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27.10.25

È UN UOMO MA DEVE GIOCARE CON LE DONNE 🤔

da
Cracks +

 Laker Jackson, un ragazzo di 14 anni che si identifica come uomo, può partecipare solo alla squadra femminile di basket a causa di un errore nel suo certificato di nascita. Alla nascita, è stato erroneamente registrato come donna e, sebbene la sua famiglia abbia corretto il documento anni dopo, le autorità sportive continuano a considerare l'atto originale per determinare la sua idoneità. Quando ha cercato di unirsi alla squadra maschile, gli è stata negata la partecipazione e gli è stato detto che poteva fare le prove solo con la squadra femminile. “Mi è sembrata una follia. L'anno scorso ho giocato con la squadra maschile in estate”, ha dichiarato Laker. Nonostante le valutazioni che confermano la sua identità maschile, la lega mantiene la sua posizione e afferma che neppure un test cromosomico sarebbe sufficiente per cambiare la loro decisione. INCREDIBILE!

diario di bordo n 153 anno III Il gesto eroico dei minatori di Portixeddu ( fluminimagiore ) Nel 1877 hanno salvato da un naufragio l’equipaggio di un mercantile inglese., Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi nonostante internet e il web

unione  sarda   26\10\2025

L’intero equipaggio di un mercantile inglese salvato dall’eroico intervento dei minatori di Poertixeddu che, per quel gesto, ricevettero il ringraziamento della regina Vittoria d’Inghilterra. La ricerca per la catalogazione di un percorso dedicato agli appassionati di trekking nel territorio di Fluminimaggiore ha

permesso di riportare alla luce una suggestiva storia della fine del 1800 ormai sepolta dal tempo e sconosciuta anche a tanti fluminesi.
Il percorso
Tutto ha inizio con la ricerca sull’origine dei toponimi delle località, attraversate dal cammino Dei Bombaroli per la catalogazione dei sentieri in cui era impegnato Fabio Ravot, escursionista di Buggerru, che conosce ogni metro e la derivazione dei nomi degli incantevoli luoghi che vanno da Portixeddu e Capo Pecora. «Tutti tranne uno – racconta – non conoscevo l’origine del nome della cala di Su Bastimentu». La piccola “spiaggia” costituita da ciottoli di granito è ubicata nel tratto compreso tra la Grotta dei Colombi e l’insenatura di Muru Biancu. «Con molto impegno nelle ricerche – aggiunge Ravot – sono venuto a sapere che il nome derivava da un fatto accaduto nel 1877, proprio davanti alla costa e di cui ho trovato unica traccia nel Quaderni di Storia Fluminese degli storici locali Bruno e Alberto Murtas, padre e figlio».
La nave
Così si è scoperto che “Su Bastimentu” era un mercantile battente bandiera inglese, che, il 21 febbraio del 1877, si inabissò col mare in tempesta. L’equipaggio rischiava di annegare ma fu tratto in salvo dai minatori della miniera del villaggio di Portixeddu, che accorsero in soccorso dei naufraghi. Purtroppo il nostromo William Tucker di 31 anni, morì il giorno dopo a Fluminimaggiore e fu sepolto presso il vecchio cimitero del paese. «Per rendere omaggio al gesto eroico dei minatori – raccontano gli storici, Alberto e Bruno Murtas – la regina Vittoria d’Inghilterra, inviò all’allora sindaco Giacomo Garrucciu un cofanetto di palissandro, con due cucchiai e altri monili d’argento». Le notizie acquisite sul mercantile hanno permesso a Ravot di scoprire che un concittadino emigrato in Inghilterra stava già eseguendo delle ricerche in terra britannica. Si tratta di Aurelio Zanda, 64 anni: «Mi sono recato a Londra nell’archivio reale. – racconta lo stesso Zanda – Da lì sono riuscito a risalire al nome dell’imbarcazione, un veliero bialbero chiamato Thetis, dell’armatore Butson. L’equipaggio trasportava in Italia stagno e ritornava dopo mesi in Inghilterra carico di sardine. Era stato costruito e varato a Foewy. E proprio in questo centro della Cornovaglia, sono riuscito a risalire al nome del comandante della nave nel 1877. Si chiamava William Bealle. È morto nel 1925 ed è sepolto nel cimitero di Foewy. Ora le mie ricerche saranno dedicate al povero nostromo Tucker, che era originario del Goland. Vorrei dedicargli anche una croce con una targa in bronzo, presso il vecchio cimitero dove è sepolto». Intanto si prosegue la valorizzazione del sentiero dei Bombaroli. «Tracciare questo sentiero è stato per me come aprire un libro – conclude Ravot – che mi ha raccontato questa storia avvincente».

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Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi e non è solo un vezzo romantico, un hobby d’altri tempi. Dove c’è una crisi, un’emergenza, una calamità naturale, i radioamatori non possono mancare ed è una rete che viene mantenuta ben oliata, pronta a intervenire e ad aprire le comunicazioni davanti a un’eventuale impossibilità di usare gli altri mezzi. Se il cellulare è muto, se internet non va, la radio c’è sempre. In Sardegna gli iscritti all’A.R.I., l’associazione radioamatori italiani, sono 160 e una rappresentativa isolana, il team Sardegna “IIØIARU”, si è appena consacrata come campionessa dei contatti radio nell’evento diploma 130/100 , una sfida indetta per i 130 anni della radio e i 100 della Iaru, l’Unione internazionale dei radioamatori.
La gara
Dal 15 settembre, al 15 ottobre oltre 63 mila radioamatori da tutto il mondo si sono collegati via radio con i loro colleghi italiani, 500 operatori divisi in 50 squadre. In 31 giorni, sono stati effettuati 650.410 collegamenti da 237 nazioni, la squadra sarda ne ha stabilito quasi 43 mila e si è aggiudicata il primo posto nella propria categoria e nella classifica generale. La procedura, immutata da decenni, prevede che un radioamatore invii con la propria radio un segnale e che dall’altra parte del globo, qualche altro radioamatore risponda. Il team era“capitanato” dalla Sezione A.R.I. di Olbia, con il supporto di soci delle sezioni di Cagliari, Carbonia, Capoterra e Sassari. «La squadra era composta da trenta radioamatori collegati dalle loro stazioni in tutta la Sardegna», racconta Roberto Alaimo della sezione olbiese, coordinatore nazionale delle stazioni marconiane.
Lo spirito di Marconi
Aleggia in Gallura lo spirito di Guglielmo Marconi che nel 1932, quando già aveva inventato la radio e vinto un Nobel, mise in contatto con le onde ultracorte il semaforo di capo Figari e quello di Rocca di Papa a una distanza di circa 270 chilometri. Oggi è la stazione marconiana IYØGA, dove intorno al 25 aprile, si celebra – come in tutto il mondo – il Marconi day in uno scenario mozzafiato. La stazione è gestita dalla sezione di Olbia nata nel 1974 e presieduta da Lucio Siddu.
La Protezione civile
L'A.R.I. e i suoi soci sono legati alla Protezione civile nazionale, in prima linea in tutte le maxi emergenze. Partecipano tutti i mesi alle prove di sintonia sulla “rete nazionale Zamberletti”, dislocati, a rotazione, nelle varie prefetture italiane e nei Centri radio mobili operativi, convocati dal ministero degli Interni. L’esercitazione serve per verificare che le apparecchiature siano pronte all’uso e che il territorio nazionale sia raggiunto in ogni più remota località. Per avere la patente di radioamatore serve una formazione e un esame e il comitato regionale Sardegna organizza corsi on line.
Radioamatore speciale
«Sempre più giovani si avvicinano a questo mondo», racconta ancora Roberto Alaimo, sulla radio ISØJMA: «Tra i nostri soci c’è Emanuele Delogu che ha preso la patente a 19 anni». Spesso c’è una tradizione familiare. «Io sono radioamatore dal 1983, e lo era anche mio padre Michele». Tra i ricordi, l’incontro con un radioamatore illustre, nell’etere IØFCG. «Ero invitato a un evento e mi hanno presentato Francesco Cossiga. Quando ha saputo che ero anche io un radioamatore ha voluto sapere tutto della mia strumentazione, di come avevo iniziato. È stata una piacevole chiacchierata». Cosa unisce i radioamatori? «Passione, curiosità per scienza e tecnologia e spirito di fratellanza».

la tragedia , la commedia , la polemica

 LA  TRAGEDIA

Ce ne  sarebbero   tante  di tragedie  di cui parlare  . Ad esempio   : morti bianche \  sul lavoro,  violenza  politica e  giovanile,femminicidi  \  violenza  di genere, ecc . Ma oggi  preferisco   soffermarmi   siugli incidenti automobilistici .   Qualcuno dirà , ma  non è una novità , ne  succedono tutti  i  giorni   n'è piena   la  cronaca  locale e   spesso come tappabuchi in  quella   nazionale   . Vero . Ma    purtroppo   essi sono  in  aumento per    imprudenze (  velocita  ,  nessuna  protezione ) ,  cmportamenti   impropri  ( cellulare  ,  droga , alcool  )   , oltre  scarsa manutenzione  e  situazione   pessima  delle strade  , destino e  condanna morale e  giuridica   per un semplice bicchiere   e  odio degli haters    . Ma   in quest'ultimo caso,riportato  sotto c'è  dietro  una storia   particolare .   ecco  la     cronaca   

da L'ECO DELLA BARBAGIA di Giorgio Ignazio Onano La morte di Omar Masia, 25enne di #Calangianus, ci insegna di come il destino sia al tempo stesso spietato e crudele.Nella notte, la bmw su cui Omar viaggiava con degli amici è precipata da un ponte lungo la strada Baldu- L’Agnata, ferendo i suoi 4 amici e non lasciando scampo a Omar.Ma a rendere ancor più sconvolgente questa tragedia è apprendere che all’arrivo dei soccorsi, tra i vigili del fuoco, ci fosse anche il padre di Omar, sconvolto quando tra le lamiere ha scoperto che ci fosse il figlio. Penso al dolore di un genitore abituato a salvare vite umane, e in contempo trovatosi a fronteggiare il dolore immenso di non poter fare altrettanto con l’amato figlio. Al papà di Omar, alla mamma e a tutta la famiglia va il nostro pensiero. Vi siamo vicini.

COMMEDIA  

Anche    per  le commedie  ce ne sarebbero tante da riportare , perchè la vita è fatta anche di commedia non solo dal punto di vista letterario\ artistico .

  da   https://www.noitv.it/

LUCCA - Enrico Casella si è visto svuotare completamente il conto corrente per via di uno scambio di persona con un omonimo di Potenza. All'INPS risultava che fosse scomparso a maggio, e che i familiari avessero indebitamente percepito la pensione per mesi. Ci ha raccontato la sua settimana da "morto"

Enrico Casella, di Ponte a Moriano, era morto il 19 maggio. Solo che non lo sapeva. A dichiararlo defunto a sua insaputa era stato l’INPS, che a ottobre gli ha svuotato il conto corrente per riprendersi i mesi di pensione riscossi dal presunto decesso in poi. La prima ad accorgersi dei problemi è stata la “vedova” – o meglio – la moglie. Cercando di pagare la spesa, Angelita Giuntoli si è vista rispondere di non avere credito sufficiente sul conto. Stupita, e pensando a un errore informatico, ha tentato un prelievo al bancomat, con lo stesso esito. Ha allora contattato la banca e si è sentita rispondere che il conto corrente era bloccato in seguito alla morte del coniuge. E non solo: era anche a zero, anzi con un ammanco di circa 62 euro.Da lì sono iniziate le tribolazioni della coppia, per capire cosa fosse potuto accadere. Per prima cosa, Enrico Casella è corso all’Ufficio anagrafe del Comune di Lucca, per farsi rilasciare un “Attestato di esistenza in vita”. Non tanto per sincerarsi di non essere morto, cosa di cui era ragionevolmente convinto, ma per avere in mano un documento che lo aiutasse ad affrontare di petto la burocrazia. Nel pomeriggio di venerdì 17, Banca ING ha comunicato che il conto cointestato ai coniugi era stato completamente svuotato dall’INPS, che si era fermato solo per mancanza di ulteriori fondi. A quel punto, è iniziata la corsa per avere un appuntamento presso la sede di Lucca dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, che gli è stato dato martedì 21 ottobre.Lì l’ex ferroviere di Ponte a Moriano – che ha 64 anni – è venuto a sapere dell’errore. Un suo omonimo, un anno più vecchio di lui, era effettivamente morto il 19 maggio a Potenza e qualcuno, in Basilicata, aveva per errore scambiato la scheda e inserito la notizia del decesso nella sua pratica. Ovviamente, ha ricevuto le scuse, un prezioso documento con la certificazione “Decesso non avvenuto” e, nel giro di 24 ore, anche il riaccredito delle somme sul conto. Ma i disagi non sono finiti: ora, per esempio, dovrà riattivare tutte le domiciliazioni bancarie delle varie utenze, e sincerarsi che non fossero stati attivati pignoramenti o procedure contro gli eredi. E Casella vuole ora andare fino in fondo alla vicenda, facendo causa per ottenere un risarcimento, perché questa settimana è stata un vero choc per la famiglia e, come racconta il pensionato, “ho potuto mangiare solo perché ho dei figli che mi hanno prestato i soldi, e ho potuto riavere i miei risparmi solo perché sono ancora abbastanza giovane e attivo. Ma cosa sarebbe successo se avessi avuto venti anni di più?”.

POLEMICA
 
Stavolta non viene da  me  . ma dalla  stessa  destra  destra    

 da open tramite msn.it 

Al raduno di Predappio tornano i saluti fascisti. La strigliata di Orsola Mussolini a Forza Nuova: «Siete qui solo per cercare visibilità»



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Sono circa un migliaio — 700 secondo la Questura — i manifestanti che domenica 26 ottobre hanno preso parte alla camminata dalla piazza di Predappio, paese natale di Benito Mussolini in provincia di Forlì, fino al cimitero di San Cassiano. Un appuntamento ormai annuale per i nostalgici del ventennio fascista e della Marcia su Roma. Dopo due anni, davanti alla cripta del Duce sono tornati anche i saluti romani. Nonostante l’invito della famiglia Mussolini a mettere la mano sul cuore, decine di manifestanti hanno alzato il braccio teso dopo il rito del “presente”. Il colore predominante, come di consueto, è stato il nero. Tra i manifestanti, tante teste rasate ma anche qualche famiglia con figli.
Roberto Fiore presente ma non partecipa al corteo
Al raduno organizzato dalle pronipoti del Duce si è aggiunta quest’anno anche Forza Nuova, formazione politica di estrema destra, con il suo leader Roberto Fiore. La questura aveva intimato ai militanti di Fn di manifestare solo dopo le 15 e non anche alla mattina con il solito corteo. I membri di Forza Nuova, però, hanno ignorato questa disposizione, sostenendo che l’atto recherebbe «una firma digitale scaduta». Fiore è arrivato a Predappio in mattinata, ma in piazza ha avuto un breve colloquio con dirigenti della Digos e alla fine ha deciso di non partecipare alla camminata verso la cripta.
La pronipote del duce contro Forza Nuova
A punzecchiare i militanti di Forza Nuova è Orsola Mussolini, pronipote del duce e organizzatrice del raduno. «Quest’anno – ha spiegato – la manifestazione è stata resa più complicata dalla presenza di una forza politica che non nomino nemmeno, ma che ha creato condizioni non buone soltanto per ottenere visibilità, mentre noi siamo qui riuniti solo per un momento di preghiera». A proposito della Marcia su Roma del 1922, il cui anniversario ricorre il 28 ottobre prossimo, la pronipote di Mussolini sostiene che «non ci fu alcun colpo di Stato. Benito è stato eletto secondo lo Statuto Albertino e prima di lui con le stesse procedure sono stati eletti 26 presidenti del Consiglio».

26.10.25

Rossano Putzu, vita e opere del genio del girarrosto L’artigiano di Serrenti crea pezzi unici ispirati alle Ferrari e alle moto da Gran premio:

 unione  sarda  del  26\10\2025 

Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

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Rossano Putzu, 71 anni, di Serrenti, è per tutti “il genio del girarrosto”. Da anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente.


Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

Ne ha realizzati a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari. Non solo tema motori, comunque; una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama.


Una delle creazioni di Rossano Putzu

Un’arte, la sua, che potrebbe sopravvivergli: il nipote Diego, 12 anni, è più appassionato a quanto succede nel suo laboratorio che dentro lo schermo di uno smartphone anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente. Che sia lui a prendere un volo o i suoi tanti amici sparsi per il pianeta a raggiungerlo nel suo laboratorio a Serrenti, osservarlo all’opera significa assistere a una coreografia di movimenti precisi che ha affinato nel corso degli anni.
La vita
Rossano viene da una famiglia numerosa, affidato a suo padrino all’età di sei anni si ritrova a Cagliari, spesso a bordo del peschereccio di colui che definisce affettuosamente un maestro di vita, dove inizia a imparare i fondamentali di quella che diventerà una vera e propria passione. «Ogni notte era una festa – racconta Putzu – e tante erano le persone che si fermavano a mangiare con noi, è così che ho imparato ad arrostire i pesci da piccolissimo». Per molti anni si guadagna da vivere facendo il meccanico, poi a un certo punto della sua vita queste due passioni sembrano intrecciarsi e Rossano inizia a dedicarsi alla progettazione e costruzione di particolari girarrosti con design di moto e auto da corsa, dando vita a un’arte unica nel suo genere. Ne ha costruiti a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari, e non solo a tema motori, una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama: «Sono oltre 40 anni che mi dedico a questa passione, alcuni lavori richiedono moltissimo tempo, per la moto di Valentino Rossi ho impiegato più di otto mesi. L’impegno è ben ripagato, di recente ho avuto il grande onore di ricevere un riconoscimento al talento artistico dai miei compaesani».
L’erede
Nessuno dei suoi figli la condivide, ma sembra avere inaspettatamente contagiato suo nipote Diego, un dodicenne più incuriosito dal nuovo girarrosto di nonno Rossano che dall’ultimo modello di smartphone in commercio. «Sin da piccolissimo osservo mio nonno arrostire e costruire i suoi girarrosti – racconta Diego – e ho sempre desiderato poter partecipare, con il tempo ho capito che stava diventando una vera e propria passione. Una delle preparazioni che mi affascinano di più è quella della Carapigna, quest’anno ho finalmente memorizzato la ricetta e ho potuto mettere in pratica le mie abilità realizzando così un grande sogno. Spero di poter portare avanti nel tempo la passione di mio nonno». La Carapigna è un sorbetto tipico della Sardegna, di cui Rossano custodisce gelosamente un’antica ricetta scritta a carbone: «Sin da bambino ha mostrato interesse per quello che faccio – spiega Rossano – quando arrostisco mi osserva sempre incuriosito, si vede che è qualcosa a cui tiene, ha appreso subito la preparazione della Carapigna e ora la realizza in autonomia». Rossano potrebbe aver trovato un degno erede della sua passione e chissà, magari tra qualche anno sarà proprio Diego a sfornare qualche originale creazione in acciaio inox.

Alberto lerza e carlo acutis “Santi a confronto: il dolore che parla e quello che viene raccontato

leggo   su  google news  più precisamente      su la stampa  del   23 Ottobre 2025 alle 07:00   articolo  ( riportato    sotto integralmente  )  di Antonio Giaimo  che  si  vuole    fare  beato  Alberto Lerza  un  bambino di  8 anni  morto    di  tumore    e da  una fede tenace.  Infatti il  titolo 


Alberto, 8 anni e una fede tenace: si pensa alla beatificazione per il “bimbo che parlava con Gesù”
Nel ricordo del figlio scomparso nel 2024 per un tumore i genitori hanno creato il «Pulmino dei sogni»: regalano ad altri piccoli malati momenti di svago lontano dall’ospedale




Il piccolo Alberto Lerza e la benedizione a Pinerolo del "Pulmino dei sogni" creato dai genitori in sua memoria

Nel ricordo del figlio scomparso nel 2024 per un tumore i genitori hanno creato il «Pulmino dei sogni»: regalano ad altri piccoli malati momenti di svago lontano dall’ospedale
«Lui per me è stato il mio padre spirituale. I ruoli si sono invertiti». È racchiuso in una sola frase quel rapporto d’amore fra Federico Lerza e il suo piccolo Alberto, a cui un tumore, a meno di 8 anni, ha cancellato un anno fa il futuro. «Con lui io e mia moglie abbiamo fatto un percorso di speranza, di dolore, ma anche di luce. Alberto ha affrontato la malattia pensando solo agli altri. Quando ero seduto accanto al suo letto, mi diceva: “Papà, questa è la mia strada, non la tua. Stai sereno, io parlo con Gesù”. Dentro di lui c’era qualcosa di diverso».
“Un bimbo che sorprendeva”
Per questo bambino, cresciuto a Prarostino e sepolto a Pinerolo nella cappella dei frati Cappuccini, ora c’è chi pensa potrebbe essere avviato il processo diocesano da seguire per la beatificazione. Chi guarda a questa possibilità è il vescovo emerito di Pinerolo, Pier Giorgio Debernardi, che ha conosciuto Alberto. «Ricordo bene il suo sguardo, la capacità che aveva di dare risposte che stupiscono. Era un bambino eccezionale: in modo semplice affrontava i temi religiosi. Diceva che per lui Dio era tutto. Una 
Federico Lerza ed Elisa Di Girolamo, papà e mamma di Alberto,
con il Pulmino dei sogni davanti al Regina Margherita
riflessione profonda, che ti puoi aspettare da un adulto e non da un bambino. Alberto ha affrontato il suo dolore pensando a chi gli stava vicino. E diceva sempre: “È il Signore che mi ha illuminato”».
Il coma e il risveglio
C’è un episodio che ricorda il papà: «I medici ci avevano detto che, prima della fine, sarebbe entrato in coma. È quello che è accaduto. Poi lui si è risvegliato, ci ha guardato e ci ha detto: “Sono andato in un posto bellissimo: le persone intorno a me ballavano e cantavano. Ho incontrato Gesù, che mi ha detto che non era ancora la mia ora e che dovevo quindi tornare indietro”». E aggiunge: «Nei 17 mesi — tanto è durata la malattia — Alberto ha dimostrato un grande coraggio e una maturità che non ti aspetti da un bambino».
Il processo diocesano per la beatificazione
Il processo diocesano, primo tassello verso la beatificazione, richiede tempi lunghi. Si potrà aprire, se il vescovo lo autorizza, solo cinque anni dopo la morte. Il cuore di Alberto si è fermato il 24 settembre dello scorso anno. Si dovranno sentire tutte le persone che l’hanno conosciuto e raccogliere testimonianze precise sulla vita di questo bambino.
Il ricordo del vescovo
Il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, ricorda: «Alberto mi ha colpito per la sua serenità. È un bell’esempio di fiducia in Dio. Vedremo cosa si potrà fare». Ma un contributo per ricordarlo l’ha già dato nel libro che il padre del bambino ha scritto, «Angelo della speranza». Il vescovo ha redatto la prefazione: «I medici non davano speranze. Il male aveva vinto. Eppure lui sorrideva. Senza rabbia, senza paura, senza tristezza». E aggiunge: «Un libro da leggere tutto d’un fiato. Una carezza per l’anima, ossigeno per la tua mente. È uno squarcio di cielo. Una palestra per allenare la tua speranza. Un sentiero per trovare la fiducia nella vita. Per dire, ad ogni pagina, che la vita merita».



dopo aver  letto e  riportato la  sua storia   mi  viene  qualche  dubbio   sulla richiesta   di beatificazione  . Infatti  da  quel  poco  che so di  teologia  e  di dottrina  della chiesa  mi  sembra  ancora  presto  . Infatti  se    da  un  lato    ci  sono  i presupposti necessari per avviare il processo di beatificazione, in modo che tu possa valutare se le informazioni in tuo possesso su "Alberto Leza" possano essere rilevanti:
  1. Fama di Santità: È il presupposto fondamentale. Deve esserci un'opinione diffusa e autentica tra i fedeli (la "vox populi") che la persona abbia vissuto una vita integra, ricca di virtù cristiane praticate in modo eroico, o che sia stata un martire (cioè sia morta per la fede).

  2. Apertura della Causa: La causa può essere avviata solo dopo la morte del fedele (di solito, non prima di cinque anni, salvo dispensa del Papa). Viene avviata a livello diocesano dal Vescovo, su richiesta di un Postulatore, e la persona in questione viene chiamata Servo di Dio.

  3. Verifica delle Virtù Eroiche/Martirio: La fase diocesana raccoglie documenti e testimonianze per dimostrare che il Servo di Dio ha praticato le virtù (Fede, Speranza, Carità e le virtù cardinali) a un livello "eroico", cioè superiore alla media.

In sintesi, affinché ci siano i presupposti per la beatificazione di "Alberto Leza", sarebbe necessario:

  • Che esista una fama di santità significativa e duratura su di lui.

  • Che sia stata ufficialmente aperta una Causa da parte della sua diocesi di appartenenza.

Se la persona è un tuo conoscente o una figura locale, l'informazione sulla possibile Causa di Beatificazione (che inizia a livello diocesano) potrebbe non essere ancora nota a livello globale. 
 Ho  fatto  attraverso internet  come suggerito   da Gemini Ia   : «  In quel caso, potresti provare a cercare informazioni presso la diocesi in cui ha vissuto e/o è morto.»    ed  ecco in sintesi    in risultato   Dai risultati di ricerca aggiornati, è possibile stabilire quanto segue in merito ai presupposti per la sua beatificazione:

  • Fama di Santità (o Martirio):

    • Sì, il presupposto principale è presente: la vicenda di Alberto Lerza è caratterizzata da una forte e crescente fama di santità, non solo a livello locale (Diocesi di Pinerolo).

    • La sua storia è stata ampiamente diffusa dai media cattolici e dal libro scritto dal padre, Federico Lerza, intitolato Alberto, l'angelo della speranza.

    • La testimonianza chiave è l'impatto spirituale che Alberto ha avuto sulla sua famiglia e su coloro che lo hanno conosciuto, in particolare la sua capacità di trasmettere la fede e l'abbandono al Signore anche di fronte a una malattia terminale (un vero e proprio "miracolo di conversione" per il padre, come testimoniato).

    • L'eroicità delle virtù si manifesterebbe nella sua forte e matura fede dimostrata a un'età giovanissima, superiore a quella che si aspetterebbe dalla media dei fedeli.

  • Stato della Causa:

    • L'apertura di una Causa di Beatificazione (che in una prima fase fa definire il candidato Servo di Dio) richiede normalmente l'attesa di cinque anni dalla morte della persona.

    • Alberto Lerza è deceduto il 24 settembre 2024.

    • Pertanto, la Causa non può essere ancora stata aperta ufficialmente, salvo una dispensa da parte del Papa (come avvenuto per San Giovanni Paolo II), che è un evento molto raro.

    • Tuttavia, il notevole impatto della sua testimonianza e la diffusa fama di santità sono fattori che, in futuro, possono portare all'apertura ufficiale del processo diocesano.

Ecco quindi che nel caso di Alberto Lerza, esistono forti presupposti per l'avvio della causa di beatificazione, in quanto è ampiamente riconosciuta la sua fama di santità e l'esercizio "eroico" delle virtù cristiane in età infantile. Tuttavia, a oggi (ottobre 2025), la causa non è ancora stata avviata formalmente in quanto non è trascorso il periodo di attesa di cinque anni richiesto dalle norme canoniche (che scadrà nel settembre 2029).Se mai dovesse essere  accolta   la  proposta io  preferisco   la   sua beatificazione rispetto a quella Il "beato dei millennials" era Carlo Acutis, morto nel 2006, che è stato canonizzato a settembre 2025, diventando il primo santo millennial della Chiesa cattolica.  In quanto Alberto ha  dato prova  di fede  con il martirio    e  l' accettazione    della  sofferenza   cosa  non  da  poco  in tempi come  questi   che  ci deprimiamo   e  piangiamo  davanti  alla  malattia  o ne  chiediamo la morte  prematura   perchè non sopportiamo le  sofferenze  .Mentre Carlo lo  ha  fatto  e testimoniato   attraverso il web   e  di quello   sono capaci   tutti  sia  chi  ha   poca fede     che   grande  fede   e sente  la  vocazione    come lui .  Infatti.  in  Alberto Lerza: c'è  il martirio dell’infanzia in quanto Morto a 8 anni per una malattia tumorale, Alberto è ricordato per la sua serenità mistica e per frasi come “Papà, questa è la mia strada, non la tua. Io parlo con Gesù”.La sua figura è legata a un dolore puro, non mediato, che si trasforma in testimonianza spirituale.La narrazione attorno a lui è ancora locale, intima, fragile, e rischia di essere travolta da una mediatizzazione che spettacolarizza il dolore infantile e per  questoi che  preferisco aspettare  anzichè  farlo  subito .Infatti  per🧑‍💻 Carlo Acutis:  definito  il santo dei millennial  e  processo  rapido   è Morto a 15 anni di leucemia fulminante, Carlo è stato beatificato nel 2020 e canonizzato nel 2025. tanto  da  essere   noto come il “patrono di Internet”, per la sua passione per il web e la creazione di siti dedicati all’eucaristia.E' vero   che La sua figura è stata istituzionalizzata, con un miracolo riconosciuto (guarigione di una studentessa dopo un trauma cranico).Ma poichè il suo corpo è esposto ad Assisi, perfettamente conservato, in una narrazione che unisce tecnologia, fede e marketing spirituale.Ecco le

🔍 Differenze chiave

AspettoAlberto LerzaCarlo Acutis
Età alla morte8 anni15 anni
Causa della morteTumore infantileLeucemia fulminante
Narrazione dominanteIntimità mistica, dolore puroSantità digitale, miracolo riconosciuto
Riconoscimento ufficialeNessuno (per ora)Beatificazione e canonizzazione
SimboloBambino che parla con DioRagazzo che evangelizza online
Rischio narrativoSpettacolarizzazione del doloreBranding spirituale




a voi decidere quale sentire di più

25.10.25

che bisogno abbiamo di hallowen Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casa Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

   a  grande  richiesta   approffondisco   quanto  detto   in   :  ‹‹  voi  festeggiate  hallowen    io  il grande  cocomero  ››  aggiungendo  ai siti del  post   precedente  un altro articolo  sulle  usanze    mortuarie   

  fonte    unione  sarda 


Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casaNella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

Un momento del rito de su prugadoriu a Seui (foto d'Archivio)

Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà.
È Sa notti ’e is animas, la notte delle anime, un rito antico che attraversa i secoli e le generazioni, e unisce memoria, devozione e comunità.
Prima che Halloween varcasse i confini del mondo anglosassone, nell’Isola si accendevano già le zucche — concas de mortu — per illuminare il cammino degli spiriti che tornavano a visitare i propri cari.
Dal tramonto del primo novembre fino alla mezza giornata del 2, le case sarde si aprono a una ritualità intima e collettiva: è il tempo di Su Prugadoriu, parola che in sardo significa “purificazione”. Secondo l’antica credenza, le anime dei defunti, ancora sospese tra la terra e il Paradiso, si preparano in quei giorni alla loro ascesa definitiva. E i vivi, in un gesto di pietà e di amore, diventano custodi del loro passaggio, offrendo preghiere, cibo e piccole donazioni.
A incarnare questa tradizione sono soprattutto i bambini, che percorrono le strade dei paesi bussando di porta in porta e chiedendo: “Mi donada su prugadoriu?” (mi dà il purgatorio?) e ricevono in cambio dolci, frutta secca o piccole offerte.
È un gesto che richiama il trick or treat anglosassone, ma con un significato profondamente diverso: qui non si tratta di gioco, non ci sono maschere, ma è un atto di carità verso le anime bisognose, un modo per “sfamare” i morti e tenerne viva la memoria.
Le famiglie rispondono con un augurio che è una benedizione: «A is animas dei nostusu, e bengada dividiu cun cussas animas chi non s’arregodanta» (alle anime dei nostri cari e con quelle anime che nessuno più ricorda).
Parole pronunciate con la stessa delicatezza con cui si accende una candela davanti a una fotografia sbiadita.
Nei piccoli centri dell’interno, la tradizione è ancora più corale: a Esterzili, per esempio, sul sagrato della chiesa di San Michele, gli adulti si ritrovano attorno a un grande falò. Si arrostiscono castagne, si beve vino nuovo, si prega e si suonano le campane “a morto” per tutta la notte.
È un modo per vegliare insieme, per condividere il ricordo e trasformarlo in vita. Anche i giovani chierichetti partecipano alla raccolta delle offerte per is animeddas, destinate alle messe in suffragio dei defunti, in un intreccio di fede e solidarietà che rinsalda la comunità.
Sulle tavole, non possono mancare is culurgionis, i celebri ravioli sardi dalla chiusura a spiga. In quei giorni sono più di un semplice piatto: la loro forma, che ricorda il ciclo della semina, è un simbolo del legame tra vita e morte, tra ciò che finisce e ciò che rinasce.
Nella notte delle anime, ogni casa diventa un altare. Le zucche intagliate e illuminate rappresentano la luce che guida i defunti nel loro viaggio verso l’eterno. In questa atmosfera sospesa, dove il sacro si mescola al quotidiano, la Sardegna rinnova un’antica promessa: ricordare i morti per restare vivi, custodire il passato per non smarrire il futuro.

A 49 anni si reinventa edicolante., A 100 anni ancora dietro il bancone: chi è Anna Possi, la barista più longeva d’Italia


 fonte unione  sarda 


La serranda abbassata da mesi, il cartello “Vendesi” ormai scolorito dal sole: sembrava la fine di una piccola storia cittadina, una di quelle che passano inosservate finché non ci si accorge del vuoto che lasciano. E invece no. Da ieri, l’edicola di viale Diaz è tornata a vivere. Dietro al bancone, con la grinta di chi ha deciso di rimettersi in gioco, c’è il 49enne Stefano Spiga, per trent’anni impiegato nel settore
ottico. «Non mi rassegnavo a vedere quella serranda chiusa ogni giorno – racconta – La guardavo dal negozio, proprio dall’altra parte della strada, nel quale ho lavorato fino a due giorni fa. E a un certo punto ho capito che era il momento di cambiare».
La decisione
Così, dopo settimane di riflessione e qualche notte insonne, Spiga ha deciso di comprare il chiosco (per vent'anni appartenuto a Nicola Madeddu) e riaprirlo, dando una svolta netta alla sua vita. Un gesto di coraggio, in tempi in cui le edicole sono in difficoltà. «È vero, il settore è in crisi – ammette Spiga – ma sono convinto che ci siano ancora margini per lavorare, se si ha la volontà di adattarsi e innovare». La riapertura, ieri mattina, è stata una piccola festa spontanea. Il chiosco, ancora semivuoto in attesa delle forniture complete, aveva già in bella vista L’Unione Sarda e alcune riviste. «In tantissimi si sono fermati a salutarmi, a farmi gli auguri, nonostante non avessi organizzato un’inaugurazione. Tutti mi hanno detto che era ora che l’edicola riaprisse».
Il futuro
L’obiettivo di Spiga è che il suo chiosco diventi un punto di riferimento, non solo per chi compra il quotidiano al mattino. «Approfitterò della posizione – spiega – siamo tra scuole, tribunale, Poste e negozi. Voglio aggiungere materiale di cartoleria, gadget, giochi per bambini. E sto valutando di attivare servizi come il ritiro pacchi o l’attivazione dello Spid. Bisogna offrire qualcosa in più, se si vuole sopravvivere». Così, tra i rumori del traffico e l’alternarsi di verde, arancione e rosso del semaforo, viale Diaz ritrova un piccolo cuore pulsante. La scena quotidiana non è poi cambiata così tanto: la via Diaz è sempre la stessa, con il suo via vai di studenti, impiegati e clienti di passaggio. Solo che ora Stefano Spiga la osserva da un’angolazione diversa. Dopo trent’anni dietro le lenti di un ottico, si ritrova dietro al bancone di un chiosco: stessi passanti, visuale identica, ma un lato diverso del marciapiede. «In fondo – scherza – ho solo attraversato la strada, ma la prospettiva è completamente nuova. E la sveglia suona decisamente presto».


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A 100 anni ancora dietro il bancone: chi è Anna Possi, la barista più longeva d’Italia
Un bar aperto nel 1958 per una storia irripetibile: a 100 anni (quasi 101) la signora Anna Possi è ancora lì, tutti i giorni, per fare e servire caffè ai tanti avventori del piccolo bar in provincia di Novara.

A cura di Leonardo Ciccarelli


                                   Foto di City News


A quasi cent’anni, Anna Possi è una figura leggendaria nella piccola comunità di Nebbiuno, sul lago Maggiore. Conosciuta da tutti come Anna René in memoria del marito scomparso, è diventata famosa per essere la barista più longeva d’Italia, alla guida del suo bar Centrale dal lontano 1 maggio 1958. Un lavoro iniziato quasi per caso in un giorno simbolico, il Primo Maggio, che per Anna rappresenta più di una data: è il senso stesso della sua vita. "Quando mi chiedono se ho mai pensato di starmene a casa a badare ai figli, rispondo che no, non ci son rimasta a casa, ma i figli li ho badati lo stesso, e pure bene", racconta ridendo a Repubblica. Con l’aiuto della figlia Cristiana, che ogni tanto le fa da interprete per colmare qualche piccolo problema di udito, Anna risponde con lucidità e determinazione a giornalisti, influencer e semplici clienti che affollano il locale. La stessa determinazione che l’ha accompagnata nei suoi oltre sessant’anni dietro al bancone.
La barista più longeva d'Italia mette a sedere tanti colleghi più giovani
Cercando le innumerevoli interviste online è impressionante vedere la vitalità di questa donna secolare. Non si tratta solo di gioia di vivere ma di vivacità mentale. D'altronde è lei la prima a dire che ha 100 anni "ma tante volte mi chiedo come sia possibile, non avranno mica sbagliato la data?" dice scherzando a Emanuele Ferrari, food blogger da oltre mezzo milione di follower che l'ha intervistata di recente. Nata a Vezzo, in provincia Verbano Cusio Ossola, in Piemonte, nel 1924, i suoi genitori avevano una trattoria. Lei ha cominciato a causa della guerra, perché doveva aiutare in famiglia: la polenta preparata in casa e portata ai partigiani. Con la fine del conflitto si trasferisce prima a Novara e poi a Genova, sempre per lavorare nel mondo della ristorazione. Il grande passo nel 1958 con l'apertura del bar Centrale a Nebbiuno, in provincia di Novara.
 daun servizio della rai  

"Per me il lavoro ha sempre rappresentato l’indipendenza economica, ma anche il servizio agli altri", spiega. E per Anna il lavoro non ha mai conosciuto pause: nemmeno durante le festività comandate come Natale o Pasqua il bar Centrale chiude le porte. La sua carriera, però, non è iniziata con il bar. Cresciuta in una famiglia che gestiva una trattoria con pensione, Anna ha imparato sin da giovane cosa significasse darsi da fare. "Dopo essere stata in collegio dalle Marcelline, alle magistrali, a 18 anni mi sono messa a fare un po’ di tutto: aiutavo in cucina, servivo ai tavoli. Non ho mai pensato di non lavorare".

Abbiamo però detto che Anna Possi, nonostante l'età, metterebbe a sedere tanti colleghi più giovani: la sua vivacità sta anche nell'apertura mentale. È una donna al passo coi tempi e difende le nuove generazioni dicendo che non è vero che non vogliono lavorare i ragazzi d'oggi, non sono tutti scansafatiche. Il problema sta nelle condizioni di lavoro offerte: "Se offri paghe adeguate, i dipendenti li trovi. Vedo offerte troppo basse, sia per gli uomini sia per le donne". Quando Repubblica tocca il tema delle molestie e dei ricatti sul lavoro, Anna è netta: "Son cose che non dovrebbero mai accadere, in nessun settore. Il lavoro è un diritto per tutti e non si dovrebbe mai essere ricattati per ottenerlo o per mantenerlo". Lei, che è stata anche cameriera da giovane, non ricorda episodi del genere, ma ribadisce che è essenziale vigilare affinché il rispetto prevalga sempre. Sul lavoro è una vera macchina: precisa, meticolosa, attenta a tutte le carte e quando il Corriere della Sera prova a ipotizzare il milione di caffè fatti o forse di più, lei dice di non averne idea e che le approssimazioni non le piacciono, quindi non risponde. Il bar è sempre affollato, sia perché lei è una vera attrattiva sia perché è un classico bar di provincia. Quello che oggi è "classico" però "un tempo era il bar più moderno della zona — prosegue Anna al Corriere — perché siamo stati i primi ad avere i juke-box, i flipper, il biliardino e altri videogiochi che ora non ricordo. Erano gli anni '70, una vita fa". Qui c'è passato anche il Milan, l'ultimo Milan del grande Nereo Rocco, con Gianni Rivera e un giovanissimo Fulvio Collovati ma anche quello non fortunatissimo di Pippo Marchioro che personalmente andava al bar tutti i giorni durante il ritiro. Non solo Milan, anche Inter: "Negli anni '60 veniva a trovarci Angelo Moratti, che era amico di una signora del paese. Prendevano il caffè assieme nel weekend" dice a Italia a Tavola. Anna ha trattato tutti sempre alla stessa maniera "sia i clienti storici, sia quelli da un caffè al volo e poi mai più visti, sia i vip".
A Emanuele Ferrari ha poi aggiunto di non voler mai chiudere il bar per dare sempre un servizio ai clienti e che non vuole andare in pensione perché "non riuscirei a staccarmi da questo ambiente, è la mia vita. Io sono sempre presa dal lavoro e dalle cose da fare". Quando il giovane influencer le dice che è diventata una star, lei risponde con un gentile segno di diniego dicendo che le star non le piacciono, "Io sono sempre l'Anna. Ho il mio lavoro, che mi piace, e faccio una vita semplice". Il suo bar Centrale "non è un bar, è un punto di ritrovo" e per questo motivo lei vuole sempre essere a disposizione di tutti, anche quando ha ormai un secolo sulle spalle.

24.10.25

voi festeggiate hallowen e io il grande cocomero

 

S'avvicina ,  come  potete  notare   dalla vignetta   dei  penauts  , quello    che   con  queste  americanizzazioni  forzate    e  ora     globalizzate  ha  il  nome   settimana  di  Hallowen . 


Lo so    aborro tale  termine , ma  se  non lo  usi le  nuove generazioni   non  ti   capiscono   e ti guardano  strano , preferisco   usare  o  i  termini  locali  vedere    sotto  url   o  per  dirla ( vedere  vignetta  e  url  sopra  )   nostalgicamente  e letterarialmente    grande   cocomero


per approfondire

silenziosa ecatombe di mario domina


Non c'è un proprietario con un volto e un nome e un cognome, ma un'anonima società immobiliare (da qualche parte ho letto "di origine albanese") dietro agli sfratti di questa mattina, in via Michelino a Bologna.
Una scena disgustosa, che chiama alla vendetta sociale: la polizia in assetto di guerra che sfonda muri e butta fuori di casa famiglie di lavoratori immigrati con bambini (uno di questi disabile), oltretutto manco morosi: semplicemente la proprietà ha deciso di riconvertire l'immobile a una ben più remunerativa attività di B&B e di lucrosi affitti brevi.


Tutto questo avviene oltretutto nella rossa Bologna, ma poco importa: "la proprietà è un furto", qualcuno disse un tempo, e mai è apparso così vero come in questo caso - una sorta di summa della "questione sociale" che dovrebbe esplodere ma non esplode, proprio mentre la guerra incombe.
In pochi giorni un anziano di 71 anni a Sesto San Giovanni si è lanciato dal sesto piano della sua casa mentre era in corso lo sfratto; poi il tragico evento dei tre fratelli che fanno saltare tutto in aria; ed ora questo, e chissà che altro in giro per l'Italia.
La Costituzione - e la povera gente - calpestata sotto i piedi. Ma senza la socializzazione del disagio, l'auto-organizzazione e la lotta non si andrà da nessuna parte: dove avanzano il privato (e l'avidità) arretra (e perde) il sociale. 

23.10.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco punta n LIV PERCEPIRE E PREVENIRE UN PERICOLO CON L’OLFATTO ?

Anche l’olfatto può avere un ruolo importante nella prevenzione di un’eventuale aggressione. Non si tratta di un segnale d’allarme “diretto” come un rumore oppure un movimento sospetto, ma rientra comunque in quella sfera di percezioni molto sottili che sono in grado di aiutare il cervello a percepire
possibili cambiamenti nell’ambiente e a valutare eventuali situazioni di rischio. Gli odori, infatti, sono in grado di arr"ivare la memoria e l’istinto. Il nostro cervello ha una parte strettamente connessa all’olfatto, che gestisce emozioni e istinto di sopravvivenza. Un odore particolare, come quello di alcol, di benzina, di fumo o di sudore, può segnalare in maniera inconscia la presenza di una persona vicina o di un comportamento anomalo, come quello di chi si nasconde, di chi ha paura o di chi è agitato. Per quanto riguarda ambienti poco illuminati o silenziosi come garage e scale, l’olfatto è in grado di anticipare gli altri sensi come la vista o l’udito. Sentire per esempio il fumo di una sigaretta accesa da poco può dirci che vicino a noi c’è qualcuno, anche se ancora non lo vediamo, così come accorgersi di un profumo riconoscibile. Gli odori aiutano a leggere la tensione, perché le persone che vivono un momento di stress o paura possono comunicare pur involontariamente la loro presenza e a!ivare uno stato di allerta tramite il su￾dore. Ancora, gli odori sono importanti per quanto riguarda l’orientamento. In situazioni di pericolo, quando la vista e l’udito possono fallire, l’olfa!o resta vigile. Significa che saremo in grado di riconoscere gli odori che ci circondando, contribuendo a mantenere lucidità e orien￾tamento. Meritano una menzione a parte gli odori che noi stessi possiamo emanare: un profumo molto marcato può a!irare l’a!enzione. Al contrario, mantenere un odore neutro riduce la probabilità di essere notati, sopra!u!o in contesti a rischio. Ecco perché allenare l’olfatto è una delle misure preventive che andrebbero praticate con costanza: percepire gli odori che ci circondano, notare quelli nuovi o fuori contesto può fare la differenza.
 
Ora  è vero   quello   che    dice   Bianco  , ma bisognerebbe     considerare   il  fatto    che  l’olfatto, in sé, non è un senso che la letteratura scientifica o criminologica riconosca come strumento diretto di prevenzione della violenza soprattutto   quella  di genere o del femminicidio. Infatti  se lo consideriamo in senso più ampio — come percezione sensoriale, come intuizione corporea, come “fiuto” emotivo —può aprire una riflessione interessante. Dipende  se       consideriamo

🧠 L’olfatto come metafora di percezione

  • Fiutare il pericolo: In senso figurato, molte persone parlano di “sentire puzza di guai” o “avere il naso per certe situazioni”. Questo può indicare una sensibilità ai segnali premonitori—comportamenti controllanti, manipolazioni, cambiamenti d’umore improvvisi.

  • Odori e memoria emotiva: L’olfatto è il senso più direttamente collegato al sistema limbico, che regola emozioni e memoria. Un odore può evocare ricordi traumatici o segnali di allarme, ma anche confondere, se associato a momenti di apparente intimità.

oppure  

⚠️ L’olfatto come rischio di fuorviamento

  • Normalizzazione olfattiva: L’abitudine agli odori di una persona può creare una falsa sensazione di familiarità e sicurezza, anche in contesti abusanti.

  • Romanticizzazione del pericolo: In alcune narrazioni tossiche, l’odore dell’altro viene idealizzato (“mi manca il suo profumo”), anche quando è legato a dinamiche violente.

Ma    comunque  tenerlo  in considerazione  e  svilupparlo  a  volte    può esserci utile  . Non  possiamo mai saperlo  . 

“Risorse e risentimenti: il vocabolario dell’odio quotidiano” “Sassi, silenzi e vergogne: cronaca di un’Italia che non si dissocia”im caso degli ultras neofascisti a rieti

 Qualche giorno fa     mi pare  perchè ho  coniviso  o partecipato ad  una discussione   sui  social   sulla notizia del legame di almeno due degli ultras accusati dell'omicidio dell'autista del pullman dei tifosi del Pistoia Basket, con ambienti di estrema destra e neofascisti .9Ho ricenvuto via emai numerosi commenti

   RIEPILOGHIAMO  IL FATTO  


I commenti arrivatemi via email sono stati un profluvio di riduzionismo e offese, e discorsoi del tipo : « e le foibe .... » riferendosi alla sinistra , ecc come sempre, e fin qui niente di nuovo sotto il sole . Vorrei soffermarmi però su tutti coloro, molti, che hanno scritto "quando un omicidio viene compiuto da una risorsa, però, non scrivi niente". È a loro che vorrei rispondere, con alcune argomentazioni.
1. Chiamare "risorsa" una persona, usando un tono dispregiativo, è razzista e profondamente stupido. Si tratta di persone che hanno trovato il coraggio e la forza di fuggire alla ricerca di un futuro migliore , attraversare Paesi, spesso il deserto ,, le torture nei centro di detenzione libici e tunisino , poi il mare, per arrivare in Europa. Viaggi in cui hanno subito di tutto, e alla fine ce l'hanno fatta. E chi li deride (per cosa, poi?) ha spesso difficoltà a non versare in terra la birra nel percorso fra la cucina e il divano. Fate un po' voi.
2. Non mi occupo sempre causa probelmi vati miei e dei mieignitori ultre 80 anni di cronaca, mai, a meno che e preferisco riportare storie particolari come dovrebbe essere chiaro dalle tag e dagli hastag o da questa faq ( ) . A volte però capita che la cronaca travalichi se stessa veere i. miei post sui femminicidi o come per esempio un attacco di ultras che uccidono un uomo a sassate, organizzando la sassaiola, legati a un ambiente neofascista, non è soltanto cronaca. Soprattutto in un Paese dove la povera, piccola fiammiferaia Premier, non ha neanche il coraggio di definirsi antifascista cuìioè prenderne seriamente le distaNZE (per non perdere i voti neppure dei lanciatori di sassi).
3. C'è comunque, in generale, una differenza sostanziale. E questo è forse il punto principale. Un immigrato non commette mai ( non si ha, ad oggi notizia di un solo caso mai avvenuto) un reato in quanto immigrato, o nero. Mentre essere neofascisti, estremisti di destra, include sempre una condotta potenzialmente violenta e sempre discriminatoria, perché il fascismo stesso si basa sulla presa del potere in modo violento, e sul mantenimento di quello stesso potere attraverso la sopraffazione e la persecuzione delle minoranze. Per questo non esiste un "fascista buono", perché se fosse buono (o intelligente) non sarebbe fascista. E sempre per questo continuerò a raccontarlo, perché è una notizia al di là della cronaca, in mezzo a un Paese che esalta una nonantifascista Premier.

22.10.25

Un asino può anche fingersi cavallo, ma prima o poi raglia

 Quando il corpo diventa bersaglio, la parola si fa raglio. Non per ignoranza, ma per resistenza. La gaffe di Paolo Mieli non è solo una caduta di stile: è un sintomo. Di come il discorso pubblico ancora fatica a separare l’analisi politica dalla derisione estetica, la critica ideologica dalla caricatura identitaria.
La gaffe se cosi possiamo chiamarla  di Paolo Mieli  è  avvenuta Durante la trasmissione 24 Mattino su Radio24 (20 ottobre 2025), Paolo Mieli ha commentato la candidatura di Souzan Fatayer, docente e mediatrice culturale di origine palestinese, candidata con Alleanza Verdi e Sinistra alle regionali in Campania. Le sue parole: > “La palestinese napulitana che esalta Hamas… una signora in leggerissimo sovrappeso”. Il conduttore ha tentato di arginare, ma Mieli ha insistito, legando l’osservazione al tema della “fame e carestia” nella campagna elettorale. Le reazioni sono state immediate: indignazione da parte di Avs, richiesta di scuse da Fatayer, e un’ondata di critiche sui social.

 
Credo che questi due anni di genocidio in Gaza ha portato in superficie la melma nera che era in fondo all’anima di questa gentaglia.La cosiddetta classe "intellettuale" italiana ha gettato la maschera ed ha 
mostrato il volto del mostro suprematista, razzista e coloniale. E non sono solo Mieli ed i loschi figuri come lui, anche molti professori universitari, registi, sceneggiatori, musicisti, artisti visuali, scrittori sono come lui. Verrebbe da dire: mio dio, come siamo caduti in basso.Sono come quelli che hanno un “sentire” di destra che si nascondano a sinistra! Prima o poi esce fuori la loro vera natura … I peggiori .Mentana sulla sua pagina Meta, senza vergogna pubblica questo !






Sempre che sia vera   cosa di  cui io  dubito    visto che    Lei  stessa  lo  ha  smentito  

«Il Tempo mi ha attribuito parole che non solo non ho mai pronunciato, ma che, per la storia del mio popolo, non potrei nemmeno mai pensare e che mi ripugnano», ha scritto Fatayer, spiegando di aver condiviso sul suo profilo personale – utilizzato «per veicolare quotidianamente decine e decine di informazioni ed episodi sul genocidio a Gaza e in Palestina che i media mainstream ignorano» – il video, senza però aver letto la caption che lo accompagnava. Questa mattina, invece di indignarsi per le parole di Eydar, prosegue Fatayer, «alcuni giornalisti hanno scelto di strumentalizzare». E poi: «L’Olocausto è stata una delle pagine più orribili della storia dell’umanità, e come tutti, continuo a dire con convinzione: mai più. Rispetto profondamente la storia e la sofferenza del mio popolo e proprio per questo so che chi ha conosciuto, come noi, l’oppressione e conserva bontà nel cuore, sa riconoscere e comprendere la sofferenza degli altri. Condanno, senza esitazione, il genocidio del popolo ebraico durante la Seconda guerra mondiale, come ho sempre fatto partecipando attivamente a tutte le commemorazioni e manifestazioni antifasciste».

la notizia di Mentana, mi dispiace che un personaggio pubblico non sappia esercitare l'arte della prudenza soprattutto sui social subito impugnati dal nemico all'occorrenza. Detto questo, penso che fra noi, tutti l'abbiamo pensato, meglio dire sentito, un sentito suscitato dagli orrori a cui ci hanno sottoposto impotenti, alla conoscenza delle loro infamie. Sono dei campioni a scatenare la reazione dell'odio, del rancore e del risentinento. È la loro forza, per eccellenza, "sottile", spirituale, attraverso cui creano il legaccio con cui hanno in pugno e impugnano come in questo caso abilmente. Infatti

da

Alfredo Facchini
Ieri alle 12:48
·



Non chiamatele gaffe. Le parole di Paolo Mieli non sono scivoloni. Rivelano il ventre molle del giornalismo italo-sionista. Il lavoro più sporco lo fanno i Sechi, i Ferrara, i Sallusti, i Porro, gli urlatori. Mieli e Molinari, invece, sono gli addetti alla manutenzione del suprematismo che si traveste da cultura, la propaganda che indossa la toga della competenza.Paolo Mieli, ai microfoni di Radio 24, parlando di Souzan Fatayer, palestinese da quarant’anni a Napoli, candidata alle Regionali in Campania con Avs, l’ha definita - testuale - “la palestinese napulitana… una signora in leggerissimo sovrappeso”.E poi, come se non bastasse, quando qualcuno gli ha fatto notare l’oscenità appena sputata, ha aggiunto: “Però se lì la campagna è sulla fame, la carestia… non lo dico come giudizio estetico”.Non si tratta di una gaffe. Non si tratta di una “battuta infelice”. È un riflesso coloniale. Il ghigno di chi pensa di poter ridurre u donna palestinese a un corpo da sbeffeggiare. È roba che viene da lontano. Souzan Fatayer è una donna che porta addosso quarant’anni di esilio, di dignità, di lotta, di vita vera. Fatayer nasce a Nablus, in Palestina. Arriva in Italia nel 1984. Vive a Napoli da quarant’anni. È economista, docente, traduttrice, mediatrice culturale.Parla arabo, italiano, inglese. Traduce mondi, non solo parole. Da sempre impegnata per i diritti umani e la libertà del popolo palestinese. Ha lavorato tra università, associazioni, ospedali, scuole. È voce autonoma, laica, femminista, anticoloniale. Souzan Fatayer: una donna, due patrie, la stessa lotta.Quella di Mieli non è una gaffe, è un messaggio. Un modo di ribadire chi può parlare e chi no. Serve a ricordarci chi detta le regole del discorso, chi concede la parola e chi la toglie. Si sentono onnipotenti, intoccabili.Parlano come se le vite degli altri fossero materiale per le loro battute. Un asino può anche fingersi cavallo, ma prima o poi raglia.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...