17.11.13

Da Lione a Orgosolo per conoscere i fratelli 'scoperti' sul web dopo 47 anni

Musica  in sottofondo  La canzone del padre - De André

 da repubblica  online  17 novembre 2013

La storia di Louis e Veronique, nati dalla relazione della madre con un sardo emigrato in Francia nel 1961. Pochi anni dopo il padre era tornato in paese dove si era sposato ed aveva avuto altri dieci figli. All'incontro emozione e sorpresa per la straordinaria somiglianza con il genitore



                      Uno scorcio di Orgosolo con il Supramonte sullo sfondo (foto Rafael Brix)


NUORO - "Mi chiamo Louis, ho 47 anni e sono di Lione. Io e mia sorella Veronique, di un anno più giovane di me, crediamo di essere figli di suo marito". Questa è la sostanza della telefonata ricevuta ad Orgosolo, lo scorso primo novembre, da Mariangela Succu, 71 anni, vedova di Luigi Garippa, l'uomo con il quale ha avuto dieci figli (otto femmine e due maschi) che oggi hanno tra i 30 e i 42 anni. Una storia da "Carramba che sorpresa" raccontata dalla giornalista Maria Giovanna Fossati sul sito di Sardiniapost, diretto da Giovanni Maria Bellu.
Il ricongiungimento è avvenuto oggi, ma purtroppo non è stato al completo: Luigi Garippa, infatti, è morto l'anno scorso all'età di 84 anni. Ma Louis, affermato coiffeur a Lione, ha già potuto abbracciare i numerosi fratelli sardi, mentre nei prossimi giorni lo farà anche Veronique.
Superato lo stupore iniziale, la signora Mariangela avevano parlato a lungo al telefono con Louis grazie a un interprete. Poi tutta la famiglia si è messa al lavoro per preparare una degna accoglienza. "Non vediamo l'ora - ha detto ieri una delle sorelle, Luisa - . Non ci stiamo dormendo la notte per la felicità. Ci sentiamo tutti i giorni via Skype con entrambi ed è come se ci conoscessimo da sempre".
Una storia che viene da lontano e ha radici in quell'ondata di emigrazione che nel Dopoguerra spinse molti sardi senza lavoro a lasciare le zone interne e quelle della Gallura per cercare fortuna in Liguria, Savoia e nel sud della Francia. In quel contesto, Luigi Garippa arriva in Francia nel 1961 e trova lavoro in un'impresa che costruisce forni a Lione. Lì conosce una ragazza e dalla loro relazione nascono Louis, oggi 47enne, e Veronique, di 46. I ragazzi crescono in un orfanotrofio e di loro si perdono le tracce, mentre Luigi dopo qualche tempo torna in paese, ad Orgosolo, dove nel 1971 si sposa con Mariangela Succu. Dalla loro unione nasceranno dieci figli.
I due bambini francesi, intanto, diventano grandi e si mettono alla ricerca del padre naturale. E' una zia materna, alla fine, a metterli sulla pista giusta per svelare il "mistero": dà loro il nome del padre e un'indicazione sul paese d'origine, spiegando che il papà dovrebbe vivere in Sardegna. Il resto lo fa Internet. Sulla rete Louis e Veronique iniziano la caccia fino a rintracciare un numero di telefono di Orgosolo. A quel punto fanno la telefonata per contattare la famiglia. Oggi il desiderio reciproco di incontrarsi e conoscersi è diventato realtà con l'aggiunta, all'emozione, di una buona dose di sconcerto: Louis infatti sarebbe identico al padre.
Emozionato lui ed emozionati tutti, soprattutto per questa straordinaria somiglianza. "E' come se avessi avuto dentro di me un vulcano acceso per tutta la vita. Oggi si è spento", ha confessato dopo l'abbraccio con i fratelli e le sorelle orgolesi. Louis era arrivato in Sardegna sabato sera, ad Alghero, dove ha trascorso la notte ospite di una sorella del padre.
Ha fatto tardi, perché già i racconti della zia sono andati avanti fino alle 5 del mattino. Poche ore di sonno poi la partenza per il paese, nel cuore della Barbagia. Ad accoglierlo tutta la famiglia ritrovata. E un pranzo - preparato dalle sorelle - a base di ravioli e maialetto arrosto.

Celestini, avviso ai più distratti: «Una nuova Italia alza la testa». ma che ancora tarda a manifestarsi completamente



di GIORGIO PISANO
Il pizzetto, rigorosamente fuori moda, è da spadaccino d'un tempo ormai lontano. Lo sguardo, acceso e penetrante, quello di un visionario. Ma sotto sotto si vede e si sente la borgata romana dov'è cresciuto e dove abita ancora, con moglie e due figli.Ascanio Celestini, 41 anni, vive di lampi che qualche volta si trasformano in libri, altre volte in copioni per il teatro. Chiedetegli di definirsi e lui non sa cosa rispondere: «Ascolto storie e racconto storie. Tra l'ascolto e il racconto c'è la scrittura».Se frugate tra i testi di drammaturgia contemporanea viene etichettato come attore del teatro di narrazione. Riduttivo. Dentro Celestini c'è antagonismo colto, una mano disincantata che racconta l'eccidio delle Fosse Ardeatine o la dannazione dei matti. Ma c'è anche televisione (con Serena Dandini), brevi squarci di intelligenza catodica.C'è insomma un affabulatore che ha metabolizzato la lezione di Pier Paolo Pasolini e il mondo di quelli che stanno ai margini tutta la vita. Fa il paio con Marco Paolini e la trincea (Dario Fo incluso) che porta sul palcoscenico una storia, una vicenda legata a doppio filo ai giorni che viviamo. Teatro civile, si potrebbe dire, se non gli avessero già dato un altro nome.A Cagliari sabato prossimo per la stagione teatrale dei Cada Die, presenterà il suo ultimo lavoro: Discorso alla nazione.Per capire di chi si tratta e di cosa ci si possa aspettare da uno come lui, basterebbe leggere due righe d'un suo libro, Lotta di classe: io passo attraverso i muri. Attraverso le villette antiladro controllate dagli allarmi antizingaro, protette da inferriate antinegro con vernice antiruggine dove antipatici padroni antisemiti con crema antirughe fanno antipasti antiallergici in bunker antiatomici. Scrittura cruda e felice, spietata e brutale. Si intuisce dal ritratto (stesso romanzo) d'uno zio: c'era qualcosa di tragico in mio zio. Qualcosa che si ritrova solo nelle moltitudini di persone, oggetti o concetti. Ha il fascino delle migliaia di sacchetti dell'immondizia squarciati dagli stormi scomposti dei gabbiani onnivori in transumanza sulla discarica. Emana la stessa disgustosa attrazione, la medesima ripugnante seduzione del pericolo in agguato. È una disgrazia seduta in poltrona, il cinese sulla riva del fiume, ti aspetta per farti inciampare da solo. La ragnatela che si riempie di polvere in attesa che passi la mosca.

Cos'è il teatro di narrazione?
«Un teatro specificatamente di narrazione non esiste. Quasi tutto il teatro è narrazione. Lo è Pirandello, Euripide e Shakespeare. Qualcuno vorrebbe distinguere i miei spettacoli o quelli di Paolini o della Musso da altri ritenuti più tradizionali. Secondo alcuni, più distratti, nel nostro caso non ci sarebbe il personaggio, ma sarebbe l'attore a parlare direttamente al pubblico. Invece io (come tutti, inevitabilmente) interpreto un personaggio per il fatto stesso di trovarmi sulla scena. Ma lo interpreto facendolo passare attraverso la mia biografia. È un teatro biografico».
A teatro per raccontare e non per recitare: qual è il vantaggio?
«Nessun vantaggio. La narrazione non è il contrario della recitazione».
A teatro non va più nessuno e lei si ostina a farlo.
«Si sbaglia. A teatro viene moltissima gente. Curzio Maltese in un articolo di qualche anno fa scriveva: Anche il prossimo anno, come l'ultimo, dodici milioni di spettatori andranno a teatro e nessuno ne parlerà. Dodici milioni sono una quantità enorme, l'equivalente di un campionato e mezzo di Serie A. Il calcio e le domeniche sportive, i giornali specializzati e intere sezioni degli altri, una moltitudine di ore televisive sprecate in processi del lunedì, martedì, etc., radio che non trasmettono altro: il teatro non ha nulla. Perché? Sono i misteri della sottocultura dell'informazione».
A Viterbo l'hanno accolta male: Celestini boia. Ferita ancora aperta?
«No. È stata una ragazzata di qualche giovane di destra. Le contestazioni si fanno mostrandosi in pubblico e cercando il contraddittorio, non con qualche scritta fatta in fretta di notte sui muri».
A proposito: lei ci va a teatro?
«Io vado a teatro anche se ho difficoltà ad andarci visto che la maggior parte delle sere sono occupate dai miei spettacoli. In questi anni ho apprezzato molto il lavoro di Giuliana Musso e Veronica Cruciani, oltre a quello di alcuni maestri come Marco Paolini e Marco Baliani, Mimmo Cuticchio, Giovanna Marini e Dario Fo, e poi gli spettacoli di un vecchio compagno: Gaetano Ventriglia».
I suoi personaggi sono ultrasottoproletari, sporchi, brutti e disperati. Perché li ha scelti?
«I personaggi di cui parlo appartengono alle classi più basse, alle categorie più derelitte. Il mio intento non è fare politica, ma scrivere una storia che racconti l'essere umano. Rappresento loro perché nel loro essere indifesi mostrano in modo più netto l'umanità».




Altri co-protagonisti, i matti: sempre ultimi.
«Un infermiere m'ha detto t'è mai capitato di allontanarti dall'automobile e poi tornare indietro col dubbio di non averla chiusa? Immagina di allontanarti infinite volte e infinite volte tornare indietro con lo stesso dubbio: ecco cos'è il disagio mentale . Tutti viviamo un disagio, ma la maggior parte di noi riesce a gestirlo. Chi non ce la fa è come noi, ma con una debolezza in più».
Hanno fatto bene a chiudere i manicomi e abbandonare tutti i pazienti o quasi?
«Non hanno chiuso tutti i manicomi e non hanno abbandonato i pazienti. La famosa legge 180 è del 1978. Per chiudere l'ultimo manicomio pubblico c'hanno messo più di trent'anni. Non mi pare che ciò significhi chiudere i manicomi da un giorno all'altro, c'è voluto molto tempo. In molti luoghi i servizi territoriali funzionano, ma chiudere il manicomio non significa cancellare il disagio mentale. Bisognava superare quell'istituzione nazista per cominciare a distinguere il disagiato mentale dal lager nel quale veniva rinchiuso. E poi molti manicomi, purtroppo, esistono ancora. Sono quelli privati che spesso fanno soldi anche infilando le mani nelle tasche delle istituzioni pubbliche. Per non parlare dell'orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari».
“Siamo fatte di pezzi stonati, nero e fucsia”, dice uno dei suoi personaggi. Per quali donne vale?
«Credo valga per tutti, non solo per le donne».
La lotta di classe è un'alternativa alla guerra civile, dice lei. S'è accorto che è morta da un pezzo?
«La lotta di classe è il conflitto tra le classi sociali. Fin quando ci sono le classi, c'è il conflitto. Il problema è che questo conflitto è combattuto consapevolmente soprattutto dalle classi dominanti e che, purtroppo, tra gli appartenenti alle classi subalterne c'è chi lo combatte contro qualche derelitto che può dominare invece che contro il proprio carnefice. La novità è che incominciano a diventare importanti le battaglie territoriali (No-Tav e molte altre) che hanno spostato l'attenzione dal cittadino all'abitante, rovesciando una maniera di fare politica che partiva da una visione del mondo per cambiare il mondo. Oggi si parte dal mondo per arrivare ad una visione di esso».
La riscossa sarebbe dovuta avvenire con Beppe Grillo.
«Non capisco cosa voglia fare Grillo. Ho l'impressione che voglia convertire i macellai al vegetarianismo e per farlo va a squartare vitelli insieme a loro. È vero che non serve avere le mani pulite se si tengono in tasca , ma non è obbligatorio sporcarsele di sangue».
La salvezza è l'antagonismo?
«Salvezza è un concetto per cattolici e tifosi di calcio».
Si sente tradito dalla sinistra?
«No, mi stupisco del fatto che non si capisca qual è il problema concreto dei partiti. La loro distanza non nasce dal fatto che sono pieni di gente furba e poco perbene. La corruzione e l'esercizio del privilegio hanno radici storiche. Quando i partiti erano tenuti insieme da una visione del mondo l'elettore sentiva di poter delegare il professionista del proprio partito per governare il paese. Sapeva (o credeva) che l'idea del segretario del partito era la sua stessa idea, perché quell'idea veniva da lontano e li avrebbe portati lontano».
E ora?
«Oggi la storia ha schiacciato questo presupposto e l'unico strumento valido nell'occidente del presente (domani, forse, non avrà più senso e dovremo trovarne altri) è quello della democrazia diretta e del superamento della delega. Purtroppo i cambiamenti importanti hanno bisogno di tempo e di impegno».
Un politico da salvare?
«Li salvo tutti e non salvo nessuno. Li salvo tutti perché hanno in mano uno strumento vecchio che non li porterà lontano. Sono ladri che rapinano banche e poi scappano a piedi. Non ne salvo nessuno perché, credendo nella democrazia diretta, penso che la vera politica non ha protagonisti».
Papa Francesco: uomo di marketing, dice qualcuno.
«Anche un cattolico si rende conto che Bergoglio è un testimonial straordinario. Non lo dico per offendere. Leggo sulle pagine, spesso superficiali ma molto popolari, di Wikipedia che per testimonial si intende una terza figura che con il sorriso, la cordialità, la competenza dimostrata e le qualità morali di cui è implicitamente portatore, garantisce personalmente in merito alla bontà del prodotto reclamizzato . È probabile che oltre a queste sue doti pubblicitarie e fascinatorie, Bergoglio sia stato eletto Papa anche per volontà della Divina Provvidenza come credono i cattolici. Ma io non sono cattolico».
Non fa tivù da tanto: come mai?
«Non smanio per fare tivù. Ci vado quando mi chiamano. E generalmente non mi chiamano».
Mai ospite a un talk show: paura di farsi narcotizzare?
«Faccio molto teatro. Questo impegno mi porta a non poter accettare tanti inviti e comunque non parteciperei a trasmissioni nelle quali ci si trova a sgomitare e ad affrontare questioni in maniera superficiale».
Il peggio e il meglio della tivù italiana.
«Non c'è un peggio e un meglio. A volte può esserci una differenza a livello di contenuti, ma linguisticamente è tutta una stessa cosa. La differenza dovrebbe farla lo spettatore».
E i giornali, si salvano?
«Il problema della comunicazione è che s'è trasformata in un unico flusso di narrazione. Inconsciamente lo spettatore o il lettore ha applicato alla prima lo stesso atteggiamento che ha per la seconda. La realtà viene recepita attraverso il filtro del gusto. Diciamo mi piace questo giornale, questa trasmissione come potremmo dire mi piace la pizza Margherita . C'è bisogno di allontanarsi dai media. Se nella realtà non riusciamo ad avvicinarci a decine di argomenti differenti, come possiamo farlo attraverso la mediazione dei giornali, della televisione o addirittura della Rete?»
Salga sulla plancia di comando e dia un'occhiata all'Italia: che le sembra?
«Sono ottimista. C'è un'Italia clandestina che alza la testa senza protagonismo. Che attiva i propri territori senza trasformare le sue battaglie in partiti che vanno a mettere il cappello sulla sedia di qualcuno appena defenestrato. Che mostra di non essere docile. Molte di queste battaglie saranno perse, ma eviteranno che contro questi territori vengano dichiarate altre guerre».
pisano@unionesarda.it

“Target not visible”, e il bombardiere americano cambiò bersaglio Il mostro nucleare e la città salvata dalle nuvoleIl meteo dirottò l'atomica da Kokura a Hiroshima.

film consigliato  emperor  

  dall'unione  sarda  del  16\11\2013




Possono le nuvole salvare la vita a migliaia di persone? Può il sole rendersi complice di uno sterminio, e della distruzione di un'intera città? Sembra impossibile che sia così: invece è accaduto davvero. In estremo Oriente. Le foto scattate da un giovane sergente hanno testimoniato tutto. Lui è morto, adesso. Le sue immagini, invece, no. Continuano a
 due  dragoni tra le  nuvole  1885  di  kano hogai  ( 1828-1888 ) da http://www.pinterest.com/mikebrautigan/kano-hogai/
rimanere un simbolo e un monito. Per ciascuno di noi.
Tra una giornata di sole e le nuvole, in molti sceglierebbero il sole. Lo farebbero quasi tutti. Invece le nuvole hanno salvato Kokura. La hanno risparmiata dall'annichilimento. Dalla distruzione totale. «Il bel tempo decide la città da colpire: non noi» ha precisato a voce alta il comandante durante la riunione finale, scandendo bene le parole.Un fatto vero, incontestabile. Tanto che nel discorso del presidente Truman il nome della città da colpire era stato appositamente lasciato in bianco. Da riempirsi soltanto a missione compiuta. Come a dire: “L'una o l'altra: fa lo stesso…”. Basta che non ci siano le nuvole! Per carità! Le nuvole potrebbero mandare tutto a monte. Rovinare ogni piano. Ed è così, dunque, che il sole, quel giorno d'agosto, si è alleato con la morte. Era un sole splendente: e con la nitidezza della sua luce ha reso la città di Hiroshima un target ideale per la prima bomba atomica. Un sole pieno, appunto. Il cielo sereno. Tutto immobile e perfetto. Una giornata adatta a essere felici.Invece no.Con questo pensiero, loro sono andati a dormire. Non a lungo, per la verità. Alle due di notte, infatti, erano già svegli, pronti per il decollo. È un meraviglioso giorno d'estate: e a Hiroshima non c'è nemmeno una nuvola. Al mercato rionale la frutta e la verdura ravvivano le anime dei passanti con i loro colori accesi, con il loro profumo d'estate. Sono tutti così felici e ottimisti che quando l'aereo della morte sorvola la città le sirene della vedetta antiaerea nemmeno si prendono la briga di suonare l'allarme: “Sarà un volo di ricognizione” pensano. Lo pensa anche la gente. Ma questa volta si sbagliano. Si sbagliano tutti.«Alla fine di questa missione sarete più famosi di Clark Gable» ha detto il generale ai suoi soldati, per motivarli. Lo ha detto come se la notorietà potesse bastare a giustificare tutto. Come se Hollywood fosse davvero importante. Più importante di uno sterminio.Sei agosto 1945. Un giorno livido nella storia dell'umanità. L'inconfondibile ponte a “T” di Hiroshima è ben visibile. La bomba atomica viene sganciata. Basta il pollice di un soldato su un pulsante, e una colossale quantità di energia distruttiva viene improvvisamente liberata. Quarantadue secondi di caduta libera. E poi il nulla: che prende il posto della vita. In un momento soltanto. Fumo. Luce. Cenere. Morte. Un fungo alto venti chilometri che si erge inaspettato. Settantamila persone smettono di esistere istantaneamente. Il nero che, all'improvviso, prende il posto di tutti i colori. I profumi scompaiono. Scompare anche la luce del sole. Eppure, all'imperatore Hirohito tutto questo non basta per arrendersi. È un uomo orgoglioso, lui. E non è abituato a chinare la testa. Dunque continua a studiare crostacei e molluschi nella sua casa dorata circondata da cigni e da rose: mentre tutto, intorno a lui, muore: perché è facile essere coraggiosi con le vite degli altri.6 agosto 1945. Se quel giorno ci fossero state le nuvole a Hiroshima, tutti sarebbero ancora vivi e la città di Kokura, invece, non esisterebbe più. Kokura è proprio una città miracolata. Per ben due volte. Prima dal sole di Hiroshima. Poi dalle sue stesse nuvole che, tre giorni dopo, la hanno salvata dal nuovo attacco.La seconda bomba ha un nome. Si chiama “Fat Boy”. Ragazzo grasso. È un nome stupido: da caserma. Questo del nome, bisogna sottolinearlo, è un fatto davvero sconveniente e di cattivo gusto. Avrebbero potuto evitarlo, i soldati americani. Quegli stessi che il nove agosto del 1945 hanno sorvolato Kokura con l'intento di distruggerla. Di raderla al suolo.Nove agosto 1945. Sono davvero tante le nuvole che, quella mattina, oscurano i cieli di Kokura e sono spesse. Uno scudo magico e improvviso. Apparso misteriosamente dal nulla a proteggere la città. I militari ancora non lo sanno: per loro, questa volta, Kokura è il target principale per il lancio della seconda bomba atomica: voluta con decisione da Truman pur di finire la guerra in fretta e furia: pur di evitare che i russi potessero prendervi ufficialmente parte e domandare, in cambio, una fetta di Giappone incenerito.La bomba atomica è armata. È pronta per essere sganciata. Le previsioni del tempo hanno annunciato cieli limpidi e sole pieno sulla città di Kokura. Invece, quando i piloti la sorvolano, si trovano immersi fra le nuvole. Una nebbia grigia comparsa all'improvviso li costringe a lasciar perdere. Sono le nove e quarantacinque minuti. “Target not visible” “Target not visible”. Tre parole che salvano Kokura dalla distruzione totale. Nagasaki perirà al suo posto. Perché lì, quel giorno, il sole c'è. Ed è proprio una giornata meravigliosa. 156 chilometri tra le due città: una distanza breve: che, però, cambia tutto. Il sole, le nuvole. Mai così importanti. Mai così determinanti per la vita di tante persone.

Nicola Lecca

Musica, il rock stona con la morale e perde smalto oppure è morto come diceva un tempo sting ?

le  dichiarazioni  di sting 



di Massimo Del Papa


CULTURA
Musica, il rock stona con la morale Jagger cantò i pregiudizi sessuali. Zappa sfidò gli Usa. Oggi le provocazioni sono liofilizzate. E nessuno teme la censura. 



Mick Jagger nel 1985, cristallizzando una koinè, disse: «Il rock, per essere tale, deve essere pericoloso».
Il linguaggio comune del rock è il sesso, con la sua pretesa di scardinare la calcarea architrave dei valori accettati, del perbenismo borghese.
Qualcosa di congenito al genere, prima ancora di tutti gli altri significati che con il tempo l'avrebbero rivestito. La stessa definizione, rock and roll, è di natura sessuale, deriva dallo slang del blues, ribollente di metafore, di doppi e tripli sensi erotici. E il grido più famoso del rock nascente, Awop bop-a-loo-mop-alop-bam-
(© Getty Images) Mick Jagger, leader dei Rolling Stones. 
boom, altro non era se non l'onomatopea di una irrefrenabile eiaculazione (di natura omosessuale, per di più).
JAGGER, L'AMBIGUO DEL ROCK. Proprio Jagger incarna da mezzo secolo, più di chiunque altro, da David Bowie a Iggy Pop, da Lou Reed a Jim Morrison, la suprema ambiguità del rock, ribelle anticapitalista ben piantato nel capitalismo, multinazionale di se stesso.
Capofila di una schiera infinita di eroi sessualmente incerti, il suo ruolo è stato a un certo punto insidiato da Michael Jackson, perfino più strambo di lui. Ma quest'ultimo ha finito per implodere nelle proprie vanità e nei suoi stessi incubi.
LA FINZIONE FA BUSINESS. Oggi Jagger, a 70 anni, fa salire sul palco le moderne eroine della trasgressione sessuale, da Lady Gaga a Katy Perry, ed è più incorreggibile che mai mentre duetta insieme con loro con l'aria di pregustarne il pasto nudo.
Allo stesso tempo, tutto è finzione, orientata a un business colossale. Oggi il mondo si interroga sulla portata effettiva degli attacchi misogini o omofobi da gente come Eminem o Robin Thicke; ma a quest'ultimo risponde, in chiave femminista, Lily Allen con una canzone se possibile ancor più esplicita.Ecco servito un bel cortocircuito.


I Rolling Stones e gli attacchi alla morale negli Anni 60






Proprio gli Stones, alle metà degli Anni 60, si segnalarono con un attaccato ben organizzato alla morale dell'epoca, sferrato con una micidiale serie di canzoni sessiste; giunsero al culmine una decade più tardi con l'album Black and Blue, annunciato da una ragazza in bondage, piena di ecchimosi, che ammiccava: «I Rolling Stones mi hanno ridotto così e mi piace da matti».
SFIDA ALLE DONNE. Le proteste femministe furono ovviamente furibonde, ma niente in confronto a due anni dopo, quando, nel brano Some Girls, Jagger schiacciò l'immaginario femminile contro un muro di pregiudizi geosessuali: le italiane che si vendevano per una macchina, le inglesi che gli davano figli mai chiesti, le americane che volevano tutto, «le negre che vogliono essere fottute tutta la notte... non ce l'ho tutta quella marmellata».
Il brano, raccontò poi Glyn Jones, ingegnere con gli Stones, nacque «con Mick che, completamente ubriaco, si presentò in studio e per 45 minuti farneticò le sue visioni più oscene mentre il gruppo gli suonava sotto; alla fine, tenemmo i cinque minuti più divertenti e... presentabili». Figuriamoci il resto.
Jagger, in quel 1978, aveva il problema di rintuzzare l'attacco che gli proveniva dal punk nascente.
LE PARODIE DI FRANK ZAPPA. Su coordinate del tutto personali, Frank Zappa, figura unica di pornografo moralista, si servì del sesso per fra tremare le mura di Jerico della morale americana. Finendo spesso oltre i limiti del pessimo gusto, inzuppando la sua polemica sociologica in una misoginia religiosa: le ragazze cattoliche capaci di ogni perversione, le «piccole principesse giudee» che guaivano come cagne.
Zappa è responsabile di una fra le più offensive, parodie della sensibilità omosessuale, He's so gay rappresentata dal vivo con pantomime davvero disgustose; salvo chiudere la rappresentazione con una chiosa: «State attenti. A ciascuno di voi potrebbe capitare di venire discriminati per quello che siete».
GUERRA ALLA CENSURA PREVENTIVA. Zappa era, a modo suo, un liberale vero, che aveva a cuore la libertà di espressione ad ogni livello. Non esiterà ad imbarcarsi in una crociata donchisciottesca contro Tipper Gore, moglie del futuro vicepresidente Al, che stava insufflando una nuova censura preventiva sui dischi rock con il suo Pmrc, associazione che, con il pretesto della salvaguardia genitoriale contro le oscenità, puntava a preservare la morale Wasp.Zappa non poteva spuntarla contro «gli Stati Uniti d'America». Ma riuscì almeno nell'intento di sollevare il problema; nella composizione Porn Wars, arrivò a inserire spezzoni delle udienze del processo che lo riguardava, alternati a irridenti passaggi sonori e sarcastici estratti rumoristi.
La storia si ripeteva: e non è mai stato sciolto veramente il dubbio su quanto il nascente rock and roll dovesse al maccartismo declinante.Negli Anni 80 cambia tutto con la 'musica da vedere' di Mtv. 
Il rock per esistere (e il senso del rock, alla fine, è «siamo qui per far soldi»), deve essere pericoloso, il che
significa avere sempre una Gerusalemme da liberare. Ma spesso, chi parte lancia in resta è una Jezabel.


Negli Anni 80, l'avvento di Mtv



(© Getty Images) Una performance della cantante Miley Cyrus. 
Il rock per esistere (e il senso del rock, alla fine, è «siamo qui per far soldi»), deve essere pericoloso, il che significa avere sempre una Gerusalemme da liberare. Ma spesso, chi parte lancia in resta è una Jezabel.
Negli Anni 80, l'avvento di Mtv, della 'musica da vedere', avrebbe definitivamente sdoganato il corpo, cioè una sessualità sempre più prorompente e scoperta a tutti i livelli.
In mezzo alla contraddizione tra libertà e controllo sarebbe finita, più di tutte, la componente omosessuale, bisex o transgender, da una parte enfatizzata, dall'altra attaccata da altri musicisti, rapper o popstar che fossero, e inevitabilmente boicottata.

ZERO SDOGANA IL CORAGGIO. In Italia un caso singolare è dato da Renato Zero, che, a 63 anni, appare sempre più impegnato a rievocare un passato avventuroso e sessualmente indefinibile dal quale, nel contempo, sembra prendere sempre più le distanze.
Ma forse la frase più sincera Zero la concesse una ventina d'anni fa, a successo completamente riconquistato: «Mick Jagger a 50 anni può permettersi di sbattere le chiappe in faccia ai fotografi: qui non te lo fanno fare, qui prima o poi la paghi». Lui si era stancato di sdoganare il coraggio degli altri.

NUOVI ATTACCHI ALLA LIBERTÀ. Oggi sulla ribalta internazionale non c'è popstar femmina che non indulga in baci saffici, spesso gratuiti, con qualche collega; allo stesso tempo, un 'Comitato genitori russi cattolici' non molto diverso dal vecchio Pmrc di Tipper Gore, riesce a impedire al gay e padre Elton John di esibirsi in Russia, il Paese che manda ai lavori forzati in Siberia tre ragazzine, chiamate Pussy Riot, che a Vladimir Putin davano meno fastidio di una mosca.
Problemi e intralci omofobici subiscono Madonna, Lady Gaga e molte altre icone ambigue, mentre Rihanna cerca e trova la sua censura andando a girare un video licenzioso davanti alla moschea di Abu Dhabi.

MORALE ATTENTA AGLI ECCESSI. Certo, non si può impedire che la morale corrente si preoccupi e si interroghi di fronte agli eccessi della musica pop; allo stesso tempo, pretendere da questa musica che non sia 'pericolosa', che smetta di provocare, equivale a volerla eliminare. Oltre a caricare i cantanti di missioni salvifiche che non spettano loro.
Si cavalca e insieme si denuncia una 'pornomusica' sicuramente discutibile, ma la realtà va oltre: le lolite che stanno emergendo dalle Alpi a Capo Passero, sarebbero state scongiurate impedendo il twerking a Miley Cyrus?

NUOVE PROVOCAZIONI LIOFILIZZATE. Queste sono provocazioni liofilizzate, il rock non è più pericoloso come quando la Cia, il Fbi e i comitati parrocchiali facevano spiare Elvis Presley, John Lennon e pressoché tutte le rockstar.
Ma il punto, forse, è un altro: se a preoccupare oggi non sono più i Bob Dylan e i Keith Richards, ma gli Eminen, i Thicke e i Daft Punk, la cui Get Lucky è stata 'adottata' dalla polizia russa, forse sono le società e relativi governi a sentirsi meno saldi di un tempo. Forse stiamo di nuovo guardando più il dito della Luna.

Giovedì, 14 Novembre 2013


I DUE VENTENNI CHE HANNO RIFIUTATO TRE MILIARDI DI DOLLARI: SNAPCHAT RESPINGE L’OFFERTA DI FACEBOOK (MA ANCHE DI GOOGLE E DEI CINESI)

  
da http://www.nuovaresistenza.org/


I DUE VENTENNI CHE HANNO RIFIUTATO TRE MILIARDI DI DOLLARI: SNAPCHAT RESPINGE L’OFFERTA DI FACEBOOK (MA ANCHE DI GOOGLE E DEI CINESI) – IL SOLE 24 ORE

POSTED BY MACWALT ON NOV 17, 2013 IN INTERNET, TECNOLOGIA | 0 COMMENTS


ilsole24ore.com – I due ventenni che hanno rifiutato tre miliardi di dollari: Snapchat respinge l’offerta di Facebook (ma anche di Google e dei cinesi)

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Il servizio di messaggistica istantanea Snapchat (che sta conquistanto i teens e permette l’invio di foto, messaggi e video che si cancellano dopo dieci secondi dalla lettura) ha rifiutato un’offerta di acquisizione da tre miliardi di dollari da parte di Facebook. La notizia è stata rivelata dal Wall Street Journal..
Secondo il quotidiano economico americano pare che la proposta non sia stata l’unica: anche Tencent Holdings, sito di e-commerce cinese, avrebbe messo sul tavolo quattro miliardi di dollari. A queste offerte si aggiungono anche i rumors di un altro rifiuto eccellente quello a Google. Sul sito Valley Wag si legge che anche Sergey Brin e Larry Page avevano messo sul piatto quattro miliardi, ma il deal non è stato preso in considerazione..
Il 23enne Evan Spiegel e il socio Bobby Murphy, 25 anni, studenti a Stanford, non dimostrano alcun interesse verso la vendita. Forti del successo ottenuto fino ad ora, i giovani milionari che hanno creato l’azienda solo due anni fa, attendono di crescere ancora di più per poter strappare un’offerta più interessante o di diventare ancora più grandi per poi quotare l’azienda, seguendo l’esempio di Twitter. I pochi dati che i due soci hanno reso pubblici dicono che il loro business nonostante non macini, al momento, alcun utile è in crescita. A ottobre attraverso le app di Snapchat per Ios e Android venivano scambiati 350 milioni di foto, video al giorno e il trend è in continua crescita..
Se Facebook fosse riuscito a portare a termine l’acquisizione, quest’ultima avrebbe rappresentato la più costosa della storia del social network, battendo il record del 2010 quando spese 1 miliardo di dollari per Instagram.

anche i gay e i single posso offrire amore ai bambini in afido o in adozione .la storia di Mario zidda ex sindaco di Nuoro che fu adottato da due single

 Cercando  ,    chi   qualcosa  di Piera serusi  , giornaliusta  che scrive  la  rubrica  storie  per  il  giornale   L'UNIONE SARDA.it   ho trovato (  è  un articolo  di  2  annifa   , ma    è ancora  attuale    )   La storia dell'ex sindaco di Nuoro Zidda 'Io, bimbo felice, adottato da due single'. Essa dimostra  , come    se  l'ambiente  di  chi   ha  il compito dell'affido o dell'adozione   è sereno  poco importa  se   esso sia un single  come in questo caso  o gay   come  sta  avendo in questi giorni con l'afido   di bambini \e  a coppie  gay     

La storia dell'ex sindaco di Nuoro Zidda 'Io, bimbo felice, adottato da due single'




La Corte di Cassazione ha invitato il Parlamento ad aprire, quando vi siano particolari condizioni, alle adozioni dei minori da parte dei single. L'ex sindaco di Nuoro interviene nel dibattito. 
di PIERA SERUSI

«Io sapevo che non ero figlio loro, però sentivo di far parte di una famiglia. Ne ho sempre avuto coscienza,
Mario Zidda
sempre. Ma oggi ancor più posso affermare di aver avuto tutto ciò di cui un bambino ha bisogno: la certezza di un rifugio sicuro, la consolazione di un abbraccio, il sostegno lungo l'impervio cammino che porta ogni piccino a diventare grande. Non ritengo la mia vita una lezione magistrale, ma è la mia storia, e se la racconto per la prima volta dopo sessant'anni è soltanto perché io posso testimoniare che, per un bimbo che sa cos'è l'abbandono, l'amore di una famiglia - anche imperfetta - è sempre meglio dell'abisso della solitudine».
FESTA DEL PAPÀ Non è stato semplice ottenere questa intervista. Chi conosce Mario Demuru Zidda, ex sindaco di Nuoro, sa bene che uno dei tratti del suo carattere è la riservatezza, una discrezione che l'ha sempre portato a distinguere nettamente il piano dell'impegno politico e amministrativo da quello privato. Ha contravvenuto a questa regola giusto due settimane fa, per dare un contributo al dibattito che si è aperto in Italia sull'adottabilità piena dei minori anche da parte dei single dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione intervenuta sul caso che riguarda una signora di Genova.
Questa è una storia che va raccontata nei giorni della Festa del Papà, per ribadire che - qualunque sia la nostra idea a riguardo - la famiglia non è solo e soltanto il triangolo affettivo e naturale tra babbo, mamma e figli. Famiglia è la casa che salva un piccino dalla solitudine.
L'ORFANOTROFIO Ogni bambino abbandonato nasce più di una volta, quando è guardato dalle stelle. Mario Demuru, venuto al mondo nel dicembre 1945 a Brunella, Budoni, aveva un anno e otto mesi quando Pasqua e Caterina Zidda, due sorelle di Orune, classe 1906 e 1908, lo presero in casa come un figlio. «È stato abbandonato dalla mamma», disse loro padre Gavino Lai, il direttore dell'orfanotrofio femminile 'San Giuseppe' di Nuoro. «Le mie due nuove mamme mi accolsero così, senza aver ricevuto alcuna garanzia, sia per me che per loro, sul futuro dell'affidamento. È stato il loro atto di generosità senza condizioni a salvarmi la vita».
Erano gli anni del dopoguerra. Pasqua e Caterina Zidda, che a Nuoro erano arrivate negli anni Trenta a servizio dalle famiglie benestanti, avevano un piccolo negozio di generi alimentari e una casetta in piazza Santa Croce. «Era una casa sempre piena di gente. Pasqua e Caterina ospitavano due loro fratelli e più tardi pure una nipote. Accoglienza e amore: era questo, per loro, il senso della famiglia». La memoria corre ai giochi per strada, ai vicini di casa («come i fratelli Rondello, scalpellini e cacciatori di professione»), alla tavola dell'ora di pranzo apparecchiata anche per tre impiegati delle Poste e per il calzolaio, il signor Bastiano Dessena («per arrotondare, le mie due mamme cucinavano per i pendolari»); alle vacanze estive dalla nonna a Orune («lì, coi miei cuginetti, sentivo fortemente il senso della mia appartenenza a tutta la famiglia: ero stato riconosciuto come uno di loro»).
LE RADICI Aveva cinque anni quando Pasqua gli disse: «Vieni con me, andiamo a visitare padre Lai». Le due mamme, modernissime e intelligenti, avevano deciso che il bambino doveva sapere, doveva conoscere le sue origini. «Un bambino abbandonato più che sentire la propria condizione si chiede il perché, ha bisogno di risposte ma allo stesso tempo cerca di esorcizzare il problema. È lì che nasce la sofferenza, il disagio di una personcina non ancora formata che cresce in un istituto. L'istituzione, a prescindere dalla presenza di operatori caritatevoli e attenti, è sempre anaffettiva, assolutamente inadeguata a sostenere il bambino nella ricerca di un senso di sé e della propria vita. Per questo credo che una famiglia, purché sia, è sempre meglio della solitudine, della mancanza di punti di riferimento».
«Certo, finché è possibile l'ideale è una famiglia tradizionale, con padre e madre. Ma è riduttivo porre la questione dal punto di vista di chi può o non può adottare un bambino, perché l'unico bisogno di cui si deve tener conto è quello del minore. Va bene l'adozione da parte di un single, se risolve il problema di un bambino che non ha nessuno al mondo: è un modo per allargare le opportunità di salvezza di tanti piccoli abbandonati. Io sono cresciuto con due mamme single e nessun papà, ma è stata una famiglia a tutti gli effetti».
TRE COGNOMI Mario Demuru Zidda ricorda ancora il senso di desolazione provata quando, preso per mano da Pasqua, varcò il portone dell'orfanotrofio. «Ebbi l'impressione di esserci già stato e, per un attimo, sentii ancora il vuoto della solitudine. Padre Lai era un buon sacerdote dei suoi tempi. Era stato lui ad affidarmi alle sorelle Zidda, con l'intermediazione della signorina Campanelli che per anni si occupò di sciogliere i nodi della parte burocratica della mia affiliazione. Persino il cognome cambiava: nell'arco di poco tempo mutò tre volte: prima Demuru, poi Zidda, poi Demuru Zidda».

IL LEGAME DI SANGUE Non era un bambino che faceva domande. «Non ce n'era bisogno. Pasqua e Caterina mi hanno sempre raccontato tutto. Loro andavano alla ricerca dei tasselli sparsi delle mie origini, li ricucivano e me li narravano. Avevano capito il mio bisogno di tornare sui miei passi, di conoscere le mie radici. A cinque anni ho cominciato così a esplorare la via che mi ha portato a sapere di mia madre e, avevo 17 anni, a conoscerne i familiari. Ho poi conosciuto anche mio padre, certo. Avevo 25 anni, è stato un incontro voluto da lui che mi aveva sempre tenuto d'occhio, da lontano. Se ho provato sentimenti ostili? No, mai. La mancanza di un padre forse l'ho sentita durante l'adolescenza, solo perché confrontavo la mia realtà con quella degli altri ragazzi. Ma, onestamente, se penso al prima e al dopo, dico no: non c'è stato un vuoto d'affetto». Pasqua e Caterina non ci sono più. Una è morta nel 1979, l'altra nel 2003. «Sono state le mie due mamme. Dandomi una famiglia mi hanno ridonato la vita».

PIERA SERUSI

16.11.13

ricordi di persone scomparse in un giorno di pioggia

Musica  consigliata  ed  in sottofondo Modena City Ramblers - In un giorno di pioggia


  a  chi leggendo questo post    mi dirà che parlo di cose  tristi  rispondo  come ha  risposto   questa persona  all'interno della discussione   da  cui  ho tratto questo post  di  Ivan Il Terribile  eccetto  l  foto   della  finestra  della mia  camera ( le  altre due le  trovate   qui sul  mio facebook  )   fatta poco fa con il mio samsung GT -S6500il testo



Roberto Ladu la pioggia rende più malinconici...ci son quelle giornate che è bello ricordare anche le cose che ci fanno male...35 minuti fa · Non mi piace più · 2



Quando ti ho visto la prima volta, tutto tirato, dietro il bancone di quella discoteca paesana, mi sei stato subito antipatico. Sorridente e un pò convinto. Capelli scolpiti e un sorriso che non risparmiavi.
Poi nasce l'amicizia. Una strana tra ragazzi di età molto diversa, eravamo quasi fratello grande e tu quello
piccolo. Tu che riscuotevi grandi successi con le donne ma non ti concedevi facilmente. Mi chiedevo perché non le amassi tutte, quelle donne che ti facevano sguardi languidi e proposte per me insperate. Invece tu avevi un cuore grande come una casa, volevi una ragazza con cui avere una storia d'amore nonostante tutto. Avevi paura di innamorati. Ti davo qualche consiglio ma sapevi cavartela benissimo.
Arrivò l'amore, l'estate, ci si vedeva meno ma ero felice di riabbracciarti quando ci incontravamo. Poi l'estate è finita. E pure tu te ne sei andato.
Lavoravi e un maledetto giorno ti ha visto cadere sotto quella trave di ferro. Ti sei rialzato, come sempre, tranquillizzando tutti.
E così sei morto, un arresto cardiaco dopo l'altro.
Ti potevi salvare hanno detto.
Pioveva quei giorni.
Quando inizia la pioggia mi manchi più del solito.



facebook smiley sad mi  ha fatto   ritornare  alla mente  ,  un mio  amico  \  conoscente  morto   in un cantiere  non ricordo se   cadendo  da  un ponteggio  o  un ponteggio  gli  è caduto  sopra  .  Ma   poi sempre  all'interno della discussione da  cui ho preso  il testo   ho appreso  e  ricordato che  :   non solo  la persona scomparsa
aveva 24\25 anni , ma che Fu travolto da un elemento di prefabbricato metallico :-(  \  facebook smiley sad 

psicotaxi di sophia corben mi ha stregato

Di  solito  è raro che  compri    libri  di cui  intervisto  gli autori   perchè  \)con i tempi che corrono    ho  (  spendo in fumetti  e  cazzeggi vari  ) pochi  €  o perchè  sono troppo  culone     e  li ricevo in omaggio dagli autori  che ho intervistato  come il caso di    la  società  sparente  di Emiliano Morrone  e  Francesco Saverio Alessio   .,Rino Gaetano: La tragica scomparsa di un eroe  di Bruno Mautone. 2)  spesso  si conosce  un  di più  un libroisenza  leggerlo che   leggerlo  ., 3)   ho tanti di quei libri  , libretti  riviste  ed  opuscoli , enciclopedie  , ecc  che  nonon  ho poiun briciolo di spazio    Ma   rileggendomi  l'intervista da me  fatta  all'autrice   in un post  precedente  (  che  trovate  qui ) e  vedendo questo promo del libro



 credo che lo comprerò  .
Mi piace  come scrive   , come  ha risposto alle  mie  domande talvolta  banali  . Ma   specie    , facendo un mestiere difficile   come testimonia  questo  video  sotto  sempre  dello stesso autore  



L'autrice  del  libro  (  vedere  il suo blog   www.psicotaxi.it  )    è una  che resiste   e che   calma è e paziente  ,  o  è buddista  o che  ha  studiato e pratica  zen  .ù

15.11.13

Un pallone al posto del pennello Così lo sytudente d'archittettura Marcello Rosas ritrae Gigi Riva

dall'Edizione di venerdì 15 novembre 2013 - Cronaca di Cagliari (Pagina 23) dell'unione  sarda  

Marcello Rosas, 26 anni, studente in architettura, ha inventato il football paintingDipinge Riva con i dribblingPallone e vernice: così nasce l'opera “Rombodituono”



Marcello Rosas è l'autore della prima opera d'arte al mondo realizzata con un pallone al posto del pennello. L'ha dedicata al suo mito Gigi Riva.
Fin da piccolo ha sempre avuto tre passioni: il calcio, Gigi Riva e la pittura. Poi un giorno, alla fine della scorsa estate, è scattata qualcosa e ha deciso che era venuto il momento di provare a metterle insieme. Così, ha creato “Rombodituono”, la prima opera d'arte al mondo di “football painting”, un quadro realizzato usando i piedi e un pallone anziché le mani e il pennello. Marcello Rosas, 26 anni, oristanese, studente in Architettura a Cagliari, non poteva che dedicare al più grande goleador del calcio italiano e al Cagliari dello scudetto la sua sorprendente opera d'arte.
IL RACCONTO «Una notte ho fatto un sogno in cui dipingevo l'immagine di Riva mentre giocavo con un
pallone “sporco” di vernice. La mattina al risveglio ho cominciato a studiare il modo per realizzarlo», racconta questo artista fuori dal comune, con un breve passato nella nazionale di calcio a 5. Così è nata l'idea. Per tradurre il sogno in realtà ha utilizzato una tela grande 1,8 x 3 metri, un barattolo di vernice, un pallone da calcio e la fantasia. Il risultato è sbalorditivo: una gigantografia di Gigi Riva con la maglia del Cagliari dello scudetto allo stadio Amsicora che suscita un'incredibile emozione.
PERCHÉ I PIEDI Quando gli si domanda perché ha usato i piedi, Marcello Rosas risponde con la semplicità di un saggio. «Perché gioco a calcio da quando sono piccolissimo e perché lo strumento di un pittore è, comunque, la testa», spiega. «Ho sempre pensato che l'arte non abbia confini, non importa cosa una persona usa per esprimersi, ciò che conta è quello che si riesce a trasmettere all'esterno». Può sembrare un concetto banale, quasi scontato, ma a vedere questo capolavoro non è così. Sono soprattutto i particolari a rendere straordinario “Rombodituono”: come le migliaia di cagliaritani “stipati” sulle gradinate dell'Amsicora che spuntano alle spalle di Riva, oppure il profilo del viso che tratteggia la giovinezza o, ancora, i quattro mori bendati sulla maglia. «Volevo fare qualcosa in cui riuscissi a coniugare la mia grandissima passione per il pallone con la pittura. Niente altro», dice ancora.

IL VIDEO Di questa opera d'arte esiste anche un video di pochi minuti. È sempre il pittore-calciatore-aspirante architetto a scrivere la sceneggiatura: il filmato mostra un giovane che palleggia tra alcuni barattoli di vernice, il pallone finisce sul colore nero e a quel punto, sulle note della sigla della Domenica Sportiva del 1970, l'anno dello scudetto, comincia a nascere l'opera. Su Youtube, “Marcello Rosas Rombodituono” è un video cliccatissimo. «Volevo fare un regalo speciale al mio mito, che fosse in grado di arrivare anche agli altri. Chissà se Gigi Riva apprezzerà!», dice quasi sottovoce. Apprezzerà, sicuramente.

Mauro Madeddu

14.11.13

La sfida di Carlo Petrini:«Mangiare pulito e sano Un diritto per tutti»"Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (Giunti, pagine 192, 12 euro).



da  la nuova sardegna del  13\11\2013


Il padre fondatore di Arcigola, Slow Food e Salone del Gusto spiega il rapporto tra ambiente alimentazione e giustizia sociale
di Pasquale Porcu Accendi la tv e a qualunque ora del giorno e della notte trovi qualcuno che spadella,
assaggia, pontifica di cibo. Ma tutto questo aspetto parascientifico, ludico e leggero dell’argomento “mangiare”, raramente si incrocia con gli appelli che vengono da quanti (sempre di più) non hanno da mangiare. O con il grido d’allarme che sale dal mondo delle campagne, dove contadini e allevatori vivono ormai in condizioni sempre più difficili, a causa dei fatti dell’economia o delle emergenze ambientali. Se si pensa bene ai paradossi del mondo alimentare, insomma, si rischia quasi di impazzire. Meno male, in tutti questi anni, che un personaggio come Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ci è venuto in soccorso dandoci il filo rosso da seguire per capire l’ universo magico e contradditorio del cibo. Il libro L'ultimo contributo che ci regala Petrini è da qualche giorno in libreria. Si intitola "Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (Giunti, pagine 192, 12 euro). Petrini sostiene che nel corso dell'ultimo trentennio nel mondo del cibo c'è stata una vera e propria rivoluzione. Ma ogni rivoluzione che si rispetti libera energie e genera cambiamenti importanti. Una tesi che farà discutere, non abbiamo dubbi, che Carlin (come lo chiamano i suoi amici) espone facendo ricorso alla sua storia personale, che si sovrappone a quella dell'Arcigola, di Slow Food, del Salone del Gusto e di Terra Madre. Quelle teorie che enunciate alla fine degli anni Ottanta potevano apparire quelle di un Guevara dell'alimentazione si sono diffuse ora in tutti i
continenti contribuendo a creare un movimento, riconosciuto da autorità politiche, accademiche e religiose (apprezzato pubblicamente anche da Papa Francesco) dal quale nessuno ormai può più prescindere. Dalla terra alla tavola «No, non il mangione che non ha il senso del limite e gode di un cibo solo quanto più è copioso o quanto più è proibito_ scrive nel libro Petrini-. No, non lo stolto dedito ai piaceri della tavola che se ne infischia di come un cibo è arrivato al desco. Mi piace conoscere la storia di un alimento e del luogo da cui proviene, mi piace immaginare le mani di chi l'ha coltivato, trasportato, manipolato, cucinato, prima che mi venisse servito». «Vorrei che il cibo che consumo– precisa l’autore– non privi di cibo altri nel mondo. Mi piacciono i contadini, il loro modo di vivere la terra e di saper apprezzare il buono». E ancora: «Il buono è di tutti; il piacere è di tutti, poiché è nella natura umana. C'è cibo per ognuno su questo Pianeta, ma non tutti mangiano. Chi mangia, inoltre, spesso non gode, ma mette benzina in un motore. Chi gode, invece, spesso non si preoccupa d'altro: dei contadini e della terra, della natura e dei beni che ci può offrire». Il cibo e il porno E poi una considerazione anche su come si consuma il cibo. Petrini lo paragona al porno, vale a dire al sesso consumato ma senza amore. «Pochi– afferma Petrini – conoscono ciò che mangiano e godono per tale conoscenza, fonte di piacere che unisce con un filo rosso l'umanità che la condivide». «Sono un gastronomo,– dice – e se vi vien da sorridere, sappiate che non è semplice esserlo. È complesso, perché la gastronomia, considerata una Cenerentola nel mondo del sapere, è invece una scienza vera, che può aprire gli occhi. E in questo mondo d'oggi è molto difficile mangiare bene, ovvero come la gastronomia comanderebbe». Cibo sì, dunque: Ma libero dagli estetismi modaioli degli anni Ottanta e libero dalla fame di chi non ha da mangiare. Diecimila orti La sfida, oggi, è in America Latina e in Africa con il progetto di 10 mila orti da realizzare. Ormai la scommessa da vincere coinvolge tutto il pianeta. E per questo diventa subito progetto politico che ha dimensioni planetarie. Ma non c’è da scoraggiarsi. Lo dice anche la storia recente. Ricordate il 1986? Era l’anno della scandalo del vino al metanolo. Un imbroglio che ha dato un colpo mortale all’enologia del Belpaese. Il metanolo «Ho ancora nitida negli occhi la visione di Beppe Colla, allora presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco, – racconta Petrini nel libro – che piange in televisione dopo lo scandalo del vino al metanolo. Un pianto mal trattenuto, fiero ma disperato. In quel momento – erano i primi di aprile del 1986 – sembrava davvero finita per tutto il comparto del vino italiano. I blocchi alle dogane e un tracollo d’immagine portarono a chiudere l’anno con un calo del 37% nelle esportazioni e una perdita di un quarto del valore per l’intero settore. Fu impressionante viverlo in Langa, vicino a tanti amici produttori. In quel pianto pubblico di Beppe Colla non c’erano solo la disperazione per l’onta intollerabile e per il profilarsi di una grossa perdita economica, c’era molto altro. E dopo quasi trent’anni mi è ancora più evidente».Quel disastro, come sappiamo, cambiò per sempre (in meglio) il vino italiano e la sua immagine. Non è successo altrettanto con altri scandali (per esempio l’inquinamento da atrazina nella Pianura Padana di cui si parla nel libro). Una nuova sensibilità Vero è, comunque, che le riflessioni avviate su quei fatti da una serie di associazioni (a iniziare ovviamente da Slow Food) hanno contribuito a creare una maggiore sensibilità sul rapporto tra cibo e ambiente. «Questo insieme di valori oggi – scrive Petrini – è di grande attualità: c'è chi si è specializzato nel promuoverli o difenderli anche solo in parte, ma pochi colgono la portata dell'insieme, la preziosità dei collegamenti nascosti. La nostra visione è invece olistica, onnicomprensiva e complessa». «Non si può guardare al cibo da un solo punto di vista, inseguendo unicamente e separatamente il buono, il pulito o il giusto– osserva Petrini –. Ma c'è anche chi era ossessionato dal buono e ha fatto passi in avanti verso il pulito, chi voleva soltanto il giusto o il pulito ma si è poi accorto di quanto fosse importante il buono». Il libro del padre di Slow Food lancia un messaggio di speranza. Non solo, insomma, qualcosa si muove. Ma, come affermava tempo fa Edgar Morin su Le Monde, «tutto è già ricominciato». Anche se la strada per arrivare a un cibo “pulito, sano e giusto” è ancora impervia.

viaggiare ballando la storia di Mickela Mallozzi

da http://www.lavocedinewyork.com/

  In viaggio ballando


[28 Apr 2013 | 0 Commenti | 95.960 views]


Mickela Mallozzi danza a Grotta del Turco (Foto di Bridget Palady)


OGNI Luogo ettari Una storia, e Il Modo più bello per condividerla E ATTRAVERSO la musica, la danza, l'arte, e la festa. Non Importa se ci vuole Un viaggio in aereo di 24 ore o Solamente 10 Minuti A piedi per Arrivare, la Scoperta di cultura Nuove e la mia Missione. Sono Stata Una ballerina ndr Una musicista Tutta la vita, e Vivere Come una Newyorkese km Da un pieno accessori Tutte e dovuta QUESTE forme d'Arte e Altro Ancora. Eppure, ho Ancora this fama insaziabile di assaporare OGNI cultura ATTRAVERSO la mia, in Un'autentica Tradizione Popolare, e, SOPRATTUTTO, Nel Luogo in cui si nasce. La mia Storia INIZIA venire tante, Casualmente - STAVO lavorando per un'azienda, guadagnando di piú Quanto potessi Immaginare, Sperando di Diventare Una dirigente in Un Futuro non troppo Lontano. Ero implacabile, volevo Avere Successo Nella Vita e mi identificavo negligenza Zeri Scritti sul mio STIPENDIO. DOPO alcuni Anni di Attività con l'industria musicale (il Che ha incluso also feste con rockstar e bighellonare con Celebrità also non della musica), ho sentito il Che Quel Lavoro non faceva per me. Lavorare venire mangiatoia per artisti, significazione Essere also Una baby sitter per ADULTI. Così ho DECISO di lasciare Tutto. Ed ero Ancora Giovane. Non ero Sposata, non possedevo niente (venire la maggior Parte degli Abitanti di New York), ero in Missione per trovare la mia vera Vocazione: sono nata per tariffa di Cosa a Questa Vita?



Le mie dovuto Passioni Sono Semper stato ballare e Viaggiare, in quest'ordine. Avevo tre Anni QUANDO ho iniziato la Formazione in Danza e per I Viaggi, avevo iniziato also prima. Io sono italo-americana di prima Generazione ed ho avuto la possibilita di visitare la terra lontana del Sud Italia, Quando ero Ancora Una bambina, Dai Primi Anni '80. E non solo era ONU Piacere per me, Bensi also ONU Privilegio Estremo. I Miei genitori avevano UN 'salvadanaio per l'Italia', cosi potevamo Andare a trascorrere delle Nazioni Unite Paio di Estati Nel Posto il Che Onu tempo Loro chiamavano 'casa'. Ed E Stata Molto Di Più Che Una vacanza, E Stata Una lezione di Tradizione, di lingua, cultura e storia della Mia Famiglia.
QUANDO ho frequentato l'Università a circa 16 Anni, DOPO Il mio primo Volo Transatlantico, ho DECISO di Studiare all'Estero, Nel Paese Che ho chiamato 'patria'. Fu Allora, con I Primi Viaggi veri per Conto Mio, abbandonata a me stessa, il Che Ho Contratto il 'bug del Viaggio', il Che mi ha Fatto continuare ad Esplorare.  ì Così il Che vivo Ora - Unendo le dovute maggior Parte delle Cose Che amo : Viaggiare e ballare. Insieme mi Danno Modo di Scoprire le molte, diverse ed Estremamente ricche cultura caratterizzano il Che Gli Esseri Umani. QUESTE Sono le basi, il Che ci Fanno sorridere - Le basi del celebrare Insieme, condividere musica e Movimento. QUESTE emozioni non Hanno Bisogno di Traduzione, in Nessuna lingua. Anni di Viaggi mi Hanno Fatto Capire Che Non è la DISTANZA Fisica costituisce il Che Il Viaggio.  E l'Esperienza Che ti da, il trasportarti in Un Altro Luogo, ANCHE SE potrebbe non Essere Più Lontano del Tuo Vicino di Casa. Allora unitevi a me, vi portero Nelle Mie Avventure Culturali di Tutto Il Mondo, Alla scoperta delle Tradizioni Popolari di OGNI Luogo Che visito ATTRAVERSO L'Arte, la Musica e la danza: dal Carnevale sull'isola di St. Thomas, al ballare tango a Buenos Aires, al "Contra" danza a Saratoga Springs, New York, e per celebrare La Sagra delle Regne Nel Paese natale della Mia Famiglia a Minturno, Italia!

Danyart New Quartet fiori e tempeste

Ieri è stato presentato il nuovo lavoro discografico dei Danyart New Quartet, formazione jazz capitana da Daniele Ricciu, in arte Dany...