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8.11.25

Attaccare lei per colpire lui Non sapendo più come prendersela con Zohran Mamdani, le orde di miserabili odiatori si sono riversate sul nuovo obiettivola moglie Rama Duvaji

Leggo e concordo ( non sapevo che il termine frst lady fosse maschilista \ sessista ) a Lorenzo Tosa che << Non sapendo più come prendersela con Zohran Mamdani, le orde di miserabili odiatori si sono riversate sul nuovo obiettivo: Rama Duvaji, 28 anni, tra e dopo le mille altre cose notevoli, moglie del neo sindaco di New York.In queste ore stanno riversando su questa donna una centrifuga spaventosa di sessismo, misoginia, islamofobia, body shaming violentissimo.“Mariangela di Fantozzi?”“Viene fuori da un centro sociale?”Dai che tra poco a Wall Street contratteranno i prezzi dei cammelli”.“Sarà la schiava di questo talebano malefico “Fa pandan con il bidone a fianco”. Solo per citare quelli pubblicabili. [...] Ma, per favore, non chiamatela “first lady”, come già sta facendo in
modo insopportabilmente sessista tre quarti della stampa italiana e mondiale.
Rama Duvaji e la sua arte esistono prima di Mamdani e a prescindere da lui. Anzi, loro due insieme, uno a fianco all’altro, non davanti né dietro, in questo momento storico rappresentano un neo pericoloso e meraviglioso al trumpismo e al nazionalismo dominante, dimostrando che esiste - e può esistere anche al potere - un’America diversa, giovane, multietnica, progressista, non bianca, non convenzionale.Rama Duvaji rappresenta tutto ciò che il trumpiano-salviniano medio detesta.Ah, e, per inciso, se proprio insistete, è pure bellissima. Ma pretendere che un trumpino lo capisca, mi rendo conto, è chiedere troppo.>> Infatti tali persone , proprio ,non riescono ad accettare che sia una donna di successo prima e a prescindere dall’exploit di Mamdani, al quale ha dato per altro un contributo decisivo. È stata lei a creare la campagna visual e social ormai già diventata mitica e che avrà epigoni e imitatori in tutto il mondo.  Poveri piccoli esseri che per sopportare la loro vita miserabile hanno bisogno di riversare odio verso chi invece vive una vita degna di essere vissuta.infatti Un attacco come quello a Rama Duvaji non racconta nulla di lei e tutto del livello miserabile di chi lo porta avanti. Quando una donna giovane, competente, libera, multiculturale e autorevole entra nello spazio pubblico senza chiedere permesso, il riflesso dei mediocri è sempre lo stesso: provare a riportarla nel recinto degli stereotipi. Sessismo, razzismo, islamofobia, body shaming… è il solito arsenale di chi non ha argomenti ma pretende di fare politica insultando. La verità, che a molti brucia, è che la storia di Rama e Mamdani incrina una narrazione tossica: mostra che esiste un’America capace di includere, innovare, cambiare pelle. Una coppia che non recita il copione patriarcale; una campagna elettorale costruita con creatività, idee e coraggio; una visione che rompe la bolla bianca e nazionalista che certi ambienti vorrebbero eterna. Ora Il punto è semplice. Rama Duvaji non è un accessorio. È una protagonista. Una professionista che si è guadagnata tutto quello che ha con talento e lavoro, non con il cognome di un uomo. Ed è proprio questo che scatena il livore degli odiatori: non riescono a tollerare che la politica possa essere diversa da quella fatta di clan familiari, leaderismi maschili e slogan da salotto televisivo.Chi la attacca soprattutto in questo modo rivela solo la propria paura. Paura di perdere un mondo costruito sulla supremazia di uno standard: bianco, maschio, etero, nazionalista, conservatore. Un mondo che scricchiola sempre di più. Questa vicenda, al netto della miseria umana degli insulti, è un segnale positivo. Vuol dire che il cambiamento non lo stanno solo raccontando. Lo stanno incarnando. E chi vive di odio, quando la realtà si muove davvero, resta sempre un passo indietro.

«Ho sconfitto il cancro grazie alla ricerca e alle cure sperimentali» L’esperienza di Giovanna Manca, vent’anni, nuorese, testimonial dell’Airc: «Vorrei aiutare chi vede tutto nero»

La lotta contro i.l cancro ed i tumori non ha etàe genere . Questa storia di oggi , una delle tante , lo dimostra . Essa è anche una risposta di come le cure sperimentali non sono solo dannose . Ma soprattuytto è , anzi dovrebbe essere , una risposta a chi vede nella sperimentazioni di cure ( vedi vaccino contro il covid ) solo un qualcosa di negativo . Ma ora basta parlare io . Eccovi la storia in questione  .
                                                Sara marci  unione sarda del 7\11\2025

 «Se oggi sono viva è grazie alla ricerca». La diagnosi a sei anni: quella spietata, che ti porta via la leggerezza dell'infanzia e ti ruba i sorrisi. Intanto iniziano le trasferte da Nuoro al Microcitemico di Cagliari e l'appuntamento con la chemio. I capelli vanno via, ciocca dopo ciocca, ma i risultati non arrivano e portano Giovanna Manca e i suoi genitori a bussare alle porte del Bambin Gesù di Roma.
La svolta nella Capitale è una terapia sperimentale. Funziona. Così come funziona il trapianto di midollo che lei, allora bambina, riceve dalla sua sorellina Sofia, di appena tre anni: «Se oggi posso raccontare la mia storia è grazie ai progressi della medicina, grazie all'Airc e ovviamente a mia sorella». Una testimonianza preziosa, a ridosso dal nuovo appuntamento della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, che dopo la tappa al Quirinale torna in piazza ed entra anche nelle scuole con i cioccolatini della ricerca. Ultimo evento del sessantesimo anniversario e occasione imperdibile per fare in modo che le storie di chi ce l'ha fatta diventino sempre di più.
«So che la mia storia può servire a tante famiglie che oggi affrontano ciò che ha vissuto la mia. Spero possa portare un po' di luce e speranza a chi vede tutto nero». C'è la forza e la consapevolezza della malattia sconfitta, nella voce e nel racconto di Giovanna, vent'anni, nuorese, iscritta al secondo anno di Scienze Politiche. La forza di chi ha sconfitto il cancro e scoperto il gusto più amaro della vita in un'età in cui si è forse troppo piccoli per capire ma probabilmente più forti per non pensare al peggio. «Ho iniziato a star male in prima elementare. Avevo sei anni ma ero sempre triste, stanca, con un colorito grigiastro. All'inizio i medici non capirono, parlarono prima di una cistite poi si arrivò alla diagnosi: leucemia linfoblastica acuta, in una forma per quei tempi molto rara. Il giorno dopo mamma e papà mi portarono al Microcitemico». Era il 2012, la chemio e le cure non danno i risultati sperati. I suoi genitori non si rassegnano: continuano a lottare e a cercar risposte. «Mamma scoprì grazie al sito dell'Airc che erano in corso alcune terapie sperimentali. Si mise in contatto con il professor Locatelli del Bambin Gesù, si prese a cuore il nostro caso. Iniziai le cure e poi mi sottoposero a trapianto di midollo che mi donò mia sorella Sofia, risultata compatibile al cento per cento. L'anno dopo, nel 2013, sono ufficialmente guarita e poco per volta mi sono ripresa la vita messa in pausa dal cancro». Dodici anni dopo è la testimonianza vivente che la ricerca è la cura, anche per il cancro.
Quella ricerca che riporta all'Airc, principale organizzazione non profit per la ricerca oncologica indipendente in Italia, e ai sei decenni in prima linea nel rendere le patologie oncologiche più curabili. Anche grazie alla vendita dei cioccolatini, che domani vedrà impegnati migliaia di volontari in centotrenta comuni sardi, con oltre centottanta piazze, quindici scuole e diciotto plessi, dove con una piccola donazione si potrà contribuire a sposare la nobile causa di chi quotidianamente si prodiga nel cercare risposte concrete per far correre la medicina più veloce della malattia che ancora spaventa e porta a 390mila e cento nuovi casi ogni anno. Con la percentuale d'incidenza più alta del tumore al seno, seguita da quello al colon-retto e al polmone. Altra ragione per sostenere la fondazione Airc, così come ha deciso di fare anche il mondo del calcio. Con la serie A che da oggi a domenica inviterà tifosi e appassionati a sostenere il lavoro dei ricercatori. E poi sarà la volta degli Azzurri, a fianco di Airc nelle sfide con Moldavia e Norvegia per accedere ai Mondiali. E nella partita della vita, fuori campo, contro il cancro.

7.11.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco n LVI QUANDO SEI A PASSEGGIO CON IL CANE FIDATEVI DEL SUO ISTINTO

 

a quanto detto,vedere slide a sinistra ,    da Antonio Bianco sull'ultimo n del setttimala Giallo vorrei aggiungere che Tra decreti legge, normative, campagne, promesse, iniziative e manifestazioni contro la violenza di genere, non sono poche le donne che adottano cani antiviolenza per la difesa personale. Difesa dalle violenze sessuali, dallo stalking, dalle molestie ed aggressioni.Infatti esistono cani appositamente ‘educati’ da scuole di addestramento speciali per proteggere le donne vittime di violenza. Esemplari di razze selezionate che non esiteranno ad intervenire per difendere le vittime dai loro aggressori. Viene addestrato il cosiddetto ‘cane scorta’ e viene ‘educata’ anche la donna attraverso un particolare allenamento per imparare a controllare gli istinti del cane e la situazione di pericolo.
Di solito, al cane da difesa viene applicata una museruola rivestita in acciaio. Non deve dimostrarsi aggressivo: deve semplicemente immobilizzare l’aggressore al momento giusto per dar modo alla donna di liberarsi da lui e chiedere aiuto. Quando la donna viene aggredita, il cane si lancia sull’aggressore e gli assesta un colpo per bloccarlo e immobilizzarlo. Deve dissuaderlo e fare da scudo della donna che, oltretutto, dispone di GPS per essere localizzata dalla Polizia.
Il cane scorta (come quello che accompagna i non vedenti) è riconosciuto legalmente?
No, ma le autorità dovrebbero farlo, regolarizzare l’importante ruolo dei cani scorta per donne vittime di violenza di genere. Non sono pericolosi o aggressivi ma socievoli, affettuosi, veri e propri angeli custodi. Non vengono, di certo, addestrati per attaccare o, peggio, uccidere persecutori o aggressori. Hanno un forte senso di ‘giustizia’: sanno che il maltrattamento non è ‘giusto’.
La donna che ha già un cane può anche rivolgersi a centri speciali per richiedere l’addestramento del suo compagno a quattro zampe. Si tratta di addestratori professionisti a cui è saggio rivolgersi per ricevere consigli su come addestrare un cane alla difesa senza attaccare, semplicemente per allontanare il pericolo. Un cane di buona taglia e di carattere vivace, tranquillo ed equilibrato, di solito, è addestrabile alla difesa: interverrà solo se sarà il padrone ad ordinarglielo.
Per   chi  volese    approfondire   ecco  alcuni link 

se quello che ha fatto LA 48ENNE INSEGNANTE DI BARI, DANIELA CASULLI, CONOSCIUTA COME “ZIA MARTINA",lo avesse fatto un uomo lo avrebbero linciato


 

Da "La Zanzara" - Radio24

 

Daniela Casulli

“La legge mi consente di fare sesso con i 14enni, nessuno è stato costretto” - “Qualcuno ha perso la verginità con me” - “Ho continuato a fare sesso con alcuni di loro anche durante il processo” - “Il profilattico? Non lo usavo sempre, senza è più bello” - “Rifarlo? Adesso no ma ne avrei tutto il diritto, starei più attenta che nessuno filmi con il cellulare” - A La Zanzara su Radio24 parla Daniela Casulli detta “Zia Martina”, assolta in secondo grado per produzione di materiale pedopornografico: “I genitori dei minori? Alcuni padri volevano fare sesso con me, ho rifiutato e poi si sono accaniti contro di me”

 




Daniela Casulli intervistata a Le iene

- “Tornerei ad insegnare ma vorrei fare l’avvocato” - Poi sul numero di minori con cui avrebbe fatto sesso… A La Zanzara su Radio24 parla Daniela Casulli, conosciuta come “Zia Martina” la maestra - all’epopoca dei fatti 43enne - condannata in primo grado per produzione di materiale pedopornografico e successivamente assolta in secondo grado perché il fatto non costituisce reato “La legge mi consente di fare sesso con minori di 14 anni se non c’è un rapporto di costrizione. Non mi sono pentita, ho sempre ragionato sul fatto che quello che facevo non era una cosa illegale ed erano i ragazzi a proporsi, era tutto molto spontaneo. Io sono stata assolta dall’accusa di produzione di pornografia e non sono mai stata accusata di adescamento proprio perché non li ho mai cercati io, mai chiesto loro di mandarmi contenuti o materiale hot. E comunque se oggi lo volessi rifare ne avrei tutto il diritto, stando attenta che nessuno abbia telefonini anche perchè tutto il casino è uscito per un video di pochi secondi fatto da uno dei ragazzi”.

 “Non pensi che quello che hai fatto possa essere stato un trauma per i ragazzi?”, chiede Cruciani

daniela casulli

La risposta della Casulli: “Me lo sono chiesto e l’ho chiesto allo psicologo ma mi ha risposto che se hanno vissuto bene la situazione non c’è un danno e che in futuro questa cosa potrebbe dare loro una libertà sessuale più sicura. Non ho mai costretto i ragazzi a fare niente, era tutto spontaneo, negli incontri sessuali una persona può prendere il sopravvento ma io non l’ho mai fatto”. “Qualche volta cercai qualcuno tu?”, chiede il conduttore. Casulli: “No, mi bastava mettere una storia con una mia foto e mi scrivevano anche cento persone, ero più magra e più pin-up”.
“Ma cosa ti spingeva a cercare dei ragazzi ultra minorenni?”, replica Cruciani.

 

Daniela Casulli e Matteo Viviani - Le iene

 Casulli: “È stata una cosa graduale. Tinder - spiega la maestra - ti da la possibilità di cercare uomini sulla base della fascia d’età, ho iniziato con l’età più adulte poi ho abbassato sempre di più. C'erano ragazzi che dicevano di avere 18 anni ma in realtà ne avevano 14. Comunque In quel periodo, fino a quando non mi hanno dato i domiciliari e durante l’anno del processo, avevo a che fare principalmente con loro (minorenni, ndr)”. “Hai fatto sesso con le parti offese, anche questo è vero?” Chiede il conduttore. La risposta della maestra: “Si a metà del processo ho fatto sesso con il ragazzo di 15 anni con cui ho avuto un’amicizia più lunga, per me era uno scopa-amico”

 

daniela casulli

“Qualcuno ha anche perso la verginità con te?”, ancora Cruciani. Casulli: “Sì è capitato. Voglio aggiungere che se al posto mio ci fosse stato un insegnante uomo sarebbe in galera, lo avrebbero condannato o forse non sarebbe nemmeno vivo vista la società in cui siamo adesso. Una donna adulta suscita nei padri l’orgoglio verso i figli, fosse stato un uomo lo avrebbero cercato per ucciderlo” “Mi permetta di dirle che l’idea che ci sia una persona, uomo o donna che sia, di 40 anni che va con quindicenni, a me un po’ fa schifo”. replica Cruciani. Casulli: “Lo capisco ma nelle ricerche la canterò già “teen” e quella “milf” sono quelle più cliccate”.

 

“Lei ha parlato con i genitori di queste persone?”, ancora Cruciani. Casulli: “I padri mi dicevano che capivano i loro figli e che anche loro alla loro età avrebbero fatto lo stesso. Qualcuno di questi padri avrebbe voluto venire a letto con me ma ho rifiutato e allora si sono quasi rivoltati contro di me. Il problema morale - prosegue la Casulli - nel mio caso non c’è, ci sarebbe se l’insegnante si frequentasse con un alunno di 16 anni ma io non ero la loro insegnante né la loro tutrice, ero solo una donna con una grande differenza di età. Non c’era alcuna sudditanza, erano ragazzi che mi chiamavano con l’idea di fare esperienza”, ha chiosato la Casulli.

 

daniela casulli

“So che lei non vuole dire il numero di persone minori con cui è stata perché sono tante e non vuole essere accusata di essere una “mangia ragazzini”, non vuole dirlo?, chiede Cruciani. Casulli: “No, la cosa si presterebbe a strumentalizzazioni”. “Ha detto che a volte ha usato il profilattico e a volte no, è vero?”, chiede Cruciani. La replica della Casulli: “A volte ho usato il profilattico e altre volte no come è normale che sia, succede spesso che le persone non lo usino. Io sapevo che questi ragazzi frequentavano solo me e io loro, comunque c’era un rapporto di fiducia e poi senza profilattico è più bello” -

 

Matteo Viviani intervista Daniela Casulli - Le iene

“Potevi anche rischiare di rimanere incinta”, replica il conduttore. Casulli: “Avrei tenuto, sono contro l’aborto”. “Torneresti ad insegnare?”, chiede in conclusione Cruciani. Casulli: “Vorrei fare l’avvocato ma sarei perfettamente in grado di tornare a fare la maestra”, ha chiosato la maestra.

storie speciali per gente normale storie normali per gente speciale che resiste al degrado politico e culturale del nostro paese i casi di : Paolo Cergnar ,Mauro Berruto, David Yambio,


 Davanti al   degrado politico, culturale, morale del Paese  sempre   più  evidente     che  può essere riassunto da  tale  foto 


e   da  come dice Soumaila Diawara : « Questa immagine è il manifesto del fallimento di una classe dirigente che ha trasformato la politica in farsa e il dibattito pubblico in fango. L’ex ministro rappresenta un Paese che ha smarrito la vergogna, la competenza e il senso del limite. Altro che guida: è il simbolo di una degenerazione che ha contaminato tutto.»

  • Ci  sono       delle     storie     che danno speranza    da   Lorenzo Tosa esse  sono : 


Paolo Cergpnar è un vigile del fuoco e un sindacalista. Uno di quelli che porta con orgoglio l’uniforme da pompiere. Talmente orgoglioso che, lo scorso 22 settembre, in occasione dello sciopero generale per Gaza, lui, in qualità di rappresentante sindacale Usb, è salito sul palco per denunciare il genocidio con quella divisa indosso. Ha parlato del senso ultimo del suo mestiere: salvare vite umane. Lo ha detto chiaramente: “Salviamo i bambini palestinesi. Siamo ambasciatori di buona volontà dell’UNICEF e portiamo sul petto l’emblema dell’UNICEF e dobbiamo garantire a tutti i bambini la sicurezza e la Pace”. Eppure, per aver detto tutto questo con indosso una divisa da vigile del fuoco, Cergnar ha ricevuto un avviso di procedimento disciplinare e rischia sanzioni disciplinari che vanno dal richiamo a, addirittura, il licenziamento. In un Paese minimamente diritto, Paolo andrebbe ringraziato, e pure premiato. Premiato per Umanità, per aver incarnato il senso profondo di quella divisa. Qui invece è diventato un obiettivo, un simbolo da colpire. “Non mi stanno attaccando come delegato sindacale ma come pompiere, applicando il regolamento di disciplina a una manifestazione sindacale, e questo viola i diritti costituzionalmente garantiti” ha detto pochi giorni fa. In molti si sono uniti e si stanno unendo a sostegno di Paolo Cergnar, con semplici messaggi e anche una petizione, per chiedere che venga revocata qualunque sanzione. E io mi unisco a loro. 


 Mauro Berruto è una delle persone più belle, serie e preparate che abbiamo in questo Paese. Per 25 anni allenatore di volley, e per cinque anche Ct della Nazionale maschile, che ha guidato fino al bronzo olimpico a Londra 2012. Pochi minuti fa, dopo dieci anni di stop, ha appena annunciato l’incarico più bello, stimolante e umanamente commovente della sua carriera. Diventerà per qualche giorno, a
novembre, commissario tecnico della Nazionale Palestinese di volley. Glielo ha chiesto il Comitato olimpico palestinese, e lui non ci ha pensato un attimo. Un atto simbolico potentissimo, in un momento come questo, all’interno di una missione che mette insieme sport, diplomazia, umanità. Condurrà gli allenamenti, parteciperà a incontri sullo sviluppo dello sport e sulla diplomazia sportiva, parlerà di diritti e di diritto internazionale, lui che nei mesi scorsi aveva lanciato la raccolta firme per chiedere l’esclusione di Israele da ogni competizione internazionale. “Allenare una nazionale, in qualunque parte del mondo, è sempre un privilegio. Allenare quella palestinese, oggi, è qualcosa di più grande: è un atto di fiducia nello sport come respiro di libertà. Torno in palestra, dopo dieci anni, per restituire un po’ di quel dono che lo sport mi ha fatto per tutta la vita: la possibilità di credere che anche nei luoghi più difficili, un campo da gioco possa ancora essere luogo di coraggio e speranza nel futuro” ha detto Berruto. Abbiamo bisogno di persone e storie come queste. 
  
L'ultima   è  quella  di  David Yambio, è stato torturato, picchiato, umiliato da Almasri e dai suoi aguzzini. E ora, dopo l’arresto di Almasri ieri a Tripoli, l’attivista sud-sudanese fa una cosa semplicissima: ha annunciato che denuncerà e chiederà un risarcimento al governo italiano per averlo liberato e rispedito in patria con tanto di volo di Stato. Il suo racconto mette i brividi. “Sono stato torturato da lui e dai suoi uomini.
Mi ha preso a calci, mi ha chiamato schiavo e mi ha picchiato con i tubi. Ha anche sparato a delle persone davanti a me sia a Jadida che a Mitiga” ha raccontato a “Repubblica”. Non solo. Yambio, per aver denunciato Almasri, ha vissuto costantemente con la paura, si è dovuto nascondere per timore di ritorsioni. Anche per questo ha deciso di fare causa al governo Meloni con la sua ong Refugees in Lybia. Lo ha spiegato lui stesso con una chiarezza assoluta, dando a Meloni, Nordio e Piantedosi una vera e propria lezione di diritto e di dignità. “Da una parte l’arresto di ieri è una grande vittoria. Dall’altra fa ancora più rabbia quello che è successo in Italia. Almasri è stato arrestato e poi liberato e riportato a casa. Meloni e i suoi ministri, invece di proteggere e rispettare le istituzioni per cui sono stati eletti, hanno scelto di inchinarsi alle milizie che li ricattano. E hanno deciso che le ragioni di“opportunità politica” pesano più del contrasto ai crimini contro l’umanità». Questa è la realtà fuori dalla propaganda meloniana. Questa la vita vera e le conseguenze reali sulla pelle delle persone. Ne risponda Almasri, ma anche chi lo ha scandalosamente protetto. Una ferita indelebile di questo Paese.

6.11.25

cambiamento climatico in sardegna e non solo c'erano una volta i mandorli distrutti da da caldo e siccità ., adesso vanno mango , avocado e noce pecan

 


“NON NE POSSO PIÙ DEI PROGRAMMI DI CUCINA CHE SI VEDONO IN TV, HANNO COMBINATO DISASTRI IRREPARABILI” – ALDO GRA SSO SI CUCINA GLI CHEF CHE IMPERVERSANO NEI PALINSESTI TELEVISIVI

facendo zapping su internet durante le interruzioni pubblicitarie di una giornata particolare di cazzullo su la7 leggo su dagopia questo   Estratto dell’articolo di Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” (  qui l'articolo integrale N.b purtroppo  è  a pagamento  ma  che  potete  leggere  qui su  msn.it  )  

 

alessandro borghese in  cacio e pepe



Fino a poco tempo fa eravamo dei «morti di fame» (metafora) adesso siamo diventati così pretenziosi da storcere il naso per l’impiattamento. Sono sincero, non ne posso più dei programmi di cucina che si vedono in tv, convinto come sono che abbiano combinato disastri irreparabili.
Per un certo periodo della sua storia, la tv ha anche insegnato agli italiani come mangiare meglio, come diversificare i cibi […]

 

antonino cannavacciuolo giorgio locatelli bruno barbieri

Poi sono arrivati gli «spadellatori» che ci hanno trascinato in una deriva: spettacolarizzazione del cibo e del linguaggio che parla di cibo, cuochi diventati all’improvviso maître à penser, sempre in tv a fare soldi con i programmi per pagare i debiti dei loro ristoranti stellati. Ma quel che è peggio, hanno diseducato il pubblico, lo hanno reso saccente e borioso.
L’altra sera, ho seguito un programma di cucina, non importa quale: era una gara fra ristoranti italiani a Lisbona. L’aspetto più sconsolante erano i tre italiani (due donne e un maschio) che tifavano per il loro ristorante preferito, come fosse una seconda casa, un nido materno dove l’emigrato si consola con i sapori di casa. Ma avreste dovuto sentire come discutevano di cibo!

 

aldo grasso

Capirei se uno desiderasse mangiare una pietanza (buona) contenuta in un piatto normale e non in una forma oblunga e artistica; […] capirei se volesse un tovagliolo di lino; capirei se volesse pane casareccio senza semi di qualcosa, ma mangiare cacio e pepe a Lisbona e discutere degli aspetti estetici mi è parso il segno del ridicolo in cui siamo sprofondati.
È colpa della tv se il cameriere ti versa il vino quando il bicchiere è ancora mezzo pieno (Montanelli teneva il fiasco sotto il tavolo), è colpa della tv se sono sparite le trattorie, è colpa della tv se ti devi sorbire lo storytelling del piatto e se ogni portata dev’essere instagrammata per far sapere che esisti. Viva i cuochi che vanno poco in video e si dedicano alla cucina.



Ora non sono estimatore di Grasso er il suo modo di criticare ( aldo grasso controversie - Cerca con Google ) ma qui , almeno  dalla lettura     di questo stralcio ,   
ogni tanto Aldo Grasso ne dice una giusta .  Infatti  non se    può più nè di  pubblicità  in cui    sono  presenti  i grandi chef nè di  programmi o reality sulla cucina  da  loro condotti  . Peccato che  la critica  , anche se  io preferisco choiamarla  sfogo  di Grasso  non  tocchi  i  vari programmi   di cucina    tipo  è sempre  mezzogiorno e  simili che  ci  sono     tv    


carlo cracco e Iginio Massari



Carlo Cracco

che per usare le parole dello stesso Grasso spettacolarizzano il cibo e il linguaggio che parla di cibo  .troppi cuochi(veri o presunti/ improvvisati )presenti in tv , troppi programmi nella tv pubblica e privata che riguardano direttamente o indirettamente il cibo , ormai non se ne può più.

Antonino  Cavannaciulo  
Tutto ciò mi ha fatto venire in mente la scena [ non sono riuscito a trovare in video ], del film sono tornato di Luca minero , dove Mussolini fa zapping in tv e vede sconfortato l'alto numero di trasmissioni dedicate al cibo alla cucina . Comunque Grasso ha avuto merito di mettere se pur parzialòmente anche chi è contrario a tale suo editoriale .Infatti : « [...] Il rischio, semmai, è che una eccessiva teatralizzazione della vita di cucina possa sì avvicinare ad un mestiere umile ma esaltandone smisuratamente lustrini e paillettes a discapito dell’olio di gomito (elemento primo e non sostituibile di ogni cucina).[...]  » da  Aldo Grasso sbaglia a stroncare gli chef in tv. Però, a ben vedere… di   https://www.intravino.com/

5.11.25

la serie di netflix il mostro di stefano sollima avrà un seguito secondo me si ? occhio SPOILER



ho finito di vedere su netflix Il Mostro di Firenze, miniserie in quattro episodi diretta da Stefano Sollima e dedicata a uno dei casi di cronaca più raccapriccianti in Italia potesse conquistare il mondo. Invece, è finita in testa alla classifica globale di Netflix con 9,6 milioni di visualizzazioni nella settimana dal 20 al


26 ottobre. la serie il mostro di firenze di Stefano Sollima . Bella ed intrigante  con una  clonna  sonora    perfetta    a tale racconto   e  angosciante  al punto  giusto  ed  inevitabilmente  davanti a   talik fatti     purtropppo  realmente    avvenuti
. Devo riconoscere che lo stesso Sollima si è superato . Infatti questo mio giudizio trova conferma in quest articolo : « Su Netflix un racconto agghiacciante: una storia vera svelata come mai prima fin nei minimi dettagli » di https://www.libero.it/magazine
 [.... ] Il Mostro, le parole dell’avvocato Vieri Adriani sulla serie Netflix
Su Netflix il 22 ottobre 2025 arriva Il Mostro, la nuova serie di Stefano Sollima, creata insieme a Leonardo Fasoli. Racconta gli otto duplici omicidi compiuti tra il 1968 e il 1985 nelle colline toscane, attribuiti al Mostro di Firenze. Sedici vittime, un’unica arma mai ritrovata (un calibro 22 con proiettili Winchester), e un clima di terrore che ha attraversato generazioni. Sollima, noto per Romanzo Criminale e Suburra, si concentra sul lato umano e
psicologico della vicenda, partendo dal primo delitto del 1968 visto dagli occhi di Natalino Mele, unico testimone bambino. La serie racconta un’Italia rurale degli anni Sessanta, segnata da patriarcato, gelosie e silenzi, in cui si consumano omicidi come quello di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Sollima sceglie un approccio realistico e documentato, evitando la mera ricostruzione processuale, con attori non famosi e dialoghi curati. L’avvocato Vieri Adriani, legale dei familiari delle vittime, commenta ai microfoni di Adnkronos : "La ricostruzione storica appare accurata fin nei dettagli, i dialoghi sono verosimili e ben scritti".
Racconta inoltre la prospettiva plurale della serie: "Da un progetto di questo tipo non ci si può aspettare – né sarebbe auspicabile – una ricostruzione processuale pedissequa, che risulterebbe probabilmente anche piuttosto noiosa.                                                                 La ricostruzione storica della serie Netflix appare accurata fin nei dettagli; i dialoghi sono verosimili e ben scritti; efficace l’adozione di un punto di vista plurale, che consente più interpretazioni senza costringere lo spettatore a parteggiare per una in particolare.
 La narrazione si modella sull’aspetto umano e psicologico dei personaggi, evidentemente ispirata agli atti processuali, letti e ponderati con attenzione. Chi è in cerca di ‘verità’ farebbe bene a rivolgere le proprie domande ai magistrati, che finora l’hanno distribuita col contagocce Dieci e lode a Sollima per la sceneggiatura, la fotografia, la cura delle ambientazioni e la scelta delle auto d’epoca". La miniserie sarà composta da quattro episodi e mira a ripristinare autenticità e realismo, raccontando la storia dalle prime vittime fino agli ultimi delitti, senza offrire certezze ma mostrando le ombre, gli errori investigativi e le ipotesi rimaste aperte. [...] 

 Infatti   il suo non è un punto di vista che ha l’obiettivo di offrire un colpevole, quanto più di presentare il clima di sospetto e paura che avvolse l’Italia di quegli anni. come  conferma  la recensione  ( che  poi  è   quella  insieme  ad anteprime  lette  sui  giornali   locali  nuova  sardegna ed  unione  sarda    a  vedermi la  serie  )  di  :  « Il Mostro, la recensione della serie tv di Sollima sul Mostro di Firenze presentata a Venezia  »  di  Sky TG24 . La serie ruota attorno alla figura di Silvia Della Monica (interpretata da Liliana Bottone), magistrato che si occupò in prima persona delle indagini. Una figura quasi unica in questa vicenda, poiché all’epoca fu la sola donna in una squadra investigativa dominata da uomini, e la sua presenza diventa simbolo di un cambiamento sociale lento ma necessario.
Sollima riesce nel difficile compito di creare un’atmosfera cupa e densa, fatta di sguardi sospettosi e verità taciute. In ogni episodio, il confine tra vittima e carnefice si fa sottile e confuso, ma per chi crede che egli tratti solo una parte delle vicende, purtroppo la ridotta durata degli episodi finisce inevitabilmente per limitare la profondità del racconto. In sole quattro puntate, effettivamente, molte sfumature del caso vengono solo accennate o, in alcuni casi, del tutto omesse. Per questo Esso ha ricevuto numerose critiche alcune secondo me un po' frettolose . Infatti molti non devono aver visto la serie completa o si aspettavano che la serie avrebbe abbracciato i un unica stagione tutti gli aspetti e le numerose piste dell’indagine, mentre invece ci si concentra quasi esclusivamente sulla cosiddetta Pista Sarda. Quel filone che vide coinvolti alcuni uomini originari della Sardegna trasferitisi in Toscana, tra cui Stefano Mele (marito di una delle due prime vittime) e i fratelli Vinci, Salvatore e Francesco.. Ma, quello che chi come me lo visto tutto fine alla fine ha notato che
Infatti  è nutile negarlo, negli ultimi giorni in molti si sono chiesti (e continuano a chiedersi) se ci sarà una seconda stagione de Il Mostro, su Netflix, o se la serie sul Mostro di Firenze si conclude qui. La storia ripercorre diciassette anni di terrore e indagini sugli otto duplici omicidi tra il 1968 e il 1985, concentrandosi sulle giovani coppie uccise nelle campagne intorno a Firenze. La serie parte dal duplice omicidio del 1982 di Paolo Mainardi e Antonella Minervini e torna poi al caso del 1968 di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci; esplora la pista sarda e mostra i primi sospetti su Francesco Vinci, Salvatore Vinci e Giovanni Mele., ciene quindi analizzata e tratta solo fra le tante piste solo quella sarda poiché al momento, non ci sono   come  ho detto    nelle  righe  precedenti   conferme ufficiali su una nuova stagione. La produzione, infatti, non ha né annunciato né smentito il progetto, e il pubblico che come  me   ha seguito la vicenda non attende altro che nuovi aggiornamenti.
Nonostante  il dubbio   se  continuerà   o meno  e   le  critiche     tipo :  la serie non accenna minimamente ad altre piste o sospettati che hanno occupato le cronache per decenni, rendendo il tutto abbastanza parziale e frammentario. "Sì ma non mi potete lasciare così sul finale e non parlare dei compagni di merende" , ecc la  serie  garantisce compattezza narrativa, anche  se dall’altro lato esclude per forza di cose numerosi aspetti decisamente interessanti della vicenda e che per numerosi spettatori sarebbero stati meritevoli di menzione.Comunque   un buon risultato  . Aspetto  con ansia   il  seguito che  sicuramente  visti  i  precedenti   di  Sollima  sarà un  altro  probabile  successo . Ma soprattutto  sono curioso i vedere come , come credo anche  voi ,    di vedere   come S affronterà  la pista dei compagni di merende e le altre piste  se , secondo il mio  intuito \  sesto senso  ,     decide   di fare  un lavoro seriale   di più  stagioni  .  Che  altro dire  ?  se  non  buona  visione   se  non  lo  aveste  ancora  visto . 


 approfondimenti


4.11.25

stranezze della crisi economica in sardegna

 






«Franca dall'olio prima Miss Italia sarda nel 1963, ho preferito la scuola alla celebrità»


da la nuova sardegna

Franca Dall’Olio una donna che non ha mai rinunciato alla testa per la bellezza. Dal Poetto a Salsomaggiore, alla politica con An: «Meloni? Mi piaceva, ora meno»

                                       di  Andrea Massidda

Cagliari, estate del 1963. Il sole abbaglia la sabbia del Poetto e le onde lambiscono i sogni di adolescenti che scoprono la musica dei Beatles, ascoltano Martin Luther King pronunciare la frase “I have a dream” e assistono stupefatti all’impresa della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, prima donna al mondo a volare nello spazio. Tra i bagnanti dello stabilimento “Il Lido”, una diciassettenne dalla bellezza sconvolgente legge un libro sotto l’ombrellone. È Franca Dall’Olio, cagliaritana doc: studiosissima, curiosa di tutto, con un sorriso timido e un carattere forte. Non può immaginare che, di lì a poco, sarà incoronata Miss Italia e la sua vita si troverà a un bivio per poi trasformarsi in un mosaico di esperienze e passioni – il mondo dello spettacolo, la laurea in Lettere, l’insegnamento, la politica, la vita familiare – vissute sempre con grazia, intelligenza e una buona dose di ironia.




«Quando uscii dall’acqua dopo aver fatto un tuffo per rinfrescarmi – ricorda lei stessa adesso che sta per compiere 80 anni – si avvicinò un signore elegante che mi disse: “Tu sarai la mia Miss Italia”. Pensai: “Questo è matto, ma che modo è di abbordare una ragazza?”. E gli dissi: “Grazie, ma lei oltre a essere anziano non è proprio il mio tipo”. Mi spiegò che era Enzo Mirigliani, l’organizzatore del concorso. Risposi che non avevo tempo: a fine settembre iniziava la scuola. Ma quando mi parlò del premio – 500mila lire in gettoni d’oro e un’automobile – cominciai a pensarci. Misi soltanto una condizione: che alle preselezioni partecipassero anche le mie amiche sarde. Accettò».

Signora Dall’Olio, lei che tipino era da ragazza?
«Ero orgogliosa e ambiziosa: mi piaceva primeggiare a scuola. Tuttavia non ero la tipica secchiona. Adoravo uscire e andare a ballare».

Ha infranto molti cuori?
«Modestamente, sì».

Dopo l’incontro con Mirigliani che cosa accadde?
«Niente, superai la selezione regionale e poi andai a Salsomaggiore. Mamma impose che mi accompagnassero mia zia, la moglie del pittore Cosimo Canelles, e mio cugino Paolo: una era stanca e se ne rimase in albergo, l’altro davanti a tante bellezze perse la testa e sparì nel nulla. Morale: mollata da sola».

Va bene, ma almeno alla fine diventò davvero Miss Italia.

«Già. Non ero la più bella, va detto, però avevo carattere: un po’ antipatico forse, ma deciso. E poi rispetto alla media delle altre concorrenti sapevo parlare, non sbagliavo i congiuntivi».

Che ambiente trovò lì al concorso di bellezza?
«Molto serio. Noi reginette eravamo super controllate e sottoposte a orari rigidi e disciplina. Tra le concorrenti c’erano tante ragazze molto carine, ma anche molto semplici. I giornalisti le trattavano come delle oche. Ricordo che Orio Vergani, firma famosissima, sbottò dicendo che eravamo tutte ignoranti».

E lei, con il suo caratterino?
«Io presi subito la difesa della categoria. E da brava studentessa del liceo classico chiamai da parte i cronisti per chiedergli di spiegarmi la differenza tra aoristo debole e aoristo forte. Nessuno seppe rispondere. “Ecco – dissi – voi siete ignoranti e non siete nemmeno belli”. Da quel momento mi guardarono con rispetto».


Insieme alla corona ricevette proposte per lo show business?
«Mi proposero subito due sfilate: una a Glasgow e una a Milano, per lo stilista Emilio Schubert. Accettai giusto per curiosità, ma avevo già altre ambizioni: volevo laurearmi. E in più, nonostante i tira e molla, frequentavo già quello che sarebbe diventato mio marito».

Non le offrirono ruoli nel cinema?
«Sì, ma rifiutai. Avevo un difetto di balbuzie e non volevo essere ridicola. Dissi di no al produttore Cristaldi che mi propose di fare un film con Celentano.“Io con quel buzzurro? Mai!”, gli risposi. Poi mi sono pentita: era un artista vero».

Ha conosciuto personaggi famosi?

«Alla Mostra del Cinema di Venezia conobbi Vittorio Gassman: bravissimo, per carità, ma troppo antipatico. E poi rimasi a parlare a lungo con... oddio, come si chiamava? Dai, quell’attore americano con gli occhi azzurri...».

Paul Newman?
«Ecco, bravo: Paul Newman. Bellissimo e gentile. Magari un po’ basso, per i miei gusti» (ride).

Una volta tornata a Cagliari si laureò subito e andò a insegnare Lettere, giusto?
«Sì, per 28 anni. È stata la mia vera passione. Gli studenti mi rispettavano molto, anche se ero severa. Li facevo scrivere tanto, ma poi mi hanno sempre ringraziato».

Mai avuto rimpianti per non aver continuato nello spettacolo?

«Qualche volta, ma senza nostalgia. È stato un momento di giovinezza, poi sono arrivate le responsabilità. Con mio marito ci sono stati periodi difficili, ma il nostro amore è durato 45 anni».

A un certo punto è entrata anche in politica, con Alleanza nazionale.
«Sì. Mio cugino Valentino Martelli mi chiamò e mi disse: “Ci serve una donna per il Comune di Cagliari, tu sei la persona giusta”. Io non volevo, ma poi mi candidò lo stesso. Alla fine venni eletta. Ho lavorato molto: ho portato fondi per restaurare monumenti, musei, chiese. Bella esperienza».

Le piace Giorgia Meloni?
«Mi piaceva, ultimamente un po’ meno. Comunque è una donna determinata».


Cos’è per lei la bellezza?
«È armonia. Non solo esterna, ma anche interiore. La bellezza senza anima non vale nulla».

Dieci anni fa l’orrore in Sud Sudan, Annet: «Vidi morire mio padre, ora rinasco a Cagliari»

   da  l'unione  sarda 4\11\2025 


 Era una ragazza quando i guerriglieri gettarono nel dramma la sua famiglia: «Sogno il dottorato, poi aiuterò l’Africa»





L’unico modo è raccontarlo come se fosse successo a un’altra. Altrimenti, le parole si soffocano in gola. Così Annet parla, ma dalla mente scaccia le immagini di quella tragedia: «Era il 2015, entrarono a casa all’improvviso, uccisero mio padre quasi subito. Avevo 15 anni e da noi in Sud Sudan la guerra civile spargeva tanto sangue. Erano in abiti civili e armati, nemmeno capimmo a quale fazione appartenessero. Volevano le cinquanta mucche con cui si sostentava la nostra famiglia di dieci persone. Mio padre rifiutò, significava cadere in miseria, e gli spararono davanti a noi: l’ho visto morire per terra. Poi chiesero alla nostra sorella maggiore se preferiva che i guerriglieri uccidessero mamma e tutti gli otto figli o andare in camera da letto con il capo. Non ci pensò nemmeno: si sacrificò per tutti. I guerriglieri se ne andarono con le nostre mucche, lasciandoci solo dolore e miseria. E papà morto per terra. E mia sorella umiliata».
Juan Annet Poni Micheal è una ragazza timida, dolce e garbata. Ora ha 26 anni e racconta quell’orrore con un filo di voce: «Dopo il raid fuggimmo in Uganda, in un campo per rifugiati». Annet, una roccia gentile, non si è lasciata andare: intelligentissima, vince tutte le borse di studio cui partecipa, a partire da quella del campo per rifugiati. L’ultima, in questi giorni, l’ha condotta a Cagliari: così come un ragazzo eritreo, si è aggiudicata la borsa di studio di Unicore (“Corridoi universitari per rifugiati”) per l’Università inclusiva bandita dall’Agenzia Onu per i rifugiati Unhcr e utilizzabile in 33 Atenei italiani, tra cui Cagliari. È un’iniziativa di Farnesina, Caritas diocesana di Cagliari diretta da monsignor Marco Lai, associazioni e fondazioni, oltre che dell’Ateneo anche attraverso l’Ersu. Un’iniziativa che l’arcivescovo del Capoluogo, monsignor Giuseppe Baturi, anche da segretario della Conferenza episcopale italiana, sostiene con forza. E di cui i sardi sanno troppo poco: un loro aiuto economico alla Caritas diocesana consentirebbe di accogliere altri studenti con storie difficili come Annet e Musie, il ragazzo eritreo giunto con lei in città. Da sabato sono ospiti del Campus “Sant’Efisio” nel Seminario arcivescovile in via Cogoni, dove conseguiranno la laurea magistrale: quarto e quinto anno. Per Annet è la terza vita: la prima finì a 15 anni con il blitz di guerriglieri e l’uccisione del padre, la seconda si è conclusa ora con la partenza dal campo di rifugiati in Uganda («sono tanto grata al Paese che ci ha accolti»), la terza inizia ora. In Sardegna.

Com’è capitata a Cagliari?

«L’ho chiesto: è uno dei pochi Atenei che offre il mio corso di studi in inglese e io l’italiano devo ancora impararlo. La mia gratitudine verso la città, l’Ateneo, la Caritas è grande».

Che cosa studia?

«Mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Economia, finanza e analisi dei dati, che conseguirò qui a Cagliari. Voglio anche un Phd, un dottorato di ricerca. Essere una rifugiata non significa che la mia vita è finita: devo farla ripartire. La borsa di studio che ho vinto in Uganda, la Dafi Scholarship, se l’aggiudicano 60 studenti su duemila. Chi ha ucciso mio padre, stuprato mia sorella e reso la mia onestissima famiglia un gruppo di rifugiati, non riuscirà a fermare anche la mia vita. Vado avanti, malgrado quel che ho dietro le spalle».

Lo dice con un filo di voce.

«Perché non è una rivalsa: lo studio è un diritto fondamentale, consente il riscatto e la riconquista della libertà. Ci credo e lo faccio, non mollerò mai, abiterò nei libri fino a quando non otterrò i risultati che mi prefiggo. Lo farò anche grazie a Cagliari, alla sua Università e alla Caritas» .

Possiamo scommetterci. Quanto è stata dura?

«Durissima, ancora lo è, ma devo farcela. Lo devo a papà che ha tentato di proteggerci anche se era impossibile, agli altri miei familiari, a chi mi aiuta qui e a chi l’ha fatto in Uganda, il Paese che ha accolto l’intera mia famiglia. Lo devo a mio cugino che, finché ha potuto, in Uganda ha pagato i miei studi con quel che riusciva a guadagnare, e l’ho ricambiato col massimo impegno. Lo devo a voi che mi ospitate e mi aiutate. Lo devo a me».

Studia per fare che cosa, dopo che avrà la laurea e anche il Phd?

«Non lo so di preciso, ma certo qualcosa che possa aiutare l’Africa, considerato che lo fanno in pochi nel mondo: le nostre guerre hanno meno seguito rispetto ad altre, anche se tutte sono terribili per le popolazioni: ovunque siano. Non sono mai più tornata in Sud Sudan da quando sono una rifugiata, quindi da una decina d’anni. La guerra civile è finita ma ormai è un Paese allo sbando senza legge né polizia. Ora studio, poi utilizzerò il mio sapere e la posizione che mi consentirà di conquistare per impegnarmi anche per il mio Paese e il mio continente. Adesso tanti aiutano me, poi toccherà a me aiutare e certamente non mi nasconderò. Anzi».

Sarà il frutto che verrà grazie a chi ha deciso di investire su di lei.

«Certamente. E poi faccio di tutto per essere un esempio per le persone che hanno perso tanto, a volte tutto: il riscatto è sempre possibile e sto cercando di dimostrarlo prima di tutto a me, con la speranza di motivare anche altri. Non è mai finita, se non lo consenti».

Dovunque studi, lei è tra i migliori. Ad esempio, seconda durante il college.

«Rientra in quel di cui abbiamo appena parlato. Anche al campo dei rifugiati ugandese, dove sono tornata dopo il college, esistono le borse di studio e io, che non ho più niente, ho fatto di tutto per ottenerla. E adesso si è aggiunta quella che mi ha condotto fin qui, a Cagliari, che si avvia a diventare una delle mie patrie. Nel mio futuro vedo senz’altro l’Uganda, così accogliente con i rifugiati. Cercherò di ricambiare quanto ho ricevuto da quel Paese, ma anche da voi».

Annet non è d’acciaio: i momenti difficili ci sono ma ha deciso che, oltre che il padre, i guerriglieri non avrebbe ucciso anche lei: nell’anima. Allora vive, sogna, progetta: non c’è allegria, ma forza sì. L’entusiasmo della Caritas diocesana, dell’arcivescovo e dell’Università nel sostenere il progetto sono energie, e soldi, be n spesi. Da sei anni, ogni anno un ragazzo e una ragazza rifugiati vengono a studiare all’Università di Cagliari (quella di Sassari non aderisce al progetto) e si salvano, cambiano le loro vite con la qualifica di “dottori”. «Caritas e Università di Cagliari hanno scommesso su di me», sospira Annet, «devo dare un senso a questo aiuto. Solo così continueranno a darlo anche ad altri giovani che vivono un inferno. Devo vincere anche per loro».

il doppio volto del patriarcato trova conferma dall'intervista a belve di belen e dal libro Mai più cosa vostra. Come spezzare le radici del patriarcato e della violenza maschile di Fabio Roia, Ilaria Ramoni che racconto senza ideologie della violenza sulle donne

  in sottofondo
L'ULTIMO GIORNO DI PATRIARCATO  - Checco Zalone

 IL  mio  precedente  post : «  il patriacarto non vive solo negl uomini  vive in chi lo giustifica in  chi  chiude  gli occhi  in  chi chiama rispetto quello che  è paura  »  trova   conferma     quanto     dice  Stefania Cirillo in  Il patriarcato ha più di un volto? L’intervista a Belen Rodriguez lo prova ( articolo che     riporto  in toto  non rusceno  a  sintetizzarlo \  riassumerlo  )   su  Metropolitan Magazine



Se anche voi, lettori, siete convinti che il patriarcato sia un fenomeno inconsistente senza alcuna valenza, sono obbligata a farvi ricredere. Se, in aggiunta, pensate che il suddetto termine sia stato coniato per screditare il genere maschile, sono tenuta a spiegarmi meglio. Per farvi avvicinare al concetto di patriarcato e al perché sia negativo per ambo i sessi, vi cito quanto successo durante l’intervista a Belve che vede protagonista Belen Rodriguez. Qualora foste all’oscuro di quanto detto dalla conduttrice argentina, a seguire ne parleremo opportunamente.
La violenza sugli uomini, quindi, è meno grave?
Nel caso in cui foste confusi dall’introduzione e dal connubio tra patriarcato e Belen Rodriguez non preoccupatevi. La perplessità è comprensibile poiché, oggigiorno, tutto ci si aspetterebbe fuorché sentire confessioni di questo tipo. Soprattutto in televisione, soprattutto da personaggi di pubblica rilevanza. Se credete che questo preambolo voglia intensificare una situazione non così tanto grave, è scorretto. La situazione è grave tanto quanto sembra. Perché, chiedete? Perché “sono manesca, ho picchiato tutti i miei fidanzati”, citando le parole di Belen, è l’ultima cosa che vorremmo sentire.
Il modo, il sorriso, la fierezza con cui vengono riportate queste affermazioni è preoccupante. “Quando non capiscono passo alle mani” e ancora, “non mi interessa, lo rifarei”. Ma non c’è da preoccuparsi, non è violenza questa. È solo il modo in cui, a quanto pare, le cose vengono risolte in Argentina. Perché, in fondo, aveva le sue ragioni. Se lo meritavano. Nel caso in cui siate stati travolti da un’ondata di disgusto e indignazione bene, perché quanto fatto e raccontato dalla Rodriguez è violenza fisica. La gravità, poi, si intensifica a causa della noncuranza e della tranquillità con cui ne parla. Ovviamente, anche se si fosse mostrata pentita o dispiaciuta, non avrebbe automaticamente cancellato le sue azioni. Almeno avrebbe potuto dimostrare che la frase “ho un cuore grande”, come da lei affermato, avesse avuto un po’ di valenza.
Le vittime restano tali, a prescindere dal sesso
Il patriarcato, come accennato in precedenza, influisce, intacca e debilita entrambi i sessi, seppur in modo differente. In genere tale fenomeno viene menzionato prevalentemente dalle donne. Pertanto, anche se in modo erroneo, si crede che questo non coinvolga gli uomini stessi. E se vi citassi la soppressione delle emozioni e la mascolinità tossica? Ecco, questi sono i sintomi e le conseguenze del patriarcato. Le stesse conseguenze prendono forma davanti ai nostri occhi. Prendono vita in modo plateale, tra una risata e uno scherzo. La prevaricazione del genere maschile e la sottomissione di quello femminile hanno spinto molti a credere che esiste una violenza vera e una, invece, di poco conto. A questo punto molti hanno iniziato a diffondere sui social, come accade sempre in situazioni analoghe, la frase “e se fosse stato un uomo a dirlo?”.
Gli stessi che hanno trovato riprovevoli le parole della conduttrice argentina, avrebbero avuto la stessa reazione anche se fossero state pronunciate da un uomo. Coloro che, invece, si pongono la suddetta domanda, non lo fanno con sincera preoccupazione nei confronti delle vittime. Sono spinti dal desiderio di puntare il dito quando ne hanno la possibilità. E, presumibilmente, sono gli stessi che deridono o sminuiscono gli uomini vittime di abusi. Anche questo è sintomo e conseguenza del patriarcato. Gli ex di Belen Rodriguez hanno subito violenza. Non esistono giustificazioni. Le vittime, indipendentemente dal sesso, restano tali e meritano la stessa credibilità. E no, non hanno meno valore se le violenze sono commesse da donne. Nemmeno se hai un cuore grande. 

 Infatti    Il patriarcato, tema al centro del dibattito culturale della nostra epoca, ha tratti in comune con la mafia. Lo specifica l'avvocata Ilaria Ramoni, durante un affollato incontro tenutosi,  a quanto riporta il Giornale  ,  ieri pomeriggio alla libreria Rizzoli in galleria Duomo, a Milano, per presentare il saggio Mai più cosa vostra, scritto a quattro mani con il magistrato Fabio Roia (nella foto). Entrambi i fenomeni, mafia e violenza sulle donne, hanno in comune di essere silenziosi, omertosi. Denunciare è difficile.
Oltre agli autori, ha parlato Alessandra Kustermann, ginecologa, presidente dell'associazione Donna Aiuta Donna. La questione va affrontata in modo paritetico, ha sostenuto. "Non sono d'accordo che gli avvocati dei centri antiviolenza debbano essere solo donne".
Francesca Nanni, procuratore generale alla Corte d'Appello di Milano, ha portato l'attenzione sul fatto che "testi di canzoni molto popolari tra i giovanissimi, addirittura fra i bambini, parlano di sesso, droga, atti illegali e violenza", declinata in senso maschilista. Si inneggia allo stupro delle donne, il che è molto diverso dalle forme trasgressive della canzone pop diventate popolare negli anni Sessanta e Settanta.
Melania Rizzoli ha parlato del libro come di "un'analisi lucida e crudele di quello che sta succedendo alle giovani generazioni"; il coautore Fabio Roia ha ricordato come fino a tempi recenti, nel 1945-46 si sosteneva che una donna visti i suoi cicli biologici non era adatta a esercitare in magistratura. Ha poi sottolineato che "chi commette reati di violenza contro le donne nel nostro paese è al 70 per cento in un'età tra i 18 e i 41 anni".
Il libro si sofferma parecchio sulla necessità di adottare strategie educative più efficaci, il che dovrebbe essere più presente nell'agenda politica.
Il finale dell'incontro ha strappato qualche sorriso un po' amaro. L'unica industria che continua a crescere in questi ultimi anni sono i centri massaggi, soprattutto cinesi, in realtà luoghi di esercizio della prostituzione. "Ma dietro a una falsa libertà c'è uno sfruttamento della donna", ha ribadito Roia. Infatti

3.11.25

chi lo ha detto che il fumetto non possa porti domande e spronarti facendoti coraggio il caso di “Paperino e il flagello degli otto mari” n 3649 di Soggetto e sceneggiatura di Marco Nucci Disegni di Fabrizio Bennossi

A casa di amici mi sono messo a leggere sottraendolo al loro figlio l'ultimo n di topolino è ho letto tutto d'un fiato la bellissima storia Paperino e il flagello degli otto mari . E proprio questa storia in particolare una delle ultime tavole ( vedere sotto a destra ) mi ha fato venirein mente una riflessione che riporto sotto .
Sbarazzarmi delle mie paure oppure come dice la tavola : « ... sono delle alleate ! una fidata flotta che aiuta a mantenere la rotta » . ?
Analizzando semanticamente la frase sbarazzarsi delle paure sembra che essa non ha senso compiuto, ma sembra unire concetti legati al disturbo da accumulo (disposofobia) e alla difficoltà di separarsi dai propri oggetti. In particolare, la difficoltà di "sbarazzarsi" ( ma anche dell'opposto, ovvero Non sbarazzarsi: cioè l'incapacità o la difficoltà a buttare via gli oggetti ) degli oggetti di cui il soggetto prova angoscia nel separarsene è il sintomo principale di questo disturbo, che si contrappone al "proprio" che potrebbe indicare l'ossessione per il possesso . Ma poi m'accorgo ripensado alla storia in questione che essa ha il significato di liberarsi di qualcosa in questo caso delle paure . Ritornando alla domanda in cui parlavo nelle righe precedenti .
Devo riconoscere che ha ragione Cormorano Teach quando suggerisce a Paperino quela frase ( vedere foto a sinistra )
Infatti Non esistono persone completamente prive di paura: la paura è un'emozione naturale e necessaria, ma il coraggio consiste nel saperla riconoscere e nel poter agire nonostante essa.
Essa è una risposta innata che serve a proteggerci di fronte a pericoli reali o immaginari, e si manifesta sia fisicamente che psicologicamente . Anche senza minacce apparenti, l'essere umano può provare paura anticipando eventi futuri o immaginando scenari negativi .
Persone diverse reagiscono con intensità differenti in base a diverse esperienze passate, cultura, educazione e fiducia in sé stesse. Inoltre dobbiamo distinguere fra paure che sono razionali e ci possono anche salvare la vita, altre sono irrazionali e ci limitano, impedendoci di vivere pienamente . 
Non provare paura non significa essere coraggiosi: la vera forza dell'essere umano risiede nel saper riconoscere la paura e nel superarla, affrontando sfide e incertezze nonostante il timore Figure notevoli come Giovanna d'Arco o Nelson Mandela hanno dimostrato che il coraggio nasce dalla capacità di agire anche in presenza di paura, trasformandola in determinazione e
azione cosciente Anche nella vita quotidiana, ogni piccolo gesto che compiamo nonostante il timore – parlare in pubblico, affrontare un cambiamento, avvicinarsi a sfide nuove, ecc può rappresentare un esempio di coraggio rispetto alla paura .
Vedere quindi La paura come opportunità di crescita personale ovvero accoglierla \e senza esserne paralizzati permette di sviluppare consapevolezza di sé e forza interiore.
Tecniche come la meditazione, la consapevolezza e, in alcuni casi, ipnosi o terapia cognitivo-comportamentale aiutano a riconoscere le paure e a reagire in modo costruttivo . La paura può diventare così uno strumento che segnala opportunità di crescita piuttosto che un ostacolo insormontabile.
In sintesi ecco che nessuno\a di noi, sottoscritto compreso è completamente senza paura,perché la paura è parte della natura umana. Ciò che distingue le persone coraggiose è la capacità di convivere con la paura, trasformandola in energia per agire e crescere. Vivere senza paura totale non è possibile né necessariamente desiderabile, ma vivere coraggiosamente nonostante la paura è il vero segreto del successo e del benessere personale .
Ecco che l'altro mio Io mi sta per chiedere ma come farlo ?
Per farlo è fondamentale affronterle progressivamente invece di evitarle, accettando di non poterle controllare completamente e lavorando sull'autostima attraverso sfide graduali e l'apprendimento dagli errori. Tecniche come la respirazione profonda, la meditazione e l'immaginazione controllata possono aiutare a gestire l'ansia correlata, mentre l'obiettivo non è eliminare la paura, ma imparare a conviverci ed affrontare le paure s piccoli passi: Inizia da sfide piccole e gestibili per guadagnare coraggio e fiducia, abituandoti gradualmente alle sensazioni che la paura provoca. Ecco come consigliano gli esperti
Accettarla e riconoscerla invece di combatterla solo . Questo passaggio ti libera dal blocco e ti permette di trasformarla in una risorsa.
Impara a conviverci: L'obiettivo non è eliminare la paura del tutto, ma imparare a gestirla e a conviverci in modo più sano, focalizzandoti sul vivere bene nonostante le difficoltà.
Gestire i pensieri correlati cioè accetta i pensieri soprattutto quelli ossessivi senza cercare di allontanarli subito, osservandoli in modo distaccato.
Rimanda i pensieri soprattutto quelli negativi dicendo a te stesso "ci penso dopo", così da togliere loro forza e intensità e magari dimenticarti quali fossero
Limita i pensieri ossessivi: Se necessario, usa affermazioni decise come "Basta!" per bloccare il pensiero.
Programma momenti per pensare Dedica degli orari specifici della giornata ai pensieri negativi o meno , anziché lasciare che ti assillino continuamente.Tecniche di rilassamento e gestione dell'ansia
Respira profondamente cioè Pratica la respirazione profonda o tecniche di respirazione guidata per ridurre l'ansia.
Meditazione e mindfulness cioè Dedicati a pratiche come la meditazione o la mindfulness per spostare l'attenzione dai pensieri al corpo e favorire il rilassamento.
Sii attivo in quanto l'attività fisica, lo yoga o altre attività sportive sono ottimi modi per ridurre l'ansia generale.
con questo è tutto . Ma prima di lasciarvi ecco i siti da me consultati
















la crisi colpisce anche i bar soprattutto nei piccoli centri , ma da un piccolo centro di 90 abitanti come semestene l'apertura di una bar fa aumentare i resisdenti ,

 


2.11.25

Il musico giramondo ha trovato casa Enrico Mantovano: «Suono in tutta Italia ma ho scelto i silenzi di Santa Maria Navarrese»

  unione  sarda  2\11\2025





Pareti tappezzate di libri, e poi dischi, chitarre disseminate per casa, un pianoforte, registratori a nastro. Dylan, Springsteen, Cohen, De Gregori e tutti i cantautori italiani di quegli anni sono i narratori della sua infanzia, raccontano storie e costruiscono immagini. Canzoni come fiabe. «Ero solo un bambino, ma ascoltavo e viaggiavo con la mente, mi emozionavo. E ancora oggi è così, l’incanto è rimasto. Mio papà era un cantautore e scriveva racconti, ma mi diceva sempre che nella vita avrei dovuto arrangiarmi e che se avessi voluto fare il musicista avrei dovuto impegnarmi più degli altri», racconta Enrico Mantovani, 50 anni, musicista, polistrumentista, direttore di una scuola di musica, educatore e maestro originario di Orzinuovi.
Autodidatta
Fin dalle elementari comincia a prendere in mano gli strumenti che lo circondano, la sua casa è un viavai di musicisti amici di famiglia. E prende alla lettera le parole di papà Mario. Autodidatta, a 15 anni suona già Jimi Hendrix, si allena fino a 12 ore al giorno e a 16 anni conosce Fabrizio De André. «Giorgio Cortini, il chitarrista di De André, mi ha preso sotto la sua ala e mi ha portato con sé nei backstage dei concerti, dove ho incontrato Fabrizio: non sono riuscito ad aprire bocca. A 18 anni ho iniziato a suonare con Cortini, andavamo nei locali e nei club a fare blues», ricorda. Da quel momento non si ferma più, in un crescendo di incontri e collaborazioni importanti: Renga, Nannini, Pino Daniele, Massimo Ranieri, Fausto Leali e tanti altri, fino al sodalizio con Massimo Bubola, che dura da oltre trent’anni.
La rivelazione
«Nel 2010 arrivo a Santa Maria Navarrese per fare un concerto con Bubola, sono rimasto sbalordito da questo posto: gli ulivi centenari, gli scorci di mare e di terra, i profumi, l’aria pulita, i silenzi, poche luci. Ho sentito un’energia speciale, ma non avrei mai immaginato di venire ad abitarci come poi è successo un paio di anni fa». In seguito torna tutte le estati a suonare, conosce tutti, viene accolto come uno di famiglia. Poi la svolta: un anno e mezzo fa sceglie di stabilirsi proprio a Santa Maria Navarrese. «Qui ho ritrovato il mondo contadino dell’infanzia, del paese in cui sono nato. Mi sono ritrovato a fare le cose che facevo nelle cascine. Le persone sono concrete, i rapporti sani, mentre al nord c’è una società più finta, che vive di apparenza», racconta.
Pace dell’anima
«Questa è una terra dell’anima, di pace. D’inverno ho fatto una vita un po’ monastica, ho riflettuto molto, i pensieri hanno un passo più lento, la mia anima sta bene. Suono meglio, il cervello è più libero. Qui ho fatto i concerti più belli della mia vita!», conclude Enrico. Lascia l’Isola circa cinque volte all’anno per suonare in giro per l’Italia insieme a Bubola e alla band di De André, ma poi torna in Ogliastra, dove lo aspetta l’essenziale. I libri, i dischi e il suo studio di registrazione. Quello che non ho è quel che non mi manca.

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