29.1.24

DIARIO DI BORDO N°32 ANNO II .Calcio italiano Accattoni, incapaci, razzisti, indebitati e truffaldini: per il resto tutto bene ., edicole chiuse una emergenza democratica per l'informazione ., LE VOLGARITÀ DI BANDECCHI ,LE BANALITÀ DI VANNACCI ,LEMETAFORE DI BERSANI., ISTUPIDIMENTO COLLETTIVO: UNA PETIZIONE PER GIULIA CONTRO IL LEGALE DI FILIPPO ed altre storie

 

Okay, siamo riusciti a far fischiare in mondovisione Gigi Riva, o meglio, il minuto di silenzio in memoria di Gigi Riva scomparso da un’ora perchè il pubblico dello stadio Al Awwal di Riyad non sapeva nemmeno chi fosse (era appena successo lo stesso anche per Beckenbauer) e non sopportava di perdere inutilmente tempo in attesa di rivedere Darmian contrastare Zerbin: e però vuoi mettere tornare

a casa con 23 milioni degli sceicchi arabi di cui 7 finiti tutti nelle casse della spettabile Lega Serie A?Okay, il calcio italiano sta andando avanti schiacciato da un macigno di 5,6 miliardi di indebitamento di cui la metà appannaggio dei suoi otto top club (non si sa bene perché top, quindi); e sì, in lotta per lo scudetto ci sono i due club più indebitati in assoluto, l’inter esposta per 807 milioni e la Juventus per 791; e però c’è fiducia, in Figc e Lega, che il presidente della Lazio nonché senatore della Repubblica Lotito ottenga col Milleproroghe una redistribuzione di fondi (addirittura fino al 2028) che limitino i danni procurati dall’abolizione del Decreto Crescita per il derelitto settore calcio.Okay, i diritti televisivi della Serie A sono stati ceduti in ulteriore ribasso a Dazn anche per le prossime 5 stagioni, il tutto mentre è in atto un’emorragia di abbonati causa abnorme aumento dei prezzi da un lato e miserevole spettacolo offerto dall’altro, e però le eminenze grigie della Lega sono ottimiste: hanno annunciato il proposito di esportare un’intera giornata di Serie A indovinate dove?, ma sì, in Arabia (per Napoli-fiorentina di Supercoppa c’erano 5.900 spettatori, immaginatevi per Sassuolo-udinese): e magari gli abbonati allo stadio dei nostri 20 club non saranno contenti, ma volete mettere il brivido di un Monza-empoli giocato davanti a due cammelli?

Okay, la recente finale di Supercoppa Napoli-inter è stata diretta, o per meglio dire stravolta, da uno dei tanti arbitri naif della scuderia-rocchi; e alla bufera Rapuano si è aggiunta, a stretto giro di posta, la bufera dell’arbitro “gola profonda” che a Le Iene ha raccontato papale papale che i risultati delle partite vengono decisi da arbitri e addetti Var che annullano o convalidano i gol a seconda della parrocchia cui appartengono (ricordate l’editore di riferimento di Bruno Vespa? Ecco, appunto) e però la parola d’ordine è fare finta di niente: sull’aia c’è lo spettro del commissariamento ma dopo Bergamo e Pairetto nulla spaventa più.

Okay, le immagini di Maignan portiere del Milan che prima protesta con l’arbitro, poi si toglie i guanti, lascia il campo e raggiunge gli spogliatoi accompagnato da tutta la squadra per gli insulti razzisti ricevuti a Udine stanno ancora facendo il giro del mondo – come lo fecero quelle di Lukaku, quelle di Koulibaly e mi fermo qui per amor di patria –; e però il presidente Figc Gravina ha detto che “le nostre norme sancite nell’articolo 62 delle Noif sono le più severe a livello internazionale” e il ministro dello sport Abodi ha spiegato che “il razzismo è un problema di ordine pubblico e occorre dedicare tutte le nostre energie per contrastare e debellare questa piaga”: quindi, fermo restando che in Inghilterra la piaga l’hanno debellata in un amen 30 anni fa, perchè preoccuparsi?

E dunque, ricapitolando: nuotiamo tra i debiti, abbiamo le pezze al culo, non sappiamo far rispettare i nostri morti, le partite fanno pena, gli arbitri decidono i risultati e in quanto a razzismo siamo il terzo mondo del pianeta calcio. Per il resto, tutto bene.


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LO ZOO DI PIERLUIGI Questa settimana il Senato ha dato il primo via libera al disegno di legge sull'autonomia differenziata tanto caro al ministro Calderoli. Mentre divampano le polemiche su tutti i rischi a cui si troverà esposto il Paese e le opposizioni insistono sullo scenario di un'italia che si troverà di fatto divisa in due, lo storico esponente leghista continua a decantare i meriti della sua legge, sostenendo che così tutte le regioni partiranno dallo stesso livello. Come sempre a trovare la forma icastica perfetta per mostrare la scarsa credibilità delle parole di Calderoli, evidenziando oltretutto come la formula del ‘ci guadagnano tutti' sia un evergreen del ministro, ci ha pensato Pierluigi Bersani, ospite ad Otto e mezzo, con una delle sue colorate metafore: “Calderoli dice sempre che l'autonomia differenziata va bene per tutte le Regioni: per il Nord, il Sud, l'est, l'ovest. Per Calderoli, insomma, il maiale è tutto di prosciutti, nel senso che si sa che non esiste ma evidentemente lui deve averne un allevamento perché da 20 anni ogni volta che presenta una legge, dice che ci guadagnano tutti. È sempre un win win, come dicono gli inglesi. In Emilia Romagna diciamo invece ‘maiale tutto di prosciutti'”. Tra giaguari da smacchiare, mucche nel corridoio, tacchini sul tetto e maiali tutti di prosciutti, Pierluigi Bersani ci ha raccontato la politica italiana, portandoci a passeggiare allo zoo.

A VOLGARITÀ TI FA SCHIETTO Ci sono nuovi sviluppi sul fronte ‘normalità'. Dopo che il generale Vannacci si era incaricato, sul modello dei poeti ermetici, di raccontarci cosa non fosse normale, qualcun altro ha pensato che quest'informazione in negativo non fosse sufficiente e necessitasse di un'integrazione. Così Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, nel corso di un consiglio comunale nel quale si discuteva un emendamento sulla violenza di genere, si è sentito in dovere di edurci su quali sono i comportamenti umani attraverso i quali la normalità si manifesta nella sua forma più pura: “Un uomo normale guarda il bel culo di una donna e forse ci prova anche. Poi se ci riesce se la tromba, altrimenti torna a casa”. Il pensiero che si è immediatamente affacciato alla mente di buona parte di noi è stato: ‘tu invece a casa dovresti tornarci a prescindere'. E questo pensiero è naturalmente sfociato in una raccolta firme per chiedere le dimissioni del primo cittadino (se lui è il primo meglio non chiedersi come possa essere l'ultimo). Ma qualora qualcuno fosse ancora incerto su dove risieda il vero nodo della questione, si chiami essa Vannacci o Bandecchi, il sindaco si è premunito di comunicarcelo espressamente nel corso di un'intervista rilasciata dopo la sparata, con la quale ha rivendicato la propria posizione: “Io parlo alla gente, le persone sono stanche del politicamente corretto che in 30 anni ha distrutto questo Paese. Io sono pragmatico, per questo non piaccio agli ipocriti”. Se non usciamo da questo equivoco per cui chiunque vomiti volgarità e violenza si sente in diretto di rivendicarlo in nome della schiettezza e della concretezza, a breve ascolteremo interventi parlamentari farciti di bestemmie. Fermiamoci prima che sia troppo tardi.


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LIBERTÀ DI PENSIERINO.

 Il sito Change.org ha messo on line una petizione contro Giovanni Caruso, legale di Filippo Turetta e ordinario di Diritto penale all’università di Padova, chiedendo che “rinunci alla difesa o, in caso contrario, l'università di Padova si esprima pubblicamente dissociandosi dalla scelta inopportuna di Caruso”. La petizione, lanciata da una dipendente del ministero della Cultura, sottolinea che “non si può stare con le vittime e con i carnefici”. Si riferiscono al fatto che l’ateneo ha conferito la laurea postuma a Giulia Cecchettin schierandosi contro la violenza sulle donne, ma non profferisce verbo su “un suo importante membro che difende l'assassino e reo confesso”. La barbarie giuridica e morale a cui l’istupidimento collettivo ci ha portati non ha fine: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, dice l’articolo 24 della Costituzione. E qui ci fermiamo per carità di patria.


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 ZITTI E MUTI.

Al termine del concerto al Politeama, alcuni professori dell’orchestra Sinfonica Siciliana non hanno reso omaggio a Beatrice Venezi, direttore d’orchestra che vuol essere chiamata al maschile come il presidente del consiglio Giorgia Meloni. “Se nessuno di noi si è mosso è perché la direttrice d’orchestra ha solo complicato il nostro lavoro: sarebbe stato più facile suonare senza di lei”, ha detto Claudio Sardisco, flautista della Foss (Fondazione orchestra sinfonica siciliana) da quasi 40 anni. “La scena se l’è presa lei, ma il lavoro sporco lo abbiamo fatto noi orchestrali”. Con un’intervista al Giornale la giovane promessa della musica ha risposto che “il mondo della musica, come quello della cultura in generale, è stato dominato dalla sinistra” (L’egemonia! Del resto non stupisce, Venezi è consulente tecnico del ministro San Giuliano, che dal tema, e da Gramsci, è ossessionato). Mentre lei è di destra “o, se si preferisce, non seguo il mainstream. Alla testa delle istituzioni musicali tricolori vedo sempre le stesse facce di prima. Non mi sembra siano di destra”. Poi ha detto che il tutto verrà valutato dai suoi avvocati. Meglio avrebbe fatto a replicare alle contestazioni nel merito. Riccardo Muti non è certo di sinistra, eppure è il più grande direttore d’orchestra italiano.


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E ALCUNI AUDACI IN TASCA L’UNITÀ.


Dopo lo scontro tra la premier Giorgia Meloni e Repubblica, alla trasmissione condotta da David Parenzo su La7, L’aria che tira, si discute di quotidiani e politica. Flavia Perina, firma della Stampa, prende la parola e sostiene che nessun giornalista di destra ha mai diretto quotidiani orientati a sinistra (su questo avremmo da ridire, ma pazienza). Però, colpo di scena, interviene con una rivelazione Vittorio Feltri, collegato da Milano: “Massimo D’alema mi aveva proposto di dirigere L'unità. E se ve lo dico vuol dire che è vero. Io ero amico di D'alema perché è una persona seria. Probabilmente scherzava comunque me l'ha detto”. Invece l’unità di Romeo e Sansonetti non è per niente uno scherzo.

LIBERTÀ DI PENSIERINO. Il sito Change.org ha messo on line una petizione contro Giovanni Caruso, legale di Filippo Turetta e ordinario di Diritto penale all’università di Padova, chiedendo che “rinunci alla difesa o, in caso contrario, l'università di Padova si esprima pubblicamente dissociandosi dalla scelta inopportuna di Caruso”. La petizione, lanciata da una dipendente del ministero della Cultura, sottolinea che “non si può stare con le vittime e con i carnefici”. Si riferiscono al fatto che l’ateneo ha conferito la laurea postuma a Giulia Cecchettin schierandosi contro la violenza sulle donne, ma non profferisce verbo su “un suo importante membro che difende l'assassino e reo confesso”. La barbarie giuridica e morale a cui l’istupidimento collettivo ci ha portati non ha fine: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, dice l’articolo 24 della Costituzione. E qui ci fermiamo per carità di patria.


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AL LUPO AL LUPO.
Il 24 gennaio è nato il figlio di Romina Carrisi e del compagno Stefano Rastelli (Auguri al piccolo e ai genitori). Due giorni dopo la neo mamma ha condiviso il primo scatto del bimbo su Instagram: “Quel mento… lo contemplo da ore cercando risposte a domande mai pronunciate. Benvenuto amore, Axel Lupo. I nostri cuori sono pieni”. La notizia è stata data (o tempora o mores) dall’adnkronos. Letta l’importante novità, Fiorello se n’è occupato nel suo morning show: “Chiara Nasti la vorrebbe chiamare Barbie, ma nessuno approva. Vi prego, pensateci bene. Lo sai chi è il ginecologo? Ken. Tra i possibili altri nomi anche Kimberly e Jennifer: ma dei nomi normali? Assunta, Valentina, Susanna. È nato anche il nipote di Al Bano, lo hanno chiamato Axel Lupo! Pensa se incontra Nathan Falco”. Mamma Romina non ha gradito la battuta: “Prendere in giro il nome di un bambino appena nato lo trovo di cattivo gusto”. Niente, non si può più ridire di niente: per fortuna Rosario c’è e lotta insieme a noi. Resisti Fiore.




Giorno del ricordo . Oskar Piškuli Il criminale fiumano, le vittime italiane: l’eredità colpevole della storia a brandelli

 << Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate.>> ( dichiarazioni  di  Andrea  Penacchi    sul  film  la  Rosa  d'Istria  )  .
Infatti   ho  recentemente  scoperto   una  di queste storie leggendo    l'articolo  , riportato     sotto  , de il  Fq  di oggi   29\1\2024  .
Ed io  che pensavo , informandomi  e sentendo   tutte le  campane  ,  in questi  20  anni   d'istituzione  del giorno del  ricordo  ,   di  sapere ormai   tutto    sulla  storia    e  sulle  vicende    del confine  orientale   tra  1866 e 1974    in particolare tra il 1918\19 -  1947\54  ,  invece ......   .
Ma  ora  Basta   piangersi  addosso  e  veniamo all'artiocolo  in questione .

  

                                      MASSIMO NOVELLI

Sono i giorni della memoria: da quella dell’olocausto (27 gennaio), cioè dei milioni di ebrei, e non solo loro, sterminati dai nazisti, al Giorno del ricordo (10 febbraio), isituito per onorare le vittime italiane delle foibe titine in Jugoslavia e per rammentare il massiccio esodo giuliano-dalmata. Alle vicende delle foibe e dell’esodo è dedicato il bel romanzo Eredità colpevole (edito da Voland) di Diego Zandel, autore di numerosi romanzi di successo (come I confini dell’odio )e figlio di esuli fiumani, nato nel 1948 nel campo profughi marchigiano di Servigliano.

Il libro, uscito tempo fa, viene ripresentato in queste settimane in varie città d’italia perché, come ha scritto lo stesso Zandel, si tratta di un brandello “di Storia sulla quale, a quasi ottanta anni dalla fine della guerra, si scontrano ancora gli opposti estremismi, incapaci – come emerge ogni anno quando, il 10 febbraio, si commemora il Giorno del ricordo delle Foibe e dell’esodo – di fare i conti con la Storia,senza pregiudizi e strumentalizzazioni di sorta”. Il romanzo di Zandel è liberamente ispirato alla figura di Oskar Piškuli, capo sanguinario nel 1945 della famigerata Ozna, la polizia politica del maresciallo Tito a Fiume. Vent’anni fa, nel 2004, si concludeva a Roma il lungo processo italiano a Piškuli, che, grazie a un contestato cavillo giuridico, riuscì a farla franca e a non pagare per le atrocità commesse e ordinate. Era stato giudicato in contumacia in quanto accusato di avere ucciso, tra le centinaia (circa 500) di vittime italiane addebitategli, tre capi autonomisti fiumani, Giuseppe Sincich, Nevio Skull e Mario Blasich. Erano, dice sempre Zandel, “antifascisti della prima ora che, come si erano opposti a Gabriele D’annunzio nel 1919 e all’annessione di Fiume all’italia, si opponevano ancor più all’annessione della città alla Jugoslavia”.I figli di Giuseppe Sincich, osserva Diego Zandel, anni dopo “si costituirono parte civile nei confronti di Oskar Piškuli dando vita a un processo che, dopo le contrastanti valutazioni del gip, si svolse a Roma, nei suoi vari gradi, dal 1997 al 2004. La sentenza della seconda Corte di Assise, poi confermata dalla Cassazione, avrebbe decretato che Piškuli, all’epoca ancora in vita, seppur colpevole di omicidio continuato aggravato, non potesse scontare la sua condanna per difetto di giurisdizione, a ragione del fatto che Fiume non era più italiana (anche se, per altri, lo fosse ancora, e lo sarebbe stata fino al 15 settembre 1947 in base al Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio dello stesso anno)”.La storia dell’uccisore di italiani è stata narrata anche in un testo teatrale: Processo a Oskar Piškuli. A scriverlo Zandel e Laura Marchig, una giornalista e scrittrice fiumana. Il docu-recital si basa sull’intervista che l’ex capo della Ozna rilasciò nel 1990 alla medesima Marchig, all’epoca giovane redattrice del quotidiano in lingua italiana La Voce del Popolo di Fiume, e sugli atti del processo istruito dalla nostra magistratura nei confronti di Piškuli. Un dibattimento, peraltro, nato proprio a seguito di quella intervista. Ma giustizia, come in tanti altri processi a criminali di guerra, jugoslavi, italiani e tedeschi, non fu mai fatta.

28.1.24

guai a fare lavori extra . il caso di un postino che fnisce nei guai perchè consegna la corrispondenza arrettratta nel fine settimana

Storia di Federico Garau  • 1 ora/eda ILGIORNALE

Lettere consegnate nel fine settimana: postino finisce nei guai
© Fornito da Il Giornale

Una vicenda che ha dell'incredibile quella accaduta a un postino di 55 anni in forza a una filiale delle Poste della provincia di Rimini: l'uomo, che si era messo a lavorare nei weekend per smaltire lettere e pacchi accumulatisi durante la settimana, è stato infatti denunciato per il reato di occultamento ai fini di distruzione di corrispondenza e sospeso temporaneamente dal suo impiego. La querela, peraltro, è stata presentata alle forze dell'ordine proprio dal suo capo. Ma cosa è successo esattamente?Il protagonista della vicenda, che da anni svolge la mansione di postino, ha pagato per essere stato troppo zelante. Stando a quanto ricostruito dalle autorità, tra la fine del 2022 e gli inizi del 2023 il 55enne avrebbe iniziato a svolgere il proprio compito anche durante il fine settimana. Di sabato e di domenica, dunque, l'uomo consegnava lettere e pacchi di piccole dimensioni che si erano accumulati nel cesto della posta non corrisposta, ovvero di quella che era tornata indietro all'ufficio postale dopo un primo tentativo di consegna andato a vuoto. Dopo aver frugato nel contenitore ed effettuato una selezione tra la corrispondenza in giacenza, il postino si occupava di consegnarla al legittimi proprietari, operando al di fuori del proprio orario di lavoro. Una decisione nata in modo autonomo e totalmente spontaneo, e di cui il 55enne non aveva informato nessuno, né il capo né tantomeno i suoi colleghi.
Notando una sospetta diminuzione del numero di lettere e pacchi nel cesto della posta non corrisposta, i dipendenti della filiale hanno riferito il tutto al direttore. Preoccupato che la posta scomparsa potesse essere stata rubata o distrutta, quest'ultimo ha deciso di sporgere denuncia formale presso i carabinieri della compagnia di Riccione. Gli uomini dell'Arma, dopo aver avviato le indagini sul caso sotto il coordinamento della procura della Repubblica di Rimini, sono quindi riusciti a risalire all'autore delle "consegne clandestine".

Purtroppo, nonostante che si a stata dimostrata la sua buona fede, l'eccessivo zelo del postino stacanovista è al momento costato caro. L'uomo è stato denunciato con l'accusa di occultamento ai fini di distruzione di corrispondenza, subendo anche una sospensione dal lavoro che si è conclusa lo scorso mese di novembre. Concluso il provvedimento disciplinare, col postino che ha ripreso regolarmente il suo lavoro, resta ancora in piedi l'inchiesta sul reato a lui ascritto: in attesa che si concludano le indagini, quindi, non si sa ancora se arriverà il rinvio a giudizio o l'archiviazione.

26.1.24

l'olocausto non è solo shoah .Manifestazione pro Palestina, Ascari: per la pace dovrebbe partecipare anche comunità ebraica




 ecco la mia risposta al no no della comunità ebraica e al doivieto dei cortei da parte dei profeti al corteo, nel Giorno della Memoria, pro-Palestina: “Una sconfitta per tutti


infatti




la memoria   dell'olocausto    come ho già etto  nel  post precedente   non  dovrebbe essere  a senso  unico  

24.1.24

ecco perchè siamo ancora bambini il caso di “Se…” poesia di Rudyard Kipling composta nel 1895 e contenuta nella raccolta “Ricompense e Fate”







“Se…” è una poesia di Rudyard Kipling composta nel 1895 e contenuta nella raccolta “Ricompense e Fate”


In occasione dell’anniversario di Rudyard Kipling, padre de “Il libro della giungla”, nato a Bombay il 30 dicembre del 1865 e morto a Londra il 18 gennaio del 1936, vi proponiamo la sua più famosa poesiaSe”, dedicata al figlio e composta nel 1895 e contenuta nella raccolta “Ricompense e Fate”.

                                          “Se”


Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;
Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.
Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c’è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”
Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!



Diventare uomini coltivando le giuste virtù

Questa poesia di Rudyard Kipling, tradotta in italiano per la prima volta da Antonio Gramsci col titolo “Breviario per laici” e pubblicata nel 1916, è una sorta di guida per diventare adulti in cui lo scrittore britannico sottolinea l’importanza di coltivare certe virtù quali ad esempio il perdono, la capacità di sognare e l’amore. solo in questa maniera, ci dice Kipling, si diventerà davvero uomini. La meraviglia di questo lungo componimento sta nella forte attualità del suo contenuto e dei valori che vuole trasmettere. Non sono i soldi, il tipo di lavoro o lo stato sociale a rendere adulta una persona – in questo caso un uomo – bensì ciò che essa porta nel proprio cuore.

23.1.24

perchè il 27 gennaio , cioè il giorno della memoria non DOVREBBE ESSERE solo una giornata pulicoscienza

 Il 27 gennaio 2024 ricorerrà il XXVI Giorno della Memoria e, più che mai, vogliamo mantenere vivo il ricordo di coloro che hanno subito orrori indicibili nei campi di sterminio. Ebrei, omosessuali, sinti, rom, oppositori politici, disabili: l'Olocausto non deve essere solo un capitolo dei libri di storia, ma una ferma testimonianza dell'importanza di difendere i valori umani, la dignità e la libertà.Con determinazione e impegno, dobbiamo assicurarci che gli errori del passato non si ripetano mai.Il Giorno della Memoria è sempre di più un richiamo alla nostra responsabilità collettiva di preservare la storia e di promuovere la tolleranza e la democrazia. Di più non riesco a dire



22.1.24

DIARIO DI BORDO N° 31 ANNO II Al minuto 33 di Udinese-Milan, e all’ennesimo urlulato razzista e verso della scimmia, il portiere rossonero Mike Maignan ha lasciato la propria porta, e si è diretto verso gli spogliatoi.,tennista ucraina di 16 anni stringe la mano alla rivale russa, il padre si scusa., dicono ch all'estero la Meloni non Sbagli un figurone con il caso Sgarbi


Al minuto 33 di Udinese-Milan, e all’ennesimo ululato razzista e verso della scimmia, il portiere rossonero Mike Maignan ha lasciato la propria porta, ha avvisato l’arbitro e si è diretto verso gli spogliatoi, deciso a non continuare a subire quella vergogna.
Insieme a lui, tutti i compagni di squadra, che hanno fatto l’unica cosa che ha senso fare di fronte a questi miserabili: fermarsi, togliergli il giocattolo, l’unica cosa che questi decerebrati indegni di essere chiamati tifosi capiscono. Poi i giocatori sono rientrati, la partita è proseguita, l’ha vinta in rimonta il Milan, ma mi auguro che venga comunque decisa a tavolino con lo 0-3 come da regolamento. Dovrebbe scattare in automatico. Ma soprattutto   come ho  detto  su  fb  : <<  NON SONO MILANISTA , MA STIMO MOLTISSIMO IL GESTO DEI LORO GIOCATORI . LO SO' SARA' COME RACCOGLIERE L'ACQIUA DELMARE CON UN CUCCHIAIO , MA E' MEGLIO DI NIENTE DEL SILENZIO E DELL'INDIFFERENZA . SE TUTTE LE SQUADRE I CALCIO A PRESCINDERE DALLA SERIE E DALLA CATEGORIA , LO FACESSERO TUTTE E LE SOCIETA' TRONCASSERRO RAPORTI CON CURVE E TIFOSI DEL GENERE SIMILI COSE NON SUCEDEREBBERO >>Altrimenti il coraggio di Maignan, le sue parole, resteranno,   come   al solito, al vento.
Grandissima presa di posizione di Maignan che dopo un primo avviso all'arbitro decide di lasciare il campo seguito da tutti i suoi compagni per gli ululati dei soliti mentecatti metaforicamete parlando che nel 2024 ancora non sono capaci di stare al mondo e cotivano ideologie idiote ormai superate e condannate dalla storias . Mi chiedo come

Francesco Gaglio
Allo Stadio vanno tutti, famiglie con bambini, tifosi veri che sostengono, e pure la feccia. Ci sono realtà dove la feccia si vede molto bene, si distingue con facilità. Peccato che resti quasi sempre impunita, oppure quando si colpisce lo si fa in modo generalizzato, senza senso. Ognuno è responsabile per se stesso. I cori razzisti sono solo la punta dell’iceberg. Le insegne e i saluti fascisti, sono il peggio del peggio, il fondo del barile. A pensarci non è che lo Stadio è un po’ lo specchio di tutto il Paese?


E come Marzullo mi sono dato la risposta : anche questo increscioso episodio, aggiunto ad altri eclatanti, indicano che la marea fascista e xenofoba che attraversa l'Italia e non solo, continui a montare inesorabile.Infatti Pur non avendo vissuto direttamente il periodo dell' avvento e crescita del fascismo,ma avendo vissuto in famiglia nella contrapposizione \ scontro nella famiglia paterna 8 mio padre e mio zio comunistri extraparlamentari e mio nonno e i miei prozii fascisti ) noto parecchi elementi di similitudine, non ultimo il tentativo sempre presente di minimizzare gli accadimenti . Infatti in post durissimo, su Instagram, per cercare di marcare una differenza rispetto al passato, quando gli episodi di razzismo negli stadi hanno portato tante parole e nessun fatto. È quanto fatto dal portiere del Milan Maignan, all’indomani dei cori razzisti subiti nella partita in casa dell’Udinese e alla sua clamorosa protesta (ha lasciato il campo, partita sospesa e poi ripresa dopo 5 minuti). Messaggio chiaro, con tanto di attribuzione di responsabilità: “Oggi è un intero sistema che deve assumersi le proprie responsabilità – ha scritto il numero uno rossonero – Gli autori di questi atti, perché è facile agire in gruppo nell’anonimato di un forum; gli spettatori che erano in tribuna, che hanno visto tutto, che hanno sentito tutto ma che hanno scelto di tacere, siete complici; il club dell’Udinese – ha continuato – che ha parlato solo di interruzione della partita, come se nulla fosse, è complice; le autorità e la Procura, con tutto quello che sta succedendo, se non fai nulla, sarai complice anche tu“.Poi l'ottimismo (di circostanza?): “È una lotta difficile, che richiederà tempo e coraggio. Ma è una battaglia che vinceremo”. Mike Maignan ha poi ricordato che “non è stato il giocatore ad essere stato aggredito. È stato l’uomo. È stato il padre di famiglia. Questa non è la prima volta che mi succede – ha scritto – E non sono il primo a cui è successo. Abbiamo fatto comunicati stampa, campagne pubblicitarie, protocolli e non è cambiato nulla”. E ancora: “L’ho già detto e se è il caso lo ripeto: non sono una vittima. E voglio dire grazie al mio club AC Milan, ai miei compagni, all’arbitro, ai giocatori dell’Udinese – ha aggiunto – e a tutti quelli che mi hanno mandato messaggi, che mi hanno chiamato, che mi hanno sostenuto in privato e in pubblico. Non posso rispondere a tutti ma vi vedo e siamo insieme”.
Da sottolineare, in tal senso, la presa di posizione ufficiale dell’Udinese Calcio, con una nota ufficiale sul proprio sito in cui la società si dichiara “profondamente dispiaciuta e condanna ogni atto di razzismo e violenza. Riaffermiamo la nostra avversione a qualsiasi forma di discriminazione – ha scritto il club friulano – ed esprimiamo la nostra profonda solidarietà al giocatore del Milan Mike Maignan alla luce del deplorevole episodio avvenuto sabato nel nostro stadio”. L’Udinese “collaborerà con tutte le autorità inquirenti per garantire l’immediato chiarimento dell’accaduto, con l’obiettivo di adottare ogni misura necessaria per punire i responsabili”. Come Club “continueremo a lavorare diligentemente, come abbiamo sempre fatto, per promuovere la diversità e l’integrazione di tutte le etnie, culture e lingue tra i nostri giocatori, lo staff, la città ed una tifoseria che ha sempre dimostrato correttezza“.



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Il gesto dopo il match ha scatenato polemiche in Ucraina «È stato un errore e se ne pente»: tennista ucraina di 16 anni stringe la mano alla rivale russa, il padre si scusa



Il padre della tennista ucraina Elizaveta Kotliar si è fatto avanti dopo che la figlia ha stretto la mano alla rivale russa Vlada Míncheva al termine di una partita agli Australian Open 2024, scatenando una valanga di critiche in Ucraina.
L'incontro, disputato sabato 20 gennaio, si è concluso con la vittoria della russa per 6-2 e 6-4, dopodiché le atlete si sono avvicinate alla rete e si sono strette la mano.
Tuttavia, secondo una dichiarazione rilasciata sabato dalla Federazione ucraina di tennis, che cita il padre dell'adolescente, Konstantin Kotliar, l'atleta ha compiuto il gesto «automaticamente».
«Liza ha solo 16 anni, non ha grandi esperienze di gioco in competizioni importanti come i tornei del Grande Slam», ha detto il padre. Che ha sottolineato: «È stato un errore di cui Liza si pente, non accadrà mai più».

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Dicono  che  all'estero la  Meloni non sbaglia  mai .  Infatti il  suo sottosegretario Vittorio  Sgarbi    finisce  sul  nytimes perchè è indagato   per  i caso della  tela  rubata (  qui  l'articolo originale   da  cui  ho  preso  la    foto  )  e il  governo tace . Un Figurone  proprio . 

Sgarbi ha sempre rivendicato una concezione “privatistica” dell’arte a favore di mercanti, collezionisti e antiquari, teorizzato regole e prassi diverse da quelle previste dalla legge sulla tutela e dal Codice dei beni culturali. Nel frattempo  stando alle inchieste

 

  • “Sgarbi cachet d’oro, 300mila euro in 9 mesi”. Il 24 ottobre 2023 il Fatto accende un faro sulle “attività parallele”, mai dichiarate, che il sottosegretario svolgeva tramite società del caposegreteria e della compagna. L’agcm, su richiesta del ministro Sangiuliano, apre un’istruttoria i cui esiti sono attesi entro il 14 febbraio. Ma Sgarbi continua: settimana scorsa era Conegliano, per 1.500 euro presenta il nuovo libro. A mezzanotte (da sottosegretario) si fa aprire Palazzo Sarcinelli per vedere un De Chirico.
  • IL GOVERNO arruola il celebre pasticcere Iginio Massari. Il ministro Francesco Lollobrigida ha annunciato che la legge che istituisce il riconoscimento di “Maestro dell’arte della Cucina Italiana”, premiando le eccellenze dell’enogastronomia, sarà soprannominata “legge Massari”. In più, il governo ha proposto al pasticcere di guidare la commissione che sarà incaricata di giudicare tecnicamente la qualità degli aspiranti “Maestri”
  •  L’inchiesta mette in luce un uso disinvolto degli uffici, con rimborsi e trasferte dubbi. Emergono favori ad artisti da cui riceve compensi, rapporti con finanziatori come il principe Antonio Pallavicino di Genova: il 2 gennaio Sgarbi fa una videodenuncia contro un progetto di ascensore sgradito al Principe e chiede la testa del soprintendente. Tre mesi dopo riceve da lui 54mila euro come “regalia”.
  • –È ancora un quadro il grimaldello su cui poggia l’indagine della Procura di Roma per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: debiti con l’agenzia delle Entrate (715mila ). I pm contestano a Sgarbi d’aver comprato un dipinto all’asta facendo figurare la fidanzata Sabrina Colle come acquirente e con denaro di terzi (Pallavicino).
  •  Da un’inchiesta del Fatto e Report a fine dicembre esplode la storia del dipinto rubato a Buriasco e riapparso in mostra a Lucca come “inedito” di proprietà di Sgarbi. Il sottosegretario è indagato per riciclaggio di beni culturali: si sospetta abbia esposto una copia anziché l’originale. Entrambe sono state sequestrate il 12 gennaio. Sono in corso accertamenti tecnici e perizie.
  •  Nel 2019 la Procura di Siracusa indaga su un giro di dipinti falsi messi in mostra da un impresario vicino a Sgarbi. Intercettandolo, salta fuori che insieme alla compagna Sabrina Colle stava tentando di esportare illegalmente un caravaggesco attribuito a Valentin de Boulogne sequestrato a Montecarlo.Sgarbi dirà alla procura di Imperia che non era suo, ma l’ex restauratore Mingardi lo smentisce. Una mail partita dalla segreteria di Sgarbi ne attesta l’autenticità. Tenterà di attribuirne la proprietà a un morto (Augusto Agosta Tota), ma la figlia nega: “Mai visto quel quadro”.

  sconcerta che un uomo di governo sia indagato per reati specifici della sua funzione: il ministero della Cultura dovrebbe tutelare i beni culturali.IL sottosegretario deve rispondere dei oltre  ai  sospetti sul quadro rubato, sugli affari illegittimi, sulla frode e sul riciclaggio. Ma  purtroppo  i  ministri sono tutti incompetenti  dato che   da subito Sgarbi è emerso come anomalia: nessuno lo vuole, nessuno lo caccia. Alle uscite imbarazzanti e alle inchieste è seguita la consegna del silenzio, segnale di debolezza  Quindi   colpevole    o innocente      che  sia   ,  sarà la  magistratuta  a  giudicarlo   ,    si  deve  dimettere  o  dovrebbero  buttarlofuoriu dal  parlamenti 

20.1.24

‘La rosa dell’Istria’, l’esodo dei profughi giuliani è un film. La direttrice di Rai Fiction: “Non c’entra secondo la destraTeleMeloni, è memoria condivisa” oppure no ? staremo a vedere

  


di  cosa  stiamo parlando  
Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate. Così, ancor prima della messa in onda, ha suscitato palesi irritazioni La rosa dell'Istria, il film tv che (tratto dal
romanzo di Graziella Fiorentin Chi ha paura dell'uomo nero?, e diretto da Tiziana Aristarco) vedremo lunedì 5 febbraio su Raiuno. Il motivo? secondo la i nazionalisti ed la destra : << Il film racconta la storia dell'esodo dall'Istria dei profughi istriani e dalmati, dal 1943 in poi costretti dai partigiani comunisti di Tito ad abbandonare terra, casa e lavoro, per vagare in cerca d'identità e dignità. Non basta: il film della Aristarco è stato presentato lo scorso dicembre assieme a molti altri titoli, fra i quali però vennero notati soprattutto La lunga notte (sui fatti del Gran Consiglio del 25 luglio 1943) e L'Italia chiamò (biopic su Goffredo Mameli). >>.Ora   Il protagonista Andrea Pennacchi: su   Repubblica  : << Su Rai 1 ‘La rosa dell’Istria’, l’esodo dei profughi giuliani è un film. La direttrice di Rai Fiction: “Non c’entra TeleMeloni, è memoria condivisa” >>
 afferma    giustamente Storie che vanno raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo .Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". >>  Dello   stesso    temore   è la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, giornata  ormai.  diventata settimana  ,  in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata . Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? di Graziella Fiorentin (Corbaccio) affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli. Esso  dovrebbe   avere   , l'intento    di  << Costruire una nuova narrazione >>
   nel raccontare   <<  un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, anche perché vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni - Escludo l'idea che ci sia stato dietro un pensiero di costruzione di una nuova narrazione. Anche perché abbiamo cominciato a scrivere tre anni fa". >>È "importante raccontare anche parti di storia che sono state ancora abbastanza raccontate e  vengo   raccontate  male    strumentalizzate  ideologicamente  .  concordo  con   quanto  si dice sempre  su repubblica  : <<   Parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere >>.


                                                        Andrea Pennacchi e Gracjela Kicaj



La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe il  mediocre   ,  si  salva  solo  per la  fotografia  e il  buon cast  , Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende [  o dovrebbe renderlòa     corsivo  mio   ] volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare  >>aggiunge Ammirati.



Nella foto:  Andrea Pennacchi e Costantino Seghi

  dalla  trama 

L'esodo della famiglia Braico
Così seguiamo l'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento: una strada che la mette in rotta di collisione con il padre.L'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento:na strada che la mette in rotta di collisione con il padre.
"L'esodo ha riguardato 350mila persone che nell'arco di sei, sette, otto anni hanno dovuto lasciare la casa e i loro beni per rimanere italiani" ricorda Alessandro Centenaro, coproduttore per Venice Film. È "un film importante su cui abbiamo lavorato con grande amore e passione - aggiunge Verdiana Bixio, coproduttrice per Publispei - C'è uno sforzo produttivo notevole e si vede una quantità di territorio friulano incredibile, con un'ottantina di location".
Nel ruolo della protagonista c'è l'esordiente Graciela Kicai, albanese che vive in Italia fin da bambina, ora allieva all'Accademia di Brera: "Sono venuta in Italia da molto piccola e non mi è capitato di subire bullismo o di essere emarginata come succede a Maddalena”, spiega. Però quello del film  <<  è  un tema che ritroviamo tutti i giorni nelle notizie, dall'Ucraina al Medio Oriente, vediamo tutti come la storia si ripeta >>.
 Sembra    buna   . Infatti  sempre  secondo  repubblica  : <<  Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". Lo spiega la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. >>
Purtropo  Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli e  non affronta     tutto   quello   che c'era  prima  . In  quanto  le  origini   di tali  abberrazioni  vanno  ricercate  non solo      il 25 luglio  1943 . 
 


Quindi se proprio    si  vuole  e si deve   "Costruire una nuova narrazione”  va  fatta  a  360 gradi    soprattutto    se  lo si fa  in tv   . Altrimenti   l'istituzione  della  giornata  settimana   è  solo mera  propaganda   ed  uso  politico   \  strumentale   della storia  . E  un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, diventa solo ipocrisia  e pulicoscienza  ,  anche perché   <<  vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni.  
Ed  ecco  che  lo  scopo    di   raccontare anche parti di storia  cosi dolorosa  ed  ancora  "  divisiva "  con cui  anora   non  abbiamo  fatto i conti   e    di cui  si pretende  di volere  fare un qualcosa  di condiviso   Quini   parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere bene .La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare" aggiunge Ammirati.D'accordo con lei Andrea Pennacchi: "La memoria che hai e che guida le azioni nel presente, è diversa dalla storia che ti insegnano a scuola - sottolinea l'attore - lo dico da figlio e nipote di partigiani. Ora vediamo nel mondo il fallimento di memorie che non sono riuscite a dialogare l'una con l'altra. Queste sono storie che devono essere raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo adesso".

17.1.24

la destra continuerà ad attaccare la cortellessi anche dopo il discorso integrale della Luiss ?

 Dopo  i mei articoli :  I II  Riporto  sotto   il discorso integrale che Paola Cortellesi, attrice e regista reduce dallo strepitoso successo nelle sale del suo debutto da regista C’è ancora domani, ha tenuto in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Luiss. Alcuni stralci del discorso sul sessismo nelle fiabe erano stati pubblicati in questi giorni e avevano suscitato diverse polemiche. Ci voleva molto a diffonderlo subito a evitare polemiche ed ....bla...bla....  inutili ed  volgari  
Ma soprattuttto : << Bisognerebbe vergognarsi per la spazzatura che le hanno tirato addosso, anche quelli che si professano "femministi" o sembrano con un po' di sale in zucca.....Ma la vergogna e' sentimento per chi ha intelligenza e dignita' >> (Angela Vitaliano   facebok il 15 gennaio alle ore 16:24). 
 Prima  di  lasciarvi  al discorso ( condivisibile  o meno )     della  Cortellesi   affermo  che    adesso ha  un altro senso  risetto  alla ....  lanciatagli  .Inoltre  avrei   dei dubbi     , delle domande  elucubratorie  sul perchè  solo ora   la  Luiss  ha  deciso di    rilasciare  l'intervento integrale  e  non  subito  .  Ma   visto    il clima   che si è creato   con il caso Lucarelli  e  la  coerenza   con quanto  ho detto   nei post precedente su tale argomento   ( https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/01/notizie-non-notizie-e-shitstorm-il-caso.html )   opto  per   il  silenzio   e  il lasciare andare   come  suggerisce  la  famosa  Let It Be (Testo) - The Beatles

Non riuscendo  ad incorporare  il video  nel post      riporto dal post     torvato su   fb     sia  la trascrizione  integale dell'intervento    sia  l'url con   il  video


· Grazie a Paola Casella per la segnalazione.Due giorni di polemiche inutili ormai scomparse dai mediaPaola Cortellesi, il monologo integrale sul sessismo nelle fiabe tenuto all'Università Luiss (sky.it)
"Grazie professoressa Severino, grazie a tutti voi, buongiorno agli ospiti, buongiorno ai ragazzi. Mi chiamo Paola Cortellesi, sono un’attrice, da una ventina d’anni scrivo per la radio, il teatro e la tv. Da dieci anni scrivo film per il cinema e da poco ho esordito alla regia con C’è ancora domani, uno spericolato film d’epoca, in bianco e nero che, in soldoni, tratta di prevaricazione e violenza di genere. Una mattonata, sulla carta, come diremmo in gergo. Con questi presupposti, nessuno si sarebbe aspettato un ampio gradimento della pellicola, e invece, contro ogni pronostico, questo film ha avuto un successo travolgente, ha battuto molti record e al momento è stato visto nelle sale cinematografiche da più di 5 milioni di persone", con queste parole ha esordito l'attrice, sceneggiatrice e regista, ospite all'Università Luiss. "Io ho iniziato il mio lavoro come attrice quasi trent’anni fa, nel mio settore ho avuto molte soddisfazioni, ricevuto importanti riconoscimenti ma, ultimamente, intorno al clamore suscitato dal film, l’interesse nei miei confronti è cresciuto spropositatamente. Questo a volte genera cose anche spiacevoli, come gli adulatori - da cui bisogna sempre guardarsi - e una certa diffusa aggressività di alcuni nel tentativo di trarre vantaggio da questi miei quindici minuti di popolarità. Fenomeni passeggeri e di nessun conto rispetto a esperienze magnifiche e per me eterne come incontrare la commozione sincera delle persone in sala a fine proiezione e la condivisione spontanea di momenti importanti e a volte duri della loro vita", prosegue Paola Cortellesi davanti alla platea composta dagli studenti dell'università Luiss."Tra le cose belle e piacevoli, c’è la telefonata di Luigi Gubitosi (presidente della Luiss, ndr). Quando mi ha chiamata per propormi di essere qui oggi per l’inaugurazione dell’anno accademico di questa prestigiosa università, mi sono sentita fiera, onorata e... inadatta. Io che l’università l’ho lasciata a metà del percorso per andare a studiare teatro - quello l’ho studiato - che poi è diventato il mio lavoro, gli ho risposto che mi sentivo orgogliosa di parlare agli studenti ma che sarebbe forse stato meglio chiamare persone competenti in materia di legge, marketing, economia, perché le mie conoscenze non hanno molto a che vedere con i corsi di studio di questa università e che - le interpreti, le diriga o le scriva - le mie competenze si limitano a raccontare storie. E allora Luigi mi ha risposto: ‘E io questo chiedo, io questo voglio! Racconta il tema del tuo film, fai un racconto nel racconto. Le storie fanno bene, le storie fanno crescere, sono uno stimolo di riflessione’. Ha ragione, quindi eccomi qua", dice Cortellesi."Eccomi qua a cercare di capire insieme a voi perché questa storia di violenza e prevaricazione in bianco e nero ambientata nel passato abbia fatto breccia nel cuore di così tante persone. Perché, perché è successa questa cosa", si domanda Cortellesi."In breve, vi dico la trama, per chi non avesse visto il film, immagino molti di voi (sarebbe davvero presuntuoso pensare che l’avete visto tutti). Delia - che io interpreto, quindi una signora della mia età - è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono, e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni Quaranta e la nostra famiglia qualunque vive nella Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano, suo marito, è capo supremo e padrone della famiglia. Lavora per portare i pochi soldi a casa e non manca occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per il suo anziano padre, il Sor Ottorino, un vecchio cattivo e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. È primavera e la nostra Delia è in agitazione per il fidanzamento dell’amata primogenita, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, Giulio. Un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui Delia aspiri. Non chiede nient'altro Delia. Accetta la vita che le è toccata e, se tutto procedesse come stabilito, la nostra storia finirebbe qui. Se non ci fosse l’ostilità dei genitori di Giulio, se non ci fosse tutto quel fermento in città, se non avesse incontrato Nino, il suo primo amore, e se non avesse ricevuto una misteriosa lettera che le toglie il sonno e che le darà il coraggio di provare a pensare a un futuro migliore", spiega Paola Cortellesi. "Ora, detta così, sembra una delle trame di tante fiabe per bambine, sempre un po’ sinistre a dire la verità... Voi ne conoscete qualcuna immagino, no? Cappuccetto Rosso, no? Forse queste sono dei tempi miei, ma immagino che Cenerentola, Biancaneve… queste le conoscerete. Comunque, per chi non le conoscesse… Cenerentola e Biancaneve narrano di giovani sprovvedute, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante (ai limiti della patologia), che subiscono angherie di ogni genere da altre donne malvagie. Quindi la matrigna sfrutta Cenerentola, ragazza bravissima nelle faccende domestiche (che solitamente svolge cantando). E la matrigna tiene nascosta l’avvenenza della ragazza al principe. Ma grazie a una magia, a Cenerentola basta presentarsi in tutto il suo splendore per un paio d’ore perché il principe se ne innamori perdutamente. La matrigna la tiene nascosta ma lui, scaltro, la ritrova e la riconosce… perché l’aveva vista? No: perché ha i piedi sproporzionatamente piccoli... Comunque alla fine lui la salva e la sposa. Questa era la prima cattiva, la matrigna", prosegue l'attrice, sceneggiatrice e regista. "La regina di Biancaneve è ancora più canaglia perché lei è di fatto la mandante del tentato omicidio di Biancaneve. Perché lo fa? Perché lei vuole essere la più bella del reame. Quindi anche con l’aggravante dei futili motivi… Tentato omicidio perché il cacciatore, uomo coraggioso e di buon cuore, non ce la fa. Anche perché la ragazza è troppo bella. È bella. Fosse stata una cozza, al limite l’avrebbe squartata, ma è così bella… E poi è ingenua, perché proprio è ingenua come un cucciolo di labrador. E lui la lascia andare. Allora Biancaneve incontra i Sette Nani, presso i quali si adopera per un periodo come colf. Poi, nonostante le mille raccomandazioni, anche dei Sette Nani, Biancaneve si fida di una vecchia orrenda, con l’aspetto da strega e che infatti è la strega. Morde la mela avvelenata, muore. Risorge grazie a chi? Al principe. A un bacio del principe, che se ne innamora perdutamente perché? Perché è bella. Quindi il principe la salva e la sposa. Ecco, entrambe le ragazze, bellissime - per carità - ma un po’ stralunate, trovano la loro realizzazione nel matrimonio con il principe. Un estraneo. Un estraneo che sposano subito, senza pensarci, senza nemmeno esserci uscite una volta a cena", aggiunge Cortellesi. "Tornando alla trama del mio film, dicevo che la vita della povera Delia è talmente ingiusta da sembrarci la versione deprimente di una favola per bambine, e invece è storia. È storia piuttosto consueta di una famiglia qualunque della seconda metà degli anni Quaranta. Scena 1: uno schiaffone in pieno viso e via, come se niente fosse. Ecco, io avevo questa immagine e il desiderio di mettere in scena - attraverso Delia - le donne che ho immaginato dai racconti delle mie nonne e delle mie bisnonne. Vicende vere, drammatiche, però narrate con disincanto, e addirittura la volontà di sorriderne. Storie di vite dure, condivise con tutte nel cortile. Gioie e miserie, tutto in piazza, sempre. In quei racconti c’erano le donne comuni, quelle che non sono passate alla storia, quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni perché così era stabilito, senza porsi domande. Questo è stato, questo a volte è ancora", racconta Paola Cortellesi. "Da allora le donne hanno fatto grandi passi avanti, si sa, ma come sapete la cronaca ci racconta che in Italia si consuma un femminicidio ogni 72 ore, in media. Donne assassinate per la sola ragione per essere donne, il più delle volte da uomini che dicevano di amarle così tanto da considerarle loro proprietà. Nel nostro Paese ci sono uomini, quindi, anche giovanissimi, che non hanno la capacità di gestire un rifiuto, che non tollerano l’emancipazione, l’allontanamento della donna che credono di amare. E questo, nei casi più tragici, si traduce con : 'o mia o di nessun altro, mai più'", sottolinea l'interprete e cineasta. "Quando ho scritto questo film insieme ai miei co-sceneggiatori abbiamo studiato le dinamiche, da lì siamo partiti: le dinamiche sempre uguali che oggi caratterizzano un rapporto tossico. La donna è isolata, allontanata dalla famiglia d’origine e dalle amicizie; è continuamente vessata da un linguaggio denigratorio, subisce percosse e rapporti sessuali non consensuali. Non è indipendente economicamente, non può scappare. La prigioniera perfetta, la preda perfetta. Questa condizione, che oggi ci ripugna, era all’ordine del giorno alcuni decenni fa, e nessuno allora gridava allo scandalo, nemmeno le donne stesse, perché quello era stato prospettato loro fin da bambine: servire, ubbidire, tacere", fa notare Cortellesi. "Avevo intenzione di fare un film contemporaneo ambientato in un passato non troppo remoto e seguire la crescita di un germoglio spontaneo di consapevolezza in una donna che non sa nulla, che non conta nulla e che appunto si sente una nullità. Delia, la nostra Delia, non vale niente, così le hanno insegnato, ma una lettera con sopra il suo nome - il suo, non quello del marito - e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio di cambiare le cose. Io ho trovato il riscatto di Delia, il finale del mio racconto, leggendo con mia figlia un libro per bambine sulla storia dei diritti delle donne. Ho provato a immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno, lo Stato in quel caso, qualcuno tanto più importante dei loro aguzzini domestici, certificava il loro diritto di contare", spiega. "Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle donne qualunque che hanno costruito ignare il nostro Paese. Delia è le nostre nonne e bisnonne. Chissà se loro hanno mai intravisto un domani. Per Delia un domani c’è: è un lunedì ed è l’ultimo giorno utile per cominciare a costruire una vita migliore. La nostra Delia si salva, e non grazie al coraggio del cacciatore, né tantomeno fuggendo su un cavallo insieme al principe. Si salva esercitando un suo diritto, suo e di milioni di altre donne. Si salva con la consapevolezza e un ritrovato rispetto di se stessa".E infine Paola Cortellesi analizza come segue lo strepitoso successo che ha raccolto la sua pellicola: "Credo che - al di là dello stile e della bellezza del film, per chi lo abbia ritenuto tale - alla base di questo successo ci sia l’empatia, l’immedesimazione. Questo film trascende la fruizione cinematografica ed entra nel quotidiano, evidentemente, e questo non grazie alle mie capacità ma a causa, ahimè, di un’urgenza di riscatto. Perché le giovani generazioni dovrebbero immedesimarsi con una storia del passato? È cambiato tutto, io stessa non posso immedesimarmi in una donna del secolo scorso che è stata trattata al pari di una schiava. Ma allora cos’è che ci tocca? Cosa riconosciamo? La violenza in tutte le sue forme. E se quella fisica per fortuna è una violenza che non ci ha mai riguardato, quella violenza ognuno di noi l’ha percepita almeno una volta nelle parole, negli atteggiamenti, nei commenti sgradevoli a scuola, a casa, sul lavoro. Vive e prolifera nelle piccole cose, ci inganna piano piano. È così presente da risultare invisibile, talmente presente che la diamo per scontata e ci convince che così deve essere, come niente fosse. Noi diamo per scontato che per un ragazzo una passeggiata notturna è una passeggiata notturna mentre per una ragazza è un percorso potenzialmente pericoloso da affrontare in fretta e con mille cautele? È ingiusto, è folle, è sotto i nostri occhi ma a volte lo diamo per scontato, non lo riconosciamo perché è negli schemi", prosegue la cineasta. "Lo sentiamo da piccoli, quando alle bambine con un’indole vivace viene dato del ‘maschiaccio’. Qualcuno ha stabilito che le femmine debbano essere composte, pacate, remissive, graziose e che la vivacità debba appartenere al maschio, a cui viene attribuita non si sa come un’innata aggressività, che infatti diventa ‘maschi-accio’ Accio, dispregiativo se associato a una bambina. lo sentiamo quando ai bambini che piangono si dice ‘non fare la femminuccia’. Come se i maschi non avessero il diritto di piangere, di essere sensibili e fragili. La fragilità è delle femmine, individui deboli. Ucce, femmin-ucce, diminutivo. Loro hanno facoltà di lamentarsi, ai maschi si impone di reagire e farlo subito, pure a cinque anni, quasi che un fisiologico tempo di delusione e di sconforto li esponga al pericolo di una qualche perdita della virilità", continua Paola Cortellesi. "Schemi, condizionamenti tramandati in buona fede se non dalle nostre famiglie dalla nostra società. Modelli in cui finiamo per rinchiuderci pur di piacere, di accontentare, di non deludere le aspettative", illustra Cortellesi, facendo infine un augurio a se stessa, al suo pubblico e a tutta la società."Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà", queste le sue parole. "Come dicevo, non ho nulla da insegnare, ma a cinquant’anni ho qualcosa da raccontare. Vi parlo con l’unico vantaggio dell’esperienza. Se alla vostra età avessi potuto contare sul vantaggio di chi era più vecchio, non avrei commesso molti errori. Fate tesoro di chi è in vantaggio, traetene beneficio. Gli errori, si sa, aiutano a crescere. Commetteteli allora, ma fatelo nel tentativo, anche maldestro, di liberare la vostra creatività, di costruire la vostra indipendenza. L’errore che invece potete evitare è fare esclusivamente ciò che si aspetta da voi e quello che gli altri decidono per voi. Siate sempre i protagonisti del vostro progetto e mai le comparse del progetto di qualcun altro. Grazie”, così conclude Paola Cortellesi inaugurando l'anno accademico all'Università Luiss.


16.1.24

DIARIO DI BORDO N°30 ANN0 II (SPECIALE) Notizie, non-notizie e shitstorm il caso Giovanna Pedretti vhs selvaggia lucarelli e i media

Prima lanciava 💩🤬☠👿 su ferragnez , poi vedendo che è come sparare sulla croce rossa si defilata . Ma Poi è uscita la notizia della pizzaiola morta suicida in provincia di Lodi dopo che un suo post social (vero? Falso?) era diventato virale ed era stato fatto oggetto di verifiche . Si chiamava Giovanna Pedretti.  Prima  di mettere     in rete ( ma non solo  )      e  prima  di   fare  debbunking   bisogna  chiedersi     cosa distingue il vero dal falso? Cosa separa un blogger da un bullo, uno chef da un opinionista, una gattara da una giudice dell’universo mondo? Meglio restare ai fatti. E i fatti dicono che una povera donna è morta. Ha ragione ( anche se in parte in quanto   si   sminuisce  le responsabilità  della famosa  blogger  essendo     giornalista  del loro  giornale    )     : << [...] Stare sui social è diventato un mestiere usurante e pericoloso, talvolta mortale. Chi li usa senza precauzioni non è attrezzato a sopportarne le conseguenze e non capisce che il web è come un sifone a U: se ci fai i tuoi bisogni, questi ti ritornano in faccia. E non di rado accade lo stesso anche con gli escrementi altrui.I personaggi pubblici sono sempre sotto i riflettori e, volenti o nolenti, ci fanno il callo. Ma le persone comuni spesso non reggono all’esposizione, soprattutto quando passano in mezzo minuto dagli altari alla polvere, da famosi a famigerati. [...] >> l'editoriale marco travaglio sul FQ del 16\1\2024 .
                 Giovanna Pedretti, striscione contro i media: “Siamo esasperati”  da   
https://www.thesocialpost.it/2024/01/16/giovanna-pedretti-striscione-contro-i-media-siamo-esasperati/


Infatti  come   dice   Giulia  Blasi nella  sua  ultima NW  : <<  Questa settimana cominciamo a parlare di un argomento di cui dovremmo parlare di più, e non solo quando succede qualcosa di terribile.>>
Dei suicidi (lo spiegava bene Tiziana Metitieri in un articolo uscito su Valigia Blu nel 2020) bisogna parlare il meno possibile e nel modo più attento possibile, per tanti motivi. Il primo, e forse più importante, è che non sappiamo mai davvero perché qualcuno sceglie di uccidersi. Anche chi lascia un biglietto con le motivazioni del gesto sta in realtà descrivendo un trigger, una causa scatenante, non le ragioni vere e profonde per cui ha deciso di farla finita. Cosa passa nella testa di chi si toglie la vita, nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai: dovremmo astenerci dalle speculazioni, o peggio ancora, dal colpevolizzare singoli individui. Anche quando il collegamento ci sembra evidente.


Se ne parlo oggi, dedicando un numero speciale  della mia  riubrica  diario di bordo  , quindi, non è per fornire la mia opinione sull’esito del caso specifico, ma perché il caso specifico ci obbliga a riflettere sui meccanismi che regolano la comunicazione e, in ultima istanza, i rapporti umani.  << Ogni contenuto,---- come   giustamete  fa notare   Giulia  Blasi   ---- anche il più trascurabile, ha una funzione o un messaggio. In un mercato editoriale basato su un modello di business fragile come quello pubblicitario, i contenuti pubblicati sulle testate sono pensati per rispondere a un bisogno umano, molto spesso di tipo psicologico. In questo caso, il bisogno a cui si risponde è quello di sentire che il mondo non è perduto, che “c’è ancora speranza”, e che anche in un paese in mano alle destre radicali ci sono persone che mettono l’inclusione al primo posto. Li chiameremo “contenuti feelgood¹, perché sono pensati per far stare bene le persone, che li fanno girare perché li trovano educativi ed esemplificativi di modelli di comportamento virtuosi. Sono la versione intellettuale e progressista dei video di animalini buffi. il contenuto feelgood potrebbe anche solo restare tale. Nessuno va a controllare se sia vero o meno, e in un paio di giorni sparisce [... ] 
¹ Il contrario del contenuto feelgood è il contenuto fomenta-rabbia: non ci entrerò qui, ma anche questo dà una risposta a una necessità psicologica, vale a dire quella di trovare colpevoli, capri espiatori e punti di sfogo per una rabbia che altrimenti rischia di incanalarsi in direzioni indesiderate, e che può invece essere sfruttata per ottenere engagement, aumentare il pubblico e i clic da rivendere poi agli inserzionisti. La tecnica del rage farming è stata ed è tuttora alla base del successo di Donald Trump e di gran parte delle destre internazionali, e si basa sullo stimolo continuo del pregiudizio di conferma: gli immigrati rubano e uccidono, la sinistra minaccia la tua libertà, le persone LGBTQ distruggeranno la famiglia, le donne trans sono stupratori travestiti, le femministe sono pazze violente, e via dicendo.

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Certo,e  qui   spezzo  una   lancia  a  fare  della  Lucarelli    e del compagno le testate ufficiali \ maistream i giornali d'opposizione , i siti , i blog , i blog ( ed anche noi e qui mi riferisco anche a me stesso ) dovrebbero verificare l’autenticità di quello che pubblicano, anche quando non si tratta di una notizia . Qui la verifica è stata fatta dopo, da altri soggetti: quindi un contenuto feelgood che già non era una notizia è diventato una notizia (o meglio, si è trasformato in un altro contenuto) quando qualcuno ha sospettato che fosse basato su un contenuto originale non autentico.A cosa risponde questa seconda notizia, o contenuto, di stampo semi-investigativo? A un’altra esigenza, cioè quella di trovare sempre l’inghippo, sentirsi intelligenti e capaci di sgamare le truffe. Chi riprende il contenuto di debunking, per così dire, ce anche chi lo fa per dire: madonna quanto siete boccaloni, ci cascate sempre, vi si frega proprio con poco. Anche qua c’è della soddisfazione, eh: non dello stesso tipo, anzi, di segno opposto, ma c’è. E dove c’è la soddisfazione (quindi: la risposta a un bisogno), c’è anche la viralità.In sintesi: non solo la notizia era una non-notizia, ma pure la notizia che smontava la non-notizia era una non-notizia. Non valeva la pena di fare debunking di questa storia, e tantomeno di farlo con insistenza, come se si stesse investigando un segreto di Stato o abuso del potere . Ha ragione chi dice che se si mettesse la stessa energia nella verifica di notizie importanti saremmo un paese bellissimo e forse avremmo sconfitto la corruzione, la propaganda e le fandonie della gente di potere. Ammesso (e non concesso) che la pizzeria avesse fabbricato un commento da dare in pasto a una stampa alla continua ricerca di contenuti feelgood, quale sarebbe stato il vantaggio? Ballavano milioni? Prebende? Cariche pubbliche? No: lo scenario più ottimistico era che la pizzeria guadagnasse qualche cliente. L’energia impiegata nello scoperchiare la scomoda verità del commento fasullo sembra, ora, particolarmente mal spesa.
E qui entrano i social
Mi è capitato due o tre di volte di finire dentro una shitstorm ( chi mi segue dal mio esordio social lo sa ) generalmente di lieve entità. Di solito risolvo chiudendo tutto per 24 ore, il tempo fisiologico perché la gente si dimentichi perché si era incazzata o ti fa arrabbiare con i metodi di contenimento . Altre mie conoscenti e amiche non sono state così fortunate, e se uso il femminile è perché le donne sono molto più di frequente al centro di queste sassaiole verbali.
Photo by Nsey Benajah on Unsplash
A volte sono azioni casuali, a volte calcolate e sostenute nel tempo: c’è gente che campa, letteralmente, scegliendosi dei bersagli e dandoli in pasto ai cani. E non sono mica solo influencer o content creator: ci sono partiti politici la cui comunicazione è basata in buona parte sulla scelta di capri espiatori contro cui fomentare la sua base. Esemio La Lega ed lasjua base ha usato ( e spesso continua tuttora  )La Boldrini Michela Murgia come bersaglio per anni, anche quando era già ammalata (e la sua malattia, pur non essendo stata resa pubblica, era già intuibile dai contenuti che pubblicava sui social): la raffica incessante di insulti al suo indirizzo finì per causarle un disturbo dell’umore piuttosto grave, al punto che parlare in pubblico era diventato complesso e quasi inaffrontabile. Lei ne parlò in un articolo per Il Post che vale la pena di rileggere, perché ci dice praticamente tutto quello che dobbiamo sapere sulle conseguenze di un attacco di massa. Michela ora è morta,pace all'anima sua , e c’è ancora in giro gente che la odiava al punto di gioire per la sua morte. Per noi che la conoscevamo è un dolore incrociare questi commenti, e ci fa venire voglia di menare le mani (o almeno, a me lo fa venire). Poi passa, perché non ne vale la pena, e perché se per te la gioia è la morte di una persona che non conoscevi fai una bella vita di merda anche senza che io ti prenda a pizze in faccia. Ma dubito che ‘sti poracci avrebbero il coraggio di ripetere la stessa cosa davanti a uno qualsiasi di noi: i social - e non è una novità - ti danno la sensazione di poter dire e fare qualsiasi cosa con impunità.Altre persone che conosco e che sono state bersaglio di shitstorm massicce e continuate hanno sofferto di depressione ( come è capitato al mio esordio sui social ) e hanno dovuto smettere di utilizzare i social media (che erano un canale importante per la comunicazione e promozione del loro lavoro) o hanno dovuto ridurre moltissimo la loro presenza. Chi fa attivismo, prima o poi, se lo può aspettare: a volte l’attacco arriva da fuori, a volte è fuoco amico. La pratica del call-out, che nell’attivismo dovrebbe avere lo scopo di stimolare il dibattito all’interno di una comunità per mezzo della critica pubblica, finisce per essere strumentalizzata per vendette personali e usata senza criterio, spesso senza verificare se le accuse che si muovono alle persone siano fondate. Quando si scopre che era tutto una cazzata, è troppo tardi. La merda è dentro il ventilatore e spruzza dappertutto.
Le shitstorm fanno paura. L’accumularsi di messaggi intrisi d’odio e disprezzo generano malessere e sofferenza, e non portano alcun vantaggio o progresso nel dibattito pubblico. Chi le scatena sa benissimo che conseguenze possono avere, e no, non esistono bersagli giustificati. Giorgia Meloni o Matteo Salvini non diventano persone migliori perché vengono insultati da CosoCosetti1926 sui social, però CosoCosetti1926 si sente meglio perché ha insultato Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Le shitstorm servono solo a chi le fa, non a chi le subisce. Meloni e Salvini, tra l’altro, sono bravissimi a fare i martiri e a raccontare anche le critiche più pacate come feroci attacchi. Però Meloni e Salvini non si gestiscono i social da soli, e i commenti di merda di CosoCosetti1926 li leggono i loro social media manager.La maggior parte della gente sopravvive alle shitstorm, ma sopravvivere non è vivere. Anche chi ci sembra molto forte e strutturato ha delle fragilità di cui non siamo a conoscenza. Basta poco, basta un attimo, e la struttura viene giù. Ne valeva la pena? C’è chi pensa di sì, c’è chi pensa che la sofferenza di chi non gli piace sia giusta. Non mi interessa psicanalizzare la gente a distanza: a volte una merda è solo una merda, e la psicanalisi si paga.
Mi rendo conto di essere stato logorroico ed ancora non ho finito avrei altro da dire . Ma  per rispetto  dei familiari    della  vittima   ho già  detto abbastanza  . Facciamo così: ci prendiamo una pausa, e riprendiamo in seguito. Perché questa cosa che è successa forse non ha a che vedere direttamente con noi come individui, ma ci obbliga a fermarci a pensare a cosa postiamo, a come comunichiamo, agli effetti che quello che scriviamo nei campi di testo dei social può avere sulle persone. Anche quelle che ci stanno sul ..... l’anima.

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...