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10.1.25

diario di bordo n 98 anno III i no vax raccolgono quello che hanno seminato , caso Ramy Elgam gli abusi e la mancanza di rispetto del potere ,acca larentia uso distorto e strumentale del ricordo



Finalmente i anzi dei * no vax ( ovviamente senza generalizzare in quanto esistono come fra i vax quelli civili ed rispettosi ) trovano pane per i loro denti

* termini generici visto che come negli uni e negli altri ci son diverse sfaccettature \ posizioni sui vaccini

è notizia di questi giorni che



Sassari
 
I leoni da tastiera non gli avevano risparmiato critiche feroci durante la 
pandemia.  Antonio Pintus, medico infettivologo sassarese, era stato più volte offeso per il suo impegno nella campagna di vaccinazione contro il Covid e nell’assistenza ai malati. Uno di quei tanti camici bianchi passati dall’essere eroi a farabutti. Dagli applausi agli insulti. Pintus si è affidato alla giustizia e una leonessa da tastiera è stata condannata per diffamazione al risarcimento monetario del professionista e anche al pagamento delle spese legali. La dimostrazione sul campo, l’ennesima, che offendere e calunniare sui social è un reato e le piazze virtuali non sono zone franche. 

La donna aveva scritto questo post sulla pagina social di Pintus. “Poveraccio...da quando c’è il Covid ha specificato la sua qualifica nel suo nome. Finalmente era arrivato il momento in cui si sarebbe sentito importante e affascinante. Qualche donna avrebbe accettato di conigliare con lui». Aveva poi proseguito il suo sfogo con parolacce aggiungendo che «tanto le donne continuano ad evitarlo come fosse lui stesso il Sars Cov». 
Il medico con un post su Fb ha commentato la sentenza. «Alla fine chi insulta e offende in modo totalmente gratuito, volgare e violento non la passa liscia, la signora in questione che mi aveva duramente attaccato, sul piano professionale e personale, solo perché facevo il mio dovere di medico durante la pandemia di Sars-Cov2, è stata condannata a risarcirmi monetariamente, in più dovrà pagare pure le spese legali, i novax non sono in grado di argomentare nulla a parte offendere e minacciare, sono questa roba qua…ringrazio l’avvocato Antonello Satta e i suoi colleghi che mi hanno supportato con professionalità e grande empatia umana»

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Non sapevo   che  fare   il proprio  dovere   e  tutelare  la  nostra  sicurezza  significasse  commettere   delle  illegalità  degli  abusi   di  potere  e    mancare  di rispetto , a  prescindere    che   sia   un criminale  o meno   ,  a  coloro  che  fermano  .  Infatti  

Anche di fronte al video sconvolgente della morte di Ramy Elgam mentre veniva inseguito dai carabinieri, questi due populisti prestati alla politica sono riusciti insieme a Riccardi (UdC):  <<Carabinieri e poliziotti incriminati per fare il loro dovere. “Mandiamo i magistrati sulle pattuglie” >> a dire qualcosa di miserabile.
Vannacci ha detto che lui si schiera “sempre dalla parte delle forze dell’ordine”.
Così, a priori.
Salvini ha aggiunto che “hanno fatto il loro dovere”.
Ma quale dovere?
Neanche davanti alla morte di un ragazzo speronato a più riprese (anche senza casco), neanche davanti alla disumanità di chi esulta alla sua caduta e cerca in tutti i modi di nascondere le prove, neanche davanti a tutto questo - su cui toccherà agli inquirenti e ai giudici fare chiarezza - riescono a dire qualcosa che non suoni violento, indifferente, privo di ogni empatia e umanità nei confronti di un ragazzo di 19 anni che non c’è più.
Qui, il tema non è più la ragione e il torto, che toccherà ai magistrati.
Qui il tema non sono solo i limiti delle forze dell’ordine, che tocca alla politica.
Qui, davanti a immagini del genere, la questione è che certa gente non è neanche degna di essere definita umana.

  Ha  ragione 
  Soumaila Diawara
La diffusione di questo video è un pugno nello stomaco, ma ancor più sconvolgente è leggere i commenti di chi giustifica una morte così tragica. Frasi cariche di disumanità, che riducono una vita spezzata a uno spettacolo da applaudire.
Ramy Elgaml era un ragazzo di 19 anni. Non un “delinquente”, non un bersaglio da eliminare. Eppure, la sua vita è stata stroncata da un inseguimento che non può essere giustificato in alcun modo, aggravato da un comportamento che trasuda indifferenza e disprezzo per il valore della vita umana.Giustificare o minimizzare una morte simile significa accettare un sistema in cui la violenza e l’abuso di potere diventano la norma. Significa chiudere gli occhi davanti all’umanità che ci accomuna e perpetuare una cultura di odio e discriminazione. Non possiamo permettere che la vita di un giovane venga liquidata con indifferenza, né che la sua memoria venga calpestata da chi cerca di trasformare una tragedia in una questione di propaganda politica.È ora di chiedere giustizia, ma anche di interrogarci su come siamo arrivati a questo punto. La morte di Ramy non può essere ignorata né giustificata. Chi lo fa, rinuncia a ciò che ci rende umani: la capacità di provare empatia, di distinguere il giusto dallo sbagliato, di difendere la dignità di ogni vita.

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Come volevasi dimostrare è successo quello che s'era previsto e che nel silenzio generale avviene ogni anno . Vuol dire come ho già detto qui che ancora è necessario ,ma manca il non si ha il coraggio , fare una riflessione su tali eventi . Queste sono le immagini di Acca Larentia stasera, pochi minuti fa.


sempre Sconvolgenti. Indegne di un Paese civile.Anche quest’anno, questi avanzi di fognatura della Storia si sono presentati in 1300 davanti all’ex sede dell’Msi a Roma per onorare i camerati caduti al grido di “Presente”. Mai erano stati così tanti come quest’anno.
Mai avevano alzato così la testa. Mai così protetti dalla politica ai massimi livelli e da un clima di totale impunità. Se fossimo un Paese appena appena decente e democratico, questa sera le forze dell’ordine sarebbero andate lì per sgombrare questo manipolo di fascisti veri in flagranza di reato di apologia del fascismo. E invece hanno fermato, inseguito e identificato l’unica persona che ha avuto il coraggio di gridare “Viva la Resistenza”.E per questa ragione, per aver pronunciato parole antifasciste, è stato immediatamente fermato e identificato dalla polizia. Viviamo in un Paese in cui chi inneggia alla Costituzione viene bloccato e identificato, mentre chi inneggia al duce e ai camerati con le braccia tese e fa apologia di fascismo non viene minimamente disturbato. Questo ragazzo oggi è un eroe, così come il loggionista della Scala È l’Italia che è un Paese drammaticamente al contrario. Nel silenzio complice delle istituzioni, del ministero, del governo.
Dal Mondo al contrario è davvero tutto.

9.1.25

in tempo di crisi e di fame busa e non si vuole emigrare meglio addattarsi a tutti i tipi di lavoro anche queli per cui non abbiamo studiato la storia di La scommessa di Paolo Ladu, noto “Cipolla”: lava vewtri da 40 anni

  dala nuova  sardegna   9\1\2025 

di Valeria Gianoglio


Nuoro
La bottega di Paolo Ladu, noto “Cipolla  "è un furgone vissuto, un ampio scorcio di cielo nuorese, ela vetrata di qualche negozio tra centro o periferie. O meglio, una vetrina. «Faccio il “puliziotto" o una specie di vetrinista,anche se lo so, che non si dice così. Tanti anni fa, ormai, mi sono inventato questo mestiere: pulisco le vetrine delle attività commerciali  o dei condomìni. Allora nessuno lo faceva,e io mi sono improvvisato perché volevo darmi da fare e perché avevo bisogno di lavorare. Me lo ricordo

ancora, il giorno e il periodo,era il 1987.all’epoca lavoravo  da Progetto uomo, e  avevo  sentito che qualcuno aveva chiesto “Conoscete una persona che lava le vetrine?”, e io avevo alzato la mano, ma inrealtà non sapevo nemmeno come fare. E così ho cominciato. Ma eccomi qui, Mi sono buttato e ha funzionato».Ed è andata bene davvero, da quelgiorno di fine anni Ottanta, a Paolo Ladu. O forse, a far  funzionare le cose, è stata la sua'intraprendenza, il suo coraggio di osare, la sua voglia di guadagnare i soldi per vivere e per sostenere i suoi affetti. E di mettere in pratica i consigli dell'adorata mamma Luisa. «Mi diceva sempre “Figlio mi’, fai cinque euro qui e altri cinque lì, e poisi fanno dieci,venti, cento e Mille».Ed è proprio per il voto legato alla storia di mamma Luisa che Paolo Ladu è conosciuto da anni a tantissimi nuoresi:è lui, infatti, il pellegrino che da tempo immemore percorre a piedi nudi, per un voto, la strada che separa Nuoro dal santuario di San Francesco nelle campagne di Lula. «Lo faccio per una promessa.a San Francesco - Spiega -quando miamamma era ricoverata proprio all'ospedale San Francesco, nel "78. Stava morendo, le avevano già dato l'estrema unzione il giorno di Ferragosto. lo avevo 13 anni,Allora mi ricordo che mi ero rivolto a San Francesco e gli avevo detto “Se la salvi, ven-go a piedi da te". Poi miamamma dopo tre giorni non


aveva più niente: è rimasta in vita per altri 35 anni, fino a uando ne aveva 92. Ed è 'anno del voto che io vado al santuario di San FranceSco a piedi e scalzo». Nella sua vita quotidiana,invece, Paolo Ladu è il “puliziotto” dal sorriso grande e dalla battuta pronta. «I miei clienti sono i commercianti  nuoresi — racconta — ed è bello perché conosco tante persone, mi tengo in forma, e sto spesso all'aria aperta, anche se ho una mia piccola sede,con mia moglie Giulia. E poi mi' sono spostato anche a lavorare nei condomini». Ma lavetrina, Paolo Ladu lo ribadisce, in fondo è il suo primo amore, «perché è il biglietto da visita dei negozi, e quindi pulirla dà una certa soddisfazione», «Del mio lavoro —dice— mi piace tanto il rapporto  con le persone, e ne conoscì tante.E poi anche e soprattutto il fatto che stai all'aria aper-
ta; che non sei tancau, chiuso inn ufficio. Perché davvero quello non sarebbe per me. Faccio le mie vetrine e mi organizzo per non dimenticarne. ho una specie di promemoria: sono questi foglietti con la scritta.“primo lavaggio”, “secondolavaggio” e così via, che lascio nelle vetrine se ilnegozio è chiuso».L'unico problema, aggiunge, è «quando c'è la pioggia .perché quella mi incasina un po':se è nuvoloso e sta per venire giù l'acqua, difficilmente mi fanno pulire la vetrina perché poi il maltempo la risporca, e allora il mio lavoro salta e mi incasina tutto. Ma per il resto, faccio il lavoro che vorrei fare, ed è bello. losono la prova insomma, che se uno si organizza, se tiinventi, il lavoro c'è. Da poco lo dicevo a un ragazzo che mi ripeteva che qui.non c'era nulla, quanto a occuupazione. E io gli ho detto “Non è vero, inizia con l'andare a cambiare una lampadina ai tanti anziani che sono soli e ne hanno bisogno. Qualche  euro qua e poo altrolà, è ti costrusci il tuo lavoro ».




8.1.25

Pretendere che italiani e immigrati ed in nuovi italiani condividano la stessa idea della donna come persona libera

Qualche  giorno    fa  stavo sfogliando la  slide   di msn.it      è  sono  capitato    su quest  articolo di  HuffPost Italy


Dei fatti di Capodanno a Milano, mi colpiscono due cose. La piazza piena di maschi, per lo più stranieri e islamici, per lo più giovani abbastanza da essere chiamati “ragazzi” nella narrazione dei media. E il modo.Accerchiamento.Una o due donne al centro di 40 maschi, che le palpeggiano, alzano la gonna,
cercano l’organo sessuale.È la rappresentazione plastica della “donna preda”.“Violenza sessuale di gruppo” dice il fascicolo contro ignoti affidato all'aggiunto Letizia M annella e ai magistrati del pool anti violenza
Essendo in corso di giudizio nei tribunali casi di violenza e stupro di gruppo perpetrati da italiani, uno appena concluso con la condanna di tutti gli imputati.Non sono violenti  contro le donne soltanto gli islamici, è evidente.Ma la sociologia è una scienza e bisogna avere il coraggio di tenerne conto.La violenza su una donna rappresenta sempre il frutto di una ideologia. Padronale. Abusante. Lei è una cosa e tu sei il padrone .Il racconto delle ragazze aggredite sessualmente, sempre a Milano, sempre a Capodanno, due anni fa, è uguale al racconto delle ragazze vittime degli stupri di gruppo dei branchi di italiani accaduti in casa o nelle periferie abbandonate.Il violentatore ride. Ride sempre. Cioè manifesta il suo disprezzo, non solo il suo potere. La vittima piange, supplica, è convinta di morire. Oppure è pressoché incosciente, ridotta a uno zombie da apposite droghe. Talvolta, e i criminali sono stati condannati, viene lasciata morire.
Ma c’è una differenza.Non culturale, ma sociologica.Il Corano obbliga al rispetto della donna, ma impone alla donna una serie di comportamenti.L’Italia del 2024, alle donne non impone nessuna regola. Ogni donna è padrona di sé stessa e agisce come meglio crede la propria indiscutibile libertà. Ci sono voluti 60 anni, ( è   ancora    non  si  è  risolto  del tutto aggiunta  mia  )     ma il verbo delle prime femministe “Io sono mia” finalmente è realtà. E cosa vediamo accadere? Troppi italiani non tollerano la libertà delle donne, si sentono indeboliti, e agiscono la violenza come vendettaTroppi italiani di seconda generazione fanno lo stesso. Ma credo che agiscano la violenza non come vendetta, ma come licenza autorizzata.Una donna libera che festeggia l’Anno Nuovo con una amica in una pubblica piazza è, secondo la loro idea, una preda che “se l’è cercata”. Infatti, le loro donne dove sono? A casa. Spesso col velo. E guai se se lo tolgono. Guai se vogliono essere uguali alle donne italiane, scegliersi la vita da sole, come noi. L’omicidio familiare della ragazza Saman ne è la prova.La sua condanna a morte sta tutta dentro una coppia di fotografie. Quella col velo, al suo arrivo, i primi mesi. Quella col rossetto e i capelli liberi un anno dopo.
Quindi?Forse, se vogliamo crescere come comunità tutti insieme, bisogna tener conto che quello che davvero è in gioco, ed è l’idea di donna, sia nella cultura del branco italiano che in quella del branco di
immigrati?
Fin  qui     l'analisi  è  condivisibile  . Ma non sono  d'accordo    quando dice   

Forse bisogna avere il coraggio di fare come in Francia (dove le criticità legate alla immigrazione sono cominciate almeno 50 anni prima che da noi)  ? Pretendere che italiani e immigrati condividano la stessa idea della donna come persona libera.Vietare il velo, anche se la donna o la ragazza che lo indossa dice che è una sua libera scelta.Nella nostra società occidentale, il velo non è un oggetto che attiene alla religione, ma alla sottomissione. E la sottomissione della donna (e dell’uomo) è vietata dalle nostre leggi. Siamo uno stato laico. I nostri cittadini devono rispettare le nostre leggi.

niente  da   eccepire   che  essi    sia  che  siano di  prima o di seconda  generazione   debbano rispettare   le nostre leggi  .  Infatti     se  tu  hai  scelto  di risiedere qui   o se  solo  qui temporaneamente    devi   rispettare oltre  le  leggi del buon senso e  del vivere  civile  le leggi   del paese  in questione  . Ma   come  riporta  l'articolo in questione   ( oltre    che    altri media   ) <<   Vietare il velo sarebbe la rappresentazione plastica della libertà della donna in Occidente.Di tutte le donne che vivono in Occidente.Se nella piazza feroce di Capodanno le donne, le ragazze fossero state tante quanto i maschi, io credo che la nostra società avrebbe messo il primo mattone per eliminare l’idea della donna\preda.>>


Non    sono    d'accordo     come   ho   già  detto più   volte    in  diversi  articoli in particolare   recentemente  qui    perchè    se   come dicono  più persone 

 <<  Nella nostra società occidentale, il velo non è un oggetto che attiene alla religione, ma alla sottomissione. E la sottomissione della donna (e dell’uomo) è vietata dalle nostre leggi. Siamo uno stato laico. [...] Vietare il velo sarebbe la rappresentazione plastica della libertà della donna in Occidente.Di tutte le donne che vivono in Occidente>>  dovremo vietare il  velo   alle suore   e\o  a quelle  donne   anziane   che  in alcune  comunità  del  sud  lo  portano   L'unico caso  da vietarlo  ed   è     come  ho detto più  volte  in questo blog  e  sui  nostri soicial    la   verà  laicità   (  o  quanto meno  applicare  la legge  Art. 5 L. n. 152/1975, sostituito dall’art. 2 L. 533/1977 e poi art. 10 co. 4-bis del DL 144/2005 per  ulteriori   chiarimenti    Indossare il burqa o velo islamico: è vietato in Italia? (laleggepertutti.it)     sui  due \tre  ultimi   tipi  di velo   ) 



quando   esso  anzi essi     siano  imposti  a  forza  o  (  soprattutto    gli ultimi   tre  )    anche  usati deliberatamente   ledono la dignità della donna  soprattutto  le  forme   che coprono completamente    il viso    perchè  a mio   avviso  :   non è  laicità  ma  fanatismo   in  quanto dali  studi    e  conoscenze       che   ho essi    sono  interpretazione  fanatica  ed intransigente della  religione  che  dice  solo  di coprire   i  capelli \  la  testa  e le  parti del corpo   più  erotizzanti ,  non  hanno      nessuna  attrazione  erotica \  sensuale   

qualsiasi integtralista , qualisiasi censore si fa autosatira ma non la capisce ( mauro biani cit ) - 10 anni di charlie ebo

    non riesco  a   scrivere   , senza  scadere  nell'ovvio  e  nella  retorica  degli anniversari e  delle  celebrazioni  ,   di  quello che  sucesse     10 anni fa    a Parigi  . Quindi  scelgo    chi   con  un opera   artistica  ,  perchè cari  signori   anche le  vignette  sono opere  'arte  ,  di  ricordarla  con  queste  due  vignette      di Mario Biani 




7.1.25

startup sarda per l'eredità digitale . L’app Zephorum sarà presentata alla fiera tecnologica Ces di Las Vegas: permette ai parenti di recuperare i profili e i contenuti in Rete dei cari defunti





L’app Zephorum sarà presentata alla fiera tecnologica Ces di Las Vegas: permette ai parenti di recuperare i profili e i contenuti in Rete dei cari defunti
   nuova  sardegna   07 gennaio 2025




Sassari Ci sono scatole nere nascoste nelle nostre vite, più segrete delle vecchie soffitte. Contengono un numero immenso di megabyte e informazioni, si chiamano account, profili, archivi. Talvolta restano sospese in una nuvola, ma non quella del cielo, ma del cloud, oppure dentro i server delle multinazionali. E quando noi passiamo a miglior vita, cosa succede? Come si fa a riaccedere ai contenuti di quelle scatole nere, a recuperare il passato depositato nel web da una persona cara
Un sito e un’app rendono questo processo accessibile a tutti. Anche economicamente. Con 300-400 euro si può scaricare tutto il lascito di post su Facebook, Instagram e altri social, e ancora video su YouTube, email, e contenuti multimediali nei cloud.
La startup innovativa è tutta sarda, è nata nel 2023, si chiama Zephorum, il ceo è Giulia Salis Nioi, 37 anni, nuorese d’origine ma residente a Cagliari, esperta di comunicazione e marketing. Insieme a lei
hanno lavorato al progetto David Harris, 71 anni, americano ma sassarese d’adozione, manager informatico, la figlia Matilda, psicologa 25 anni, e infine l’avvocato informatico Giovanni Battista Gallus, 58 anni, cagliaritano.
Proprio oggi Zephorum entra nella storia come la prima azienda Death Tech selezionata per rappresentare l’Italia e il futuro dell’innovazione al Ces di Las Vegas, il più importante evento mondiale dedicato alla Consumer Electronics. «Porteremo un tema mai affrontato prima in questa prestigiosa cornice internazionale – dice Giulia Salis Nioi – cioè l’evoluzione etica e digitale del fine vita».
La chiamiamo eredità digitale, ed è l’ombra lunga che lasciamo nello spazio immateriale del web, anche quando il nostro cuore smette di battere. E che talvolta continua a vivere di vita propria. «Un giorno, mentre scrollavo la mia pagina Fb – racconta Giulia – ho letto il post di una mia amica morta. È come se avessi visto un fantasma. Pensavo riposasse in pace, e non credevo che un algoritmo potesse farla resuscitare così, di punto in bianco, sulla mia bacheca. Era il 2019 e quell’episodio mi fece molto riflettere. Pensai a cosa potessi fare per lei, e per tutti quegli utenti deceduti che hanno in sospeso la propria memoria nella Rete».
È il nostro testamento virtuale, scritto senza che ce ne accorgessimo, giorno dopo giorno. Ma chi eredita questa vita parallela? E come?
Le leggi, lente come sempre, arrancano dietro la velocità della tecnologia. Facebook ci propone di nominare un erede digitale. Google offre il suo “gestore account inattivo”, un angelo custode automatico che scatta quando smettiamo di accedere. Ma molte piattaforme non prevedono nulla: i nostri dati restano congelati, come in un mausoleo senza visitatori.
“Non avevamo pensato a questo” confessano i legislatori, “non potevamo immaginare che anche il digitale avesse un peso nella memoria collettiva”. Cosa prevede la legge? Dipende dal paese in cui ci troviamo, e anche dal contratto che accettiamo senza leggerlo quando creiamo un account. Ma questo lo si scopre troppo tardi: così alla nostra morte, tutto resta in stand-by, come un grattacielo abbandonato in costruzione. «I profili fantasma, nei social network e nei cloud stanno crescendo vertiginosamente. Per ora siamo circa a 100 milioni, ma si calcola che tra un decennio si potrebbe arrivare a miliardi di utenti deceduti. Una quantità di giga in freezer che le grandi piattaforme non possono permettersi, tanto è vero che Google aveva dato un mese di tempo per richiedere accesso ai profili inattivi prima di eliminarli definitivamente. Cancellando con un click anche la memoria di quelle persone».
Il problema è che i parenti spesso non sanno nemmeno come muoversi per riavere questi contenuti. Non conoscono le credenziali d’accesso, non sanno a chi rivolgersi. Insomma, mettere ordine tra i ricordi del cyberspazio è molto più complesso di aprire l’armadio di un caro defunto e scegliere tra i vestiti, le foto e lettere da conservare. «In pochi sanno che l’eredità digitale prevede il diritto di rientrare in possesso del patrimonio affettivo dei propri parenti. Chi ci prova, combatte con bot e con policy sempre diverse. Ma il diritto resta, e infatti chi ha fatto causa ha sempre vinto. Tutto questo però costa fatica, energie e anche parecchi soldi con avvocati».
Zephorum, in definitiva, non è altro che il primo servizio al mondo che fa da tramite tra l’erede e la piattaforma.
«Il nostro avvocato, Giovanni Battista Gallus, ha ideato una procedura legal tech valida per tutti i gestori, che permette di riottenere i contenuti di valore sospesi nel web, come foto, video, testi, ed email, senza bisogno di avere una password».
C’è però un altro problema, che non è solo tecnico o legale, ma profondamente umano. Chi eredita le nostre foto più intime? Chi può leggere quelle email mai inviate, quelle bozze di post rimasti nel limbo? E ancora: è giusto che tutto questo rimanga per sempre in rete, come un fantasma digitale? E soprattutto: cosa vogliamo che resti di noi, in quel mondo immateriale?
«Nel nostro sito c’è una sezione che consentirà di pianificare l’eredità digitale. Possiamo decidere in anticipo chi avrà accesso alle nostre pagine, una volta che noi non ci saremo più. E potremo programmare chi potrà vedere cosa. O magari stabilire che quella mail resterà blindata per sempre, assieme alla pagina Instagram».
Come facciamo con un testamento tradizionale, dobbiamo fare ordine anche nel nostro testamento online. E qui entrano in gioco i nuovi personaggi della nostra storia: il custode digitale. Una figura che può essere una moglie, un figlio, un amico fidato, capace di tramandare i ricordi e proteggere i segreti.
«La nostra app consente gratuitamente di utilizzare i contenuti più belli per creare un profilo commemorativo gestito dagli eredi. Una sorta di mausoleo virtuale pieno di foto, ricordi, frasi, dediche. Il tutto dentro un sito interattivo, come un social, dove tutti possono scrivere un necrologio, un telegramma, o un semplice pensiero».
E così ci si difende anche dai furti di identità, che nel 70 per cento dei casi riguarda profili spenti, con foto e post riesumati anche attraverso l’intelligenza artificiale, capace di riciclare e riattualizzare tutto. Alla fine, la vera domanda è: cosa vogliamo lasciare di noi? Quanto di noi è davvero necessario resti? L’eredità digitale è una questione di memoria che scegliamo di trasmettere. O di ricordi che, forse, è meglio lasciare svanire, insieme a noi.

i miti dell'origine sarda di Dante , Colombo , Peron

 


PER DIFENDERVI AL MEGLIO ALLENATE LA CONCENTRAZIONE e Usate lo spray al peperoncino . Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntate XIII e XIV + perchè le donne non denunciano le violenze ed i tentati femminicidi

   canzone suggerita
Avanzate, ascoltate (Paolo Benvegnù)

per non rovinare  le festività  natalizie o meglio renderle  ancora  più  tristi   come  se  non bastassero gli  ultimi  3  (  di cui   due     non  riusciti     completamente  )    femmminicidi    avvenuti   tra  la  fine del 2024  e  l'inizio del 2025 


ho deciso di rinviare ad oggi 7 gennaio 2025  il post   in questione   e   di  fare  due puntate  in una del manuale  di autodifesa .  qui  la  precedente   con gli url  delle  altre puntate  



 La prestanza fisica non è l’unica arma con cui possiamo difenderci da un pericolo. Anche l’attenzione è altrettanto importante. Per migliorarla, e  per accrescerne la soglia, possiamo dedicare un po’ del nostro tempo a migliorare le nostre capacità di concentrazione per riuscire a indirizzare l’attenzione sul presente, in particolare su quello che ci circonda e che potrebbe trasformarsi in un pericolo. Iniziate 
dalla base: il riposo. Spesso viene sottovalutato, eppure  dormire bene e riposare un  numero adeguato di ore (che variano naturalmente a seconda dell’età e delle condizioni  fiiche dell’individuo) è il 
punto di partenza per stare bene !sicamente e per riuscire a  essere concentrati in maniera adeguata. Ancora, l’alimentazione. Seguire una dieta equilibrata e sana migliora le capacità di attenzione e 
di vigilanza. Tra le attività che vengono considerate basiche, c’è anche la respirazione, che 
spesso viene sottovalutata e che invece riveste un ruolo molto importante. Respirare “bene” permette 
un’ossigenazione adeguata dell’intero organismo, e migliora anche le capacità di concentrazione e di mantenere la calma. Durante il giorno, o comunque quando siete impegnati in attività di lavoro, 
concedetevi le pause necessarie. Staccare a intervalli regolari vi consente infatti di mantenere alto il livello di attenzione. Provate anche a utilizzare un contaminuti per ottimizzare il vostro tempo e le vostre  energie: si tratta di un metodo  efficace per valutare i progressi che farete durante gli esercizi. 
Cercate di eliminare le disattenzioni, per lo meno quando  vi è possibile e quando le stesse distrazioni dipendono da  voi. Se per esempio state camminando in un luogo potenzialmente pericoloso, evitate 
di indossare le  cuffie e di ascoltare la musica, in  modo da essere ben vigili e avere 
la situazione sotto controllo non  soltanto dal  punto di vista visivo. Ancora, non utilizzate il cellulare mentre state camminando, perché potrebbe essere  una preda appetitosa per potenziali ladri e al tempo stesso distrarvi.
Quindi (  tecnica  che   può  essere  usata     anche    per tranquillizzarvi  se  soffrite  d'ansia  )    prima di affrontare un’attività che richiede un elevato livello di concentrazione, distenditi e rilassa i tuoi muscoli.Dopo circa un minuto, concentra la tua attenzione sul battito cardiaco. Elimina tutto il  resto e ascolta con attenzione il pulsare  ritmato del tuo cuore. Dovresti sentire una  sensazione di calore: 
prosegui per alcuni minuti  e rialzati con calma.


La seconda è   sotto   forma   di  screenshot  del pdf . Non ho voglia e mi sento poco bene di fare l'estrazione     del testo  delle immagini 


 concludo     con  interessante  post  ,  forse  datato  ma    certe  cose  non   hano   limite  di  tempo  ,  di  



Ma non sentite vergogna quando ripetete come un mantra, vacuamente: Denunciate! Denunciate! Denunciate!, come se il punto fosse tutto lì?
Quante donne che poi sono state vittime di un femminicidio, avevano provato, prima, spesso più d'una volta, a chiedere aiuto, avevano provato a denunciare alle autorità le violenze (di diverso tipo: molestie, stalking e persecuzioni varie, forme di oppressione, minacce, vessazioni psicologiche e fisiche, stupri; tutte queste cose sono violenza) che subivano, e non erano state ascoltate, e non era stato fatto niente?
E anche le donne che non hanno mai avuto il coraggio di denunciare, frequentemente, non l'hanno fatto
pure perché temono, e temono perché sanno, dalle esperienze di altre donne, che anziché sentirsi comprese, accolte, messe a loro agio, fatte sentire al sicuro, aiutate, saranno ridicolizzate e/o si sentiranno colpevolizzate e inquisite, e che, assai probabilmente, le rimanderete a casa, dicendo loro che non ci sono – ancora – gli estremi per una denuncia e che non potete fare nulla.
Dobbiamo farci ammazzare, perché prendiate seriamente le nostre parole, perché abbiate considerazione di noi?
Sarebbe un Paese degno di essere definito civile, questo?
Vanno rivoluzionate, completamente, strutturalmente, la cultura, la mentalità, certo: sono anni che non faccio altro che ripeterlo; però, se, nel frattempo, non cambia anche, non cambia almeno, l'approccio delle istituzioni ai casi di violenza e nei confronti di chi le violenze le subisce e prova a chiedere aiuto, come possiamo sperare di non dover più registrare un femminicidio in media ogni tre giorni ?


  che    spiega  benissimo  e senza  tanti giri di parole  perché   ancora   anche   dopo il  caso  di  Giulia  Cecchetin nonostante ci sia un leggero  delle denunce  ,   resta ancora alto il numero delle  donne che   non denunciano  . Ma  s'intravede  polemiche   a parte    fra cui  l'uso  distorto  dei dati   statistici    anche   una  maggior  sensibilità  della gente   nell'intervenire  per evitarlo  ed  aiutare  la  donna  che   rischia     d'essere  uccisa 


diario di bordo n 97 anno III , I sinti salvano il dialetto piemontese: «Ormai lo parlano solo loro» ., Lascia il lavoro in banca e fonda un ipermercato solidale, la scelta di Edoardo ., Rosa Maria Tropeano e Salvatore Picariello, dopo un percorso pieno di difficoltà, diventano genitori della piccola Silvia, nata ad Avellino


quelli che noi chiamiamo \ etichettiamo come zingari un termine generico e spesso considerato ed usati in modo offensivo, usato per descrivere vari gruppi nomadi, inclusi i Sinti e i Rom ,  sono  talmente  italiani    che    da    quel  ho  letto   cazzeggiando  su  msn.it


I sinti salvano il dialetto piemontese: «Ormai lo parlano solo loro»



Sono i sinti oggi a garantire la trasmissione del dialetto piemontese. Una minoranza etnica presente in queste terre da 400 anni, che ne vanta l’uso esclusivamente orale. Ma, se è impossibile un censimento numerico e non essendo codificata come minoranza, la comunità non può accedere a fondi regionali per la sua salvaguardia anche se ancora oggi tutti i sinti parlano piemontese. Altre minoranze, invece, pur codificate e finanziate stanno diminuendo vertiginosamente.Lo stesso dialetto piemontese, classificato come gallo-italico, non è considerato una minoranza linguistica e non può avere accesso ai fondi specifici per la protezione di tali lingue. Secondo uno studio di Regis del 2012, circa 700 mila persone parlano il piemontese principalmente in aree rurali come il Cuneese, il Biellese e il Pinerolese. Difficile il passaggio intergenerazionale, ma in alcune zone agricole permane l’uso del dialetto anche tra i banchi di scuola. «Vi sono studenti in queste aree – spiega Nicola Duberti, docente di linguistica del Dipartimento di studi umanistici di Unito – che parlano il piemontese come prima lingua, l’italiano viene dopo. La competenza passiva, ovvero la capacità di comprendere senza parlare fluentemente, coinvolge fino a un milione di persone, ma a Torino e nelle aree urbane è rara». Il piemontese sopravvive nei mercati, in alcuni cartelli commerciali e in iniziative culturali come la traduzione di opere in dialetto. Nel 2025 uscirà una versione di Topolino in piemontese, un tentativo di avvicinare le nuove generazioni alla lingua.Il Piemonte ospita poi tre lingue minoritarie riconosciute dalla Legge 482/1999: il francoprovenzale, l’occitano e il walser. Il francoprovenzale è parlato da circa 11.500 persone nelle valli Susa, Sangone, Lanzo e Locana è simile ai dialetti della Valle d’Aosta, ma meno vitalizzato. La sua trasmissione è in declino, limitata a eventi culturali e iniziative didattiche occasionali. L’occitano usato da circa 15-20.000 persone è diffuso nelle valli alpine del Torinese e del Cuneese, tra cui la Val Varaita e la Val Po. Pur essendo ancora parlato in contesti familiari, è considerato a rischio. Nelle aree di Mondovì, poi, si trovano varietà uniche come il Kjé, con circa 300 parlanti. Infine il walser conta circa 100 parlanti attivi, usato all’interno della comunità di origini germanofone conserva una lingua unica nei villaggi di Alagna Valsesia e Macugnaga. Nonostante la sua fragilità demografica, il walser rimane un simbolo di resilienza culturale.
Un caso peculiare è rappresentato dai Sinti, che parlano una varietà di piemontese con influenze della lingua Romanì. Questa comunità, storicamente insediata in aree come San Damiano d’Asti e Villafalletto, è paradossalmente uno dei gruppi con la maggiore vitalità linguistica in piemontese, grazie alla trasmissione orale tra generazioni. Se tra il piemontese e le minoranze ci sono molte assonanze, perché le parole provengono dalla stessa radice latina, con il sinto ci si spinge lontano. La parola acqua (dal latino aquam), a titolo di esempio, in piemontese si dice eva, in occitano aigo, in francoprovenzale ewa, mentre in sinto si dice panin, mantenendo la parola di origine indiana.
Le minoranze linguistiche piemontesi vivono tra il rischio di estinzione e i tentativi di valorizzazione. La Legge 482 prevede finanziamenti per corsi e progetti scolastici, ma l’impegno istituzionale è spesso limitato. Inoltre questa legge che ha promesso finanziamenti, ha indotto alcuni comuni ad auto-dichiararsi parte di minoranze linguistiche senza solide basi storiche, confondendo ulteriormente il panorama linguistico. Iniziative come l’Espaci Occitan e la Chambra d’Òc offrono spazi per la promozione culturale, mentre esperienze innovative, come i supermercati con cartelli in piemontese (ad esempio, M**c Bun), tentano di inserire la lingua nel contesto contemporaneo.
Senza un rilancio deciso, il rischio di perdere questi patrimoni linguistici è concreto. Studi recenti, come quello di Riccardo Regis e Matteo Rivoira «Dialetti d’Italia: Piemonte e Valle d’Aosta» (Carrocci 2023), evidenziano la necessità di un intervento mirato per sostenere la trasmissione delle lingue minoritarie. Solo attraverso una collaborazione tra istituzioni, scuole e comunità locali sarà possibile garantire un futuro a questa straordinaria diversità culturale.
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Lascia il lavoro in banca e fonda un ipermercato solidale, la scelta di Edoardo: «Non diamo soldi, ma aiuti concreti»

A Mestre, dietro le porte del Centro di solidarietà cristiana Papa Francesco, ogni giorno accadono storie che sembrano uscire da un romanzo. Tra queste, Edoardo Rivola ne ricorda una in particolare: «Una ragazza è tornata per raccontarmi che il cappotto preso qui aveva commosso sua madre: era quello del
nonno, riconosciuto dall’etichetta». Edoardo, ex direttore di banca, tre anni fa ha lasciato la carriera per dedicarsi anima e corpo a chi è in difficoltà, fondando un vero e proprio ipermercato solidale. Con oltre 3.000 metri quadri di esposizione e 600 di magazzino, il centro è diventato un punto di riferimento unico in Italia. «Ogni giorno mille persone vengono a prendere qualcosa», racconta al Corriere della Sera, mentre racconta le sue giornate interminabili, che iniziano alle 8 del mattino e finiscono solo la sera.
Un segno del destino
Il lavoro, dice, è stancante ma lo riempie di soddisfazione: «Vengo da una famiglia povera, ma unita. Ho imparato che con impegno e determinazione puoi raggiungere qualsiasi obiettivo». Non è solo la mole di lavoro che impressiona, ma il metodo: il centro funziona come un’azienda, ma ogni euro guadagnato viene reinvestito per aiutare i bisognosi. Il progetto è nato grazie alla sua intuizione e a un segno del destino. «Tre anni fa mi sono rotto la tibia saltando un ostacolo. Era un segno dall’alto. Durante quei mesi, con le stampelle, passavo le giornate al centro, capendo cosa serviva per farlo crescere».
Oggi il centro coinvolge 150 volontari: persone fragili, madri single, ex detenuti e ragazzi con disabilità che trovano qui una seconda opportunità. Le loro storie sono spesso toccanti, come quella di un giovane coinvolto in un programma di reintegrazione che ora è candidato per un’assunzione. Edoardo, che si definisce un uomo semplice, non nasconde il cambiamento che questo lavoro ha portato nella sua vita: «Quando uno dei ragazzi con sindrome di down mi abbraccia, mi trasmette una forza pazzesca. Sì, sono cambiato anche io».


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Rosa Maria Tropeano e Salvatore Picariello, dopo un percorso pieno di difficoltà, accolgono la piccola Silvia, nata ad Avellino


Un percorso lungo dieci anni di speranze e difficoltà
Una storia di resilienza e amore quella di Rosa Maria Tropeano, 47 anni, e Salvatore Picariello, 53 anni, residenti a Capriglia Irpina, in provincia di Avellino. La coppia ha coronato il sogno di diventare genitori il 28 dicembre scorso con la nascita della piccola Silvia al “Malzoni Research Hospital” di Avellino. La bambina, venuta al mondo con un peso di 2 2,36 kg, rappresenta il lieto fine di un viaggio complesso segnato da innumerevoli ostacoli.
La strada verso la genitorialità è stata lunga e difficile per Rosa Maria, impiegata, e Salvatore, autotrasportatore. Per oltre dieci anni hanno affrontato cinque aborti spontanei e un intervento di miomectomia laparoscopica. Nonostante un fallimento nel tentativo di procreazione medicalmente assistita (PMA), la coppia non ha mai smesso di sperare, affidandosi al ginecologo salernitano Raffaele Petta, esperto in casi di infertilità complessi. Contro ogni previsione, Rosa Maria ha concepito spontaneamente, ma anche questa gravidanza non è stata priva di complicazioni
Complicazioni superate grazie alla competenza medica
Durante la gravidanza, i medici hanno monitorato attentamente la salute di Rosa Maria, resa critica dalla presenza di miomi e dal rischio di parto prematuro. Alla 33esima settimana, il ricovero d’urgenza si è reso necessario per un improvviso raccorciamento del collo uterino. La paziente è stata sottoposta a terapia cortisonica per accelerare la maturazione polmonare della bambina.

Alla 34esima settimana, una rottura del sacco amniotico ha portato i medici a intervenire rapidamente con un parto cesareo. L’operazione è stata eseguita dal dottor Raffaele Picone, coadiuvato dal collega Antonio Ranieri, dall’ostetrica Anna Pepe e dall’anestesista Franco Lazzarini. Subito dopo la nascita, la piccola Silvia è stata affidata al dottor Angelo Izzo, responsabile della Terapia Intensiva Neonatale, che ne ha garantito le cure necessarie.

La gratitudine di una madre

“Si è realizzato il sogno della mia vita che sembrava irraggiungibile,” ha dichiarato emozionata Rosa Maria Tropeano, ringraziando il professor Carmine Malzoni, il dottor Petta, e tutto il personale sanitario del “Malzoni Research Hospital” per l’assistenza ricevuta. “Non avremmo mai potuto farcela senza il loro supporto e la loro professionalità.”

Con la nascita di Silvia, si conclude un cap

finalmente qualcuno interviene per evitare il consumarsi di un femminicidio \ violenza di genere

  da    Leggo



Nicola Rea, il militare 28enne che ha disarmato il marito di Daniela con un ombrello: «È stato grazie all'intervento di tutti se sono salvo anche io»


A Seriate, nel parcheggio di un discount, si è consumato un episodio di violenza che poteva sfociare in tragedia, ma che si è trasformato in una dimostrazione di coraggio e solidarietà. La vita di Daniela, aggredita dal marito, Daniel Manda,  è stata salvata grazie all’intervento dei clienti del supermercato, ma

soprattutto grazie alla prontezza di Nicola Rea, un giovane militare di 28 anni, in forza al terzo Reggimento Sostegno Aviazione “Aquila” dell’Esercito Italiano
Il racconto del salvataggio
Nicola Rea, 28 anni, , in forze al terzo Reggimento Sostegno Aviazione “Aquila” dell’Esercito, non era in servizio quel giorno, ma si trovava al supermercato per fare la spesa. Dopo aver pagato, ha sentito le urla disperate di una donna provenire dal parcheggio. Guardando fuori, ha visto una scena agghiacciante: un uomo, Daniel Manda, stava trascinando la vittima per i capelli.«Ho scambiato uno sguardo con un altro cliente. Si capiva che la donna chiedeva aiuto. Non ci abbiamo pensato due volte: dovevamo fare qualcosa», racconta a Repubblica Nicola. Armato solo di un ombrello, si è lanciato sull’aggressore, cogliendolo di sorpresa con un colpo mentre un altro cliente lo colpiva alle spalle.Nel tentativo di liberare la donna, Nicola è stato ferito con una coltellata all’orecchio che ha perforato la cartilagine. «Al pronto soccorso mi hanno dato dodici giorni di prognosi», spiega, aggiungendo che si è accorto del sangue solo successivamente, quando altri clienti glielo hanno fatto notare. Intanto Daniela, è stata messa in salvo da altri passanti che l’hanno portata all’interno del supermercato, al sicuro dall’aggressore. Nonostante il ruolo centrale di Nicola, il militare tiene a sottolineare che il salvataggio è stato un’azione collettiva: «Non sono stato io da solo. È stata un’unione di forze, un lavoro di squadra senza il quale sarebbe successo il peggio».
Chi è Nicola ReaNicola Rea
 addetto alla manutenzione degli elicotteri, ha seguito l’addestramento militare come tutti i suoi colleghi, ma confessa che una situazione del genere, nella vita civile, non gli era mai capitata. «Quando hai davanti agli occhi una persona che lotta per vivere, la sensazione è tremenda, ti lascia senza parole», afferma.Dopo il salvataggio, Nicola e gli altri intervenuti hanno cercato di mantenere sveglia Daniela, scambiando qualche parola con lei. «Parlava dei figli», racconta il militare. Dall’altra parte, l’aggressore, rimasto in silenzio durante tutto il confronto, comunicava solo attraverso uno sguardo carico di odio. «Ringrazio dal profondo del cuore tutte le persone intervenute a immobilizzarlo: un po’ hanno salvato anche me», conclude Nicola, ancora scosso dall’episodio ma grato per il lavoro di squadra che ha evitato una tragedia ancora più grande.

6.1.25

Macché censura, Tony Effe è lo specchio del mondo quindi non rompete se va a san remo on è nè indagato nè ha commesso reati cioè non ha pendenze con la la legge

Chiedo scusa per coloro avessero già letto i miei post su un fìnto ribelle o un nuddu miscato cu' niente ( cit dal film I cento passi ) di tony effe dove sa dare sfogo ( non è il solo purtroppo  ma è un fenomeno del 95 % della musica italiana recente rap e della trap compresi ) alla sua frustrazione e delusioni \ urti della vita con volgarità gratuità e misoginia
Quindi  sia che siate pro o  contro la sua partecipazione a San remo non ci scassate e lasciatelo cantare.c cosi facendo  gli si va solo pubblicità gratuita visto che << C'è una assenza che spicca nelle classifiche radio di fine anno. 
Quella di Tony Effe (foto  sotto  al centro  ) ma  non solo la sua  è  quella di rap e trap che vanno oltre, che sono misogini, sessisti e gender shamer. Nella Top 10 dei brani più trasmessi nel 2024 Tony Effe è presente solo con Gaia per Sesso e samba e stop. E nella prima rilevazione 2025 nei primi cinquanta posti non ci sono suoi brani tratti dal suo disco da solista Icon (né quelli di altri trapper o rapper simili). Soltanto poche emittenti come Radio Zeta lo trasmettono, ma in misura non significativa. Insomma la radio, come la tv, è un filtro (attenzione: filtro, non censura). In radio passano tantissimo rap (Marracash ad 
esempio) e tanta trap (Ghali, se ancora si può definire trapper). 






Ma non si ascoltano versi tipo «metti un guinzaglio alla tua ragazza» cantati (cantati?) da uno che «canto quello che vivo».
La radio è ancora un vero termometro nazionalpopolare al quale prima o poi puntano tutti i trapper, anche quelli che io per carità no. 
Infatti e qui concordo con , trovate sotto l'articolo integrale , quanto dice Tomaso Montanari su il Fatto Quotidiano 5\1\2025


Difficile fare peggio dell’amministrazione comunale di Roma, nella faccenda del Concertone di capodanno. Sia chiaro, ‘censura’ è una parola usata in modo grottescamente abusivo : il Comune di Roma ha il sacrosanto diritto di usare il suo (pubblico) denaro come ritiene giusto. Ma qualcuno, nell’amministrazione, si era effettivamente domandato cosa sarebbe stato ‘giusto’ promuovere, in uno spazio pubblico? L’errore, incredibile, era stato ingaggiare Tony Effe senza sapere cosa canti, o (peggio) sapendolo benissimo, e cercando di cavalcare l’onda del suo successo commerciale. Qualcosa dovrebbe pur distinguere la politica culturale di una giunta di sinistra da quella di una giunta di destra: anche se sappiamo bene che questo non è vero, da decenni, nemmeno per i governi nazionali, tutti egualmente proni al mercato (salvo le velleità neofasciste di quello attuale, per ora approdate, sul versante culturale, a risultati più comici che tragici: vedasi l’incresciosa mostra sul Futurismo). Ancora peggio è motivare l’esclusione finale con la sensibilità ferita delle donne: perché se i testi di Tony Effe danno fastidio solo alle donne – se sono le donne a dover ‘chiedere’, per l’ennesima volta: chiedere di non pagare coi loro soldi quelle parole – il problema è smisuratamente più grande di quei testi. E sappiamo bene che è proprio così: e la discussione sul dito del cantante non riesce a investire la luna della realtà che indica.Le parole del trapper sono estreme: ma l’ideologia e l’immaginario retrostanti non sono certo minoritari, e nemmeno originali, semplicemente Certi tempi L’errore era stato ingaggiare il trapper senza sapere cosa canti, o (peggio) sapendolo benissimo, e cercando di cavalcare il suo successo commercialecoincidono con lo stato delle cose. Anche per questo è grottesco parlare di censura: Tony Effe sta dalla parte del mondo com’è, dominato dai maschi, e con le donne ridotte a corpi sessualizzati – ad oggetti. Un mondo in cui la violenza (verbale, morale: e alla fine fisica) dei maschi sulle donne è un dato endemico. Una parte cospicua dei maschi che in queste settimane hanno difeso la libertà artistica del trapper, lo ha fatto perché in realtà aderisce a quella stessa visione. Gli stessi strenui difensori della libertà artistica, sarebbero stati i primi a invocare una vera censura, e anzi la gogna, se, invece che con le donne, i testi del cantante se la prendessero con Israele (‘antisemita’!), o con le bombe della Nato (‘putiniano!’). Tony Effe dichiara che chi prende alla lettera i suoi testi, deve farsi curare: ma sa benissimo di fare soldi e successo grazie anche (e forse soprattutto) a chi lo prende alla lettera. I suoi testi sono scritti da un “figlio sano del patriarcato” e del capitalismo rapace e omicida dei nostri giorni. Se sono interessanti, è proprio perché esplicitano e stilizzano ciò che è sottinteso nelle politiche, nelle pubblicità, nei rapporti di forza economici e professionali che tengono in piedi la civiltà occidentale: una democrazia di maschi bianchi benestanti. “L’arte e la scienza sono libere”, dice la Costituzione: guai a impedirgli di scrivere e cantare queste cose. Ma è libera anche la critica, e l’automatica solidarietà corporativa di artisti e artiste ha scritto una pagina imbarazzante: se Tony Effe è libero, lo sono altrettanto (da interessi di immagine, e cioè commerciali) i suoi tanti colleghi difensori? Se le spaventose linee guida del ministro Valditara per l’educazione civica non portassero la scuola italiana in direzione diametralmente opposta (quella di una maschia educazione patriottica e di una entusiastica adesione ai valori del made in Italy: mercato e moschetto), sarebbe utile che le e gli insegnanti consci del loro scopo (quelli che assomigliano a Christian Raimo, per intenderci) leggessero e discutessero i testi di Tony Effe in classe. Perché quelle canzoni fanno parte del mondo delle ragazze e dei ragazzi, e ciò che serve non è rimuoverle (sarebbe sbagliato, e comunque impossibile), ma invece interpretarle, commentarle, criticarle insieme. Per esempio, sarebbe utile tenere insieme, in una lettura critica comparata, alcuni dei testi di Tony Effe e alcuni dei messaggi di Filippo Turetta a Giulia Cecchetin: per capire quale filo colleghi l’esaltazione del possesso dei maschi sul corpo delle donne e l’esito finale del femminicidio. Il che non vuol dire che il cantante istighi alla violenza pratica, ma vuol dire che c’è una oggettiva continuità di immaginario, una complicità culturale che è esattamente quella contro cui dobbiamo combattere, dentro e fuori di noi. Parlando dell’opera di Jeff Koons, il New Yorker tempo fa scrisse: “If you don’t like that, take it up with the World”. Vero, ma fino a un certo punto: perché l’opera di Koons (e così quella di Tony Effe) aderisce talmente bene ai rapporti di forza stabiliti, da aiutarli a restare tali. Ci sono artisti scontenti del mondo e capaci di preparare il cambiamento, ce ne sono altri che al mondo si adattano perfettamente, e cooperano nel mantenerlo così com’è. È tutto legittimo: ma è legittimo anche vederlo. Anche dirlo.


Infatti secondo sempre IL GIORNALE di oggi . << [...] La prova del nove sarà il brano di Tony Effe al Festival di Sanremo (bravo Carlo Conti a prenderlo). Sarà senza porcate varie, passerà in radio e un altro finto ribelle si trasformerà semplicemente in un cantante che vuol farsi ascoltare dal maggior numero di persone. Punto. Alla faccia di proclami e oscenità varie per non dire gratuite e non necessarie [ corsivo mio ]  da E in radio Tony Effe non passa (msn.com)  >> . Quindi lasciomolo cantare e smettiamo di farglibpubbli

Notizie bizzarre : tigre dello zoo che allatta dei maiali , Avventure bestiali, regali frondosi, passeggeri molesti, computer pettegoli, mestieri miracolosi, bevitori incolpevoli e pistoleri incauti



Una madre tigre ha perso i suoi cuccioli a causa del travaglio prematuro. È diventata depressa e la sua salute è diminuita. Gli zoologi avvolgevano i maialini in un panno di tigre e li presentavano alla madre tigre.

La tigre ora ama questi maiali e li tratta come i suoi piccoli. È così dolce.

Ma  questa    solo  una delle   storie  d'oggi  





L’islam e l’ipocrisia occidentale svelata dai capelli delle donne

 consiglio  prima  della  l'articolo  di Massimo  Fini     due  siti  utili       per  chi volesse   approfondire  l'argomento   velo   senza  preconcetti e stereotipi    in quanto le  diverse  tipologie   del velo    risalgono   ai  tempi pre  islamici  e  diventato  poi  un elemento  comune     nonostante  le  differenze   nell'uso  alle  tre  religioni monoteiste  (  cristiano\  cattolici  ,  islam ,  ebraismo  )   


  di Massimo  fini ( https://www.massimofini.it/ ) FQ   del  5\1\2025 

Ogni individuo ha diritto di vestire come più gli pare e piace afferma, almeno da un bel po’ di tempo, la cultura occidentale in polemica col velo islamico. Ma in questo diritto non siamo i primi, non siamo i campioni. Negli anni Trenta (per la precisione 1927) Gide al ritorno da un viaggio in Congo pubblicò una serie di fotografie che mostravano donne africane tutte a seno nudo e maschi con un minuscolo perizoma. Dice: per forza all’equatore fa caldo. Ma ai trenta gradi e più del luglio di Milano nessuna donna potrebbe mostrarsi a seno nudo non dico in Duomo o Piazza Duomo che sono luoghi di culto con loro regole precipue: in chiesa portano quasi sempre il velo mentre i maschi, con una curiosa inversione dei ruoli, vanno a capo scoperto e col cappello in mano, a riprova che i capelli nell’uno e nell’altro caso hanno la loro importanza. Fellini per mostrare nel pieno centro di Roma, nella fontana di Trevi, il seno nudo di Anita Ekberg ha dovuto costruirci sopra un film. Sempre negli anni Trenta quelli del viaggio di Gide in Congo una Hedy Lamarr a seno nudo, peraltro pudicamente velato dall’acqua del fiume, fece scandalo. Del resto non sono poi molti anni da quando le nostre contadine portavano un fazzoletto in testa a coprire i capelli e in qualche caso, specie nella Sicilia profonda, lo portano ancora.Per questo non credo sia sbagliato l’interesse che l’Islam ha per i capelli femminili. Sbagliato è imporre alle donne un copricapo ma l’interesse è più che comprensibile. I capelli sono, insieme agli occhi e alla bocca, una delle parti più affascinanti della donna, indicativi del suo carattere oltreché del suo stato sociale. Tramite i capelli una donna esprime la sua identità. Nell’immediato dopoguerra alcuni cosiddetti partigiani portavano in giro per le strade delle donne che erano state con i fascisti o con i nazisti, rapate a zero, volendo con ciò annullarne l’identità, la “maschera” come dicevano i greci, umiliandole a sangue più che se l’avessero messe nude (i “cosiddetti” facevano anche questo ma era addirittura meno importante).I capelli femminili esprimono, molto più dei tratti somatici, l’indole della donna tramite il modo con cui li muovono sia pur di volta in volta mutanti: la bizzosità (“da ogni ricciu te caccia ‘nu capricciu…” Modugno), l’alterigia, la dolcezza, la leggerezza, la testardaggine, la durezza, l’aggressività, la sfrontatezza, la pignoleria. Le donne, soprattutto le ragazze più giovani quando sono in una qualche difficoltà, si arrotolano di continuo, nevroticamente, un dito intorno ai capelli. Insomma per le donne i capelli sono molto importanti e vi dedicano una cura maggiore rispetto a tutte le altre parti del corpo basta vedere quanto vi spendono dal coiffeur, al massimo delle loro disponibilità economiche. I capelli hanno anche un alto valore emotivo e sentimentale, quando ci si lascia si conserva una ciocca dei capelli di lei. I capelli esprimono anche il passaggio della donna dall’adolescenza all’età adulta con l’abbandono delle treccine: “Lisa dagli occhi blu, senza le trecce la stessa non sei più”.In definitiva è meglio vedere o non vedere? Quando ero a Teheran sono entrato nella redazione di un settimanale Donna di giorno, piuttosto aggressivo nei riguardi del regime khomeinista (si sa che le donne sono molto più coraggiose degli uomini): aveva un’ampia sezione dedicata alla moda cosa che metteva in sospetto i “pasdara” più duri e puri. La direttrice, la graziosa Talebeh, portava naturalmente, come tutte, il velo. Ma dal velo le spuntava un vezzoso ricciolo biondo che le dava un fascino tutto femminile. Giocava insomma l’eterno gioco del “ti vedo e non ti vedo” che sembra scomparso nella donna occidentale per la continua esibizione nei film, nella pubblicità e in ogni altro possibile luogo del nudo femminile. Da qui anche la caduta a picco dello strip-tease, ancora in voga una quarantina di anni fa.Dell’ipocrisia occidentale, perché di questo stiamo parlando, perché sopravvalutando l’importanza dei capelli femminili in realtà la sminuisce, fa parte anche il linguaggio. Raramente voi vi imbatterete su un giornale nel termine “cazzo…”, seguito da eufemistici puntini, e come si sa, l’eufemismo è molto più volgare del termine che vuole sostituire. Ma non troverete mai e poi mai “fica”, persino i laici latini la sostituivano con “pudenda” cioè le cose di cui ci si deve vergognare. Perché mai ci si dovrebbe vergognare dei genitali femminili (in questo caso uso anch’io un eufemismo) quando da essi è generato il mondo ?I capelli femminili si legano poi molto intimamente ad un’altra peluria molto più nascosta anche se maggiormente concentrata. E la domanda inesausta del maschio, specialista in temi irrisolvibili se non a caro prezzo, è: ma le due corrispondono o la Tipa s’è tinta in entrambe? Meglio, prudentemente, non svelare.


Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   dopo a  morte    di  Maurizio Fercioni ( foto   sotto  a  centro ) , fondatore del Teatro Parenti a Milano e primo tatuatore d’Italia Gia...