinuncia all’affetto, all’istruzione in presenza, alla socialità. Le conseguenze nel tempo saranno incalcolabili. E per favore, nessuno si azzardi a dire «tanto sono giovani, ne usciranno».

IX. Terza caduta

Poi c’è la schiera immensa di chi non trova la propria caduta né su un referto clinico né su un registro contabile. Alzi la mano chi è rimasto in piedi, nel grande girotondo in cui si finisce “tutti giù per terra”, perché a essere affossato è il senso stesso del poter vivere, inteso come plasmarsi la vita. Il divieto e la limitazione sono diventati condizione e perimetro di un’esistenza tramutata in r-esistenza, in cui tuttavia è difficile non cedere alla d-esistenza.

X. Si giocarono le sue vesti

Gli sciacalli, è noto, si accaniscono su ciò che resta. In senso etico simboleggiano la defunta pietà, ma anche la facilità con cui gli opportunisti abdicano al criterio del lecito. Ecco, la crisi comporta il rischio che tutto appaia d’un tratto giustificato e legittimo, proprio perché «la situazione è grave». In altri termini, il Covid può essere un grande alibi.

XI. Cristo inchiodato in croce

Tutti uguali a tutti, il profeta come i ladroni, i vip come i poveracci, i capi di Stato come gli homeless. Il virus ha insegnato che le piramidi gerarchiche sono giochetti di cui madre Natura non si cura affatto. O così almeno ci piace raccontarci, assegnando almeno questo merito al nefasto ospite. Ma è davvero così? Lo sapremo con la distribuzione dei vaccini al Terzo Mondo.

XII. Morte

I telefonini già da anni entravano in sala parto, rendendo il nascere un fatto pubblico. Ma la morte? Mai era stata tanto spiata come nell’ultimo anno. Le telecamere sono entrate a sbirciare fra i tubi delle rianimazioni, negli obitori dove si piange, nei depositi delle bare. Si è smarrito il pudore del morire, e con esso la sua sacralità.

XIII. Deposizione

Riferiscono i Vangeli che all’ultimo respiro esalato sul Golgota seguì un terremoto. Dopodiché, il silenzio, ovvero quel ritorno alla normalità che a pensarci bene è la parte più spietata di ogni sofferenza: per quanto straziante sia, finirà per sparire nel grande tritacarne e si volterà pagina. È questo che cerchiamo, con la normalità: l’archiviazione.

XIV. Sepoltura

Un corpo senza vita riposto in un sepolcro, e fine della storia. Come dire: l’elaborazione del post Covid è tutta da venire, tutta ancora da iniziare, e non è detto che conduca alla resurrezione. Basterebbe che tutto questo dolore assumesse semplicemente un senso, laddove — per adesso — brancoliamo nel buio.


Infatti  distanza di un anno dall’apparizione del virus il mondo intero vive ancora il suo calvario La prima caduta sul Golgota è quella dei malati, morti da soli o quasi negli ospedali. e  proprio  mentre    scrivevo  le  ultime   righe  i questo   post mi è ritornata   a mente questa  canzone demenziale  

 

  con queste    è tutto  

31.3.21

A uccidere non è più il virus ma il nostro modo di gestirlo ha ragione stefano feltri d il domani

 Stefano feltri  ha  ragione  , facendo cosi  non ne  usciremo  mai   e  in tanto  la  gente  continuerà  a morire  ed  le attività a chiudere  . Molti  mi diranno allora  come fare  ? semplice    : 1)   coordinamento  nazionale o  al limite regionale   mettere  da  parte  i loro localismi e campanilismi  ., 2)  vaccinare  tutti  indistintamente   ad esempio  se   quel  giorno     dedicato a  gli  80  anni si presenta  un 25   enne  vaccinare    anche lui  .  cioè  quel giorno  ci sono  100 dosi    e fra i 100 si presenta  anche un  25  enne vaccinare  anche lui  

 concordo  con  l'editoriale di Stefano Feltri  31 marzo 2021

A uccidere non è più il virus ma  il nostro modo di gestirlo




Quando si leggono questi numeri, bisogna fermarsi a riflettere un attimo: 529 morti in un giorno. E non fanno neanche più notizia, perché siamo troppo presi a discutere del successo politico delle destre che sono riuscite a far inserire nel prossimo decreto legge misure per accelerare le riaperture, o perché c’è l’ennesima rissa tra presidenti di regione e governo centrale. Rimaniamo alla più semplice delle domande: perché ci sono ancora 529 morti? Mettiamo in fila un po’ di risposte.L’Italia ha vaccinato il 5,03 per cento della popolazione, il Regno Unito il 5,51 per cento. I morti inglesi sono scesi quasi a zero, su base quotidiana. In Italia siamo sempre tra i 300 e i 500. Segno che abbiamo vaccinato le persone sbagliate, come scriviamo da tempo su Domani.Il ministero della Salute censisce 2,9 milioni di somministrazioni a persone sopra gli 80 anni ma soltanto 638.000 a quelle tra i 70 e i 79, un milione per gli italiani tra i 60 e i 69 anni (la stessa cifra, quasi, che si registra tra i 30-39enni).L’Istituto superiore di sanità considera l’eccesso di mortalità per fasce di età rispetto allo scenario base, quello senza Covid, nelle grandi città. Per la prima volta da molti mesi, nella settimana che si è conclusa il 16 marzo il tasso di mortalità più alto e in crescita è stato quello nella fascia 65-74 anni. Ottantenni e persone più giovani muoiono meno perché vaccinate, si suppone.In una strana forma di eugenetica burocratica, praticata ma non dichiarata, stiamo lasciando morire le persone che il Covid uccide con maggiore facilità, mentre salviamo quelle che appartengono a una corporazione abbastanza forte da aver conquistato una qualche priorità.Questo paese ha qualcosa di profondo che non va, sia nel rapporto con la scienza che con l’etica. Un paio di esempi: le scuole vengono riaperte anche sulla base di uno studio scientifico, evocato perfino in un intervento del premier Draghi, di scarso valore e ancor più scarsa utilità, pubblicato su una versione minore di Lancet che chiede agli autori di pagare 3.500 dollari per avere spazio. Possiamo decidere che le scuole vanno aperte anche se pericolose, ma non possiamo raccontarci la frottola che sono tutte sicure.Su Domani Francesca Nava ha rivelato che per mesi l’ex premier Giuseppe Conte e l’attuale ministro della Salute Roberto Speranza hanno raccontato una versione falsa sulle decisioni prese a inizio pandemia, nella scelta di non chiudere subito Nembro e Alzano Lombardo il 2 marzo 2020. Ci sono molte attenuanti per le decisioni sbagliate a inizio pandemia, ma nessuna per mentire all’opinione pubblica, perché si può perdonare l’errore ma non la copertura sistematica degli errori. Quante altre volte è successo? Sta succedendo ancora?Dopo oltre un anno tocca dire che non è il virus a uccidere, ma il nostro modo di gestirlo. Se una legge stabilisse che tutti i pazienti con una verruca su un dito hanno la precedenza sui malati oncologici, di chi sarebbe la colpa dell’alto numero di morti evitabili tra i malati oncologici? Del tumore, dei medici o di chi ha fatto la regola?


30.3.21

IN FRIULI VENEZIA GIULIA La battaglia di Elsa merlino per salvare i prati della Grande guerra I campi sulle sponde del torrente stavano diventando discariche L’appello sul web poi la vittoria: "Chi li ha distrutti deve ricrearli"

 Song  post

Siamo donne - Sabrina Salerno & Jo Squillo
Voglio una donna - Roberto Vecchioni
Senza Una Donna - Zucchero

Noi Donne - Le canzoni più belle dedicate a "Lei"  (   Autori  vari  )

Lei è Elsa Merlino 26enne, studentessa universitaria, una ragazza solare, modesta ed attiva      amante  della  natura  ed   degli animali come si evidenzia dal suo facebook
5 matrSuzoao apalonlucoeiSs ofnfuorteu shrm1e8e:c1sd7c 

 · chi mi conosce sa che non faccio la influencer, sa che sui social vado a periodi perchè non mi vanno sempre a genio, ma sa anche che sono attaccatissima a casa, al bellissimo Friuli e che sono una grandissima amante della natura... quindi

  ed  a  questa  sua    lettera  


[.... ] Aver visto quelle persone lavorare sui loro grandi macchinari, inconsapevoli delle conseguenze dei loro gesti, indifferenti alla fragilita di questo ecosistema, mi ha spezzato il cuore.
Vedere numerose piante essere sminuzzate in una manciata di secondi da una gigantesca trinciatrice mi ha fatto sentire impotente, triste e mi ha fatto tremare le ginocchia. Rendermi conto che tutta quella terra abbandonata sui prati li avrebbe soffocati, mi ha tolto il respiro. Per un secondo, fissando da lontano le macchine che distruggevano tutto il panorama verde, mi sono sentita come un aborigeno che guarda la sua foresta pluviale mentre viene rasa al suolo, spazzata via.
Perché bisogna arrivare a questo? Ora diranno che inizierà il “piano di ripristino” con azioni mirate a riportare queste zone verso un “nuovo” equilibrio. Non sarà facile, non ci vorrà poco tempo (ben più di qualche anno), ma ho grande speranza che questa denuncia aiuti ad aprire il dibattito su questi temi.Certo è che, invece di sbagliare e cercare di rimediare agli errori, sarebbe meglio agire consapevolmente a tempo debito, mettendo in atto controlli preventivi e salvaguardando le ricchezze naturali di cui possiamo e vogliamo continuare a godere, rispettandole, nei loro ritmi e negli spazi”. [...] segue su www.prospettivevegetali.it/garante-del-verde-cantiere-abusivo/

è una studentessa e ha deciso di non girarsi a guardare dall'altra parte ma di proteggere il suo luogo del cuore. un grande esempio per molti giovani che non sanno agire e reagire alla distruzione dell'ambiente che avviene ogni giorno, a poco a poco, nonostante i bei discorsi che si fanno.
Ed è proprio con il suo attivismo che ha vinto dopo più di un mese la sua battaglia ha bloccato un intervento di movimentazione terra che stava deturpando quello che lei definisce il suo «luogo del cuore» al Parco del torrente Torre, nei magredi . Dopo essere riuscita a bloccare un cantiere rivelatosi irregolare sui prati stabili che costeggiano il Torre, a Primulacco, vede ora ufficialmente riconosciute le proprie ragioni: un'ordinanza del sindaco di Povoletto, Giuliano Castenetto, «in base - rileva il primo cittadino - alle prescrizioni del Servizio regionale biodiversità», ingiunge l'immediato ripristino dello stato dei luoghi, di proprietà


 

 In tanti sono stati al suo fianco ma anche tanti si sono girati dall'altra parte. "Ma non potevo tacere", dice Elsa. "Ora bisogna vigilare affinché le opere disposte siano eseguite correttamente - aggiunge - e non mi fermerò qui"

Infatti da repubblica del 30\3\2021


                                Giampaolo Visetti

POVOLETTO 
 Lungo i fiumi dove i ragazzi del ‘99 hanno difeso l’Italia, un secolo
frame  dal servizio  di 
 https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2021/03
dopo Elsa 
ha vinto la sua guerra per salvare i prati che il Paese continua a violare. Non è servito il sangue, per l’ultima battaglia verde che ha unito i ragazzi del Duemila. Sono bastate leggi ogni giorno ignorate: più la forza della Rete, capace di trasformare un pezzo di argine dimenticato nella ritrovata diga civile che tutti vogliono costruire. I prati della Grande guerra, invasi da montagne di ghiaia e detriti, torneranno così a
conoscere la carezza viva dell’erba originaria, profumata dalle orchidee e abitata dagli uccelli che amano tuffarsi nell’acqua. E a rendere possibile un simile prodigio, per ordine di un sindaco e in attesa di un giudice, sarà proprio chi ha rotto l’equilibrio primitivo della natura. «Era febbraio — dice Elsa a Repubblica — e sotto le mie finestre hanno cominciato a passare ruspe e tir, carichi di materiale da discarica.
 Attraversavano i campi, raggiungevano il torrente, abbattevano gli alberi e tornavano vuoti. Sono i miei posti del cuore: mi sono sentita come un aborigeno che vede spazzare via la foresta in cui vive. Ho deciso di resistere e di lottare». Elsa Merlino ha 26 anni, studia Scienze naturali all’università di Udine e vive a Primulacco, frazione di Povoletto, sulle sponde del torrente Torre, affluente dell’Isonzo.
Mai, nel mondo chiuso da un virus, avrebbe immaginato di veder crescere una discarica abusiva sulla porta di casa, all’interno di un parco e dentro un biotopo. «Non sapevo — dice — come si difende un pezzo di mondo. Ho chiamato la Forestale di Attimis e Legambiente. Infine ho postato una fotografia e un appello sul blog di Prospettive Vegetali. Rilancia via social le denunce di una rete sempre più vasta di giovani che si mobilitano per la terra. La reazione, in tutto il Paese, è stata enorme: ai primi di marzo la distruzione dei prati stabili lungo il Torre si è fermata». In Friuli Venezia Giulia li chiamano magredi. Sono i prati mai coltivati che l’uomo ha lasciato alla natura, nemmeno calpestati, riservati a quella che oggi definiamo biodiversità. «È un patrimonio comune — dice Elsa — cruciale per l’equilibrio dell’ambiente. Una volta rotto, richiede secoli per tornare selvatico. Una legge regionale lo protegge dagli abusi perché erbe spontanee e animali spariscono, gli argini smettono di drenare le piene. Tutto questo per nascondere a costo zero i detriti di strade e cantieri». Fino al Piave veneto i magredi ridotti a discariche sono centinaia e le montagne dell’ultimo scandalo sono ancora qui: 46 piramidi di scorie, 460 metri cubi di materiale sparso su oltre un ettaro e mezzo di parco raso al suolo.




Elsa però ha infine vinto la sua guerra. Un’ordinanza del sindaco, Giuliano Castenetto, intima ai responsabili del disastro di «ripristinare non oltre l’1 aprile lo stato dei luoghi di proprietà demaniale». La ditta Julia srl, che assicura di aver agito in base a licenze ottenute, dovrà «ricostruire i prati stabili naturali rimuovendo delicatamente con una mini-pala tutto il materiale scaricato senza danneggiare i resti erbosi». Entro il 10 aprile dovrà anche «seminare un miscuglio idoneo alle condizioni stanziali, con semi di specie selvatiche autoctone». Per almeno i prossimi quattro anni dovrà infine «garantire le cure dei prati, sfalciando due volte e astenendosi dallo spargere ogni tipo di fertilizzante», sotto il controllo del Servizio biodiversità della Regione. «È la prima volta — dice Elsa — che in Italia le istituzioni bloccano la distruzione dei prati e impongono ai colpevoli di ricrearli subito. Ho imparato che il pianeta si difende alzando la voce sui piccoli disastri sotto i nostri occhi, non aderendo a dichiarazioni generiche che non impegnano nessuno». Con lei e con Giacomo Castana, ideatore di Prospettive Vegetali, migliaia di ragazzi. Fino a ieri, davanti a discariche abusive e a un bosco abbattuto per far posto ad altro cemento, erano soli. «Da oggi — dice Elsa — camminiamo insieme. Nelle piccole comunità indifferenza e complicità si superano con il sostegno di tanti sconosciuti uniti dagli stessi valori». Elsa ha vinto con il coraggio la sua guerra per i prati dove sono sepolti i ragazzi che un secolo fa sono morti anche per lei.


Omaggio a Enrico Vaime ©® di Daniela Tuscano



29.3.21

IL passo dallo stalker al femminididio è sottile soprattutto quando è di stato



 di cosa  stiamo  parlando  

                                  


sempre   dalla stessa fonte  del 28\3\2021


Lavinia Rivara

Se sei una donna, sei giovane, impegnata in politica, se magari provi anche a fare carriera, un risultato è assicurato: lo stalking non te lo leva nessuno. Per mesi, anche anni. Una condanna di genere.Nessun ministro uomo probabilmente ha avuto la malaugurata sorte di sentirsi apostrofare sui social per mesi “bocca rouge” o “cazzolino” come è toccato all’ex collega Lucia Azzolina, né di essere perseguitato per un anno e mezzo con messaggi a sfondo sessuale, conditi da minacce di morte. Il tutto perché il suo stalker, Pasquale Vespa, presidente di un’associazione di docenti precari, non condivideva la sua posizione sul precariato.

 Opinione legittima ovviamente, ma la critica e la protesta, per quanto radicali, si sarebbero certo sfogate in altro modo se l’avversario fosse stato un maschio.Poche settimane fa un’altra ex ministra, Maria Elena Boschi, ha presentato una denuncia per stalking alla procura di Roma. Da sei mesi un uomo la bombardava di mail, telefonate, attacchi sui suoi profili social, tutti i giorni, anche più volte al giorno. Boschi, oggi capogruppo di Italia viva alla Camera, si è decisa a denunciare quando ha capito che il suo persecutore si recava negli stessi luoghi frequentati da lei, quando cioè la minaccia è diventata fisica e non più solo verbale. Ma non era certo la prima volta che si trovava a dover affrontare questo genere di intimidazioni: «Vanno avanti dal 2014, con soggetti diversi» ha rivelato in una intervista al Corriere. Se si considera che è stata eletta deputata per la prima volta nel 2013 si capisce che gli stalker hanno accompagnato tutta la sua carriera politica.Poco più di un anno fa Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è comparsa davanti alla prima sezione penale del tribunale di Roma per il processo contro il suo persecutore, Raffaele Nugnes, arrestato qualche mese prima. «La notte non dormo più se penso alle minacce che quest’uomo mi ha rivolto via Facebook - ha raccontato -. Ho paura per mia figlia. Lui diceva che la bambina era sua, che prima o poi sarebbe venuto a riprendersela ».Nel 2015 venne processato anche il molestatore di Mara Carfagna, allora deputata forzista e principale promotrice della legge antistalking. Sul sito della sua vittima lui aveva scritto: “Ti seguo da un po’, conosco i Secondo gli ultimi dati del Viminale le donne, neanche a dirlo, rappresentano il 75 per cento delle vittime di reati persecutori. La maggior parte sono adulte (il 36 per cento ha tra 31 e 44 anni), l’età in cui tendenzialmente si manifesta maggiore indipendenza, si prova magari a fare carriera. Subito dopo vengono le ragazze tra i 18 e i 30 anni (22 per cento). È come se l’essere donna, giovane, magari con ambizioni e visibilità, fosse ancora qualcosa di inaccettabile per una certa cultura maschile (per fortuna minoritaria).In queste settimane si è molto dibattuto della presenza delle donne in politica. La decisione del nuovo segretario del Pd Enrico Letta di imporre una vice e due capigruppo parlamentari donne sta facendo discutere, ma di certo ha il merito di riequilibrare una situazione. Come ha detto Irene Tinagli «a nessuna donna piace ritrovarsi in dei ruoli perché ci sono le quote, ma siamo stati costretti ad arrivare a misure più drastiche perché in maniera naturale questo spazio non si creava». La verità è proprio questa: la strada per una vera parità di genere è ancora lunga e costellata di misure drastiche e di prezzi da pagare. Lo stalking è sicuramente uno dei più odiosi.Una strada che resterà impervia finché esisteranno sottosegretari di Stato come il leghista Rossano Sasso che, nonostante abbia la delega per combattere il bullismo, non si è fatto scrupolo di assumere al ministero dell’Istruzione uno stalker come Vespa. Anzi, lo ha difeso fino all’ultimo, arrivando addirittura a definirlo «un simbolo dei diritti dei lavoratori più deboli». La decisione del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi di revocare l’incarico al docente era un atto dovuto inevitabile. Ma forse sarebbe opportuna anche qualche riflessione sul sottosegretario e le sue deleghe.


28.3.21

Il no vax pentito "Ho visto giovani restare senza fiato e ho fatto il vaccino anch’io" di Giuliano Foschini

Leggi  prima  




«Ero un antivaccinista convinto [  ed   ] Ero scettico, pensavo fosse solo un modo per le case farmaceutiche di arricchirsi. Tutto questo però non è un complotto ».

No vax.
«Il capo dei no vax mi chiamavano».
E poi? 
« E poi ho capito che dicevo un sacco di stupidaggini. E oggi sono andato a vaccinarmi».
Paolo Viviano è un signore di Barletta. Di mestiere fa l’autista. Per la Asl. Ha guidato ambulanze, auto mediche, oggi trasporta farmaci nei reparti. Anche quelli Covid. E non aveva alcuna intenzione di vaccinarsi. Ieri mattina ha fatto invece la prima dose.
« Sono sempre stato molto scettico, in generale, sui vaccini. Perché penso, anzi pensavo, che rappresentassero un modo per le cause farmaceutiche di arricchirsi».
La sua pagina Facebook è esemplificativa. Lei quasi giornalmente, fino a poco giorni fa, pubblicava articoli e video no vax.

«Perché pensavo dicessero la verità».
Il 21 marzo ha rilanciato un post di Sara Cunial, la deputata no vax. Un sedicente parroco diceva a proposito dei vaccini: "Con il pretesto di prevenire una malattia il cui tasso di letalità è stimato attorno allo 0.3%, esige veri e propri sacrifici umani di inaudita efferatezza… I veri interessi non sono di natura sanitaria, ma finanziaria".
«Pensavo avesse ragione. Ora sono convinto che tutte quelle cose sono delle cavolate. E mi dispiace averle in qualche modo rilanciate. Spero di non aver convinto nessuno».
Quando ha cambiato idea?
«Prima vorrei dire come ho costruito quell’idea. Non sono un medico ma lavoro da sempre negli ospedali. So di cosa stiamo parlando. A me, però, le cose imposte non piacciono. Vorrei decidere per me. Normalmente quando mi dicono che devo fare qualcosa, senza darmi la possibilità di scegliere sulla mia vita, non mi piace».
In realtà con i vaccini la vita gliela salvano.
«Le cose bisogna spiegarle. E non trattare le persone come pecore. Di questo continuo a essere convinto».
Insistiamo: quando ha cambiato idea?
«Quando mi sono guardato attorno. Quando ho visto le terapie intensive così piene, quando ho visto ragazzi di 40 anni arrancare senza respiro.Quando i miei amici medici, o infermieri, mi hanno raccontato, ogni mattina, che le rianimazioni scoppiano e che ci sono persone, senza alcuna patologia pregressa, che non riescono a stare in piedi perché non hanno più fiato. Ecco, tutto questo non poteva essere un complotto. Era la verità. E io ce l’avevo davanti agli occhi. Ho avuto paura».
Se non si fosse vaccinato avrebbe rischiato anche di non lavorare.
«Questo, sono sincero, non ha inciso più di tanto. Il medico competente, il dottor Sivo, che oggi mi ha vaccinato, mi faceva la corte ( ndr , sorride) dall’inizio della campagna. Hanno chiamato tutti quelli, pochi, come me, che non avevano aderito alla campagna di vaccinazione. Mi ha spiegato. E ho capito che aveva ragione».
A dire cosa? «Che vaccinarsi era necessario: come cittadino. Come lavoratore. E poi avevo anche una responsabilità di padre».
Prego?
«Mio figlio è un operatore socio sanitario, lavora qui. Per di più in un reparto Covid. E anche lui, vedendo le mie perplessità, aveva deciso di non vaccinarsi .Oggi ci siamo vaccinati insieme».



la libertà di scelta non è mettere a rischio le vite degli altri ( reprise )

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Lo  so che non ho competenze scientifiche in merito ed nonostante sia figlio ed fratello di due agronomi sono una capra in tali materie . Cosi pure mediche no nonostante sia pronipote e cugino di medici ( pediatra il primo , medico radiologo il secondo )   e  quindi  non dovrei   prendere  posizione  su  tali argomenti  . Ma  1)   credo nella  scienza  ., 2)  nella  salute  pubblica  ., 3)    che  è meglio rischiare   con una  cura  sperimentare    che   non  curarsi     \  immunizzarsi  e    e pur  di  sconfiggere  una  pandemia   grave  .  Ora lo  so  che     con questo post   molti contatti  ed  [  sic   ]   amici\che    anche  di lunga  data   mi toglieranno  il  saluto ed  il  contatto  ,  ma  pazienza     se  questo  è il prezzo  da  pagare   per  la  tua  libertà      pazienza  Per  il post  precedente    vedi  per l'url   il  consueto leggi anche     sono stato  accusato d'essere  un ribelle all'acqua  di rose   ,  un radical  chic  ,    che predica  bene  ma   razzola  male  , che    amo le  dittature  , ecc  .  Bene sappiate    che   ci sono momenti nei quali le chiacchiere stanno a zero, i ragionamenti e il buon senso non sono sufficienti, e la scienza e la statistica non fanno presa . Vaccinatevi ! Senza se senza ma . Ed    non lamentatevi      se   lo  stato    fa  chiusure a  .....  beh ci siamo capiti   , ma   la  colpa  è  anche nostra   che  ci lamentiamo   della pandemia     e  poi   non rispettiamo neppure  le minime  misure  di sicurezze    e  poi   protestiamo  contro il  governo che  deve   provvedere   per  la  salute  pubblica   .   Quindi  cari\e  Novax  Se  proprio  siete   coerenti   fino  in fondo    con le   vostre  scelte  o  paure   ed  non  volete    farlo  o  accettate   di fare  un altro lavoro  o le  misure  drastiche  .                        



Vaccinatevi  o stavene  isolati  e  non   lamentatevi  cazzo  .  Ovviamente è una citazione del famosissimo “invito”, che il comandante Gregorio De Falco indirizzò a un tremebondo Francesco Schettino, il quale aveva abbandonato al suo destino i passeggeri della Costa Concordia appena naufragata. «Vada a bordo...!» eccetera, ricordate? Quando c’è un’urgenza, quando si è in emergenza la gentilezza non basta. Ci vogliono gli imperativi. E ci vuole il coraggio.Da settimane, ci  s'interroga   su come spiegare  che una microscopica percentuale di reazioni avverse, o anche di decessi, non può e non deve bloccare la campagna vaccinale. In Italia ci sono centinaia di morti ogni giorno a causa del Covid e abbiamo superato largamente quota 100mila vittime. I Paesi che hanno vaccinato a tappeto la popolazione ne stanno uscendo, e noi stiamo ancora qui a chiederci se farci inoculare oppure no? E pretendiamo di scegliere, come se dovessimo acquistare i biscotti al supermercato: Pfizer sì, Moderna forse, AstraZeneca mah...Certo, l’Unione Europea, la Germania e, a seguire, anche l’Italia l’hanno combinata grossa con la sospensione  apriori  di AstraZeneca. Giorni perduti, che pagheremo con centinaia di morti in più, altro che un singolo effetto collaterale su un milione di dosi. Abbiamo perso tempo, ma non solo: abbiamo, hanno minato la fiducia di tante persone nelle autorità politiche, scientifiche e saniGregorio De Falco, 56, oggi senatore, divenne famoso nel 2012, quando intimò bruscamente a Francesco Schettino, comandante della Costa Concordia naufragata, di risalire a bordo. tarie. Il vaccino è stato ovviamente riammesso, solo con qualche lieve modifica nel “bugiardino”. Tanto rumore per nulla? No, tanto rumore per un disastro. Infatti  come     ho letto  da qualche  parte  


La psicologia umana non va d’accordo con le fredde tabelle di dati, con la statistica, con le percentuali. È perfettamente inutile dire alle persone che, vaccinandosi, la probabilità di eventi avversi è dello zero virgola zero zero zero qualcosa per cento. Per esempio, tutti sanno che la probabilità di fare 6 al Superenalotto è di 1 su 622 milioni: eppure la gente continua a giocare, perché nella propria testa conta quell’1, non i 622 milioni.Così, secondo la Società italiana di farmacologia, su oltre 20 milioni di vaccinazioni con AstraZeneca, sembra si siano verificati «9 casi fatali». Un’inezia, vero? Fra l’altro, non è neppure detto che quei decessi siano dovuti direttamente al vaccino, ma fa niente. Il punto è che quando leggiamo questi dati, la nostra mente non si fissa sul numerone grande (20 milioni!), ma su quello piccolo: 9. E compare un diavoletto che ci sussurra: chi se importa della statistica, non vorrai mica essere il decimo, vero? E quindi, chi decide di non vaccinarsi, per evitare una minuscola, infinitesima probabilità, si espone all’eventualità molto più concreta di ammalarsi e morire per il Covid.


 Non vi sembra assurdo ?Poi, mi direte, il problema in realtà è un altro. E cioè che chi vuole vaccinarsi e ne ha diritto non ci riesce, mentre la spuntano migliaia di furbetti che diritto non ce l’hanno. Alcuni dei quali, come il giornalista Andrea Scanzi, poi, vanno pure a gloriarsene sui social, alla faccia nostra, di chi aspetta onestamente il suo turno, di chi è ultraottantenne e da settimane attende una risposta alla prenotazione, di chi non è stato avvisato in tempo perché in Lombardia non funziona niente, di chi è fragile e a rischio ma le dosi giornaliere sono state esaurite da qualche amico degli amici. Tra i tanti scandali   ed  prevaricazioni    nazionali  , questo è certamente il più vergognoso.

Come  è vergognoso  che

“Il personale sanitario che non intende vaccinarsi ne ha tutto il diritto.
A una condizione: si leva il camice, esce dall'ospedale, rinuncia allo stipendio e si rifà una vita altrove.
Il ruolo non consente alternative. Il medico o l'infermiere che non si vaccina, a parte l'ovvio rischio al quale espone gli ignari pazienti, è una persona che non crede nel sistema sanitario nazionale e non crede nella scienza.
È libero di disertare. Non d'indossare a tradimento una uniforme che non è la sua. Escano dalla sanità pubblica e se ne facciano una propria. Fondino cliniche, propongano cure alternative, pubblichino dati scientifici non ortodossi, ne hanno facoltà.
La storia dell'umanità è piena di eteredossie, eresie, opinioni di minoranza che si sono poi rivelate utili.
Ma gli eretici veri sono persone che rischiano, gli eretici costruiscono altri luoghi, gli eretici si contrappongono al potere pagandone il prezzo.
Non se ne stanno, con il culo al caldo, a spillare lo stipendio a un padrone, lo Stato, che dimostrano di disprezzare, considerando insulsi i suoi sforzi e nulle le sue direttive di vaccinarsi, ma riscuotendo, a fine mese, regolare stipendio.
Se ne vadano altrove. Fare il rivoluzionario a costo zero è molto comodo, ma molto poco etico.”
Michele Serra, L’Amaca, “Repubblica”


O quelli\e che protestano per l'obbligatorietà dei vaccini dimenticandosi che , eppure chissà perchè li non protestano , i vaccini erano ed lo sono ancora già obbligatori, ecco quanti, quali e per chi. https://www.certifico.com/categorie/22-news/news-generali/4457-vaccinazioni-in-ambito-lavorativo-quadro-normativo
Senza il giusto vaccino non puoi fare quel determinato lavoro, questo è facile da capire anche senza una preparazione specifica.
Ciò che non mi è chiaro a questo punto è perché -ciononostante- voi complottari insistiate a definirvi "risvegliati".