6.1.23

Messi, era falsa la coppa del mondo nella foto da 74 milioni di like L'altro trofeo, commissionato da una coppia di tifosi argentini, è stato per sbaglio consegnato dopo la premiazione ufficiale al capitano, che ha sfilato facendo il pieno dei consensi sui social ignari

sembra primo aprile invece è statio il 20 dicembre dell'anno scorso . E per giunta la burla è avvenuta in occasione importantissima a livello internazionale comeuna finale dei mondiali di calcio

  da  repubblica  4\1\2023  
  
 

                                               di Daniele Mastrogiacomo

 Era falsa la coppa che Lionel Messi ha sollevato dopo la vittoria al Mondiale mentre faceva il giro dello stadio. Lo scrive el Pais in una corrispondenza da Buenos Aires. Tra il comico e il grottesco, la storia ha fatto il giro del mondo perché quella foto, che immortala la vittoria degli albicelesti, è stata la più cliccata nell'account Instagram @leomessi: ha ottenuto 74.362.000 likes. La copia dell'originale era stata commissionata da una coppia di tifosi argentini, Paula Zuzulich e suo marito Manuel Zaro, che hanno confermato il curioso e involontario scambio al Clarín.
Ma lo hanno fatto quando il fotografo ufficiale del quotidiano e del settimanale Olé, Fernando de la Orden, due giorni dopo la finale, ha pubblicato sul suo Instagram 


una delle immagini che aveva scattato durante la permanenza in Qatar. Si vedeva un sorridente Angél Di Maria che scambiava una battuta con Messi e gli mostrava il retro della base del trofeo. Incuriosito dalla scena, un secondo fotoreporter, Santiago Blugermann, ha chiamato il collega e gli ha chiesto su cosa ridessero i due e se avesse sentito cosa si dicevano. Orden gli ha risposto: "Di Maria diceva a Leo che aveva fatto il giro dello stadio con una coppa che era un trota (falso, in spagnolo). Lui aveva in mano quella vera e sono scoppiati a ridere".
La cosa sembrava finire lì ma poi è arrivata la telefonata della Zuzulich che ha chiamato Fernando de la Orden confermandogli che era stata lei, assieme al marito, presenti sugli spalti, ad aver passato la falsa coppa ai giocatori mentre esultavano in campo. La copia è così finita nelle mani di Messi che l'ha alzata più volte facendo il giro dell'Olimpico e porgendola anche alla moglie che a sua volta l'ha sollevata, alla figlia, che poi l'ha consegnata ad altri parenti, amici, tifosi, tecnici, e gente dello staff della nazionale argentina in un tripudio di baci, carezze, urla e pianti di gioia. Nel frattempo, Di Maria aveva in mano l'originale e anche lui la mostrava al pubblico e ai compagni che se la passavano mentre gli addetti alla sicurezza li seguivano da vicino per evitare che finisse in mani sbagliate e magari sparisse come è accaduto in passato.



Nell'euforia e la confusione generale per almeno una decina di minuti ci sono state due coppe in campo e nessuno se n'è accorto. Solo l'attaccante della Juve, con l'originale in mano, ha capito che c'era qualcosa che non andava: ha raggiunto Messi che si trovava sul lato opposto e gli ha fatto vedere l'originale. Leo è rimasto sconcertato ma si è fatto subito una risata scambiando qualche battuta con il compagno di squadra che se la rideva come un pazzo. Una volta ricevuta la telefonata dalla coppia di tifosi, il fotografo del Clarín ha voluto vederci chiaro e li ha raggiunti nella loro casa di La Plata, 60 chilometri da Buenos Aires. Entrambi gli hanno confermato la storia e gli hanno mostrato l'oggetto del contendere spiegando anche perché fosse così simile all'originale. "Prima dei Mondiali", hanno detto, "abbiamo contattato alcune persone che si dedicano a realizzare delle perfette copie di famosi originali ma ci sono voluti sei mesi per realizzarla. Ha lo stesso peso ed è fatta con della resina; all'interno è rivestita di quarzo, bagnato a sua volta con una vernice simile all'oro. Ci sono dei dettagli, segni e rilievi diversi, ma la differenza è davvero minima". Paula e Manuel volevano fare quello che hanno poi fatto: consegnarla ai giocatori per farla firmare. "E' entrata per tre volte in campo", ha ricordato Paula, "la prima è stata afferrata da Paredes che l'ha firmata. La seconda ce l'hanno chiesta 45 minuti dopo il fischio finale; è passata da un giocatore all'altro, e ancora tra i parenti che l'hanno immortalata con una serie di foto. In Tribuna qualcuno si è accorto della cosa e mi hanno gridato che mi ero persa il trofeo. Eravamo allegri, entusiasti, lasciavamo che la coppa girasse da una parte all'altra. Ma volevamo anche averla indietro. Ho gridato a quelli che erano in campo che se vedevano Parades con il trofeo in mano ce la restituissero. Alla fine l'ha riportata Lautaro Martínez, dopo averla anche lui firmata. La confusione era comunque totale, tanto che gli addetti della Fifa sono venuti da noi e ci hanno chiesto di confermare che non si trattava dell'originale". La Winner Trophy consegnata da Infantino a Messi di solito resta in campo una manciata di minuti; deve essere riconsegnata per tornare nella sede della Fifa a Ginevra. Quella che ha fatto il giro è invece una copia e lo scambio avviene sempre in una stanza privata dello stadio. A Doha, a differenza dei Mondiali precedenti, entrambe sono rimaste in campo. Accompagnati dalla terza, la trota, all'insaputa di tutti. Una girandola che ha divertito ma anche messo in crisi la sicurezza che rincorreva i vari trofei senza capire quale fosse l'originale. Non tutti hanno apprezzato la mossa della coppia di tifosi. I loro account sui social sono stati riempiti di insulti oltre che da battute ironiche. Molti hanno conservato la foto- simbolo della vittoria argentina sui Bleus come una reliquia. Qualcosa da ammirare e conservare negli anni. Qualcosa di unico. L'originale. Il falso, nonostante abbia avuto il suo momento di gloria, è sembrato una beffa

per l'ipocrita Diritto all’oblio dei mafiosi , la Rai spegne lo speciale Tg1 su Rita Atria

 Stavo  finendo    il post della nuova  rubrica    settimana incom  quando alla  lettura    dell'orripilante     notizia    della  censura   sulla  morte di Rita  Atria  ( vedere  articolo  sotto   e scheda  al lato   entrambi presi da IFQ del  5 Jan 2023    )   mi  chiedo  ma  il diritto  all'oblio  può evitare  di  cancellare  \ rimuovere   ma    in questa  caso  si parla  di censurare  la  storia   e  le storie  ?   Secondo me   si    se  si  fa   come suggerito   nell'articolo    sotto  o  quando  come  nel  caso  della sentenza  Ecn isole  della   rete     contro Caradonna   si    quando  si tratta   di   fatti storici   ancora  attuali   come   quello   della   coraggiosa   e  giovane  Rita Atria  


                             di   Stefano Caselli e Maria Cristina Fraddosio

Diritto all’oblio, la Rai spegne lo speciale Tg1 su Rita Atria

Il doc di Giovanna Cucè rimosso da Raiplay. Tre arrestati per mafia negli anni 90 minacciano richieste danni per 60 mila euro

FOTO ANSA
La testimone di giustizia Rita Atria morì a soli 17 anni una settimana dopo via D’amelio

La storia, struggente e importante, è di quelle che è bene continuare a raccontare. È la storia di Rita Atria che il 26 luglio 1992, a soli 17 anni, morì cadendo da un balcone del quartiere Tuscolano a Roma. La storia di una ragazza nata e cresciuta in una famiglia di mafia della provincia di Trapani che, dopo gli omicidi del padre e del fratello maggiore, decise di tagliare quel cordone ombelicale e di collaborare con la magistratura. La storia di una ragazza che Paolo Borsellino, che raccolse parte delle sue dichiarazioni, considerò come una figlia acquisita. La storia di una ragazza, prigioniera a Roma di un programma di protezione testimoni, che non sopportò la morte di quel secondo padre e che sette giorni dopo la strage di via D’amelio cadde nel vuoto dal settima piano di viale Amelia 23 a Roma.

Una storia che rischia di non poter più essere raccontata, almeno non nella forma scelta dalla giornalista Rai Giovanna Cucè, autrice dello speciale Tg1 Rita Atria, la settima vittima, trasmesso il 17 luglio in

un frame  della trasmissione  in questione 

seconda serata. Il programma, della durata di 58 minuti, è stato infatti rimosso da Raiplay a causa di alcune immagini di repertorio di una trentina di arresti (con manette pixelate), relativi alla cosiddetta “faida di Partanna” (di cui parlò proprio Rita Atria) su mandato dall’allora procuratore capo di Marsala Paolo Borsellino. Tre persone ritratte in questi filmati si sono sentite lese nell’immagine e hanno minacciato cause alla giornalista, alla direttrice del Tg1 e alla Rai per un totale di 60 mila euro. La Rai ha così deciso di rimuovere lo speciale in attesa del giudizio.

IL TEMA

è assai delicato perché riguarda il diritto all’oblio, civilissima e recente conquista, tuttavia in inevitabile conflitto con il diritto di cronaca. Gli arresti del novembre 1991 e del marzo del 1992 raccontano infatti una pagina importante di storia (oltre a contenere un inedito audio del super boss latitante Matteo Messina Denaro). Se aggiungiamo che uno dei ricorrenti è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa (il secondo è stato condannato in primo grado e assolto in appello, il terzo assolto in tutti i gradi) il tema si fa ancora più complesso. Possiamo forse immaginare un documentario sul maxiprocesso di Palermo senza le immagini dell’ucciardone?

Il rischio di creare un ingombrante precedente esiste. E una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere come la prescrizione, che un articolo della riforma appena entrata in vigore considera titoli sufficienti per una richiesta di de-indicizzazione dei contenuto online ai motori di ricerca, può prevalere

sempre e comunque sulla cronaca e sulla storia? La Rai, nel dubbio, ha scelto la via breve. A quanto si apprende da fonti di viale Mazzini, il filmato sarebbe stato rimosso in via cautelativa poiché ritrae soggetti poi successivamente assolti (ma non solo, come sappiamo) e – soprattutto – perché per le stesse immagini (ma con manette non pixelate) l’azienda era già stata condannata alla fine degli Anni 90. UNA SOLUZIONE meno drastica come rimontare lo speciale eliminando le sequenze “incriminate” o oscurando i volti dei ricorrenti, avrebbe forse meglio conciliato il diritto all’oblio con quello di cronaca, ma per il momento non è stata presa in considerazione.  Il reportage di Giovanna Cucè ricostruisce il contesto in cui Rita Atria, originaria di Partanna (Trapani), divenne testimone di giustizia. Il contesto degli arresti è quello di una faida tra due clan, gli Ingoglia e gli Accardo, questi ultimi appartenenti al mandamento di Castelvetrano, al cui vertice c’era Francesco Messina Denaro, padre del noto latitante. Borsellino indagava sui delitti che stavano insanguinando Partanna, anche grazie alle testimonianze-chiave di due donne, Piera Aiello (ex deputata 5S) e Rosalba Triolo, e della minorenne Rita Atria. Il decesso della “picciridda”, come la chiamava Borsellino, è stato archiviato nel 1993 come suicidio. A distanza di 30 anni, la sorella Anna Maria (intervistata da Cucè) ha presentato un esposto alla Procura di Roma per chiedere che le indagini vengano riaperte.

Viale Mazzini: la replica Per gli stessi frame (ma con le manette a vista) l’azienda fu condannata in passato. Nel dubbio, non si aspetta il giudizio

5.1.23

laura '75 dopo aver sconfitto un tumore ha fatto karate è arrivata a conseguire la cintura blu.

 Dall'account stesso della protagonista

Laura, classe 75, ha iniziato a praticare il Karate non più giovanissima, nonostante ciò dopo un percorso di formazione costante è arrivata a conseguire la cintura blu. Una strada non sempre facile considerando varie problematiche legate anche a problemi di salute seri a cui è dovuta andare incontro durante questo cammino. Un tragitto di grandi insegnamenti che, grazie al supporto dei due tecnici del "Martial Club Tempio Pausania" : Giuliano Addis e Pietro Manueddu, è riuscita a portare avanti nonostante le difficoltà. Questa esperienza vuole essere una testimonianza per tutte quelle persone che pensano non sia possibile seguire un percorso formativo, come quello del Karate, in età adulta e un'esortazione affinché si portino avanti i propri obbiettivi con determinazione e assiduità. Quello che sento di dire a tutte le persone che affrontano una difficoltà è di non arrendersi mai davanti ai problemi, fissare degli obiettivi e portarli a termine seguendo la propria linea di pensiero e concentrandosi sul traguardo da raggiungere.

Pelé e il ‘non-gol’ più bello della storia del calcio: la magia senza tempo che incantò il mondo

 


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Perché è impossibile dire chi fosse davvero più forte tra Pelé e Maradona

Lo  so  che  non si  può    sempre  stare  a parlare  di  Pelè   e  che  ci saranno  i benaltristi       che  giustamente     diranno   ci sono  cose  più  importanti   . Ma     certe  imprese    sono  talmente  memorabili   anche  una generazione    che   non lo  ha    conosciuto  quando  giocava     e soprattutto    non hanno  tempo  . Infatti  un n giocatore che ha segnato più di 1.000 gol  ,  ma    anche   no  ,   può essere ricordato positivamente per averne mancato uno  . Si   se   è  un grande   come  Lui  

  da  https://www.fanpage.it/sport/calcio/



Pelé è morto all'età di 82 anni e tutti gli stanno rendendo omaggio con tributi di vario tipo da ogni parte del mondo. Il fuoriclasse brasiliano era una leggenda vivente e l'affetto con cui viene ricordato ne è la riprova.




In queste ore stiamo ammirando, nuovamente, tanti gol e tante giocate che lo hanno reso O Rei ma c'è un episodio che rende bene l'idea del perché questo ragazzo nato a Três Corações è diventato il simbolo del calcio carioca. Guadalajara, Messico, è il 17 giugno 1970. Italia e Germania Ovest poche ore prima avevano dato vita alla ‘Partita del secolo' e la Seleçao vinse 3-1, raggiungendo gli Azzurri in finale.



Il numero 10 non segnò contro la selezione allenata da Juan Hohberg ma quel giorno nacque il ‘non-gol' più bello della storia del calcio. O Rei fu protagonista di una giocata favolosa, in cui ha dribblato il portiere avversario senza toccare il pallone.
Il passaggio di Tostao dalla sinistra mise Pelé solo davanti a Ladislao Mazurkiewicz, portiere della Celeste che provò ad anticipare il movimento e ad uscire sulla traiettoria del pallone: per questo motivo il fuoriclasse brasiliano decise continuare la corsa verso di lui ma di lasciare passare la palla e recuperarla pochi istanti più tardi in una posizione più defilata. Una giocata complicatissima da pensare, figuriamoci metterla in atto.



L'estremo difensore uruguagio rimase spiazzato da quel movimento e vide il pallone passare, con il suo avversario che stava già correndo per riprenderlo: Pelé arrivò sulla palla e, di prima intenzione, incrociò il tiro sul secondo palo senza controllarlo nuovamente ma la conclusione terminò di pochissimo fuori, tra l'incredulità dei presenti per quello che avevano appena visto.



La bellezza della giocata ha eclissato il fatto che non fosse finita con il gol e lo stesso Pelé in un'intervista di qualche anno più tardi ha ammesso di ripensare spesso a quel momento: “Sarebbe stato più bello se fosse entrata. Sogno ancora che la palla finisca in rete".
Un giocatore che ha segnato più di mille gol in carriera può essere ricordato positivamente per averne mancato uno? Sì, se si chiama Pelé.
Pelé non segnò in semifinale ma quel "non-goal" è entrato nella storia del calcio. Nella finale firmò il primo gol della  Seleçao ‘ contro l'Italia con un colpo di testa fantastico e aprì la strada alla vittoria del terzo titolo mondiale del Brasile di Mario Zagallo, dopo quelli del 1958 e del 1962.

la settimana incom : spettacolizzazione della morte , ancora ci si scandalizza per un bacio gay in tv , muore per overdose ma chi gli ha dato la droga non può essere processato , scuse per non passare da no vax truffatrice

Non ci sono più i tempi di una volta, in cui si rideva per non piangere...



 dA  FACEBOOK  

Aurora Aury Brundu

·


L'immagine è profonda e piena di sentimento ....quello che "non mi piace" è l'esibizione.
È da giorni che quel povero cristo viene mostrato a migliaia di persone tutti con il telefonino a farsi le foto d'avanti al povero cadavere pallido a dir poco. Infatti molti di loro sono andati per fare la foto e postarla immediatamente sui social,si molto sentimento in tutto ciò ormai siamo in tempi moderni ....anche i morti devono aggiornarsi.
Il vero sentimento nel mio modesto parere è quella cosa che uno prova dentro il suo cuore e non ha bisogno di mostrarlo a nessuno ....questo spettacolo sta durando anche troppo,oggi il papa troverà finalmente la sua pace ,Amen RIP.

Infatti   ha  ragione  Daniela Tuscano

Vero. Pur non amando padre Georg, illustre allievo del suo mentore e quindi anti-Francesco e anticonciliare, qui io vedo l'uomo, sinceramente addolorato, e lo comprendo. Quanto alla spettacolarizzazione della morte... siamo alle solite, purtroppo.

......

leggo.it  
Un posto al sole, il bacio gay fa scoppiare la polemica contro la Rai: «Turbate i minori»


I personaggi Sasà e Castrese si sono lasciati andare al momento di tenerezza nella puntata del 2 gennaio, ma la scena ha spaccato il pubblico. Devono essere genitori che non sono in grado di spiegare il sesso ai loro figli se non al di fuori del vecchio schema i bambini nati sotto un cavolo o le bambine sotto una rosa . Oppure quella più neutra li porta la cicogna. «Siamo nel 2023, non scandalizzatevi», scrive un utente su Twitter. Infatti scandalizzatevi per cose più serie. 
 Infatti  concordo  con Lorenzo  tosa  
 
 Accade che in “Un posto al sole” due personaggi maschili, Sasà e Castrese, si bacino. Un bacio tra due uomini. Oddio, apriti cielo, tra chi si indigna, chi invoca “l’ira di Dio” e chi - tenetevi forte - parla di “fascia protetta” (ma protetta da cosa?) e protesta al grido di “turbate i minori”.
Volevo rassicurare omofobi e retrogradi vari ed eventuali che i “minori” (ammesso che qualcuno di loro guardi “Un posto al sole”) sono mediamente molto più aperti, civili ed evoluti degli “adulti” che vorrebbero proteggerli.
Perciò la smettano di rifugiarsi dietro ai minori per non affrontare, una volta per tutte, le gravi lacune di empatia, civiltà, alfabetizzazione emotiva che loro, in una vita intera, non sono riusciti a colmare.
                                             ......
unione  sarda  
Olbia  Selene Barbuscia aveva 32 anni quando le venne data una dose di eroina letale, un quantitativo di droga troppo alto per l’organismo di un essere umano e per di più di pessima qualità. Il corpo senza vita della donna venne trovato in un appartamento di un condominio, nel centro di Olbia.
Era l’estate del 2019 e oggi il gup del Tribunale di Tempio ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Amofa Osas, 42 anni, cittadinanza nigeriana, l'uomo accusato di avere dato l’eroina a Selene.
Selene Barbuscia (foto Busia)


Selene Barbuscia (foto Busia)



Selene Barbuscia aveva 32 anni quando le venne data una dose di eroina letale, un quantitativo di droga troppo alto per l’organismo di un essere umano e per di più di pessima qualità. Il corpo senza vita della donna venne trovato in un appartamento di un condominio, nel centro di Olbia.
Era l’estate del 2019 e oggi il gup del Tribunale di Tempio ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Amofa Osas, 42 anni, cittadinanza nigeriana, l'uomo accusato di avere dato l’eroina a Selene.
La contestazione è morte come conseguenza di altro reato. Il giudice ha applicato, una delle prime sentenze in Italia, le disposizioni contenute nella riforma del processo penale varata dalla ministra Marta Cartabia (governo Draghi). Il processo non si celebra perché Amofa Osas non è stato mai rintracciato, nonostante le ricerche a Olbia delle forze dell’ordine.L’uomo è sparito nel nulla. Con le nuove disposizioni del Codice di Procedura penale, si evita di tenere in piedi un processo che, di fatto, non può essere celebrato.
.......
Era meglio continuare a tacere. le stupidaggini sono dei pericolosi focolai: tendono a riprodursi velocemente e a sfuggire di mano. E mi sembra questo il caso”.


Zonato , la frontiera ©Daniela Tuscano

 Zonaro, la frontiera


Nemmeno una targa ricorda la palazzina dove abitò  Fausto Zonaro, ultimo pittore della Corte Ottomana, al numero 5 di via Dante Alighieri a Sanremo. È una zona di condomini e negozi anni '70, tra via Zeffirino Massa e il principio del quartiere - qui si dice regione -  Baragallo, luogo decentrato, tutto in salita, quasi un'enclave di torrenti e asperità. Il microclima anticipa le brume montane di San Romolo. All'epoca di Zonaro la selvatichezza del posto doveva essere ancor più accentuata e maggiormente risaltava la sontuosità della Madonna della Costa. Forse per questo la scelse come dimora, e per quella durezza da rifugiati valdesi, numerosi nell'estremo Ponente ligure, che fra erte, canneti e mulattiere trovavano riparo dalle persecuzioni. Zonaro non era un eretico in fuga, ma un superstite sì; della cittadina smagliante e cosmopolita lo interessava il côté nostalgico.
 Sanremo era mèta del turismo ricco, soprattutto inglese e russo (zarista), capitale della Belle Époque, ma a Zonaro non sfuggiva quel suo lato finitimo, sorta di Colonne d'Ercole italiane, e ne predilesse la parte più umbratile e defilata, anch'essa di confine. Zonaro era reperto vivente: nato a Padova, ultimo lembo di Levante italiano, fu l'ultimo ritrattista ufficiale del sultano Abdulhamid e, al crollo dell'Impero, si stabilì nel Finisterre, ultimo lembo italiano, stavolta d'Occidente, dove terminò i suoi giorni, in esilio, anche Maometto VI, fratello di Abdulhamid. Zonaro (con)visse con l'ultimità, e in definitiva con la favola: l'Oriente delle odalische e degli eunuchi, dei diwan e delle terme, che si chiamava Costantinopoli; e Zonaro, come il Sinan di De André, era egli stesso turco, un turco padovano-sanremese, un turco italiano


. Sarebbe piaciuto ad Alessandro Spina, cioè Basil Khouzam, lui pure un ultimo, un siro-libico italiano. Testimoni d'una fratellanza d'arte e letteratura, favolistica perché inattuale, favolosa perché crudele, pur nella brillantezza dei colori e l'eleganza della prosa. Non sorprende che il tempo ordinario, il tempo smemorato, di quest'eternità non conservi nulla, anzi la ignori; solo fuori della storia, essa troverà dimora.


© Daniela Tuscano

4.1.23

viaggiare da soli o in compagnia ?

il perché ho scelto di chiamare le mie appendici internet anch'io è per questo che avevo chiamato il mio mio blog cdv.splinder.com poi con il passaggio a blogger www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com  e  poi  la   pagina Facebook    compagnidistrada   sta  in questo post   del  gruppo    facebookiano   compagnidiviaggio2013




Chi viaggia senza incontrare l'altro,
non viaggia, si sposta.
Vorrei sempre essere altrove, dove non sono, nel luogo dal quale sono or ora fuggito.
Solo nel tragitto tra il luogo che ho appena lasciato e quello dove sto andando io sono felice.

Ci vuole passione per raccontare una storia degna di essere raccontata è il caso del libro e poi documentario Balentes - I Coraggiosi di Lisa camillo

chiacchierando con un mio amico con le servitù militari della sardegna ho scoperto Balentes – I coraggiosi film documentario della regista Sardo - Australiana Lisa Camillo Satta Uno scioccante ( soprattutto per chi non è informato o sa poco ) documentario d’inchiesta sull’uso segreto dalla NATO dell’uranio impoverito in Sardegna e sui suoi effetti devastanti sugli animali e sulle persone. Disponibile su iTunes e Amazon Prime Video qui







di cui trovate qua sotto il trailer



e   qui il  libro 

UNA FERITA ITALIANA


 Di cui ecco una breve sintesi 
Quando Lisa Camillo, antropologa e regista sardo-australiana, torna in Sardegna dall'Australia, dopo 18 anni di assenza, con suo orrore trova che la sua terra nativa e' decimata da misteriose bombe. Nel suo viaggio scopre dei bombardamenti segreti della NATO che hanno avuto conseguenze devastanti sulla popolazione locale umana e animale.


Ora da alcune ricerche in rete in particolare da https://www.cinemaitaliano.info/ ecco alcune informazioni
Sinossi: BALENTES è un documentario che racconta la Sardegna di oggi in modo obiettivo e disincantato, senza nascondere le sue gravi difficoltà, le speranze e


alla base  nato  del monte  limbara 




fallimenti della sua storia recente. BALENTES porta all’attenzione del pubblico soprattutto internazionale, il caso emblematico della Sardegna, isola unica al mondo e territorio vassallo per eredità storica. Ricchissima di risorse appetibili, di bellezze naturali e tradizioni genuine rimaste più o meno intatte nei secoli proprio grazie al suoi isolamento, da l regno d'Italia ( oggi sempre più  )è impoverita  sempe ridotta alla fame da speculazioni e scelte sbagliate. E’ un caso esemplare, di cui il film mette in luce i meccanismi più eclatanti, non senza cercare, con interviste e proiezioni, prospettive di futura prosperità.




un  dei  tanti   poligoni  sardi

<< Questa è la storia di un paese perduto, questa è la storia di un popolo costretto al silenzio>>. Si apre con queste poche ma significative parole pronunciate in voice-over dalla stessa autrice l’ultima e pluridecorata fatica dietro la macchina da presa di Lisa Camillo dal titolo Balentes – I coraggiosi. << Si tratta >>i
secondo l'ottima ed sagace recensione del portale https://www.cinematographe.it/<< di un vero e proprio biglietto da visita che lascia presagire un drastico cambio di pelle e identità per un documentario che, visto il prologo ambientato in Australia, sembrava invece indirizzare la fruizione verso il classico reportage di viaggio a sfondo antropologico e naturalistico. >> qui l'articolo integrale

Un  ottimo  film documentario che  si guarda tutto di un fiato   ,  fiero  indigesto   al potere    ed  ai  suoi  seguaci  in particolare  ,  come lo  si dimostra    nel  film     visto    che  parlare  degli effetti  delle  basi  è  ancora  tabù   per  la  maggior  parte  dei  Sardi  . Un  film  usato  come  prova  \ testimonianza  in un  aula  di Trribunale    come  riferisce  la  regista  stessa   o  in questo  video

COMUNICATO STAMPA - La vittoria di Balentes in Tribunale from Lisa Camillo on Vimeo.


oppure    sul   suo  istangram 


📣📣Notizia dell’anno e risvolto storico per la Sardegna! 📣📣 Abbiamo vinto!! 💪🏼💪🏼

Mesi fa, grazie all’astuta mossa dell’Avvocato Gianfranco Sollai rappresentante di militari e residenti a Teulada, colpiti da tumore, il mio documentario Balentes fu messo agli atti del processo di Teulada per le importanti testimonianze all’interno del film ed per la vasta ricerca che feci al riguardo. E’ stata la prima volta che un film sia stato messo come prova ad un processo giudiziario.
Grazie al film Balentes e agli avvocati Giacomo Doglio, Roberto Peara, Gianfranco Sollai e Caterina Usala, che il GIP, Maria Alessandra Tedde, ha decretato, in una decisione storica e coraggiosa, sull’imputazione coatta di cinque capi militari che avevano responsabilità sul poligono e andranno a processo per disastro innominato aggravato, rischiando anche l’incarcerazione.
Il GIP. ha dato 5 mesi di tempo al PM per espletare ulteriori indagini al fine di verificare il nesso di causalità tra i deceduti per tumore e l’attività militare. 


Non so che altro aggiungere di originale e di non scontato . Se non di  andarlo a vedere Balentes  andare su Prime Video o su Apple Tv! E magari leggere il.librp 

Grazie a Facebook a Sassari, dopo 40 anni 4 fratelli separati per essere addotati si ritrovano e cercano gli altri tre

L'iniziativa   del grippo   fb    ti cerco   permette    a   Figli, fratelli, genitori, ma anche amici, compagni di scuola. persone con le quali si è condiviso qualcosa e che si ha voglia di ritrovare. È un flusso costante di appelli nella pagina Facebook “Ti cerco, appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari”, nata qualche anno per iniziativa di un gruppo di amiche, senza alcun scopo di lucro ma spinte da una grande generosità verso il prossimo. Una iniziativa vincente, perché sta aiutando tantissime persone a ritrovare affetti, a ricostruire le proprie origini e riassaporare la felicità. Chi cerca qualcuno può inviare un appello, spesso accompagnato da fotografie, che viene visionato dalle responsabili della pagina prima di essere pubblicato, così da garantire la tutela della privacy, in maniera particolare quando sono coinvolti minori. La forza della pagina è data dalle condivisioni, che raggiungono ogni parte d’Italia e spesso anche all’estero in una catena di solidarietà commovente che aiuta a ottenere il lieto fine: ritrovarsi, come accaduto alla famiglia protagonista della storia raccontata in questa pagina. Ed  è proprio  questa  pagina  che  ha   permesso  questa    storia   che  alla  chi  l'ha  visto  ho trovato  su  la  nuova  Sardegna   del  4\1\2023  


Separati da bambini si ritrovano dopo 40 anni Tre sorelle e un fratello di nuovo insieme grazie a Facebook Nati a Sassari e dati in adozione, cercano altre tre sorelle  La storia a lieto fine di Stefania, Sonia Katiuscia e Davide in attesa di riabbracciare anche Lucia, Maria e Stella

                         di Silvia  Sanna  


La storia a lieto fine di Stefania, Sonia Katiuscia e Davide in attesa di riabbracciare anche Lucia, Maria e Stella Sassari Si tengono per mano come se fossero ancora bambini, stanno attaccati l’uno all’altra per paura di perdersi, un’altra volta. La vita li ha separati molti anni fa, quando la più grande aveva appena sei anni e le più piccole pochi mesi. E il maschio di casa ancora non era nato: cresciuto da figlio unico, ha riabbracciato tre sorelle e aspetta di conoscere le altre tre che ancora mancano all’appello. È la storia della famiglia Spanu, sette fratelli di cui solo uno, Davide, porta il cognome paterno. Perché è
l’unico a non avere lasciato la casa al centro storico di Sassari per andare in orfanotrofio, in attesa che una nuova famiglia lo adottasse. Questo è stato il destino delle sue sorelle, nate in una famiglia piena di problemi e dove le bocche da sfamare erano troppe. Dopo quasi 40 anni, sorelle e fratello si sono riabbracciati, grazie alla tenacia di due di loro e alla potenza straordinaria di un gruppo Facebook che ricongiunge esistenze e affetti che sembravano perduti. Dice Stefania: « È fantastico vederli, averli intorno, parlarci, scoprire quanto ci assomigliamo e non solo fisicamente. Ora ho di nuovo con me le mie sorelle, mio fratello e anche nipoti, cugini delle mie figlie. Adesso speriamo di ritrovare anche le altre sorelle, è un sogno che si realizza». Nella foto di famiglia nuova di zecca ci sono Stefania Lupinu, Sonia Atzeni, Katiuscia Mele e Davide Spanu, mancano Lucia, che si è già fatta avanti e vive in Lombardia, Maria e Stella , di cui per ora non si hanno notizie. Ma le ricerche continuano Separati da piccoli Primi anni Ottanta, la piccola casa nel cuore di Sassari a pochi metri da Sant’Apollinare è già popolata da alcune bambine. Ci sono Sonia, Lucia, Katiuscia, Stefania, Maria e sta per arrivare anche Stella. «Un giorno sono venuti a prenderci – racconta Stefania, che oggi ha 40 anni – le mie sorelle sono andate in orfanotrofio, io invece ho trascorso un periodo in ospedale perché mia madre, che si chiamava Marinella, ha spiegato che avevo bisogno di cure. E sono stata affidata quasi subito a una nuova famiglia, avevo circa un anno e mezzo. Delle mie sorelle non ho saputo niente sino a poche settimane fa ed ero la sola tra loro a sapere di avere anche un fratello, nato 11 anni dopo di me, l’unico che non è stato allontanato dai nostri genitori naturali». Stefania è stata adottata da Rita e Gavino Lupinu «due persone eccezionali che mi hanno dato un amore immenso. Mio padre è scomparso nel 2010 e ancora faccio fatica ad accettarlo, mia madre ha 92 anni e sta a casa con me». Stefania Lupinu ha sempre saputo di essere stata adottata e quando ha compiuto 18 anni Rita e Gavino le hanno rivelato le sue origini. « Ho iniziato subito le ricerche. Per prima cosa sono andata nella casa al centro storico di Sassari e mi sono presentata a mio fratello, che aveva appena compiuto 8 anni. Poi ho cercato di rintracciare le mie quattro sorelle, ignoravo che ce ne fosse una quinta. Avevo trovato un libretto medico dove erano registrati nomi e date di nascita, purtroppo durante un trasloco l’ho perso e ricordavo soltanto alcuni nomi. Non è stato semplice venirne a capo, ma non mi sono arresa». Le ricerche Stefania si sposa, diventa mamma di due bambine, ha una vita serena. Ma c’è sempre quel chiodo fisso. Nel 2017, ai primi di dicembre, decide di pubblicare un messaggio sul gruppo Facebook “Ti cerco, appelli di persone che cercano le proprie origini e i propri cari: “Mi chiamo Stefania Gesuina Lupinu Spanu..... Sono la più piccola di 4 femminucce nate a distanza di un anno una dall'altra a quanto so. una si chiama Maria.. . poi Stella... katiuscia... e io... vorrei riuscire a trovarle... sapere se stanno bene... se hanno costruito una famiglia felice come la mia...” Non succede nulla sino al 2020, quando Stefania decide di ripubblicare lo stesso appello. Ma la svolta avviene all’inizio di dicembre, quando una delle due sorelle si rivolge allo stesso gruppo Fb: “Mi chiamo Sonia.... sono nata a Sassari... cerco i miei familiari...” Le responsabili del gruppo capiscono che Stefania e Sonia sono sorelle e le mettono in contatto. Ritrovarsi L’abbraccio avviene il 9 dicembre alla stazione di Sassari, dove Stefania va a prendere Sonia, che arriva da Cagliari: qui vive da molti anni, ha un figlio e fa l’insegnante. «Credevamo di commuoverci moltissimo, invece ci siamo messe a ridere, risate di gioia, liberatorie». Pochi giorni ed ecco che è spuntata anche la terza sorella, Katiuscia, che gli ultimi 40 anni li ha trascorsi a Siniscola, fa assistenza agli anziani ed è madre di una ragazza: anche Katiuscia non ha mai smesso di pensare alle sue sorelle ma aveva tanta paura di essere respinta. Stefania presenta a Sonia e Katiuscia Davide, il fratello di cui ignoravano l’esistenza. «È una scoperta continua – raccontano – abbiamo da recuperare un’intera vita vissuta lontani». Ieri la storia dei fratelli ritrovati è approdata in tv, nel salotto della trasmissione Rai “I fatti vostri”. Poco dopo la puntata, durante un pranzo in famiglia in una trattoria romana, è arrivato il messaggio di Lucia: «Vi ho visto, sono io, sto bene, ci vediamo presto». Dopo un’attesa così lunga, l’arrivederci più dolce che c’è.

MATER SOCIAL di Simone Sanna

Simone Sanna ha perfettamente ragione purtroppo . ma vanno fatte delle precisazioni non tutti i genitori e non tutte le mamme , c'è una minoranza che non si può identificare in genitori social , sono cosi . Ci sono e che purtroppo sono mosche bianche genitori che sono coerenti tra il dire il fare e stanno lontano dai social o se ci sono evitano sparate del genere commenti a post del genere


Ma  pra  lascimo la  parola   a Simon

LA MATER SOCIAL È PERFETTA E HA FIGLI PERFETTI. LA MATER SOCIAL LEGGE I TITOLI DEGLI ARTICOLI CHE PARLANO DI PROFESSORI VESSATI DAGLI ALUNNI E SCENDE IN CAMPO A VISO APERTO DICHIARANDO CHE SE FOSSE SUO FIGLIO QUANDO TORNA A CASA GLI DAVO DUE SCHIAFFI CHE IL RESTO GLIELO DAVA IL MURO. LA MATER SOCIAL SI DIMENTICA PERÒ DI QUANDO AVEVA DATO DELLA TROIA ALLA PROFESSORESSA PERCHÉ GLI AVEVA ROVINATO IL WEEK END CON I TROPPI COMPITI.
LA MATER SOCIAL È FIERA, NON GUARDA IN FACCIA NESSUNO, BATTAGLIERA, SI COMMUOVE PER I GATTINI, PER I BAMBINI DELL, AFRICA, PER GLI ESCHIMESI CHE SOFFRONO IL FREDDO, POI A CASA LASCIA CORRERE SE IL FIGLIO DA DEL NEGRO O DEL FROCIO AL SUO COMPAGNETTO.
LA MATER SOCIAL NON CREDE CHE IL FIGLIO POSSA FARE QUELLO CHE GLI HANNO DETTO PERCHÉ LEI LO HA CRESCIUTO CON I GIUSTI VALORI E SE LE FANNO NOTARE CHE CI SONO LE TELECAMERE INVOCA LA VIOLAZIONE DELLA PRIVACY.
LA MATER SOCIAL STA TIRANDO SU UN ESERCITO DI CRETINI CHE FA DEL BULLISMO E DEL DANNO PUBBLICO UNA BANDIERA DA SVENTOLARE CON FIEREZZA.
LA MATER SOCIAL È SOLA E CRESCE I SUOI FIGLI NELLA SOLITUDINE.

ha ragioe . infatti << Dovremmo passare quanto più tempo possibile con i nostri cari, finchè siamo in tempo... Per ognuno di noi il tempo a disposizione nella nostra vita è come una clessidra, ma che non possiamo vedere, non possiamo sapere quando l'ultimo granello di sabbia verrà versato; ed è per questo che dovremmo prenderci cura dei nostri affetti, perchè non sappiamo quando sarà il nostro o il loro ultimo granello di sabbia... Potrebbe essere oggi, o domani o tra 50 anni, ma di sicuro, ciò che conta è il momento presente, goderci ogni granello di sabbia a disposizione ed essere grati per questo. >> Simona Rubino di Story Impact italia vedi video sopra

Biagio Conte un santone o un beato ? comunque sia lasciarlo morire in pace come da lui richiesto

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 d  REPUBBLIC    DEL  3\1\2023 

Palermo, in fila al capezzale di Biagio Conte sperando nell'ultimo miracolo del missionario laico





Dietro la porta della sua stanza, nella missione di via Decollati, si coltiva la speranza di un miracolo. Arrivano da tutta la Sicilia per poggiare lo sguardo su di lui soltanto per una manciata di secondi. Una preghiera, il segno della croce e

tante lacrime. Biagio Conte lo sa. Anche se da giorni non parla quasi più e vuole soltanto silenzio attorno a sé. Disteso nel suo letto, dentro il solito saio verde, non smette di combattere contro il cancro. Le cure mediche per contrastare la malattia, però, sono cessate.
Ieri gli è arrivato il canto dell'Alleluia della messa che don Pino, da sempre al fianco di Conte, ha deciso di celebrare proprio accanto alla sua stanza, poco distante dalla croce di legno che si staglia sulle catapecchie del quartiere e dalla statua della Madonna in mezzo agli alberi di ulivo a cui Conte è da sempre devoto. "Qui siamo abituati ai miracoli. A quelli di tutti i giorni, come riuscire a dare da mangiare a pranzo e a cena a 600 persone con l'aiuto della provvidenza, ma anche a cose più straordinarie", dicono i volontari della Missione di Speranza e Carità, fondata dal missionario laico che nel 1990 ha lasciato tutto per dedicare la sua vita agli ultimi. Dieci sedi in tutta la Sicilia, quattro soltanto a Palermo che accolgono seicento indigenti. Fra i miracoli quello che ha riportato in piedi lo stesso Conte nel 2014: dopo un bagno nella piscina di Lourdes abbandonò la sedia a rotelle su cui era costretto da anni.
Dietro la "cella" del missionario trasformata in astanteria, si è ritrovata una famiglia di Raddusa, in provincia di Catania. Oltre trent'anni fa, il ventiseienne Conte, si rifugiò da loro con un'altra identità vivendo per un anno da pastore. La sua scomparsa fini al centro di più puntate della trasmissione televisiva 'Chi l'ha visto?'. "Ci impedì di rivelare che era a Raddusa - ricorda Francesco Leonardi, figlio del pastore che accolse il missionario - . Si faceva chiamare Francesco. Ricordo che prendemmo mio padre per pazzo visto che aveva accolto uno sconosciuto, invece papà aveva capito tutto. Biagio è un angelo intorno a noi". Tanti gli aneddoti su Conte che non fu sbranato dal branco di cani a guardia del bestiame, che si rivolgeva alle pecore perché non rovinassero il raccolto del grano. Che a un certo punto lasciò Raddusa per raggiungere Assisi a piedi e conoscere così i luoghi di San Francesco che da allora ha ispirato la sua missione. Il primo dei tanti viaggi in lungo e in largo in Sicilia, in Italia e all'Estero per portare in giro un messaggio di pace con la croce sempre sulle spalle. Viaggi alternati ai lunghi periodi di digiuno davanti alle poste centrali, alla cattedrale, alla casa del beato Pino Puglisi a Brancaccio per dare voce alle battaglie contro il respingimento dei migranti e per l'accoglienza dei poveri.
L'ultimo esilio in una caverna delle montagne di Palermo è durato nove mesi fino alla scorsa primavera. Poi a giugno la scoperta di avere un cancro al colon. "Quando abbiamo saputo che stava male ci siamo precipitati. Ha dedicato la sua vita a chi non ha nulla, non chiedendo mai nulla per sé. Un esempio per tutti", dicono Francesco e la sorella Enza che ieri hanno partecipato alla messa. C'era anche Michelangelo, ribattezzato da tutti "l'uomo della carne". "Ventotto anni fa ho chiesto a Biagio cosa potessi fare per la missione - racconta - . Rispose che non aveva mai della carne da dare agli ospiti. Pochi giorni dopo mi donarono una mucca. Da allora per la missione ne abbiamo macellate 34. La provvidenza continua a riempire camion di provviste per i poveri di Biagio".
Fino al giorno di Natale Conte si è occupato personalmente della missione: l'accoglienza di nuovi poveri, la sistemazione nelle stanze, i libri scolastici per i bambini che ancora non li avevano, le scarpe per gli operai. La sera del 31 dicembre la missione si è riunita attorno a lui per tutta la notte per l'adorazione eucaristica. Un tavolo come fosse un altare è stato sistemato proprio accanto al letto di Conte. L'indomani, primo dell'anno, giorno dedicato alla Madonna, con una sedia a sdraio il missionario laico è stato trasferito in chiesa per la messa. "Vi voglio bene", ha detto alla comunità in quell'occasione. Durante la messa, ieri, si pregava per lui fra i canti e le letture del giorno. "Preghiamo perché guarisca", dice una ragazza. Per don Pino è tempo di "mettersi nelle mani di Dio". La missione continua a pregare.