Nell'euforia e la confusione generale per almeno una decina di minuti ci sono state due coppe in campo e nessuno se n'è accorto. Solo l'attaccante della Juve, con l'originale in mano, ha capito che c'era qualcosa che non andava: ha raggiunto Messi che si trovava sul lato opposto e gli ha fatto vedere l'originale. Leo è rimasto sconcertato ma si è fatto subito una risata scambiando qualche battuta con il compagno di squadra che se la rideva come un pazzo. Una volta ricevuta la telefonata dalla coppia di tifosi, il fotografo del Clarín ha voluto vederci chiaro e li ha raggiunti nella loro casa di La Plata, 60 chilometri da Buenos Aires. Entrambi gli hanno confermato la storia e gli hanno mostrato l'oggetto del contendere spiegando anche perché fosse così simile all'originale. "Prima dei Mondiali", hanno detto, "abbiamo contattato alcune persone che si dedicano a realizzare delle perfette copie di famosi originali ma ci sono voluti sei mesi per realizzarla. Ha lo stesso peso ed è fatta con della resina; all'interno è rivestita di quarzo, bagnato a sua volta con una vernice simile all'oro. Ci sono dei dettagli, segni e rilievi diversi, ma la differenza è davvero minima". Paula e Manuel volevano fare quello che hanno poi fatto: consegnarla ai giocatori per farla firmare. "E' entrata per tre volte in campo", ha ricordato Paula, "la prima è stata afferrata da Paredes che l'ha firmata. La seconda ce l'hanno chiesta 45 minuti dopo il fischio finale; è passata da un giocatore all'altro, e ancora tra i parenti che l'hanno immortalata con una serie di foto. In Tribuna qualcuno si è accorto della cosa e mi hanno gridato che mi ero persa il trofeo. Eravamo allegri, entusiasti, lasciavamo che la coppa girasse da una parte all'altra. Ma volevamo anche averla indietro. Ho gridato a quelli che erano in campo che se vedevano Parades con il trofeo in mano ce la restituissero. Alla fine l'ha riportata Lautaro Martínez, dopo averla anche lui firmata. La confusione era comunque totale, tanto che gli addetti della Fifa sono venuti da noi e ci hanno chiesto di confermare che non si trattava dell'originale". La Winner Trophy consegnata da Infantino a Messi di solito resta in campo una manciata di minuti; deve essere riconsegnata per tornare nella sede della Fifa a Ginevra. Quella che ha fatto il giro è invece una copia e lo scambio avviene sempre in una stanza privata dello stadio. A Doha, a differenza dei Mondiali precedenti, entrambe sono rimaste in campo. Accompagnati dalla terza, la trota, all'insaputa di tutti. Una girandola che ha divertito ma anche messo in crisi la sicurezza che rincorreva i vari trofei senza capire quale fosse l'originale. Non tutti hanno apprezzato la mossa della coppia di tifosi. I loro account sui social sono stati riempiti di insulti oltre che da battute ironiche. Molti hanno conservato la foto- simbolo della vittoria argentina sui Bleus come una reliquia. Qualcosa da ammirare e conservare negli anni. Qualcosa di unico. L'originale. Il falso, nonostante abbia avuto il suo momento di gloria, è sembrato una beffa
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
6.1.23
Messi, era falsa la coppa del mondo nella foto da 74 milioni di like L'altro trofeo, commissionato da una coppia di tifosi argentini, è stato per sbaglio consegnato dopo la premiazione ufficiale al capitano, che ha sfilato facendo il pieno dei consensi sui social ignari
per l'ipocrita Diritto all’oblio dei mafiosi , la Rai spegne lo speciale Tg1 su Rita Atria
Stavo finendo il post della nuova rubrica settimana incom quando alla lettura dell'orripilante notizia della censura sulla morte di Rita Atria ( vedere articolo sotto e scheda al lato entrambi presi da IFQ del 5 Jan 2023 ) mi chiedo ma il diritto all'oblio può evitare di cancellare \ rimuovere ma in questa caso si parla di censurare la storia e le storie ? Secondo me si se si fa come suggerito nell'articolo sotto o quando come nel caso della sentenza Ecn isole della rete contro Caradonna si quando si tratta di fatti storici ancora attuali come quello della coraggiosa e giovane Rita Atria
di Stefano Caselli e Maria Cristina Fraddosio
Diritto all’oblio, la Rai spegne lo speciale Tg1 su Rita Atria
Il doc di Giovanna Cucè rimosso da Raiplay. Tre arrestati per mafia negli anni 90 minacciano richieste danni per 60 mila euro
- Il Fatto Quotidiano
- » Stefano Caselli e Maria Cristina Fraddosio
La storia, struggente e importante, è di quelle che è bene continuare a raccontare. È la storia di Rita Atria che il 26 luglio 1992, a soli 17 anni, morì cadendo da un balcone del quartiere Tuscolano a Roma. La storia di una ragazza nata e cresciuta in una famiglia di mafia della provincia di Trapani che, dopo gli omicidi del padre e del fratello maggiore, decise di tagliare quel cordone ombelicale e di collaborare con la magistratura. La storia di una ragazza che Paolo Borsellino, che raccolse parte delle sue dichiarazioni, considerò come una figlia acquisita. La storia di una ragazza, prigioniera a Roma di un programma di protezione testimoni, che non sopportò la morte di quel secondo padre e che sette giorni dopo la strage di via D’amelio cadde nel vuoto dal settima piano di viale Amelia 23 a Roma.
Una storia che rischia di non poter più essere raccontata, almeno non nella forma scelta dalla giornalista Rai Giovanna Cucè, autrice dello speciale Tg1 Rita Atria, la settima vittima, trasmesso il 17 luglio in
un frame della trasmissione in questione |
seconda serata. Il programma, della durata di 58 minuti, è stato infatti rimosso da Raiplay a causa di alcune immagini di repertorio di una trentina di arresti (con manette pixelate), relativi alla cosiddetta “faida di Partanna” (di cui parlò proprio Rita Atria) su mandato dall’allora procuratore capo di Marsala Paolo Borsellino. Tre persone ritratte in questi filmati si sono sentite lese nell’immagine e hanno minacciato cause alla giornalista, alla direttrice del Tg1 e alla Rai per un totale di 60 mila euro. La Rai ha così deciso di rimuovere lo speciale in attesa del giudizio.
IL TEMA
è assai delicato perché riguarda il diritto all’oblio, civilissima e recente conquista, tuttavia in inevitabile conflitto con il diritto di cronaca. Gli arresti del novembre 1991 e del marzo del 1992 raccontano infatti una pagina importante di storia (oltre a contenere un inedito audio del super boss latitante Matteo Messina Denaro). Se aggiungiamo che uno dei ricorrenti è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa (il secondo è stato condannato in primo grado e assolto in appello, il terzo assolto in tutti i gradi) il tema si fa ancora più complesso. Possiamo forse immaginare un documentario sul maxiprocesso di Palermo senza le immagini dell’ucciardone?
Il rischio di creare un ingombrante precedente esiste. E una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere come la prescrizione, che un articolo della riforma appena entrata in vigore considera titoli sufficienti per una richiesta di de-indicizzazione dei contenuto online ai motori di ricerca, può prevalere
sempre e comunque sulla cronaca e sulla storia? La Rai, nel dubbio, ha scelto la via breve. A quanto si apprende da fonti di viale Mazzini, il filmato sarebbe stato rimosso in via cautelativa poiché ritrae soggetti poi successivamente assolti (ma non solo, come sappiamo) e – soprattutto – perché per le stesse immagini (ma con manette non pixelate) l’azienda era già stata condannata alla fine degli Anni 90. UNA SOLUZIONE meno drastica come rimontare lo speciale eliminando le sequenze “incriminate” o oscurando i volti dei ricorrenti, avrebbe forse meglio conciliato il diritto all’oblio con quello di cronaca, ma per il momento non è stata presa in considerazione. Il reportage di Giovanna Cucè ricostruisce il contesto in cui Rita Atria, originaria di Partanna (Trapani), divenne testimone di giustizia. Il contesto degli arresti è quello di una faida tra due clan, gli Ingoglia e gli Accardo, questi ultimi appartenenti al mandamento di Castelvetrano, al cui vertice c’era Francesco Messina Denaro, padre del noto latitante. Borsellino indagava sui delitti che stavano insanguinando Partanna, anche grazie alle testimonianze-chiave di due donne, Piera Aiello (ex deputata 5S) e Rosalba Triolo, e della minorenne Rita Atria. Il decesso della “picciridda”, come la chiamava Borsellino, è stato archiviato nel 1993 come suicidio. A distanza di 30 anni, la sorella Anna Maria (intervistata da Cucè) ha presentato un esposto alla Procura di Roma per chiedere che le indagini vengano riaperte.Viale Mazzini: la replica Per gli stessi frame (ma con le manette a vista) l’azienda fu condannata in passato. Nel dubbio, non si aspetta il giudizio
5.1.23
laura '75 dopo aver sconfitto un tumore ha fatto karate è arrivata a conseguire la cintura blu.
Dall'account stesso della protagonista
Laura, classe 75, ha iniziato a praticare il Karate non più giovanissima, nonostante ciò dopo un percorso di formazione costante è arrivata a conseguire la cintura blu. Una strada non sempre facile considerando varie problematiche legate anche a problemi di salute seri a cui è dovuta andare incontro durante questo cammino. Un tragitto di grandi insegnamenti che, grazie al supporto dei due tecnici del "Martial Club Tempio Pausania" : Giuliano Addis e Pietro Manueddu, è riuscita a portare avanti nonostante le difficoltà. Questa esperienza vuole essere una testimonianza per tutte quelle persone che pensano non sia possibile seguire un percorso formativo, come quello del Karate, in età adulta e un'esortazione affinché si portino avanti i propri obbiettivi con determinazione e assiduità. Quello che sento di dire a tutte le persone che affrontano una difficoltà è di non arrendersi mai davanti ai problemi, fissare degli obiettivi e portarli a termine seguendo la propria linea di pensiero e concentrandosi sul traguardo da raggiungere.Pelé e il ‘non-gol’ più bello della storia del calcio: la magia senza tempo che incantò il mondo
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Perché è impossibile dire chi fosse davvero più forte tra Pelé e Maradona
Lo so che non si può sempre stare a parlare di Pelè e che ci saranno i benaltristi che giustamente diranno ci sono cose più importanti . Ma certe imprese sono talmente memorabili anche una generazione che non lo ha conosciuto quando giocava e soprattutto non hanno tempo . Infatti un n giocatore che ha segnato più di 1.000 gol , ma anche no , può essere ricordato positivamente per averne mancato uno . Si se è un grande come Lui
da https://www.fanpage.it/sport/calcio/
Pelé è morto all'età di 82 anni e tutti gli stanno rendendo omaggio con tributi di vario tipo da ogni parte del mondo. Il fuoriclasse brasiliano era una leggenda vivente e l'affetto con cui viene ricordato ne è la riprova.
In queste ore stiamo ammirando, nuovamente, tanti gol e tante giocate che lo hanno reso O Rei ma c'è un episodio che rende bene l'idea del perché questo ragazzo nato a Três Corações è diventato il simbolo del calcio carioca. Guadalajara, Messico, è il 17 giugno 1970. Italia e Germania Ovest poche ore prima avevano dato vita alla ‘Partita del secolo' e la Seleçao vinse 3-1, raggiungendo gli Azzurri in finale.
la settimana incom : spettacolizzazione della morte , ancora ci si scandalizza per un bacio gay in tv , muore per overdose ma chi gli ha dato la droga non può essere processato , scuse per non passare da no vax truffatrice
dA FACEBOOK
Aurora Aury Brundu
·
L'immagine è profonda e piena di sentimento ....quello che "non mi piace" è l'esibizione.
È da giorni che quel povero cristo viene mostrato a migliaia di persone tutti con il telefonino a farsi le foto d'avanti al povero cadavere pallido a dir poco. Infatti molti di loro sono andati per fare la foto e postarla immediatamente sui social,si molto sentimento in tutto ciò ormai siamo in tempi moderni ....anche i morti devono aggiornarsi.
Il vero sentimento nel mio modesto parere è quella cosa che uno prova dentro il suo cuore e non ha bisogno di mostrarlo a nessuno ....questo spettacolo sta durando anche troppo,oggi il papa troverà finalmente la sua pace ,Amen RIP.
Vero. Pur non amando padre Georg, illustre allievo del suo mentore e quindi anti-Francesco e anticonciliare, qui io vedo l'uomo, sinceramente addolorato, e lo comprendo. Quanto alla spettacolarizzazione della morte... siamo alle solite, purtroppo.
......
leggo.it
Un posto al sole, il bacio gay fa scoppiare la polemica contro la Rai: «Turbate i minori»
I personaggi Sasà e Castrese si sono lasciati andare al momento di tenerezza nella puntata del 2 gennaio, ma la scena ha spaccato il pubblico. Devono essere genitori che non sono in grado di spiegare il sesso ai loro figli se non al di fuori del vecchio schema i bambini nati sotto un cavolo o le bambine sotto una rosa . Oppure quella più neutra li porta la cicogna. «Siamo nel 2023, non scandalizzatevi», scrive un utente su Twitter. Infatti scandalizzatevi per cose più serie.
Infatti concordo con Lorenzo tosa
Volevo rassicurare omofobi e retrogradi vari ed eventuali che i “minori” (ammesso che qualcuno di loro guardi “Un posto al sole”) sono mediamente molto più aperti, civili ed evoluti degli “adulti” che vorrebbero proteggerli.
Perciò la smettano di rifugiarsi dietro ai minori per non affrontare, una volta per tutte, le gravi lacune di empatia, civiltà, alfabetizzazione emotiva che loro, in una vita intera, non sono riusciti a colmare.
Olbia Selene Barbuscia aveva 32 anni quando le venne data una dose di eroina letale, un quantitativo di droga troppo alto per l’organismo di un essere umano e per di più di pessima qualità. Il corpo senza vita della donna venne trovato in un appartamento di un condominio, nel centro di Olbia.
Era l’estate del 2019 e oggi il gup del Tribunale di Tempio ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Amofa Osas, 42 anni, cittadinanza nigeriana, l'uomo accusato di avere dato l’eroina a Selene.
Selene Barbuscia (foto Busia) |
Selene Barbuscia aveva 32 anni quando le venne data una dose di eroina letale, un quantitativo di droga troppo alto per l’organismo di un essere umano e per di più di pessima qualità. Il corpo senza vita della donna venne trovato in un appartamento di un condominio, nel centro di Olbia.
Era l’estate del 2019 e oggi il gup del Tribunale di Tempio ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Amofa Osas, 42 anni, cittadinanza nigeriana, l'uomo accusato di avere dato l’eroina a Selene.
La contestazione è morte come conseguenza di altro reato. Il giudice ha applicato, una delle prime sentenze in Italia, le disposizioni contenute nella riforma del processo penale varata dalla ministra Marta Cartabia (governo Draghi). Il processo non si celebra perché Amofa Osas non è stato mai rintracciato, nonostante le ricerche a Olbia delle forze dell’ordine.L’uomo è sparito nel nulla. Con le nuove disposizioni del Codice di Procedura penale, si evita di tenere in piedi un processo che, di fatto, non può essere celebrato.
Zonato , la frontiera ©Daniela Tuscano
Zonaro, la frontiera
Sanremo era mèta del turismo ricco, soprattutto inglese e russo (zarista), capitale della Belle Époque, ma a Zonaro non sfuggiva quel suo lato finitimo, sorta di Colonne d'Ercole italiane, e ne predilesse la parte più umbratile e defilata, anch'essa di confine. Zonaro era reperto vivente: nato a Padova, ultimo lembo di Levante italiano, fu l'ultimo ritrattista ufficiale del sultano Abdulhamid e, al crollo dell'Impero, si stabilì nel Finisterre, ultimo lembo italiano, stavolta d'Occidente, dove terminò i suoi giorni, in esilio, anche Maometto VI, fratello di Abdulhamid. Zonaro (con)visse con l'ultimità, e in definitiva con la favola: l'Oriente delle odalische e degli eunuchi, dei diwan e delle terme, che si chiamava Costantinopoli; e Zonaro, come il Sinan di De André, era egli stesso turco, un turco padovano-sanremese, un turco italiano
. Sarebbe piaciuto ad Alessandro Spina, cioè Basil Khouzam, lui pure un ultimo, un siro-libico italiano. Testimoni d'una fratellanza d'arte e letteratura, favolistica perché inattuale, favolosa perché crudele, pur nella brillantezza dei colori e l'eleganza della prosa. Non sorprende che il tempo ordinario, il tempo smemorato, di quest'eternità non conservi nulla, anzi la ignori; solo fuori della storia, essa troverà dimora.
© Daniela Tuscano
4.1.23
viaggiare da soli o in compagnia ?
il perché ho scelto di chiamare le mie appendici internet anch'io è per questo che avevo chiamato il mio mio blog cdv.splinder.com poi con il passaggio a blogger www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com e poi la pagina Facebook compagnidistrada sta in questo post del gruppo facebookiano compagnidiviaggio2013
Ci vuole passione per raccontare una storia degna di essere raccontata è il caso del libro e poi documentario Balentes - I Coraggiosi di Lisa camillo
UNA FERITA ITALIANA
alla base nato del monte limbara |
un dei tanti poligoni sardi |
COMUNICATO STAMPA - La vittoria di Balentes in Tribunale from Lisa Camillo on Vimeo.
oppure sul suo istangram
Mesi fa, grazie all’astuta mossa dell’Avvocato Gianfranco Sollai rappresentante di militari e residenti a Teulada, colpiti da tumore, il mio documentario Balentes fu messo agli atti del processo di Teulada per le importanti testimonianze all’interno del film ed per la vasta ricerca che feci al riguardo. E’ stata la prima volta che un film sia stato messo come prova ad un processo giudiziario.
Grazie al film Balentes e agli avvocati Giacomo Doglio, Roberto Peara, Gianfranco Sollai e Caterina Usala, che il GIP, Maria Alessandra Tedde, ha decretato, in una decisione storica e coraggiosa, sull’imputazione coatta di cinque capi militari che avevano responsabilità sul poligono e andranno a processo per disastro innominato aggravato, rischiando anche l’incarcerazione.
Il GIP. ha dato 5 mesi di tempo al PM per espletare ulteriori indagini al fine di verificare il nesso di causalità tra i deceduti per tumore e l’attività militare.
Non so che altro aggiungere di originale e di non scontato . Se non di andarlo a vedere Balentes andare su Prime Video o su Apple Tv! E magari leggere il.librp
Grazie a Facebook a Sassari, dopo 40 anni 4 fratelli separati per essere addotati si ritrovano e cercano gli altri tre
L'iniziativa del grippo fb ti cerco permette a Figli, fratelli, genitori, ma anche amici, compagni di scuola. persone con le quali si è condiviso qualcosa e che si ha voglia di ritrovare. È un flusso costante di appelli nella pagina Facebook “Ti cerco, appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari”, nata qualche anno per iniziativa di un gruppo di amiche, senza alcun scopo di lucro ma spinte da una grande generosità verso il prossimo. Una iniziativa vincente, perché sta aiutando tantissime persone a ritrovare affetti, a ricostruire le proprie origini e riassaporare la felicità. Chi cerca qualcuno può inviare un appello, spesso accompagnato da fotografie, che viene visionato dalle responsabili della pagina prima di essere pubblicato, così da garantire la tutela della privacy, in maniera particolare quando sono coinvolti minori. La forza della pagina è data dalle condivisioni, che raggiungono ogni parte d’Italia e spesso anche all’estero in una catena di solidarietà commovente che aiuta a ottenere il lieto fine: ritrovarsi, come accaduto alla famiglia protagonista della storia raccontata in questa pagina. Ed è proprio questa pagina che ha permesso questa storia che alla chi l'ha visto ho trovato su la nuova Sardegna del 4\1\2023
Separati da bambini si ritrovano dopo 40 anni Tre sorelle e un fratello di nuovo insieme grazie a Facebook Nati a Sassari e dati in adozione, cercano altre tre sorelle La storia a lieto fine di Stefania, Sonia Katiuscia e Davide in attesa di riabbracciare anche Lucia, Maria e Stella
di Silvia Sanna
MATER SOCIAL di Simone Sanna
Simone Sanna ha perfettamente ragione purtroppo . ma vanno fatte delle precisazioni non tutti i genitori e non tutte le mamme , c'è una minoranza che non si può identificare in genitori social , sono cosi . Ci sono e che purtroppo sono mosche bianche genitori che sono coerenti tra il dire il fare e stanno lontano dai social o se ci sono evitano sparate del genere commenti a post del genere
Ma pra lascimo la parola a Simon
Biagio Conte un santone o un beato ? comunque sia lasciarlo morire in pace come da lui richiesto
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d REPUBBLIC DEL 3\1\2023
Palermo, in fila al capezzale di Biagio Conte sperando nell'ultimo miracolo del missionario laico
Dietro la porta della sua stanza, nella missione di via Decollati, si coltiva la speranza di un miracolo. Arrivano da tutta la Sicilia per poggiare lo sguardo su di lui soltanto per una manciata di secondi. Una preghiera, il segno della croce e
tante lacrime. Biagio Conte lo sa. Anche se da giorni non parla quasi più e vuole soltanto silenzio attorno a sé. Disteso nel suo letto, dentro il solito saio verde, non smette di combattere contro il cancro. Le cure mediche per contrastare la malattia, però, sono cessate.Ieri gli è arrivato il canto dell'Alleluia della messa che don Pino, da sempre al fianco di Conte, ha deciso di celebrare proprio accanto alla sua stanza, poco distante dalla croce di legno che si staglia sulle catapecchie del quartiere e dalla statua della Madonna in mezzo agli alberi di ulivo a cui Conte è da sempre devoto. "Qui siamo abituati ai miracoli. A quelli di tutti i giorni, come riuscire a dare da mangiare a pranzo e a cena a 600 persone con l'aiuto della provvidenza, ma anche a cose più straordinarie", dicono i volontari della Missione di Speranza e Carità, fondata dal missionario laico che nel 1990 ha lasciato tutto per dedicare la sua vita agli ultimi. Dieci sedi in tutta la Sicilia, quattro soltanto a Palermo che accolgono seicento indigenti. Fra i miracoli quello che ha riportato in piedi lo stesso Conte nel 2014: dopo un bagno nella piscina di Lourdes abbandonò la sedia a rotelle su cui era costretto da anni.
Dietro la "cella" del missionario trasformata in astanteria, si è ritrovata una famiglia di Raddusa, in provincia di Catania. Oltre trent'anni fa, il ventiseienne Conte, si rifugiò da loro con un'altra identità vivendo per un anno da pastore. La sua scomparsa fini al centro di più puntate della trasmissione televisiva 'Chi l'ha visto?'. "Ci impedì di rivelare che era a Raddusa - ricorda Francesco Leonardi, figlio del pastore che accolse il missionario - . Si faceva chiamare Francesco. Ricordo che prendemmo mio padre per pazzo visto che aveva accolto uno sconosciuto, invece papà aveva capito tutto. Biagio è un angelo intorno a noi". Tanti gli aneddoti su Conte che non fu sbranato dal branco di cani a guardia del bestiame, che si rivolgeva alle pecore perché non rovinassero il raccolto del grano. Che a un certo punto lasciò Raddusa per raggiungere Assisi a piedi e conoscere così i luoghi di San Francesco che da allora ha ispirato la sua missione. Il primo dei tanti viaggi in lungo e in largo in Sicilia, in Italia e all'Estero per portare in giro un messaggio di pace con la croce sempre sulle spalle. Viaggi alternati ai lunghi periodi di digiuno davanti alle poste centrali, alla cattedrale, alla casa del beato Pino Puglisi a Brancaccio per dare voce alle battaglie contro il respingimento dei migranti e per l'accoglienza dei poveri.
L'ultimo esilio in una caverna delle montagne di Palermo è durato nove mesi fino alla scorsa primavera. Poi a giugno la scoperta di avere un cancro al colon. "Quando abbiamo saputo che stava male ci siamo precipitati. Ha dedicato la sua vita a chi non ha nulla, non chiedendo mai nulla per sé. Un esempio per tutti", dicono Francesco e la sorella Enza che ieri hanno partecipato alla messa. C'era anche Michelangelo, ribattezzato da tutti "l'uomo della carne". "Ventotto anni fa ho chiesto a Biagio cosa potessi fare per la missione - racconta - . Rispose che non aveva mai della carne da dare agli ospiti. Pochi giorni dopo mi donarono una mucca. Da allora per la missione ne abbiamo macellate 34. La provvidenza continua a riempire camion di provviste per i poveri di Biagio".
Fino al giorno di Natale Conte si è occupato personalmente della missione: l'accoglienza di nuovi poveri, la sistemazione nelle stanze, i libri scolastici per i bambini che ancora non li avevano, le scarpe per gli operai. La sera del 31 dicembre la missione si è riunita attorno a lui per tutta la notte per l'adorazione eucaristica. Un tavolo come fosse un altare è stato sistemato proprio accanto al letto di Conte. L'indomani, primo dell'anno, giorno dedicato alla Madonna, con una sedia a sdraio il missionario laico è stato trasferito in chiesa per la messa. "Vi voglio bene", ha detto alla comunità in quell'occasione. Durante la messa, ieri, si pregava per lui fra i canti e le letture del giorno. "Preghiamo perché guarisca", dice una ragazza. Per don Pino è tempo di "mettersi nelle mani di Dio". La missione continua a pregare.
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