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Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
Okay, siamo riusciti a far fischiare in mondovisione Gigi Riva, o meglio, il minuto di silenzio in memoria di Gigi Riva scomparso da un’ora perchè il pubblico dello stadio Al Awwal di Riyad non sapeva nemmeno chi fosse (era appena successo lo stesso anche per Beckenbauer) e non sopportava di perdere inutilmente tempo in attesa di rivedere Darmian contrastare Zerbin: e però vuoi mettere tornare
Okay, la recente finale di Supercoppa Napoli-inter è stata diretta, o per meglio dire stravolta, da uno dei tanti arbitri naif della scuderia-rocchi; e alla bufera Rapuano si è aggiunta, a stretto giro di posta, la bufera dell’arbitro “gola profonda” che a Le Iene ha raccontato papale papale che i risultati delle partite vengono decisi da arbitri e addetti Var che annullano o convalidano i gol a seconda della parrocchia cui appartengono (ricordate l’editore di riferimento di Bruno Vespa? Ecco, appunto) e però la parola d’ordine è fare finta di niente: sull’aia c’è lo spettro del commissariamento ma dopo Bergamo e Pairetto nulla spaventa più.
Okay, le immagini di Maignan portiere del Milan che prima protesta con l’arbitro, poi si toglie i guanti, lascia il campo e raggiunge gli spogliatoi accompagnato da tutta la squadra per gli insulti razzisti ricevuti a Udine stanno ancora facendo il giro del mondo – come lo fecero quelle di Lukaku, quelle di Koulibaly e mi fermo qui per amor di patria –; e però il presidente Figc Gravina ha detto che “le nostre norme sancite nell’articolo 62 delle Noif sono le più severe a livello internazionale” e il ministro dello sport Abodi ha spiegato che “il razzismo è un problema di ordine pubblico e occorre dedicare tutte le nostre energie per contrastare e debellare questa piaga”: quindi, fermo restando che in Inghilterra la piaga l’hanno debellata in un amen 30 anni fa, perchè preoccuparsi?
E dunque, ricapitolando: nuotiamo tra i debiti, abbiamo le pezze al culo, non sappiamo far rispettare i nostri morti, le partite fanno pena, gli arbitri decidono i risultati e in quanto a razzismo siamo il terzo mondo del pianeta calcio. Per il resto, tutto bene.
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LO ZOO DI PIERLUIGI Questa settimana il Senato ha dato il primo via libera al disegno di legge sull'autonomia differenziata tanto caro al ministro Calderoli. Mentre divampano le polemiche su tutti i rischi a cui si troverà esposto il Paese e le opposizioni insistono sullo scenario di un'italia che si troverà di fatto divisa in due, lo storico esponente leghista continua a decantare i meriti della sua legge, sostenendo che così tutte le regioni partiranno dallo stesso livello. Come sempre a trovare la forma icastica perfetta per mostrare la scarsa credibilità delle parole di Calderoli, evidenziando oltretutto come la formula del ‘ci guadagnano tutti' sia un evergreen del ministro, ci ha pensato Pierluigi Bersani, ospite ad Otto e mezzo, con una delle sue colorate metafore: “Calderoli dice sempre che l'autonomia differenziata va bene per tutte le Regioni: per il Nord, il Sud, l'est, l'ovest. Per Calderoli, insomma, il maiale è tutto di prosciutti, nel senso che si sa che non esiste ma evidentemente lui deve averne un allevamento perché da 20 anni ogni volta che presenta una legge, dice che ci guadagnano tutti. È sempre un win win, come dicono gli inglesi. In Emilia Romagna diciamo invece ‘maiale tutto di prosciutti'”. Tra giaguari da smacchiare, mucche nel corridoio, tacchini sul tetto e maiali tutti di prosciutti, Pierluigi Bersani ci ha raccontato la politica italiana, portandoci a passeggiare allo zoo.
A VOLGARITÀ TI FA SCHIETTO Ci sono nuovi sviluppi sul fronte ‘normalità'. Dopo che il generale Vannacci si era incaricato, sul modello dei poeti ermetici, di raccontarci cosa non fosse normale, qualcun altro ha pensato che quest'informazione in negativo non fosse sufficiente e necessitasse di un'integrazione. Così Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, nel corso di un consiglio comunale nel quale si discuteva un emendamento sulla violenza di genere, si è sentito in dovere di edurci su quali sono i comportamenti umani attraverso i quali la normalità si manifesta nella sua forma più pura: “Un uomo normale guarda il bel culo di una donna e forse ci prova anche. Poi se ci riesce se la tromba, altrimenti torna a casa”. Il pensiero che si è immediatamente affacciato alla mente di buona parte di noi è stato: ‘tu invece a casa dovresti tornarci a prescindere'. E questo pensiero è naturalmente sfociato in una raccolta firme per chiedere le dimissioni del primo cittadino (se lui è il primo meglio non chiedersi come possa essere l'ultimo). Ma qualora qualcuno fosse ancora incerto su dove risieda il vero nodo della questione, si chiami essa Vannacci o Bandecchi, il sindaco si è premunito di comunicarcelo espressamente nel corso di un'intervista rilasciata dopo la sparata, con la quale ha rivendicato la propria posizione: “Io parlo alla gente, le persone sono stanche del politicamente corretto che in 30 anni ha distrutto questo Paese. Io sono pragmatico, per questo non piaccio agli ipocriti”. Se non usciamo da questo equivoco per cui chiunque vomiti volgarità e violenza si sente in diretto di rivendicarlo in nome della schiettezza e della concretezza, a breve ascolteremo interventi parlamentari farciti di bestemmie. Fermiamoci prima che sia troppo tardi.
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LIBERTÀ DI PENSIERINO.
Il sito Change.org ha messo on line una petizione contro Giovanni Caruso, legale di Filippo Turetta e ordinario di Diritto penale all’università di Padova, chiedendo che “rinunci alla difesa o, in caso contrario, l'università di Padova si esprima pubblicamente dissociandosi dalla scelta inopportuna di Caruso”. La petizione, lanciata da una dipendente del ministero della Cultura, sottolinea che “non si può stare con le vittime e con i carnefici”. Si riferiscono al fatto che l’ateneo ha conferito la laurea postuma a Giulia Cecchettin schierandosi contro la violenza sulle donne, ma non profferisce verbo su “un suo importante membro che difende l'assassino e reo confesso”. La barbarie giuridica e morale a cui l’istupidimento collettivo ci ha portati non ha fine: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, dice l’articolo 24 della Costituzione. E qui ci fermiamo per carità di patria.
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ZITTI E MUTI.
Al termine del concerto al Politeama, alcuni professori dell’orchestra Sinfonica Siciliana non hanno reso omaggio a Beatrice Venezi, direttore d’orchestra che vuol essere chiamata al maschile come il presidente del consiglio Giorgia Meloni. “Se nessuno di noi si è mosso è perché la direttrice d’orchestra ha solo complicato il nostro lavoro: sarebbe stato più facile suonare senza di lei”, ha detto Claudio Sardisco, flautista della Foss (Fondazione orchestra sinfonica siciliana) da quasi 40 anni. “La scena se l’è presa lei, ma il lavoro sporco lo abbiamo fatto noi orchestrali”. Con un’intervista al Giornale la giovane promessa della musica ha risposto che “il mondo della musica, come quello della cultura in generale, è stato dominato dalla sinistra” (L’egemonia! Del resto non stupisce, Venezi è consulente tecnico del ministro San Giuliano, che dal tema, e da Gramsci, è ossessionato). Mentre lei è di destra “o, se si preferisce, non seguo il mainstream. Alla testa delle istituzioni musicali tricolori vedo sempre le stesse facce di prima. Non mi sembra siano di destra”. Poi ha detto che il tutto verrà valutato dai suoi avvocati. Meglio avrebbe fatto a replicare alle contestazioni nel merito. Riccardo Muti non è certo di sinistra, eppure è il più grande direttore d’orchestra italiano.
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E ALCUNI AUDACI IN TASCA L’UNITÀ.
Dopo lo scontro tra la premier Giorgia Meloni e Repubblica, alla trasmissione condotta da David Parenzo su La7, L’aria che tira, si discute di quotidiani e politica. Flavia Perina, firma della Stampa, prende la parola e sostiene che nessun giornalista di destra ha mai diretto quotidiani orientati a sinistra (su questo avremmo da ridire, ma pazienza). Però, colpo di scena, interviene con una rivelazione Vittorio Feltri, collegato da Milano: “Massimo D’alema mi aveva proposto di dirigere L'unità. E se ve lo dico vuol dire che è vero. Io ero amico di D'alema perché è una persona seria. Probabilmente scherzava comunque me l'ha detto”. Invece l’unità di Romeo e Sansonetti non è per niente uno scherzo.
LIBERTÀ DI PENSIERINO. Il sito Change.org ha messo on line una petizione contro Giovanni Caruso, legale di Filippo Turetta e ordinario di Diritto penale all’università di Padova, chiedendo che “rinunci alla difesa o, in caso contrario, l'università di Padova si esprima pubblicamente dissociandosi dalla scelta inopportuna di Caruso”. La petizione, lanciata da una dipendente del ministero della Cultura, sottolinea che “non si può stare con le vittime e con i carnefici”. Si riferiscono al fatto che l’ateneo ha conferito la laurea postuma a Giulia Cecchettin schierandosi contro la violenza sulle donne, ma non profferisce verbo su “un suo importante membro che difende l'assassino e reo confesso”. La barbarie giuridica e morale a cui l’istupidimento collettivo ci ha portati non ha fine: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, dice l’articolo 24 della Costituzione. E qui ci fermiamo per carità di patria.
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MASSIMO NOVELLI
Sono i giorni della memoria: da quella dell’olocausto (27 gennaio), cioè dei milioni di ebrei, e non solo loro, sterminati dai nazisti, al Giorno del ricordo (10 febbraio), isituito per onorare le vittime italiane delle foibe titine in Jugoslavia e per rammentare il massiccio esodo giuliano-dalmata. Alle vicende delle foibe e dell’esodo è dedicato il bel romanzo Eredità colpevole (edito da Voland) di Diego Zandel, autore di numerosi romanzi di successo (come I confini dell’odio )e figlio di esuli fiumani, nato nel 1948 nel campo profughi marchigiano di Servigliano.
Il libro, uscito tempo fa, viene ripresentato in queste settimane in varie città d’italia perché, come ha scritto lo stesso Zandel, si tratta di un brandello “di Storia sulla quale, a quasi ottanta anni dalla fine della guerra, si scontrano ancora gli opposti estremismi, incapaci – come emerge ogni anno quando, il 10 febbraio, si commemora il Giorno del ricordo delle Foibe e dell’esodo – di fare i conti con la Storia,senza pregiudizi e strumentalizzazioni di sorta”. Il romanzo di Zandel è liberamente ispirato alla figura di Oskar Piškuli, capo sanguinario nel 1945 della famigerata Ozna, la polizia politica del maresciallo Tito a Fiume. Vent’anni fa, nel 2004, si concludeva a Roma il lungo processo italiano a Piškuli, che, grazie a un contestato cavillo giuridico, riuscì a farla franca e a non pagare per le atrocità commesse e ordinate. Era stato giudicato in contumacia in quanto accusato di avere ucciso, tra le centinaia (circa 500) di vittime italiane addebitategli, tre capi autonomisti fiumani, Giuseppe Sincich, Nevio Skull e Mario Blasich. Erano, dice sempre Zandel, “antifascisti della prima ora che, come si erano opposti a Gabriele D’annunzio nel 1919 e all’annessione di Fiume all’italia, si opponevano ancor più all’annessione della città alla Jugoslavia”.I figli di Giuseppe Sincich, osserva Diego Zandel, anni dopo “si costituirono parte civile nei confronti di Oskar Piškuli dando vita a un processo che, dopo le contrastanti valutazioni del gip, si svolse a Roma, nei suoi vari gradi, dal 1997 al 2004. La sentenza della seconda Corte di Assise, poi confermata dalla Cassazione, avrebbe decretato che Piškuli, all’epoca ancora in vita, seppur colpevole di omicidio continuato aggravato, non potesse scontare la sua condanna per difetto di giurisdizione, a ragione del fatto che Fiume non era più italiana (anche se, per altri, lo fosse ancora, e lo sarebbe stata fino al 15 settembre 1947 in base al Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio dello stesso anno)”.La storia dell’uccisore di italiani è stata narrata anche in un testo teatrale: Processo a Oskar Piškuli. A scriverlo Zandel e Laura Marchig, una giornalista e scrittrice fiumana. Il docu-recital si basa sull’intervista che l’ex capo della Ozna rilasciò nel 1990 alla medesima Marchig, all’epoca giovane redattrice del quotidiano in lingua italiana La Voce del Popolo di Fiume, e sugli atti del processo istruito dalla nostra magistratura nei confronti di Piškuli. Un dibattimento, peraltro, nato proprio a seguito di quella intervista. Ma giustizia, come in tanti altri processi a criminali di guerra, jugoslavi, italiani e tedeschi, non fu mai fatta.Storia di Federico Garau • 1 ora/eda ILGIORNALE
Una vicenda che ha dell'incredibile quella accaduta a un postino di 55 anni in forza a una filiale delle Poste della provincia di Rimini: l'uomo, che si era messo a lavorare nei weekend per smaltire lettere e pacchi accumulatisi durante la settimana, è stato infatti denunciato per il reato di occultamento ai fini di distruzione di corrispondenza e sospeso temporaneamente dal suo impiego. La querela, peraltro, è stata presentata alle forze dell'ordine proprio dal suo capo. Ma cosa è successo esattamente?Il protagonista della vicenda, che da anni svolge la mansione di postino, ha pagato per essere stato troppo zelante. Stando a quanto ricostruito dalle autorità, tra la fine del 2022 e gli inizi del 2023 il 55enne avrebbe iniziato a svolgere il proprio compito anche durante il fine settimana. Di sabato e di domenica, dunque, l'uomo consegnava lettere e pacchi di piccole dimensioni che si erano accumulati nel cesto della posta non corrisposta, ovvero di quella che era tornata indietro all'ufficio postale dopo un primo tentativo di consegna andato a vuoto. Dopo aver frugato nel contenitore ed effettuato una selezione tra la corrispondenza in giacenza, il postino si occupava di consegnarla al legittimi proprietari, operando al di fuori del proprio orario di lavoro. Una decisione nata in modo autonomo e totalmente spontaneo, e di cui il 55enne non aveva informato nessuno, né il capo né tantomeno i suoi colleghi.
Notando una sospetta diminuzione del numero di lettere e pacchi nel cesto della posta non corrisposta, i dipendenti della filiale hanno riferito il tutto al direttore. Preoccupato che la posta scomparsa potesse essere stata rubata o distrutta, quest'ultimo ha deciso di sporgere denuncia formale presso i carabinieri della compagnia di Riccione. Gli uomini dell'Arma, dopo aver avviato le indagini sul caso sotto il coordinamento della procura della Repubblica di Rimini, sono quindi riusciti a risalire all'autore delle "consegne clandestine".
Purtroppo, nonostante che si a stata dimostrata la sua buona fede, l'eccessivo zelo del postino stacanovista è al momento costato caro. L'uomo è stato denunciato con l'accusa di occultamento ai fini di distruzione di corrispondenza, subendo anche una sospensione dal lavoro che si è conclusa lo scorso mese di novembre. Concluso il provvedimento disciplinare, col postino che ha ripreso regolarmente il suo lavoro, resta ancora in piedi l'inchiesta sul reato a lui ascritto: in attesa che si concludano le indagini, quindi, non si sa ancora se arriverà il rinvio a giudizio o l'archiviazione.
Francesco Gaglio
Allo Stadio vanno tutti, famiglie con bambini, tifosi veri che sostengono, e pure la feccia. Ci sono realtà dove la feccia si vede molto bene, si distingue con facilità. Peccato che resti quasi sempre impunita, oppure quando si colpisce lo si fa in modo generalizzato, senza senso. Ognuno è responsabile per se stesso. I cori razzisti sono solo la punta dell’iceberg. Le insegne e i saluti fascisti, sono il peggio del peggio, il fondo del barile. A pensarci non è che lo Stadio è un po’ lo specchio di tutto il Paese?
Sgarbi ha sempre rivendicato una concezione “privatistica” dell’arte a favore di mercanti, collezionisti e antiquari, teorizzato regole e prassi diverse da quelle previste dalla legge sulla tutela e dal Codice dei beni culturali. Nel frattempo stando alle inchieste
sconcerta che un uomo di governo sia indagato per reati specifici della sua funzione: il ministero della Cultura dovrebbe tutelare i beni culturali.IL sottosegretario deve rispondere dei oltre ai sospetti sul quadro rubato, sugli affari illegittimi, sulla frode e sul riciclaggio. Ma purtroppo i ministri sono tutti incompetenti dato che da subito Sgarbi è emerso come anomalia: nessuno lo vuole, nessuno lo caccia. Alle uscite imbarazzanti e alle inchieste è seguita la consegna del silenzio, segnale di debolezza Quindi colpevole o innocente che sia , sarà la magistratuta a giudicarlo , si deve dimettere o dovrebbero buttarlofuoriu dal parlamenti
L'esodo della famiglia Braico"L'esodo ha riguardato 350mila persone che nell'arco di sei, sette, otto anni hanno dovuto lasciare la casa e i loro beni per rimanere italiani" ricorda Alessandro Centenaro, coproduttore per Venice Film. È "un film importante su cui abbiamo lavorato con grande amore e passione - aggiunge Verdiana Bixio, coproduttrice per Publispei - C'è uno sforzo produttivo notevole e si vede una quantità di territorio friulano incredibile, con un'ottantina di location".
Così seguiamo l'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento: una strada che la mette in rotta di collisione con il padre.L'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento:na strada che la mette in rotta di collisione con il padre.
Giovanna Pedretti, striscione contro i media: “Siamo esasperati” da https://www.thesocialpost.it/2024/01/16/giovanna-pedretti-striscione-contro-i-media-siamo-esasperati/ Infatti come dice Giulia Blasi nella sua ultima NW : << Questa settimana cominciamo a parlare di un argomento di cui dovremmo parlare di più, e non solo quando succede qualcosa di terribile.>> |
¹ Il contrario del contenuto feelgood è il contenuto fomenta-rabbia: non ci entrerò qui, ma anche questo dà una risposta a una necessità psicologica, vale a dire quella di trovare colpevoli, capri espiatori e punti di sfogo per una rabbia che altrimenti rischia di incanalarsi in direzioni indesiderate, e che può invece essere sfruttata per ottenere engagement, aumentare il pubblico e i clic da rivendere poi agli inserzionisti. La tecnica del rage farming è stata ed è tuttora alla base del successo di Donald Trump e di gran parte delle destre internazionali, e si basa sullo stimolo continuo del pregiudizio di conferma: gli immigrati rubano e uccidono, la sinistra minaccia la tua libertà, le persone LGBTQ distruggeranno la famiglia, le donne trans sono stupratori travestiti, le femministe sono pazze violente, e via dicendo.
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Photo by Nsey Benajah on Unsplash |
da Mauro Domenico Bufi 21 dicembre alle ore 11:05 il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...