14.4.16

Assurda multa al fruttivendolo: scrive "siciliani" e non "italiani" I controllori del ministero contestano il cartello "fagiolini siciliani". Avrebbe dovuto scrivere "italiani". Ora dovrà pagare 770 euro di multa

Lo  so  che  di  storie  di  mala  burocrazia  e  degli errori \  assurditàù  dei vari nenti  ne  sono  piene le pagine dei giormali  e    d'intrnet  ,  ma   quanto palesa  (  cosa  non  nuova  )   sempre  doi  iù l'assudo  otre  a  dimostrare  l'ignorazna  e  l'ottusità    dei loro  addetti.

TRENTO. Il verduraio Gianni è un’istituzione in piazza Vittoria, dove le bancarelle di frutta e verdura, formaggi e carne sono un riferimento decennale per massaie e consumatori attenti alla qualità.
Gianni Endrizzi vende pomodori, insalata, mele e fragole da ben 24 anni, ma ieri era decisamente sconsolato. Gli affari non c’entrano, si tratta di una tegola caduta tra capo e collo in seguito ad un controllo. Il fatto risale a quattro mesi fa, quando si presentano dei controllori di Agecontrol, agenzia pubblica per i controlli per conto del Ministero delle Politiche agricole. I signori in questione si presentano il primo dicembre in piazza Vittoria e verificano la freschezza dei prodotti, la qualità e poi passano a controllare i cartelli posizionati sulle cassette di frutta e verdura.
E qui succede il fatto: a Endrizzi contestano l’etichetta dei fagiolini, che riporta la scritta “fagiolini siciliani” e non “Italia”. Sì, proprio così, scrivere che la verdura proviene dalla Sicilia che, volendo, è un’informazione in più sulla sua provenienza, non va bene. Segue un controllo della fattura dei due colli di fagiolini che riporta effettivamente la provenienza “Italia”. Ma il fatto che l’ambulante abbia specificato che sono fagiolini siciliani e che, senza tema di smentita, si possa mettere in dubbio che i presenti a quel mercato non sappiano dove si trovi la Sicilia, non sfiora i controllori di Agecontrol.
Alle rimostranze di Gianni Endrizzi, quest’ultimi rispondono che può invece essere presa in considerazione l’ipotesi che ci sia qualcuno che non sappia dove si trovi la Sicilia.
Passano quattro mesi e arriviamo all’altro ieri, quando arriva tramite messo comunale l’atto giudiziario che comunica l’ammontare della multa: 770 euro. Il testo specifica quando e chi ha effettuato il controllo, per poi chiarire la causale della multa. Si legge: «ometteva l’indicazione del Paese d’origine “Italia “ sul cartello apposto accanto ad una partita di fagiolini freschi esitata per la vendita al dettaglio (...) ove veniva riportata la dicitura “siciliani”». Inutile descrivere lo stato d’animo di Gianni Endrizzi che non ci capacita di dover pagare oltre 700 euro per una svista.
«Capisco se avessi tentato di truffare - commenta - scrivendo una provenienza falsa, ma in questo caso non c’è nessuna intenzione di dichiarare una cosa non vera. Penso che in questi controlli ci voglia del buon senso e siano ben altre le truffe e le contraffazioni. Faccio questo lavoro da 24 anni e la gente mi conosce, i clienti
li mantieni offrendo un prodotto di qualità, che senso avrebbe cercare di truffarli?». Endrizzi ha deciso di rivolgersi al giudice di Pace per capire se sia possibile ricorrere. Insomma al momento proverà a resistere a quella che definisce «una classica vicenda all’italiana».

  e  ti pareva  che in sua . In sua difesa si è subito schierato  -- secondo  ILGIORNALE ---  Salvini. "Scriveremo all'inutile ministro per capire se, mentre chiudono migliaia di stalle e aziende agricole - spiega il leader del Carroccio - i suoi uomini non hanno altro da fare".


13.4.16

Denunciò il fratello dell’Is, si ritrova solo ., l «tablet di carta» opera di una trentina ed altre strorie . le stoirie di oggi 13.4.2016


Denunciò il fratello dell’Is, si ritrova solo

«L’ho fatto rimpatriare io in Marocco. Lo aiuto ancora in tutti i modi. Ma la comunità islamica mi ha isolato e ora rischio di perdere anche la casa»
MONSELICE. Ha trovato il coraggio di denunciare il fratello, simpatizzante dei progetti sanguinari dell’Is, ma è emarginato dai suoi connazionali e in serie difficoltà economiche. Come se non bastasse, rischia di perdere anche il misero alloggio in cui vive. Intorno a sé ha il vuoto, è un invisibile. La comunità magrebina lo ha isolato e lo ignora, nessuno gli rivolge la parola da mesi, a partire dal fratello che in seguito alla sua testimonianza è stato espulso dall’Italia per terrorismo.
La solitudine di Fouad Bamaarouf, marocchino di 42 anni, operaio in una cooperativa in zona industriale, 16 anni di duro lavoro in Italia, è iniziata quel giorno di fine dicembre quando i carabinieri hanno prelevato il fratello minore Adil, subito accompagnato in aeroporto con un biglietto di sola andata per il Marocco. È stato accusato di terrorismo per aver minacciato di far esplodere Roma: passava tutto il giorno incollato allo smartphone in contatto con chissacchì, aveva riferito spaventato Fuad ai carabinieri, non faceva mistero di condividere le parole d’ordine dell’Is. «Mio fratello era arrabbiato con tutti perché aveva perso il lavoro» racconta, «perché non aveva i soldi nemmeno per mangiare. L’ho preso in casa con me, gli ho detto di stare tranquillo, l’avrei aiutato a trovarsi un nuovo lavoro. Però nessuno della comunità marocchina l’ha aiutato allora. Così ha preso una brutta strada e da tempo era sotto controllo. L’ho fatto per il suo bene».
Fouad ha continuato a occuparsi del fratello anche dopo l’espulsione, sobbarcandosi le spese dell’avvocato che l’ha tirato fuori dalla prigione dopo due settimane di detenzione in Marocco. Però da allora Adil non gli rivolge la parola. «Non ha più voluto parlarmi» aggiunge, «eppure io continuo ad aiutarlo. Sto pagando poco alla volta il debito di 700 euro che aveva accumulato con il proprietario del suo appartamento e mi sto prendendo cura di tutta la famiglia in Marocco. Sei persone in tutto: Adil, mia madre ammalata, mia sorella e tre figli piccoli dell’altro mio fratello rimasto senza lavoro». Ogni mese manda a casa almeno 300 euro, senza contare gli extra. Poi paga ben 400 euro di affitto per un minuscolo alloggio umido e malsano, poco più di uno scantinato sulla sponda del Bisatto. Difficile chiamarla “casa”, eppure Fouad ora rischia di perdere anche questo tetto, perché a novembre scade il contratto e il proprietario ha tutta l’intenzione di non rinnovarlo. In questa situazione l’operaio marocchino non può contare nemmeno sulla solidarietà dei suoi connazionali, che da mesi non gli rivolgono più la parola. «Dall’arresto di mio fratello si è fatto il vuoto intorno a me. Solo alcuni italiani sono venuti a dirmi che avevo fatto bene, ma dai marocchini e dagli altri immigrati di fede islamica non ho più avuto una parola. È come se non esistessi, mi ignorano completamente, mi evitano. Eppure penso di non aver fatto nulla di male. Questa storia mi ha rovinato e ora dopo tanti anni rischio di trovarmi a terra. Fra sei mesi sarò anche senza casa e nessuna agenzia si fida ad affittare agli extracomunitari». Un aiuto per trovare un alloggio potrebbe venire proprio dalla rete di conoscenze e di solidarietà della comunità magrebina, nella quale però per Fouad non pare esserci alcun spazio. «Sono anni che non frequento la moschea perché non condivido la gestione di questi momenti di ritrovo. La gente ci va per farsi gli affari propri, per chiedere e ricevere favori come un posto di lavoro o una casa. Più che un momento di preghiera è l’occasione per sparlare degli altri. Preferisco starmene a casa. Questa gente dove era quando mio fratello era in difficoltà e aveva bisogno? Perché non aiutano veramente chi non ha da mangiare e non ha un lavoro?». Ora nessuno degna Fouad di uno sguardo. «Non ho fatto nulla di male. Da quanto sono in Italia ho sempre lavorato. Prima in Piemonte, in proprio, e dal 2007 qui a Monselice. Sulla mia strada ho trovato gente che se ne è approfittata. Come quell’algerino che mi ha fatto lavorare e poi non mi ha pagato i mille
euro che mi doveva». Fouad non intende arrendersi, lui vuole restare in Italia, il suo sogno è ottenere la cittadinanza. «Andrò dal sindaco di Monselice nei prossimi giorni per chiedere un aiuto nel cercare una nuova casa. Spero che almeno lui mi voglia ascoltare».



Trento, porta la firma di Elisa Gretter il nuovo prodotto di Moleskine che permette di scrivere su un taccuino appunti digitali
                                           di Matteo Ciangherotti

TRENTO. La carta non muore mai. Il fascino e la poesia di scrivere o disegnare su un foglio bianco non ha eguali. Eppure prendere appunti sul proprio smartphone o tablet accellera il processo comunicativo e professionale. Così, negli ultimi anni, sul mercato sono comparsi numerosi dispositivi e applicazioni che permettono una conversione immediata tra analogico e digitale. Scrivo o disegno su un taccuino e immediatamente, in “real time”, ciò che scrivo o disegno mi compare sul mio telefono cellulare.
È così che dietro all'ultima “invenzione” della Moleskine, famosa marca di taccuini, agende, guide da viaggio e quaderni, si “nasconde” una giovane ragazza trentina. 34 anni di Povo, laureata in economia e management all'università di Trento, Elisa Gretter ha costruito il suo futuro proprio sulla conversione analogico-digitale. Il nuovo Smart Writing Set, lanciato una settimana fa dalla casa madre milanese della Moleskine, porta la sua firma. Presentato a New York, ha subito raccolto i favori di pubblico e mercato.

Lo Smart Writing Set è un sistema ibrido, tra analogico e digitale, composto da uno speciale tablet di carta, una penna intelligente e un'app che lavorano insieme per digitalizzare gli appunti presi su carta. Il set completo costa 229 euro e una volta esaurito il primo taccuino, acquistarne uno nuovo costerà 29 euro. “Abbiamo fin da subito ricevuto numerosi ordini – racconta Elisa, responsabile del progetto insieme ai colleghi danesi -; scrivere sulla carta suscita emozioni uniche e aiuta a fissare meglio i ricordi. La carta continua a essere uno strumento fondamentale anche nelle fasi dell'apprendimento scolastico dove proprio una comunione tra analogico e digitale rappresenta la scelta più efficace”. È così che se vi trovate su un autobus diretto alla vostra prossima riunione di lavoro con in testa la migliore delle idee che avete mai avuto, la potrete fissare, scrivere o disegnare sulla carta e con la stessa immediatezza trasferire e salvare su un file digitale grazie all'applicazione del vostro smartphone. Il taccuino ha una forma nuova rispetto al passato e ricorda quella di un tablet; l'applicazione registra ciò che viene scritto o disegnato e lo trasferisce sullo smartphone. Qui gli appunti possono essere convertiti in vari formati digitali (pdf, img etc.) e si possono scegliere, per esempio, i colori da dare ai propri schizzi.
“Recentemente la stessa Microsoft ha annunciato che circa il 70% delle persone continua a prendere appunti su carta – continua Elisa – e noi come azienda non abbiamo fatto registrare alcun calo nelle vendite di taccuini e agende cartacee, anzi. Questo speciale Set è soltanto l'ultima delle creazioni che abbiamo messo in campo nell'ambito dell'interazione e integrazione tra analogico e digitale. Sono stati presentati diversi prodotti che consentono la scrittura direttamente sul vetro di uno smartphone o di un tablet, ma scrivere sulla carta continua a rappresentare un'attrazione importante. Con il trasferimento in digitale si velocizza e si semplifica il processo”.
Elisa dopo la laurea si è spostata a Milano dove ha frequentato la scuola di marketing della L'Oréal e dopo un'esperienza professionale in Samsung, dove ha assistito al lancio del primo Galaxy e del Samsung Store italiano, è approdata alla casa madre milanese della Moleskine. Lo Smart Writing Set verrà esposto al Salone del Mobile di Milano dove fino a domenica i visitatori potranno provarlo gratuitamente.

   le  altre storie
L'uomo colpito alla testa dall'anta di un armadio staccatasi accidentalmente è caduto a terra privo di sensi. La piccola si è resa conto della gravità della situazione e senza aver paura è salita al piano di sopra chiamando la vicina e sono arrivati i soccorsi nella casa di via Fusco a Modena
Gomiti appoggiati sul volante dell'autobus, dita scatenate sulla tastiera mentre il mezzo procede nel traffico di Voghera. Ecco le immagini che "incastrano" l'autista di un pullman di linea, ripreso con il telefonino da un passeggerocomunità islamica mi ha isolato e ora rischio di perdere anche la casa»
L'episodio denunciato sulla pagina Facebook dell'associazione Autismo Livorno onlus: la famiglia non era stata avvertita, lui è arrivato in classe e l’ha trovata vuota. La solidarietà nel tam tam via web: tanti post con il cartello “Io sono Giulio”
L'Azienda sanitaria dell'Alto Adige ha riconosciuto il congedo matrimoniale ad un suo dipendente, Christian Wieser, che nel 2012 aveva sposato a Berlino il suo compagno austriaco



ALT: ORA CHIEDIAMO… DI RENATO! - Nuovo libro e nuovo disco

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Comprendere lo Zero di oggi alla luce delle sue radici: questo sembra essere l’intento di Daniela Tuscano e Cristian A. Porcino Ferrara che col nuovo libro "Chiedi di lui 2.0" [si acquista online su Lulu e Amazon ndr] non si limitano a ripercorrere – con una puntualità finora sconosciuta e sorprendente – le tappe della carriera artistica e umana del cantautore romano, ma a narrare come lo hanno vissuto e cosa ha rappresentato per la storia e l’immaginario italiano. I nostri autori partono dalle radici e arrivano fino ai giorni nostri colmando un vuoto. Infatti la maggior parte del pubblico tende a cogliere solo alcune parti della sua personalità sfaccettata mentre certe sue scelte, nel bene e nel male, si capiscono solo conoscendo tutto il suo cammino.

- Con un libro come il vostro non occorrerebbe sviscerare "Alt" canzone per canzone. Ma proviamoci lo stesso. Si ha come l’impressione che tutto sia stato detto e oggi si cerchino punti fermi, serenità….

Cristian: «"Alt" è un album di qualità, in grado di stimolare una riflessione sul mondo circostante. Sicuramente non un capolavoro ma ugualmente interessante. A mio avviso è un disco profondamente cattolico. La terminologia usata da Zero appartiene alla tradizione culturale giudaico-cattolica. Cito solo alcuni esempi: per ben due volte si chiamano in causa le schiere angeliche e non solamente nel brano che s’intitola, per l’appunto, "Il cielo è degli angeli" ma anche in "Gesù" (ognuno ha le sue credenze riguardo l’esistenza delle creature celesti, ma consiglierei la lettura illuminante del libro apposito del teologo Helmut Fischer). Si parla di assoluzione in "Vi assolverete mai" e di farisei,
mentre ne "Il tuo sorriso" si fa riferimento ai trenta denari, cifra pagata a Giuda per il suo tradimento. Poi dopo "Padre nostro" (1981), "Ave Maria" (1993), "La pace sia con te" (1998), "Non si fa giorno mai" (2003), "Immi Ruah" (2005), "La vita è un dono" (2005), "Il sole che non vedi" (2009) era, forse, l’ora di "Gesù". Sette brani, molto ma molto diversi fra loro, che potrebbero formare una messa laica già annunciata diversi anni fa dal re dei sorcini. In "Gesù" ci sono tutti gli elementi del cattolicesimo: i già citati angeli, l’Arca (di Noè o dell’Allenza?), il verso “La natura hai i suoi limiti!” piacerà molto alla CEI e poi il perdono. Infine il brano "Vi assolverete mai" ha un finale quasi liturgico. In "Chiedi" Renato augura di trovare un “Dio nel quale credi” e si citano i “dieci comandamenti”. Dall’ascolto di "Alt" si evince il legame di Zero con la fede di appartenenza».

Daniela: «Concordo con Cristian, sia io sia lui abbiamo dedicato molto spazio al cattolicesimo nelle canzoni di Renato. A questo proposito mi vengono in mente certe amare considerazioni di Ron, altro autore dichiaratamente (ma, a mio parere, più discretamente e intimamente) cattolico: in Usa o in Inghilterra nessuno si scandalizza se qualcuno termina un suo concerto invocando la benedizione di Dio sul suo pubblico; qui succederebbe un disastro. D’altro lato è vero che i Paesi anglosassoni, di tradizione protestante, hanno un background profondamente secolarizzato. Nella nostra storia c’è invece l’influenza del Papato che molti avvertono come zavorra. Per questo comporre brani esplicitamente “religiosi” è un rischio che in pochi hanno voluto correre. A questo aggiungiamo la perdita delle nostre radici, di quello che Testori chiamava “il nostro latino”, per cui oggi aver fama d’intelligente significa necessariamente essere antireligiosi e più segnatamente anticattolici. Tutto quanto non ci ha del resto resi più tolleranti e aperti intellettualmente, ma solo più cinici e insensibili: basti pensare alla scarsa sensibilità verso il dramma dei profughi e dei cristiani del Medio Oriente.
Zero in questo senso è andato controcorrente, almeno nella prima parte della carriera. E ha fatto bene a “rivendicarlo”. In seguito ha accentuato, in positivo e in negativo, il carattere italiano e, direi, romano della sua religiosità. Certo, il tono declamatorio non manca, benché meno accentuato che nel recente passato, però…».


- Concordate con chi considera "Alt" il disco più impegnato di Zero?
Cristian/Daniela: «Diremmo che occorre uscire dall’equivoco di fondo a cui Renato, suo malgrado, ha preso parte durante la presentazione del disco. La stampa nazionale dipinge "Alt" come l’album più impegnato di Zero, quando da 50 anni i suoi dischi raccontano la vita in tutte le sue sfaccettature. Chi sostiene questo non conosce bene il percorso artistico di Zero e lo invitiamo a leggere il nostro libro per rendersene conto!».

- Quali sono i pezzi più riusciti secondo voi?

Cristian: «Le canzoni che secondo me rappresentano meglio l’album sono: "In questo misero show", "La voce che ti do" e "Rivoluzione". Il testo della seconda traccia dell’album è un bel ritratto sulla condizione dell’Arte in un paese che non valorizza le sue eccellenze. "La voce che ti do" è un piccolo capolavoro di testo e musica. Mentre "Rivoluzione" è più incisiva di "Chiedi". È con "Rivoluzione" che Zero stimola i suoi ascoltatori a scendere in piazza a protestare. Nel singolo di lancio scelto, invece, manca il referente principale a cui l’individuo deve chiedere qualcosa e sembra, più che altro, una sequela di luoghi comuni».


Daniela: «Come è accaduto in varie occasioni i singoli di lancio non si sono rivelati i migliori dell’album (a mo’ di esempio ricordo "A braccia aperte", che non si poteva certo considerare il brano più incisivo d’un disco potente come "Cattura"). Io pure ho apprezzato "In questo misero show" fin dal primo ascolto. Senza dubbio quella più elaborata e impegnativa resta "La voce che ti do" e, visto che si è accennato alle assoluzioni, non disprezzo nemmeno "Gesù" almeno a livello d’intuizione: l’idea suggerita da Renato, di questo Cristo che in fondo rappresenta il nostro anelito a una maggiore umanità, non sarà originalissima ma in questo periodo è utile. Ma, almeno finora, in cima alla mia personale classifica si trova "La lista", e non tanto per le spiegazioni fornite da lui; ma perché è vicina alle sue corde e perché da essa emerge un Renato “vecchio”. Sotto certi aspetti potrebbe essere un "Tragico samba" quarant’anni dopo. Ho l’impressione che soprattutto un brano simile rispecchi una realtà da lui conosciuta pienamente. E mi piace sia “vecchio” – non invecchiato – perché questo è il suo mondo oggi. Renato ha cantato la terza età quando ancora vi era ben lontano; adesso, in epoca di giovanilismi a tutti i costi (mentre, fra l’altro, la popolazione incanutisce sempre più) è salutare mostrarsi coi propri acciacchi e rughe, senza vergognarsene».

- Come giudicate suoni e tematiche?


Cristian: «I suoni sono in linea con un disco che ha il compito di far riflettere l’ascoltatore. Suoni delicati e per certi aspetti meditativi. Le tematiche come accennavo prima sono in prevalenza di derivazione spirituale e predomina l’indignazione per una contemporaneità sempre più edonista e indifferente ai mali del mondo».

Daniela: «Io ho sempre preferito l’essenzialità e i suoni crudi, quindi l’eccesso d’ariosità e d’archi era molto lontano dal mio sentire. Renato era potenzialmente un Frank Zappa ma ha optato molto presto per il pop, e un certo pop. In questo disco però si avverte la necessità di “asciugarsi”, la miscellanea di più stili non è ridondante e ciò è senza dubbio positivo».

Engy Arlotta
AlzoZero aprile 2016

11.4.16

Venezia “Franco Libri” ha vinto, multa annullata Francesco Teardo sanzionato (5.164 euro) il 22 settembre del 2104 per aver esposto libri usati e fumetti su un muretto




da  http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca 11\4\2016

“Franco Libri” ha vinto, multa annullataFrancesco Teardo sanzionato (5.164 euro) il 22 settembre del 2104 per aver esposto libri usati e fumetti su un muretto
di Manuela Pivato

VENEZIA. Ha vinto insieme ai suoi vecchi libri, agli scatoloni di cartone, il muretto di pietra di San Basilio e quel sano senso di rivolta che gli è montato dentro quando si è ritrovato tra la mani una sanzione da 5 mila euro per occupazione di suolo pubblico e vendita non autorizzata. Francesco Teardo all’anagrafe, Franco Libri nella vita, ha avuto ragione su un’applicazione probabilmente troppo calvinista del regolamento comunale e ora, con l’orgoglio dei piccoli che l’hanno spuntata sui grandi, esulta: «Abbiamo vinto».

Il ricorso contro la multa presentato dall’avvocato Andrea Cerutti è stato accolto. L’attività di Franco Libri, ossia quella di recuperare libri impolverati e rimetterli in circolazione gratuitamente facendoli così rivivere, non è sanzionabile. Perché, come ha argomentato l’avvocato nella sua opposizione alla multa, l'esposizione dei romanzi e dei fumetti sul muretto di una fondamenta - e quindi in zona esclusa ai pedoni - non corrisponde a occupazione di suolo pubblico. Perché l’attività di Franco Libri, che non espone prezzi ma conta solo su libere e saltuarie offerte del pubblico, non è assimilabile alla vendita. Quindi non c’è lucro, non c’è colpa e non c’è peccato. Trionfa insieme ai suoi volumi cari e consunti Franco Libri, la cui vicenda esplose nel settembre del 2014, con petizioni e indignazione collettiva, negli stessi giorni in cui l’intera città era in preda all’eccitazione per il matrimonio di George Clooney. Dall’altra parte della città, in piedi davanti al muretto della Fondamenta San Basilio, come ormai accadeva da dieci anni, Francesco Teardo faceva Franco Libri. Quel giorno, il 22 settembre, aveva allineato sul parapetto 125 libri e 127 fumetti e aspettava. Qualche veneziano curioso, gli amici, un turista colto. Sapeva che prima di cena, nello scambio tra opere, qualche libro avrebbe trovato un nuovo proprietario e qualche altro libro sarebbe stato rimesso alle sue premure.
Ex dipendente comunale in pensione, aveva sempre avuto i libri nel cuore al punto che, alcuni anni fa, aveva messo in piedi una vera e propria biblioteca nel carcere femminile della Giudecca con libri anche in lingua straniera. Senza il suo impegno, le detenute non avrebbero a disposizione la vasta scelta di libri in lingua straniera e un buon amico per le lunghe giornate in solitudine.
Quel giorno, che non avrebbe più dimenticato, i vigili urbani si presentano in fondamenta e sequestrano tutto. Così. Poi gli notificano la sanzione da 5.164 euro in base all'articolo 28 del decreto legislativo 114/98 che, in assenza dell'autorizzazione comunale, proibisce il commercio di beni sulla pubblica via. Teardo trasecola. È vero, non ha alcuna licenza, ma è anche vero che non occupa nemmeno un masegno e, soprattutto, che la sua attività non è a scopo di lucro. La città, o almeno una parte, dimentica Clooney e si erge a difesa di Franco Libri. Oltre duemila firme in pochi giorni, piccole donazioni, una manifestazione a San Basilio. L’avvocato Cerutti prende a cuore il caso, presenta ricorso alla direzione generale del Comune per ottenere la revoca della sanzione e infine vince. I libri ringraziano.

10.4.16

volete ridere o indignarvi ? non potete perdervi l'inno della famiglia di Mario Adinolfi

da  http://www.meltybuzz.it/
Aggiornato il 10/apr/2016 15:18:35
Ecrit par MauroZap

Mario Adinolfi: Il Popolo della Famiglia ora ha un innoIl trash cattolico torna con uno dei suoi più grandi classici: gli inni brutti dedicati ad eventi, manifestazioni o partiti politici




L'unica ipotesi possibile è che il notevole impegno profuso per la propria famiglia non consenta di curare al meglio i video promozionali. Non ci sono altre spiegazioni per l'ennesimo video che eufemisticamente potremmo definire trash e che ha la funzione di propagandare le idee dell'ala più reazionaria della politica cattolica. Dopo l'indimenticabile spot contro la fantomatica Teoria del Gender ed il notevolissimo filmato a favore del Family Day, ecco che finalmente vede la luce (siamo pronti a scommetterci, con metodi del tutto naturali) l'inno del Popolo della Famiglia, il partito di Mario Adinolfi. I temi trattati nella canzone sono quelli che potete immaginare e lo stile lascia a desiderare proprio come preventivato. La prima frase, del resto, sembra avere un intento programmatico: “Alzati e cammina, dice a noi ora Cosa ne pensate del video




che potete trovare al termine del paragrafo? Diteci la vostra, se vi va, o qui   oppure  ai miei account  di :  facebook   twitter   whatsapp (  3286849962 )   gooogleplus

L'unico  cosa  che  qui  mi sento dire  è che  :  1  )  sono contento di averlo eliminato dai miie contatti di fb :, 2)   i crociati sono tornati . come se il rinascimento e l'illuminismo e i valori delle rivoluzioni laiche dell' 1800 ( 1830 e il 1848 in francia ed in europa ) non fossero mai successe .Mi sembra d'essere ritornati a quanto descritto da With God on our side   di bob  dylan 

  cover  italiana Traducanzone di Andrea Buriani - Canzone Contro la Guerra





l'originale     ancbe  se  inversione live  con testo




in  onda  non ricordo la stazione  alla radio  mentre  finisco   questo post

notti d'ospedale di © Matteo Tassinari

No

Di      notte il
dolore     è gonfio

di Matteo Tassinari
Alle due di notte fisso ancora il soffitto e ascolto i lamenti dei malati. Il mio amico di stanza dorme di un sonno stanco e gravoso da sopportare. Sono i principi attivi (cinque) che gli circolano nel sangue attraverso diverse sacche di flebo, da mattino a sera, che non l’aiutano e giustamente, si lamenta dal dolore.
                    La malattia è     il                     business  più   grande nella nostra  economia
Ma la notte abbonda la sua consistenza desolante con le sue freddezze e scheletriche immaginazioni. Tutto quel che ci circonda si dilata proprio quando un gemito si fa spazio fra i corridoi illuminati a neon spenti, gremendo spazi vuoti dove corrono le emergenze, perché è di notte che il tormento alza il volume dell'odissea. Non so quanto tempo passa che avverto l’amicizia del water. La prostata fa il suo lavoro, mentre impiego qualche minuto per arrivare ad espellere l’ultima goccia possibile d’urina dalla vescica.
Questi sono gli orgasmi rimasti in un periodo affannoso per quanto difficoltoso. Ma la notte in ospedale non scema affatto le sue mestizie, semmai le aggrava, le allarga fino ai ponti dell'acutizzazione di ogni singola particella corporea malata. Le rafforza, le ingrossa, le addiziona, le incrementa senza alcuna spiegazione se non futile o vacua. A volte penso: chissà come moriva la gente prima dell’invenzione di tante malattie. Mi accontento del pensiero di Louis Pasteur: "Noi beviamo, mangiamo o respiriamo il 90 per cento delle nostre malattie". 
Sono le tre!
quando parte imperturbabile il prurito su tutto il tessuto corporeo dovuto ad una forma di Vasculite a causa della riattivazione del sangue. Prendo la spazzola comprata in ferramenta dalle setole coriacee, per assicurarmi un deciso quarto d’ora di pace pur sapendo che un quarto d’ora dopo il prurito alienante tornerà. Il sangue, come saprete, va dovunque. Gli piace così, girare a zonzo. Solo che grattarsi al centro della schiena, bisogna essere artisti autentici e io ci riesco perché ho le braccia lunghe e la schiena pure. La stamina viaggia dappertutto alla stessa velocità di una qualsiasi connessione Internet senza intoppi. È la vita. A volte credi che due occhi ti guardino e invece non ti vedono neanche. A volte credi d'aver trovato qualcuno che cercavi e invece non hai trovato nessuno. Succede. E se non succede, è un miracolo. Ma i miracoli non durano. L’uomo può essere il capitano del suo destino, ma anche vittima della sua glicemia.
Crema Nivea a volontà
Gratto. Gratto. Gratto, mi accorgo però che quel che gratto non è più prurito, ma è diventato bruciore. Basta. Appoggio la spazzola sul comodino, altrimenti va a finire che vedo il sangue. Con una spugna passo sul corpo acqua fisiologica cercando di lenire le parti più lese per poi darmi un poco di Nivea. Del resto, il rapporto che ho con le creme, da il senso di accedere alla solitudine mentre una malattia immaginaria trovo che sia peggiore di una vera malattia. Continuando nei meandri della mia mente arrivo a pensare che ci sia tanta salute nella malattia. Si, proprio così, com'è vero che non il medico, ma un altro malato capisce la sofferenza di un malato.
Gli antistaminici sono acqua 
fresca. Solo il Cortisone metterebbe a tacer tutto, ma a causa di effetti collaterali talmente insopportabili che preferisco tenermi il prurito rinunciando al Cortisone e i suoi fuochi d’artificio. Passa il tempo. Non so quanto, intanto la scienza si consulta mentre il paziente può solo sopportare. Fu per questo che Sigmund Freud una volta disse: "Non si muore perché ci si ammala, ma ci si ammala perché fondamentalmente bisogna morire"? Nulla di originale...
Un po’ dormo, un po’ no,
nel mezzo mangio un’arancia. Sono le quattro di notte e penso a Bowie e capisco ancora più profondamente che una generazione, con lui, se n’è andata davvero. Penso a Gesù, l’unica risposta a tanta tribolazione. Pensieri anarchici, forse bakuniani, contestatori, ribelli e sovversivi, che sfiorano le meningi a 38 di febbre. Dormo un’oretta forse più.
La    sapienza
dei    malati
Sono le cinque e mi aspetto da un momento all’altro le luci del mattino e penso che tra un’ora, decisa, entrerà un’infermiera a prelevare un po’ di sangue da me e dal mio amico, per vedere a che punto stanno i cd4 e la Viremia, e penso che gran parte di quello che i medici sanno è insegnato loro dai malati, consapevole del fatto che il miglior medico è colui che con più abilità sa infondere la speranza. Diceva Jannacci, medico pure lui: "da medico ragiono esattamente così, la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa". Come ho sempre pensato che ogni medico dovrebbe essere ricco di conoscenze e non soltanto di quelle che sono contenute nei libri, ma i suoi pazienti dovrebbero essere i suoi libri. In buona sostanza, la malattia è un conflitto tra la personalità di entrambi e l’anima.
          Mi metterà
la “Farfalla” 
Mi metterà la “Farfalla” (un ago che s’infila nel braccio) per non forare troppe volte la pelle e avere una via d’accesso costantemente pronta per gli aghi da dove passa tutta la chimica. E’ un condotto che mi porto attaccato alla perfezione al braccio per quattro o cinque giorni, per poi cambiarlo affinché non infetti la vena in questione. Che invenzione fantastica la “Farfalla”. Se non ci fosse saremmo pieni di flebiti, noi uomini spaventati. E quasi l’alba e l’infermiera di turno sta per iniziare il suo pellegrinaggio lungo la corsia. Eccola. Prima di vederla, vedo la luce al neon dell’anticamera, affinché troppa illuminazione non ci crei fastidio per noi esseri dormienti e stanchi di mille tempeste dove si sono persi senza domande. 
Buona notte a tutti
BUONGIORNO! E’ il caloroso saluto della nostra amica infermiera, la risposta è un po’ più sonnolenta. Si sente appena ed è assai impasticciata quanto mescolata a chissà quali sogni. E’ partita la giornata di un reparto per persone con malattie infettive e anche di più. La giornata passa, ritorna la notte, la storia e circa simile a quella precedente. Buona notte, ricomincia il calvario. 


9.4.16

Dalle armi alla cattedra la scommessa di Ahmed: 'Insegno ebraico a Gaza, ora dobbiamo parlarci'»









sul sito di http://www.informazionecorretta.it leggo questo interessante articolo di REPUBBLICA del 06/04/2016, a pag. 17, con il titolo "Dalle armi alla cattedra la scommessa di Ahmed: 'Insegno ebraico a Gaza, ora dobbiamo parlarci' " di Fabio Scuto.




L'ex terrorista Ahmed Alfaleet, dopo essere stato liberato da Israele nell'ambito dello scambio di circa 1000 terroristi palestinesi in cambio della liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, ha aperto una scuola di ebraico a Gaza. Certamente un progresso rispetto a uccidere ebrei israeliani, come ha fatto Alfaleet. Non possiamo evitare, però, di svolgere due brevi riflessioni.
1) Fabio Scuto e La Repubblica cercano, e trovano , uno dei rarissimi casi di arabi palestinesi che non lavorano, almeno apparentemente, per perpetuare la guerra contro Israele. Perché secondo informnazionecorretta non propongono articoli sui pieni diritti di cui godono gli arabi israeliani e sugli sforzi che fa ogni giorno Israele per favorire la convivenza pacifica con i palestinesi?
2) Scuto sostiene che, oggi, a Gaza "l'ebraico non è più la lingua del nemico". Discutibile, dal momento che Gaza è controllata da un movimento terrorista che si propone la cancellazione dalla faccia della terra dello "Stato sionista" e di annientare gli ebrei che vi abitano.







Secondo me sia il primo che il secondo vedono il fenomeno da un lato solo quando ci sono diversi associazioni ebrei -. palestinesi che cooperano per la pace e il dialogo ecco una guida edita dall'associazione multi confessionale E laica http://www.confronti.net/





UNA GUIDA PER ISRAELE E TERRITORI PALESTINESI
di Autori vari,
126 pagine, 13,50 euro

Visitare Israele e i Territori palestinesi oggi significa incontrare due popoli in conflitto, piegati da sofferenze troppo lunghe, legati l’un l’altro in un groviglio di torti e di ragioni che è impossibile sciogliere. Ma significa anche – ed è il filo rosso di questa guida – poter incontrare tanti laboratori del dialogo e della pace: luoghi in cui, nonostante tutto, israeliani e palestinesi, ebrei, cristiani e musulmani cercano di costruire un nuovo Medio Oriente pacificato e riconciliato




Ecco l'articolo:

Fabio Scuto

Ahmed Alfaleet

«Tov», bene, dice l’insegnante alla sua classe di studenti di varia età dopo aver spiegato alla lavagna il significato della parola “meayin” (da dove). Una classe di lingua ebraica come un’altra, ma questo non è un posto come un altro. È Gaza, il fazzoletto di terra che ha visto quattro guerre con Israele negli ultimi dieci anni. Da qui partono quasi ogni notte, uno, due razzi verso il sud d’Israele. Tanto per ricordare che la partita, gli islamisti, non la considerano chiusa, ma solo temporaneamente sospesa. Siamo al sesto piano di un palazzone sulla Talafimi Street, a quattro passi dall’Università Al Quds, che ospita il Nafha Center per lo studio della lingua ebraica. A guidarlo c’è Ahmed Alfaleet, un uomo alto per la statura media dei palestinesi, con gli occhi chiari e mani grandi. Alfaleet è un ex guerrigliero della Jihad islamica che ha passato vent’anni nelle carceri israeliane di massima sicurezza, venne liberato nel 2011 nell’ambito dello scambio di 1000 prigionieri con il soldati israeliano Gilad Shalit e dopo essere stato scarcerato ha lasciato la lotta armata e raccolto la sfida di diffondere la lingua ebraica a Gaza. È così importante, vista la prossimità territoriale, e pochi arabi la conoscono. Anche a Gaza l’ebraico non è più la lingua del nemico.
Alfaleet, che oggi ha 42 anni e ha messo su famiglia, venne condannato all’ergastolo per l’uccisione di un israeliano nelle vicinanze dell’insediamento di Kfar Darom — che un tempo era al centro della Striscia — e in ventuno anni passati in cella ha conseguito tre lauree — compresa una in Relazioni Internazionali — alla Open University di Israele e un master alla Hebrew University. Racconta del lungo sciopero della fame in cella per ottenere il permesso dall’Israel Prison Service di studiare a distanza all’università israeliana e non presso gli istituti arabi. Ma soprattutto della sua scelta di vita. «Dopo che sono stato rilasciato ho lavorato un po’ come insegnante privato di lingua ebraica, poi con qualche soldo e molti aiuti di parenti ho deciso di aprire questa scuola». Perché? «Come occupante, nemico o semplice vicino, Israele esiste accanto a Gaza. Non possiamo cambiare la Storia». «In cella», racconta Alfaleet, «c’era molto tempo e ho letto qualunque cosa, libri, giornali, riviste. Poi ho pensato che potevo mettere a frutto questo interesse e immaginare forse anche un altro futuro».
«Guardando la tv in cella mi sono reso conto che in Israele sapevano tutto di noi e noi nulla di loro, ho cambiato opinione su molte questioni, dopo aver letto Amos Oz, Avraham Yehoshua, David Grossman e altri poeti e scrittori classici in lingua ebraica: da allora le cose non sono state più le stesse». Lo spiega bene Alfaleet come, lentamente man mano che mentre studiava e leggeva, anche la visione di Israele cambiava. «Oggi mi invitano spesso come esperto di Israele in tv e alla radio qui a Gaza, ma devo stare attento a quello che dico e a come lo dico per non essere bollato come un “cattivo ragazzo” ma per me tutto è cambiato». I suoi studenti, e finora ne ha avuti oltre 1200, sono giornalisti, medici, farmacisti, avvocati e uomini d’affari che devono comunicare con gli israeliani. Ed è molto soddisfatto dei risultati ottenuti, la maggior parte dei suoi allievi adesso parla un ebraico fluente e chiaro.
«Se conosci la lingua non ci sono incomprensioni», dice sorridendo e pensando agli avvocati palestinesi che devono difendere i loro clienti davanti alle Corti israeliane dove tutto è redatto in ebraico o ai farmaci che le Ong mandano nella Striscia e che hanno il bugiardino stampato in ebraico e in russo. Infatti, spiega, «ci sono 4 canali specifici di specializzazione per i professionisti che hanno necessità e vocabolari linguistici diversi». In passato la gente di Gaza era piuttosto aperta nei confronti degli israeliani, nonostante le guerre. I canali tv israeliani — specie Channel 1 e Channel 10 — erano la stazioni più viste nella Striscia ed era quasi una tradizione ascoltare alle 6 del pomeriggio il bollettino quotidiano in arabo di Radio Israele. Migliaia di lavoratori avevano il permesso di uscire dalla Striscia ed erano una sorta di ponte fra le due comunità. Tutto è cambiato negli anni 2000 con la seconda intifada e poi l’inesorabile discesa dopo la presa del potere di Hamas e le 4 guerre (2006-2009-2012-2014) che hanno ridotto la Striscia ad una terra maledetta da dove, tutti, vogliono soltanto fuggire.
Eyad, è un ragazzo di 22 anni che studia giornalismo alla Al Quds University, dice che sta venendo a lezione per imparare l’ebraico per avere più chance per la sua carriera: «Non si può fare il giornalista a Gaza senza capire e leggere i media israeliani». Ecco, alla scuola di Alfaleet questa chance non costa nemmeno cara. Imparare la lingua del “vicino” costa 250 shekel (50 euro) per 40 ore di lezione  e 1200 per 140 ore. E allora “Be-hatzlachah” (Buona fortuna), professor Alfaleet.




e 1200 per 140 ore. E allora “Be-hatzlachah” (Buona fortuna), professor Alfaleet.

7.4.16

Giappone, gelato aumenta di 8 centesimi: tutta l'azienda chiede scusa

Paese  che vai ed  usanze  diverse  ecco perchèmi sento cittadino del mondo  .  L'unica  cosa  che  m'indigna  che tutti  i   siti  dei quotidiani ma   anhc e non italiani   si  limitavano  a   fare    copèia ed  incolla uno con l'altro  .  del video  e della didascalia  che trovzte  sotto . Anziochè    dare  qualche particolare  in più   , magarim intervistando   il direttore  dela  ditta o  qualcuno\a  del personale  della  ditta  in questione  .  Un  occasione persa  per poter    contribuire   a    far conoscere meglio , ed  andare  oltre  gli anime e d  i manga ,  la cultura    Giapponese  \  del sol  levante  cosi  particolare  diversa    dala nostra  , tanto che  alcuni   ( sottoscritto compreso almeno alla prtima visione  del vicdeo    )  potrebbero  giudicarla strana a e  strampalata  .  Ha ragione  questo video   a  giudicare  i media ed  i quotidiani italiani   , oltre  a  bufalisti  , copia e  incolla



Giappone, gelato aumenta di 8 centesimi: tutta l'azienda chiede scusa



 

Per la prima volta in 25 anni, il ghiacciolo prodotto da Akagi Nyugyo ha subito un amento di 10 yen: l'quivalente di 8 centesimi di Euro. Nonostante si tratti di una cifra irrissoria, a incidere su un prezzo immutato per un quarto di secolo, l'azienda giapponese si è riunita per chiedere scusa ai propri clienti. Nel video pubblicato su YouTube compaiono almeno 100 dipendenti. L'aumento sarebbe dovuto a un'impennata dei costi delle materie prime e della produzione. Nel 1991, l'anno dell'ultimo aumento, l'azienda comprò una pagina di giornale per scusarsi. Il video pubblicato su YouTube è stato visto da più di un milione di persone in meno di una settimana

5.4.16

kurt kobain 5.4.1994- 5.4.2016



Kurt Cobain, ricorre oggi l'anniversario della morte. Poco più di un minuto per ricordare l'idolo dei teenager degli anni 90 e grande musicista grunge

Voci correlate


faccio foto

non chiedetemi che seme o pianta sia. So solo che era particolare mi ha attratto e l'ho fotografata sia colori che in bw . cala serraina domenica 3\4\2016



A pochi metri dalla vetta si ferma per salvare se stessa e i compagni: la storia di Tamara fa il giro del mond

A pochi metri dalla vetta si ferma per salvare se stessa e i compagni: la storia di Tamara fa il giro del mondo

www.unionesarda.it  Oggi alle 15:07 - ultimo aggiornamento alle 18:09

tamara lunger
                                        Tamara Lunger
Toccare la vetta del Nanga Parbat, 8.126 metri nell'Himalaya, era il suo sogno. Ma, arrivata a un soffio dall'obiettivo, non ha esitato a rinunciarvi, mettendo da parte orgoglio e sana ambizione, per non mettere a rischio la sua vita e quella degli altri.
Fa scalpore e si prepara a diventare una storia simbolo del mondo dell'alpinismo italiano e mondiale quella che ha visto protagonista Tamara Lunger, 29enne altoatesina, reduce da una spedizione in Pakistan, sulla nona montagna più alta del mondo assieme a tre compagni, Simone Moro, Alex Txicon e Ali Sadpara.
Nella storia, delle 200 persone che hanno provato ad arrivare in cima, 60 non sono più tornate. Lei avrebbe voluto entrare nel novero delle prime. Quando invece ha compreso che rischiava di entrare nella liste delle seconde, trascinando con sé i suoi colleghi, ha detto: "Basta, mi fermo".
Per non essere un peso, per consentire a Moro e agli altri di proseguire senza preoccupazioni.
Simone Moro
Simone Moro
"Stava male, era stanchissima", racconta Moro, tornato da poco in Italia dopo l'impresa. "Siamo riusciti ad arrivare a meno di cento metri dalla vetta. Ma lei era allo stremo".
A quel punto, a -34 sotto zero e venti che soffiavano a 45 km orari, la decisione: "Ho capito - dice Tamara - che quel giorno, nelle mie condizioni, poteva costarmi la vita. Ero molto lenta, avrei rallentato tutti. Sarebbe stato un suicidio".
Così si è fermata. La vetta era lì, vicina. La vedeva. Poteva quasi toccarla. Ma ha chiuso gli occhi, ha respirato. Ed è tornata al campo base, mentre i suoi compagni, con le ultime forze, salivano verso l'ambita cima.
"Con il suo gesto ha salvato la sua e la nostra vita - spiega Moro - perché un soccorso a quelle altitudini, stravolti come eravamo, sarebbe stato impossibile.
Una decisione coraggiosa che in pochi al mondo avrebbero saputo prendere".
Una decisione che vale più della conquista di qualsiasi vetta.

«Sono caduto, il rigore non c’è», storia di un gesto da applausi



finalmente un giocatore che non vuole montaggi . E il caso avvenuto Domenica al Quercia durante Rovereto - Anaune all’83esimo l’arbitro fischia il penalty ma Andrea Manica lo rifiuta: «Avevo perso l’equilibrio e ho deciso di dirglielo.

da  http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/sport/  del 05 aprile 2016

Andrea Manica allenatore-giocatore del Rovereto

TRENTO. L’arbitro fischia il rigore in un momento delicatissimo del match, ma chi ha subito il fallo dice: «No, sono caduto da solo». Il 35enne Andrea Manica, giocatore - allenatore (in cogestione conGiovanazzi) del Rovereto, calca i campi dei massimi campionati regionali da una quindicina di anni: difensore piuttosto rude, domenica è stato l’assoluto protagonista della giornata calcistica trentina. E non per una gol in rovesciata, ma per un gesto di fair play che merita la massima pubblicità. Cosa è successo esattamente allo stadio “Quercia” al minuto 82 della sfida tra il Rovereto, in corsa per il quinto posto, e l’Anaune, protagonista della volata per la seconda piazza con l’Arco? Tranquillini crossa in area nonesa e Manica anticipa Morano e poi cade a terra. Di Muro non ha esitazioni: fischia, indica il dischetto e si prepara ad estrarre il cartellino all'indirizzo del difensore gialloblù che, in quanto già ammonito, sarebbe stato espulso. Manica, però si rialza e ferma tutto.
«I giocatori dell’Anaune hanno attorniato il direttore di gara, protestando in maniera veemente - racconta il giocatore allenatore bianconero - e uno dei calciatori avversari mi ha chiesto se il suo compagno mi avesse toccato. Io ho risposto di no. Mi sono avvicinato all’arbitro e, tranquillamente, gli ho detto che non era rigore e che ero caduto perché avevo perso l’equilibrio: mi ha ringraziato, ci siamo stretti la mano ed è ovviamente tornato sui proprio passi, facendo riprendere il gioco con una rimessa dal fondo».
Un gesto meraviglioso, il suo, e inusuale.
Purtroppo. Infatti non capisco tutto questo clamore mediatico. Ho ricevuto tantissimi attestati di stima, e questo non può farmi che piacere, ma non mi sento un eroe. Ho agito d’istinto: da difensore so quanto può dare fastidio subire un rigore per un fallo che non si è commesso.
La domanda “scomoda” è d’obbligo: se il fatto fosse avvenuto a otto minuti dalla fine dell’ultima partita di campionato e il Rovereto avesse avuto bisogno della vittoria per salvarsi, lei si sarebbe comportato allo stesso modo?
Sono onesto: non so come avrei reagito. Certe situazioni bisogna viverle e non voglio essere ipocrita.




                La panchina del Rovereto con Giovanazzi e sullo sfondo Manica

Dica la verità: qualcuno dei giocatore del Rovereto l’ha presa male? Giovanazzi cosa le ha detto?

Eh, qualcuno dei miei compagni non era proprio contento, soprattutto visti i trascorsi sportivi con l’Anaune, che due anni fa ci fece retrocedere pareggiando a trentasei secondi dalla fine dell’ultima partita. Ognuno ha la propria opinione: io ho ritenuto giusto comportarmi in tale modo e Giuly (Giovanazzi, ndr) era d’accordo con me. Complimenti, meriterebbe un premio fair play. Io mi auguro di aver dato un esempio ai più giovani. Si dice tanto che bisogna dimostrare di essere corretti: ho cercato di esserlo nei fatti e non solamente a parole.

Decostruire la mascolinità non significa demolire l’uomo. È reinventarlo, liberarlo dalle catene degli stereotipi affinché possa essere se stesso,

Ultimo  post  per  questa  settimana   sulla violenza  di genere o  femminicido    La nostra  mascolinità, spesso definita da stereotipi cul...