8.3.14

ORFANI NUOVE RILEVAZIONI OCCHIO SPOILER


  
Dopo aver riletto i primi 4 numeri per farmi un idea chi sia l'uomo con il fucile . E Cercando anticipazioni sul n°6 ed eventualmente i successivi del fumetto orfani . Quando mi sono imbattuto in questo due articoli , soprattutto il primo ( che riporto sotto integralmente ) che confermano le previsioni che feci quando , qualche post fa , parlai del primo numero . Ma soprattutto era da quasi 20 anni ( quando riscopri il l'anime e poi il romanzo , da cui è tratto l'anime , secondo me incompleto non finito di Alexander Key )





e più che non mi non mi riappassionavo a tale genere 






ORFANI #5Nuove rivelazioni









Non c’è più dubbio: Orfani spacca! E questo numero cinque, appena dato alle stampe, ne è la conferma più palpabile. 
La storia prosegue – sempre seguendo il duplice binario passato/presente – da dove l’avevamo lasciata a gennaio. Con questo nuovo albo scopriamo come – nel passato –, dopo la morte di Felix, sia entrato a fare parte del gruppo degli Orfani il tenebroso italiano, Raul, arrivato dopo la morte di tutti gli altri suoi compagni in una missione suicida che questa volta tocca compiere agli Orfani. Nel presente, fatto di attacchi sempre più devastanti dritti al cuore del fantasmatico nemico, vediamo come Sam – la mocciosa – e tutti gli altri abbiano superato la scomparsa dell’amico Ringo/Pistolero e si dedichino anima e corpo alla “nobile arte” del fare cadaveri. Ma proprio Raul, l’uomo con il fucile del titolo dell’albo, si accorge di qualcosa che non lo convince e va a parlare con la sempre più mefistofelica professoressa Juric.

Ciò che sta contribuendo a farmi apprezzare sempre più questa serie è la presenza costante nelle prime tre pagine di richiami al momento dell’attacco alieno: troviamo puntualmente uno dei nostri giovani e “futuri orfani” alle prese con normalissime attività. Questa volta è toccato al povero Felixche al momento dello scatenarsi dell’apocalisse aliena si trovava davanti al quadro di Pablo Picasso,Guernica (da notare la splendida ricostruzione dell’esterno del museo a opera di Maresca). Significativo il fatto in questo caso gli autori abbiano scelto proprio un’opera–manifesto contro la guerra come questo capolavoro dipinto proprio in occasione del primo vero e proprio devastante attacco aereo, triste preludio al secondo conflitto mondiale. La guerra non è la «sola igiene del mondo» come scriveva il pur geniale Filippo Tommaso Marinetti nel suo
 primo e giustamente famoso manifesto futurista del 1909, ma è la forma più bassa di azione di cui l’uomo è capace: come definire altrimenti un qualcosa che crea/genera/produce distruzione/morte/nulla? Voi direte: «Ma in questo caso non si è trattato di un attacco umano, ma alieno!» e io vi rispondo che al momento sembra così anche se ci sono molti indizi che lasciano pensare il contrario… Comunque la denuncia degli orrori prodotti dalla guerra è, in questa sede, ancor più chiara e netta e questo non può che far piacere agli Audaci ! Roberto Recchioni si sta dimostrando, numero dopo numero, un vero maestro di narrazione e un esperto conoscitore del mezzo fumetto. Con il suo innato senso della continuità, l’autore romano si diverte a montare e smontare le linee guida della storia dando al lettore prima l’impressione di essere sul punto   di risolvere gli enigmi che si trovano a vivere i protagonisti della serie ma subito dopo cala i suoi assi e spiazza tutti con i suoi memorabili colpi di scena finali! Luca Maresca mette in mostra tutto il suo esplosivo talento visivo e conferma una volta di più che questa serie può vantare tra i disegni più belli di sempre – o almeno, tra quelli più curati e meglio legati alla narrazione che si ricordi – e non è cosa da poco per la Bonelli (dove la cura maniacale per l’unione di immagini e parole è sempre stata – per citare i nostri Orfani preferiti e non solo – PURO VANGELO).


P.S. 


Gli Audaci – di comune accordo – hanno deciso di mandare un caloroso abbraccio e una sincera carezza al povero Franco Busatta, divenuto Uomo–Simbolo degli Audaci dopo l’imprescindibile editoriale introduttivo di questo numero. Un appello al caro e saggio Franco: «Quando non sai che cosa scrivere, caro amico, puoi sempre parlare del nostro blog!»


Rolando Veloci


Mi trova d'accordo anche il secondo articolo  del  sito  http://www.lospaziobianco.it/



L’uomo con il fucile spinge a un’ulteriore riflessione sui meccanismi del linguaggio narrativo bonelliano e su uno degli obiettivi dichiarati della serie che è quello di rinnovarlo.
Se si volesse, provocatoriamente, fare una sinossi di questo albo potrebbe essere la seguente:
Ci sono

«Sul wi-fi pochi dati, ma non c’è rischio cancro» L’opinione dei medici sui presunti rischi da onde elettromagnetiche: «Esporsi per 24 ore equivale a una telefonata di 20 minuti sul cellulare.»

cazzeggiando sul nuovo sito  del corriere  della sera   ho trovato questo articolo interessante


di Nicola Di Turi

 DOSSIER
«Sul wi-fi pochi dati, ma non c’è rischio cancro»L’opinione dei medici sui presunti rischi da onde elettromagnetiche: «Esporsi per 24 ore equivale a una telefonata di 20 minuti sul cellulare. E neanche questo è dimostrato essere dannoso»



Carlo La Vecchia
MILANO - «Se davvero le onde wi-fi facessero male, allora dovremmo smettere di usare anche radiosveglia e televisore. Entrambi ricevono onde radio più potenti, perché le emittenti sono molto lontane e quindi è necessaria una forza estremamente maggiore». Carlo La Vecchia, direttore del reparto di Epidemiologia all’Istituto Mario Negri di Milano, non nutre dubbi sulla strategia da adottare per sfatare i timori sulla presunta nocività delle onde wi-fi. Così, nonostante non possa fare a meno di ammettere come  «manchino studi attendibili sulla questione», la strada che sceglie di seguire per dimostrare l’assenza di rischi è una sola, a base di esempi e citazioni. «Quando negli anni ’70 si diffusero in America, le microonde furono studiate senza che emergessero evidenze dell’insorgenza di patologie, né di sintomi quali il mal di testa. Ci sono più dati sui telefonini, certo, e i primi avevano effettivamente un’energia elevata, che portava al surriscaldamento dell’area dell’orecchio. Ma il wi-fi si serve di una frequenza molto alta e di conseguenza di potenza estremamente bassa, perciò non c’è alcun rischio di cancro», spiega il medico. Ed è proprio 
daniele  Santini  
l’assenza di rischi il vero cavallo di battaglia del professore, convinto soprattutto dall’aspetto tecnico della questione: «Il wi-fi copre al massimo due-tre locali e la potenza delle onde è davvero bassa, altrimenti si sovrapporrebbero alle altre. Inoltre, le onde radio umane sono in giro da più di un secolo e non sono mai state accostate a rischi biologici». Il professor La Vecchia, in ogni caso, è in buona compagnia nel sostegno alla tesi della non pericolosità. «Esporsi alle onde del wi-fi per 24 ore di seguito equivale a telefonare per 20 minuti con il cellulare all’orecchio, e neanche questo è stato dimostrato che possa essere dannoso», conferma Daniele Santini, oncologo al Policlinico Campus Bio-Medico di Roma e tra gli specialisti interpellati dal Corriere. Accanto, però, al giudizio di merito, lo stesso Santini non può che lamentare anche «la mancanza di uno studio particolare sui tumori dovuti a esposizione al wi-fi, su un periodo non inferiore ai 5 anni. Comunque, finora è stato verificato solo che l’esposizione per più di 2 ore giorno alle onde dei cellulari, causa un surriscaldamento dei tessuti prodromico alla modifica di alcuni parametri a livello celebrale, ma sicuramente non all’insorgenza di tumori, che non pertiene neanche al wi-fi». Santini cita, tra gli altri, anche uno studio dello scorso anno firmato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
Guido Pedroli
 per la quale non esiste alcuna dimostrazione che leghi l’insorgenza di tumori o di danni per la salute, all’esposizione a onde wi-fi. 
«L’insorgenza di effetti negativi dovuti all’impiego dei dispositivi wi-fi è poco probabile e molto limitata. La normativa esclude possibilità di effetti acuti derivanti dall’uso di radiazioni elettromagnetiche», gli fa eco Guido Pedroli, direttore del dipartimento di Fisica Sanitaria dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO). Ma anche dal punto di vista tecnico, secondo Pedroli, non dovrebbero esserci timori sulla pericolosità delle onde elettromagnetiche ad alta frequenza. «Le potenze dei dispositivi wi-fi non possono superare i 100 mW, un ordine di grandezza inferiore rispetto a quello dei telefoni cellulari, per giunta normalmente indossati mentre il dispositivo wi-fi si trova quasi sempre a una certa distanza dagli individui. Per inciso, non esistono neanche studi epidemiologici che evidenzino rapporti causa-effetto tra il normale utilizzo dei telefonini e la sterilità», continua il fisico sanitario dell’istituto milanese. Quasi in risposta, poi, all’intervista rilasciata da Francesco Monico al Corriere, anche Pedroli chiama in causa i dati di uno studio firmato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca contro il Cancro (IARC). Ma mentre Monico riferisce di una ricerca per cui «i router wi-fi sarebbero pericolosi come i radar», Pedroli cita due pareri diversi firmati IARC e apparentemente in contrasto tra loro. «I dispositivi wi-fi emettono radiazioni simili a quelle dei telefoni cellulari. E secondo l’Agenzia (IARC), non ci sarebbe alcun aumento del rischio di glioma o meningioma cerebrale neppure tra gli utilizzatori regolari di telefoni cellulari da 10 anni o più», spiega il fisico dell’Istituto Europeo di Oncologia. Allo stesso tempo, però, è la stessa Agenzia Internazionale per la Ricerca contro il Cancro ad aver inserito «i campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde nel gruppo 2B, cui appartengono gli agenti per i quali non è possibile escludere la possibilità di effetti cancerogeni. Si consideri, comunque, che nel gruppo 2b rientrano anche il caffè e i sottaceti», conclude Pedroli.

I cittadini vanno educati alla civiltà

sulla  scorta  di quanto  ha  detto    Piera  Aiello   nel convegno ieri  a  tempio pausania    qui  sotto  un mio  breve  diario    dell'evento 

concordo con quanti dice   questo post  preso da  facebook  di  aldo divita

I cittadini vanno educati alla civiltà

8 marzo 2014 alle ore 11.17

 Palermo ore  07:30 Via Tiro a Segno altezza Cantiere Municipale.
Salendo dal Foro Italico verso la via Tiro a Segno accanto al rudere di un palazzo in costruzione abbandonato al degrado assoluto, trovo la strada sbarrata dai cassonetti dati in fiamme, rifiuti a terra e pezzi di lamiere.
Ancora un ennesimo episodio di inciviltà da parte di persone certamente soliti in questi atti di vandalismo.
Tutto questo e incettabile,lo sdegno e l’incomprensione per tali atti non trovano alcuna risposta logica. Credo che sia opportuna da parte delle autorità indagare su questi gravi gesti d’inciviltà,ormai a l’ordine delgiorno.
La zona già e fortemente degradata, dato la presenza massiccia di persone socialmente disagiati, inoltrela presenza di un edificio mai costruito e sequestrato dalle autorità che assieme a tutto il resto ha creato un vero ghetto abbandonato da tutti dove illegalità fa da padrona e l’inciviltà a livelli insopportabili.
Bisogna urgentemente bonificare la zona con la presenza nel territorio circostante delle forze dell’ordine e di tutti i servizi di vigilanza del comune di Palermo.
Naturalmente la priorità e rendere la zona pulita e igienicamente vivibile poi controllo totale di anomalie che sono tantissime. Rispetto alla legalità e alle regole della civiltà, da molti sconosciute. Faccio appello al primo cittadino di agire urgentemente dato la gravita della situazione. Ritengo indispensabile anchel’uso della forza, e del recupero educativo e sociale di queste persone,abbandonate nel totale degrado. Un ulteriore ritardo da parte dell’amministrazione peggiorerà la situazione ormai piuttosto sgradevole creando una fossa di emarginazione.
Ancora una volta mio malgrado sono costretto al compito che meno vorrei espletare.
Questo lo considero un lavoro sporco ma purtroppo qualcuno lo deve fare.
L’opinione pubblica si deve rendere conto che lo sviluppo di una città dipende anche dal processo di civilizzazione dei suoi abitanti.
Nel contempo non deve comunque mancare la qualità dei servizi, che da tempo in questa città sono mediocri,e alle volte inesistenti.
No al ghetto si alla civiltà,cultura e civiltà devono andare di pari passo.


finalmente un convegno sul 8 marzo non retorico . Piera Aiello a tempio p il 7\3\2014

canzone  consigliata  ed  in sottofondo   ROSE DI MARZO - casa del vento
                        ( l'unica foto concessami  dell'incontro   ) 
                           in quanto  Piera era presente   a  viso  scoperto 

Come dicevo dal titolo , ieri a tempio p , i presidi Rita Adria insieme alla sezione   locale  di sardegnasolidale hanno organizzato un" incontro preparatorio a quella che sarà a giornata nazionale del 21-22 marzo organizzata annualmente dall'associazione nazionale antimafia Libera qui.per dettagli della manifestazione
All'evento  è intervenuta Piera Aiello la prima testimone di giustizia donna d’Italia. Ha raccontato rispondendo alle domande degli studenti delle superiori la sua storia che trovate riassunta qui sotto . Il carattere fiero , determinato di questa donna forte può essere riassunto  sia da  :  











Dal  suo  in questo suo libro 








Il carattere fiero , determinato di questa donna forte può essere riassunto per chi non c'era in questa intervista rilasciata alla nuova sardegna del 7\3\2014 


                                   cliccate  sopra  per  ingrandirla

Grande e bella piera aiello . Mi spiace non potervela farla vedere in foto o video . Ma per la sua salvaguardia questo e altro . Ce ne fossero persone così coraggiose piene di vita . Infatti : << "Ma non tornerei mai indietro - ha affermato con orgoglio - E' un sacrificio che vale la pena di fare". Un messaggio fermo che ripete più volte come un mantra, insistendo che bisogna sempre "aiutare chi è in difficoltà perché è caduto nella rete". E le sue parole riescono a emozionare anche i più giovani. (ANSA) del 7\3\2014 >> Alla domanda, apparentemente semplice, fattagli avant'ieri a Porto torres durante l'incontro organizzato da L’iniziativa promossa da Libera Sardegna con il presidio Falcone e Borsellino di Porto Torres, è nata in collaborazione con la locale sezione del Centro servizi volontariato Sardegna Solidale «cos’è la mafia?», Piera Aiello ha risposto che non è solo un organizzazione criminale ma è proprio un certo modo di essere e che si sconfigge partendo da noi stessi, dalla mafia che è dentro di noi intesa come indifferenza nei confronti di chi è vicino a noi e che si trova in difficoltà.Parole grandi che risultano vissute fino in fondo da una donna che rivendica la sua “ribelle” semplicità, ma anche la sua coerenza. Lei racconta in breve la sua storia e risponde alle domande che spesso sono ricorrenti. “Non ha paura?” e lei con tutta la serenità di chi ha potuto farsi una seconda vita, pur con tutte le difficoltà di vivere da vent'anni sotto copertura, risponde: ”Io da ventitré anni quasi sono testimone di giustizia e da allora 'li aspetto'.. prima o poi tutti dobbiamo morire ed io lo farò  senza essermi girata dall'altra parte... io ho respirato quell'aria fresca di libertà che un Totò Riina



























ancora  oggi  con il suo potere e il suo 'fascino televisivo' da mafioso, in una prigione di un metro quadro non può avere... Non dobbiamo mai rassegnarci, dobbiamo sempre cercare la verità, informarci". Un incontro quello di tempio pausania     che Chi aveva dei dubbi gli ha sciolti chi aveva certezze le ha rafforzate . Grazie piera mi hai tirato su il morale e ridato fiducia.Grazie a piera ed a libera ho. Capito ulteriormente la differenza tra testimoni e collaboratori di giustizia . Sono riuscito a stringerle la mano ed a salutarla e non potendo come già dicevo prima , riportare nè foto nè video ,   porto a  voi la  sua stretta   di mano  con   questa  foto  qui  a sinistra  ,  in formato  png presa da  questo canale  di  youtube , per parafrasando  il famoso   sceneggiato televisivo (1984),prodotto dalla Rai per la regia di Luigi Comencini, interpretato da Johnny Dorelli  e poi  un anime degli anni 80    tratti  dal    romanzo Cuore di Edmondo De Amicis. ( per chi non lo conoscesse o l'avesse dimenticato   trova negli url maggiori dettagli .

In quanto  a  causa di  un regista  fetentee spregevole  , quello  del film   (  foto a destra  )  la siciliana  ribelle  e e del documentario  “Diario di una siciliana ribelle” (del 1998) l'ha  costretta  a rivivere  l'incubo ed  a rientrare nel  programma protezione  .
Qui  sotto  maggiori dettagli





SABATO 28 FEBBRAIO 2009
Il Film "la Siciliana Ribelle" non è la storia di Rita Atria

Mi chiamo Vita Maria Atria e sono la nipote di Rita Atria, Testimone di giustizia che il 26 luglio 1992, in un estremo atto di resistenza, si è lanciata dal settimo piano del civico 23 di viale Amelia a Roma. Nel '92 ero veramente piccola ma nella mia mente i ricordi sono vividi: lo "zio Paolo" [Paolo Borsellino], la zia Rita, la mamma [la Testimone di giustizia Piera Aiello] che mi chiedeva di non dire il mio nome, per la paura e il timore di essere scoperte.
Da quando sono maggiorenne ho continuato a vivere nell'anonimato e non avevo ritenuto opportuno fare dichiarazioni pubbliche, affidando il mio impegno e la mia scelta ad un gesto: essere tra i soci fondatori di una associazione dedicata a mia zia e lavorare dietro le quinte, anche perché sono una ragazza dalle poche parole e ho preferito finora stare nell'anonimato per poter vivere una vita tranquilla e "normale", sempre fino a quando è possibile. Oggi, mio malgrado, sono costretta ad affidare all'Associazione Antimafie "Rita Atria" (anche perché non lo posso fare direttamente vivendo in località segreta) un comunicato per esprimere in maniera netta e determinata la mia posizione sul film di Marco Amenta dal titolo "La siciliana ribelle", stanca di leggere sui giornali e sui siti web che "è rimasto toccato dalla vicenda", stanca di veder speculare sulla memoria di mia zia, una ragazzina-donna che ha avuto il coraggio di credere nei propri princìpi e di fare determinate scelte, a discapito di se stessa, perché credeva che ci potesse essere un mondo migliore al di fuori del "suo", un mondo onesto, ma a quanto pare si sbagliava. Al signor Amenta vorrei dire che se proprio ci tiene a mia zia allora perché da 12 anni non restituisce materiale privato che in buona fede gli era stato affidato per la produzione di quel film documentario ("Diario di una siciliana ribelle") che per noi alla fine ha rappresentato l'ennesima prova del fatto che nella vita interessano solo le vittime morte, persone che hanno servito lo stato e che ora finiscono nel dimenticatoio o, nelle migliori delle ipotesi, vengono ricordate solo per scopi che poco hanno a che fare con il fare memoria in modo disinteressato.
Nonostante il signor Amenta in presenza di testimoni avesse garantito che "Diario di una siciliana ribelle" sarebbe stato distribuito esclusivamente all'estero e nonostante avesse messo per iscritto che nel materiale filmato contenente immagini private dei miei familiari avrebbe alterato i visi e, inoltre, avrebbe reso irriconoscibile la voce e l'immagine di mia madre nell'intervista girata per il film documentario, non ha messo in atto quanto dichiarato sulla distribuzione esclusivamente estera, e non ha sufficientemente alterato visi e voci come sottoscritto.
Così facendo ha invece messo in serio pericolo me e mia madre.
Non mi interessa sapere se la storia di mia zia abbia toccato il signor Amenta, ma l'amore per una storia, per un impegno civile e morale, si dimostra con i fatti e non con la ricerca del successo, della gloria, degli applausi o della fama.
Non credo che tutto questo serva a ricordare mia zia (e soprattutto una trama che è molto lontana dall'essere la sua storia), ma serva solo per scopi economici e io questo non lo ritengo opportuno.
Spero che il signor Marco Amenta comprenda e accetti questa mia decisione, che viene dettata dal mio cuore e dal profondo amore e rispetto che nutro nei confronti della mia cara zia e della sua scelta.
Appunto, una scelta di resistenza.
                                          Vita Maria Atria

*********

Marco Amenta è riuscito, con i suoi potenti mezzi, a far bloccare in tempi da record su You Tube l'intervista a Piera Aiello e a Luigi Ciotti   che  trovate  nell'archivio   telejato  . Questa intervista è la versione censurata (solo per you tube) in cui Luigi Ciotti esprime la sua opinione su Marco Amenta rispetto alla precedente  .  Forse    togliendola del tutto l'avrebbe fatta  troppo sconcia 


 in cui raccontavano di certo cose scomode.Ma Marco Amenta non potrà di certo fermare la verità.Questa si chiama censura e non impegno sociale!




L'Associazione Antimafie "Rita Atria" afferma:Tutta questa macchina pubblicitaria sulla memoria di Rita Atria ci fa orrore
Stiamo assistendo ad uno dei capitoli più tristi della cinematografia italiana.
Stiamo assistendo anche ad una cosa sconcertante: le grandi testate ignorano il comunicato di Vita Maria Atria e sponsorizzano il film di Amenta.
Le grandi testate fino ad oggi hanno ignorato la presa di posizione di Luigi Ciotti e di Piera Aiello e continuano a pompare un film senza chiedersi come mai non sono stati usati i nomi veri.
A tutti coloro che hanno ancora un minimo di dignità chiediamo coerenza perché Rita Atria non merita l'ennesimo tradimento sociale.Ovviamente la nipote Vita Maria sta prendendo provvedimenti legali.


Concludo  dedicando a Piera  e  sua  figlia  Vita  maria   un post  che  della mia  amica di facebook https://www.facebook.com/marianna.pilo    perchè  siete proprio voi donne    che trovate le  parole  migliori



Non chiedere mai a una donna come fa ad essere cosi' forte... Forte non ci si nasce, lo si diventa! Non chiederle mai perché indossa ancora le corazze con un uomo: forse ha combattuto troppo! Non scavare dentro ai suoi ricordi... Tienila stretta tra le braccia, e ascolta i suoi silenzi...




con questo  è tutto  

ANNA POLITKOVSKAJA: IO SO e "Libera" di © Daniela Tuscano

Io so.
Io so i nomi dei responsabili dell’omicidio di Anna Politkovskaja (e che in realtà era un femminicidio come dimostra il vanto di chi materialmente ha rivendicato quel gesto).


Io so i nomi dei mandanti del femminicidio di Anna Politkovskaja.
Io so i nomi di chi ha deciso, a un certo punto, che scatenare guerree soffocare l’autodeterminazione dei popoli era l’unico modo per ripristinare la dittatura.
Io so che Anna sapeva. Che chi si opponeva a conflitti di potere e di conquista veniva tacciato di antipatriottismo e disfattismo.
Io so che Anna sapeva. Che per arruolare soldati per la sua guerra di conquista il Cremlino ha svuotato gli orfanotrofi, portando via disperati che nessuno avrebbe pianto.
Io so che Anna sapeva che in Cecenia un essere umano era considerato un essere biologico esattamente come un palestinese.
Io so che Anna sapeva che la libertà di stampa e di opinione in Russia era stata soffocata e all’Occidente non importava nulla.
Io so i nomi di chi ha cercato di avvelenare Anna prima di colpirla a morte sotto la porta di casa.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono una che scrive, una che legge. Ma anche perché sono una donna, una donna consapevole e sola; una che la sofferenza e la discriminazione ce l’ha nel sangue e non vuol compiacersene né accettarla.
Una che ha la mentalità orizzontale - e a rovescio - rispetto al sistema dominante. Che è agonico e gerarchico. Che non sopporta gli/le irregolari. Che conosce quel tuo essere inerme, il tuo vivere solo di piene parole.
E passione.
Io so che oggi Anna è dimenticata e il premio Nobel non spetterà a lei, nemmeno alla memoria.
E che forse nei libri di storia Anna non entrerà, o entrerà in qualche trafiletto periferico.
Perché era dalla parte sbagliata per la visione agonica.
Perché la storia non è scritta dalle donne.
Io so che fin quando ciò non avverrà la storia sarà declinata al femminile solo grammaticalmente.
Io so che Anna aveva usato la penna senza il potere, solo per il dialogo.Io so che quando vincerà il dialogo, allora tornerà a vivere in noi l’Anna coraggiosa, l’altra anima, la voce a due, e solo allora si potrà pronunciare il termine democrazia.












Vorrei dedicare quest'8 marzo a una donna dimenticata. Dimenticata perché asiatica, perché cristiana, cattolica, resistente. Perché non rivendica nulla, perché è una martire, cioè una testimone.
Trova il suo significato, il suo senso nell'antico. La fede libera la sua libertà.
Mentre in Occidente si esaltano le Femen nude e il loro anticlericalismo di plastica telecomandato da un maschio, mentre il nostro Parlamento discetta trasversalmente sulla regolarizzazione della prostituzione, sul "diritto" di essere "sex workers", come amano dire con ipocrita anglismo, Asia Bibi è confinata in un carcere oscuro da tre anni, ha subito violenze d'ogni tipo, solo per aver mantenuto fede alla sua fede cristiana.
E' una donna; una donna d'una bellezza semplice e piana, modesta. E' una madre; è un essere umano che si batte senza odio contro ogni tipo di coercizione.
E' una donna di cuore e di pensiero.
E' una donna che non possiamo incasellare nel politicamente corretto perché non v'è nulla di corretto nel conculcare i diritti fondamentali.
Che sono poi la base d'ogni democrazia.
E' una donna che il Natale scorso dalla sua cella ha scritto al Papa mostrando, prima della richiesta di liberazione, una grande fortezza e luce interiore.
Come Anna Frank, vede l'infinito dietro la sua siepe di sbarre che escludono ogni sguardo.
Asia è giovane e sopravviverà, comunque, perché il futuro è suo. E di quelle e quelli come lei.
Se di noi non resterà che polvere, forse, non sarà una grave perdita.

6.3.14

8 marzo io non ho mai creduto alle mimose di un giorno , ma al rispetto e all'uguaglianza ogni giorno della vita.


ti potrebbero interessare
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/03/questo-e-l8-marzo-non-rinchiudersi-in.html
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/03/questanno-voglio-essere-provocatorio-e.html

il  titolo  del post  d'oggi  è  preso  dalla discussione   sul  8  marzo   avvenuto  nel gruppo  di facebook   del gruppo  del corso  di fotografia  . Lo so  che non è  mia  ma  ricalca  ala perfezione il mio pensiero . cosi  come  questa  foto  di franco pampiro


Le donne: sottovalutate, insultate, maltrattate, uccise ... troppo spesso dimentichiamo che ci hanno dato la vita.
Perchè questa giornata non sia solo le mimose di un giorno, ma l'impegno per salvaguardare e tutelare le donne e tutte le categorie più deboli.




La battaglia vinta di Pier: "Io, primo laureato autistico esco dalla prigione di cristallo"

darepubblica 5\3\2014


La sua vita è stata "muta, e bisognosa di altri" come quella di molti ragazzi con i suoi problemi. Ma lui, 33enne del Trevigiano, è riuscito a farcela. Con una tesi che parla di se stesso

di JENNER MELETTI




VOLPAGO DEL MONTELLO (Treviso) - Pier non ha avuto dubbi. Quando il papà gli ha chiesto se voleva andare a fare una gita al mare o a vedere i carri del carnevale a Treviso, è riuscito a dire: "Carri". Bisogna fare festa, a casa Morello. Piercarlo detto Pier si è laureato, 96 su 110. È diventato "dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche" con una tesi in cui parla di se stesso. Pier è affetto da autismo severo e non si ha notizia di altri autistici gravi che abbiano potuto cingersi d'alloro. "Abbiamo vinto una battaglia - dice subito il padre Luciano, ex insegnante - ma la guerra continua. Ma lo sa che quando Pier si è iscritto all'università l'Usl voleva togliergli i 400 euro al mese dell'"accompagnamento"? Dicevano: se va all'università non è autistico. Invece anche l'ultima diagnosi, svolta in una struttura pubblica due anni fa, conferma purtroppo che il nostro Pier è affetto da autismo severo". 

 È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri".
È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri". "Io non so nemmeno - racconta il padre - cosa abbia provato, quando la commissione lo ha proclamato dottore e gli amici gli hanno fatto festa. Per un giorno e mezzo Pier si è ritirato nel suo posto preferito: il salotto di casa. Resta solo davanti alla tv accesa ma senza volume e ascolta musica alla radio: da Beethoven ai cantautori italiani. Non vuole che nessuno entri. Sì, ha visto i giornali, il Mattino e la Tribuna, che parlavano di lui. Ha fotografato gli articoli. Conosco i suoi tempi. Solo fra una settimana, via computer, potrò chiedergli come ha vissuto le ore della laurea. Io so che era molto teso, ma l'abbiamo capito solo noi genitori: aveva le guance rosse". 



Nella storia di Pier ci sono stati molti muri e solo alcuni sono stati abbattuti. "Fino alle medie - ha scritto nella tesi per la triennale in Scienze della formazione - ricordo di avere solo colorato in silenzio tanti pallini a quadretti nei corridoi della scuola. Sì, ho conosciuto tante aulette di sostegno e corridoi". "Ho imparato - ha scritto nella tesi specialistica, su "Inclusione e ben-essere sociale: una storia di autismo per capire" - a leggere mentre gli insegnanti facevano lezione agli altri. Ma come facevo a farlo capire ai professori, visto che non riesco a parlare?". 
"Fino ai tredici, quattordici anni - racconta il padre Luciano - Pier era giudicato dai medici un ritardato mentale. È stato allora che abbiamo incontrato la dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, che ha proposto una tecnica di scrittura facilitata, con l'assistenza di un operatore. E così è riuscito a frequentare l'istituto agrario di Montebelluna. I problemi più gravi sono arrivati dopo il diploma. Il Ceod - Centro educativo occupazionale diurno - ci ha proposto di inserirlo in una cooperativa sociale per disabili psichici, che è una struttura positiva per tanti ragazzi ma resta una gabbia, dorata ma sempre gabbia. Io e mia moglie Marta abbiamo deciso: Pier deve vivere in un ambiente normale, e per un ragazzo diplomato l'ambiente normale è l'università". 
"Viviamo - ha scritto Pier Morello - in prigioni di cristallo, prigioni di voce negata e di parole che non sono espressione di dovuta fiducia". Un passo dopo l'altro, sempre in salita. Gli esami al computer, davanti al professore. "Alcuni docenti - racconta il padre - non volevano laureare Pier. Dicevano: non potrà usare la laurea, e allora perché dobbiamo concedergliela? Non hanno capito che la laurea in fondo è un effetto collaterale. L'importante è il passo avanti. Che farà adesso il nostro Pier? Noi non ci fermiamo. Lavora già, nostro figlio, tre giorni alla settimana. Da qualche anno va alla scuola materna di Venegazzù come assistente delle maestre. In aula distribuisce le matite ai bimbi, prepara la tavola delle insegnanti, fa la "sentinella" in giardino durante la ricreazione e avverte le insegnanti se i bimbi litigano o si fanno male. È la Usl che paga un piccolo stipendio e l'assicurazione con una borsa lavoro. Credo che questo sia un ottimo intervento: Pier si sente utile e motivato a comportarsi bene. La scuola non è una gabbia di cristallo. Il dottor Pier continuerà questa attività. Cercheremo anche altro, se possibile, ma sempre in un contesto normale". 
"La disuguaglianza - ha scritto Pier - è la vera disabilità. So che cammino da solo... ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani e colori di luce". "Se il brano è stato scritto da Pier e non dal suo facilitatore - ha commentato Liana Baroni Fortini, presidente dell'Angsa, Associazione nazionale genitori soggetti autistici - Pier non può dirsi autistico perché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona". La dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, medico neuropsichiatra che segue Pier da quando aveva 12 anni, non cerca polemiche. "Nessuno di noi - dice - ha gridato al miracolo. "Uno su mille ce la fa", e questa è una buona notizia che però racconta che altri 999 non ce la fanno. Conosco Pier e gli "parlo" da quando era un bimbo. Mi ha sempre detto di voler vivere come gli altri. Ha raggiunto i risultati che si era prefisso. Pier è la dimostrazione che l'autismo non è incapacità. La laurea? Credo che per lui la conquista più importante sia stata quella di vivere con gli altri, andare con gli amici a prendere il sole a Prato della Valle... Sa di non poter fare da solo. Ma ha visto che la porta della gabbia può essere aperta". 


Ora   sia  che  sia  un autistico  o  con problemi   psichici ( ritardato mentale  in senso dispreggiativo ) o 

la stampa
EDITORIALI
05/03/2014

L’autistico laureato non è autistico


GIANLUCA NICOLETTI




A Padova si festeggia il primo autistico in Italia ad avere preso una laurea. E’ una bella notizia per tutti, neuro diversi e non. Quello che ritenevano un ritardato mentale, in realtà, è stato capace di laurearsi dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche. Piercarlo Morello di 33 anni per laurearsi però è stato assistito da qualcuno che alle sue spalle guida la sua mano sulla tastiera di un computer, affinché lui possa esprimersi compiutamente. Ha sicuramente colpito tutti noi la frase del neo dottore che i giornali hanno riportato, e che è particolarmente intensa: «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce».

E’ veramente un’immagine molto profonda, anche troppo perché Piercarlo possa essere definito autistico, infatti l’associazione nazionale delle famiglie dei soggetti con autismo (Angsa) ha subito comunicato di essere strafelice per la notizia, ma su Piercarlo evidentemente era stata sbagliata la diagnosi, non era un autistico. Nel caso che quel distico l’abbia scritto lui, e non il suo facilitatore, evviva! Significa che ha una comunicazione sociale più che buona, quindi non è da considerare autistico, cioè un soggetto la cui caratteristica principale sia quella di essere incapace a comunicare, indipendentemente dal modo in cui possa esprimersi.

Non sembri fuori luogo fare una precisazione del genere, a fronte di una notizia che mette solo allegria, e che sarà sicuramente fonte di orgoglio per quel ragazzo e la sua famiglia. E’ impietosamente necessario però fare un punto di chiarezza, proprio perché non si accenda all’istante la speranza in ogni altro genitore d’autistico che il proprio ragazzo, che magari non è capace di scrivere il suo nome o di dire mamma, possa emulare l’ambito traguardo di laurearsi, purché munito di facilitatore che lo aiuti a scrivere sul computer, tutto quello che, altrimenti, non sarebbe mai capace a esprimere parlando.
Penso che se passasse questo concetto sarebbe altrettanto grave del far credere che tutti gli autistici siano rappresentabili nel protagonista di «Rain Man», o nel prodigioso bimbo veggente matematico della serie televisiva «Touch».
L’autismo è un mondo complesso e variegato e sono veramente poche le modalità di trattamento che funzionino per tutti. Tra queste è da escludere che ci sia la comunicazione facilitata, ora presentata con il nome di Woce, che negli Stati Uniti da almeno quindici anni è dichiarata priva di evidenza scientifica, in Italia classificata dalla Linea guida n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi «non raccomandati per l’autismo».
Ora sicuramente ci sarà chi ribatterà, portando nomi e documenti trovati in rete, dove è scritto che qualcuno da qualche parte del mondo invece considera efficace questo tipo d’intervento. Di certo sappiamo che non è generalizzabile e questo ci basta. Abbiamo già recenti esempi di come l’emotività mediatica non sia buona consigliera in casi così delicati e che riguardano la salute. E’ solo d’augurarsi che Piercarlo non diventi un fenomeno da talk show, o per lo meno nessuno gridi al miracolo citando il suo caso.
Purtroppo chi ha conoscenza dell’autismo, così detto «a basso funzionamento», (sì non è bello come termine, ma anche mio figlio è di quel genere e c’ho fatto l’abitudine) sa che chi abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come i testi pieni di saggezza e profondità che spesso vengono attribuiti agli autistici «facilitati».
E’ giusto piuttosto che sia ribadito il concetto che per l’autistico il primo vero traguardo sia l’autonomia di base nei suoi comportamenti quotidiani. Inutile porsi l’obiettivo ambizioso di una laurea, se ancora il proprio figliolo ha difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a vestirsi da solo, a curare la propria igiene personale. Chiediamoci anche cosa potrà fare il nostro figlio autistico una volta laureato, soprattutto se dovrà sempre essere seguito dai suoi facilitatori quando gli sarà chiesto d’esprimersi.  
Ieri mio figlio Tommy si è cucinato da solo la pasta con le zucchine, faccio salti di gioia, mi basta per pensare che il cuoco potrà farlo, anche se non sa parlare.  

è una  cosa  bellissima  , un fatto importante   visto che  solo  1  su  1000  a  quelle condizioni  ce la  fa  . L'importante  è  



da  http://www.redattoresociale.it/

Ragazzo autistico laureato. Angsa: "Nessun miracolo, errore di diagnosi"
Secondo l’associazione dei genitori di soggetti autistici il ragazzo sarebbe affetto da mutismo elettivo. ''Contenti per lui ma non è il caso di gridare al miracolo''. Il giornalista Nicoletti: ''Non è giusto alimentare le illusioni delle famiglie''

04 marzo 2014


ROMA – Nessun miracolo, nessuna guarigione, semmai un errore diagnostico. L’associazione nazionale dei genitori di soggetti autistici (Angsa) puntualizza con una nota sul caso del ragazzo con sindrome dello spettro autistico che, come riporta il quotidianoIl Mattino di Padova, dopo essere stato giudicato “ritardato mentale” si sarebbe laureato in Pedagogia con 96/110. “Ci congratuliamo con Piercarlo Morello per la laurea conseguita. Tuttavia se il brano che si legge sui giornali è stato scritto da lui e non dal suo facilitatore, Piercarlo non può dirsi autistico, poiché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona - sottolinea la presidente di Angsa Liana Baroni Fortini - Una delle caratteristiche principali degli autistici è quella di essere incapaci di comunicazione sociale, indipendentemente dal modo di espressione, che può essere scritto oppure parlato oppure a segni”. Secondo la presidente dell’associazione il ragazzo “può essere diagnosticato come un caso di mutismo, semmai elettivo, ma non come autistico, e se qualcuno ha fatto questa diagnosi si tratta di un ulteriore errore diagnostico. In medicina si commettono molti errori diagnostici – spiega -, e quando questi sono errori per eccesso e si diagnostica una malattia inguaribile che non c'è, allora si creano le condizioni per poi gridare al miracolo della guarigione, indipendentemente dagli interventi effettuati.”
L’Angsa invita anche a non cadere nella facile equazione: autismo come ritardo mentale. “Si deve ricordare che soltanto una quota dei bambini con autismo lo presentano: tale disabilità deve essere valutata con appositi test, che non sono influenzati dalla capacità espressiva verbale, altrimenti l’errore diagnostico è inevitabile – sottolinea Fortini - Vi sono casi in cui persone con autismo, sfruttando le loro particolari abilità, si sono laureate senza utilizzare la Comunicazione Facilitata, ad esempio al Dams. Per non parlare delle persone con sindrome di Asperger, che possono laurearsi senza Comunicazione facilitata in Scienze matematiche, fisiche ed altre materie nelle quali potranno effettivamente esercitare una professione utile alla loro inclusione sociale ed alla società. La comunicazione facilitata – spiega ancora - che ora si presenta con il nome di Woce, viene classificata dalla Linea guida n.21 dell'Istituto superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi non raccomandati per l'autismo”.
Anche il giornalista Gianluca Nicoletti, papà di Tommy, ragazzo con autismo, invita a non alimentare facili illusioni. “La notizia è di quelle che dovrebbero d’istinto indurre speranza e ottimismo – scrive - Piercarlo, a quanto viene proclamato, sarebbe il primo autistico non verbale a laurearsi in Italia. Occorre però fare un punto sul fatto che Pier per esprimersi usi il sistema della scrittura facilitata (Woce). Chi conosce l’autismo, così detto “a basso funzionamento”, sa però che un ragazzo che abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come la frase attribuita a Pier nelle cronache dell’evento”. Secondo il giornale che per primo ha dato la notizia, Piercarlo avrebbe detto: “La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce.” “Non si può che condividere l’orgoglio di un ragazzo con difficoltà che riesce a raggiungere un traguardo così importante come la laurea. – conclude il giornalista - Il percorso di Pier è in assoluto gratificante per chiunque soffra per l’emarginazione e il pregiudizio in cui affondano i soggetti con disabilità psichica in genere".
Massima soddisfazione quindi per la bella storia padovana, purché il caso di Pier non si risolva nella facile equazione: autistico che non parla con un facilitatore accanto diventi uno scienziato, perché così non è. Non è nemmeno giusto che si alimentino illusioni e speranze nelle famiglie che, spesso in totale solitudine, ogni giorno hanno la grossa responsabilità di dover decidere quale sia la maniera giusta per far vivere il più felicemente possibile il proprio figlio, spesso nelle limitatezza delle proprie condizioni economiche. Può essere fantastico far laureare un figlio, anche se avrà sempre bisogno di una persona accanto che l’aiuti a scrivere, purché questo non tolga attenzione e risorse per qualcuno che gli insegni, ad esempio, a essere autonomo quando va al gabinetto”. (ec)

5.3.14

Tra le curve delle opportunità di Giampaolo Cassitta



in sottofondo



dal mio compagno di viaggio facebookiani e non Giampaolo Cassitta



Le parole e i concetti hanno un suono. Raccontano quello che le immagini non riescono a codificare. Eppure, a volte, diventa difficile riuscire a scardinare ciò che le parole hanno costruito. Perché la gente ormai si è appropriata di quel termine, di quel modo di dire e lo fa diventare “luogo comune” e, in alcuni casi, diventa “verità rivelata”. E’ il caso del decreto “svuotacarceri” locuzione di questi giorni che è stata “affibbiata” ad un decreto poco amato da Lega e Cinque stelle e poco sostenuto dagli altri partiti. Intanto, quel decreto, divenuto Legge (Legge n.10 del 2014) non svuota, nella maniera più assoluta, le carceri. Non è un indulto,
un’amnistia, un regalo. E’ piuttosto qualcosa che parte da lontano e prova, seppure goffamente, ad “aggiustare” alcuni passaggi legislativi non proprio felici. E’ una legge “aperta” ad una nuova serie di soluzioni e prova a scrollarsi di dosso l’idea che tutto, in questo paese debba necessariamente “carcerizzato”, che tutti i reati devono passare obbligatoriamente per la fermata di un penitenziario. Prova a sveltire l’espulsione dei detenuti stranieri verso i loro paese di origine, prova a concedere, per un tempo di sei anni, una maggiorazione di liberazione anticipata a detenuti meritevoli del beneficio escludendo, tassativamente, detenuti di alta sicurezza, appartenente alla malavita organizzata, stupratori e pedofili. Per quelli non esiste nessuna possibilità di libertà. Quindi, il carcere, per chi ha commesso gravi reati non si svuota. Il decreto Legge 146/2013 prova invece, seppure con una certa timidezza, a dare la parola al detenuto con il diritto di reclamo giursdizionale, amplia la possibilità di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale a quattro anni, restituendo nuove opportunità a chi, per esempio, ha già un lavoro oppure è all’interno di un progetto di inclusione sociale. Scommette sull’abbattimento della recidiva. E’ un discorso difficile e contorto. Un percorso complesso molto simile a quello sulla formazione: occorre scommettere sul futuro. Chi non passa per il “penitenziario” ha meno possibilità di rientrare all’interno del circuito delinquenziale. Vi sono studi che lo dimostrano e vi sono paesi, in Europa, che ci scommettono da anni. In Inghilterra, per esempio, la “messa alla prova” è una misura alternativa tra le più usate e apprezzate. Chi commette un reato non grave non entra in carcere ma, con una sorta di patto bilaterale tra Stato e reo, prova a dimostrare che si può scommettere sulla sua voglia di riscatto. In Italia questa proposta di legge giace dall’ultima legislatura nella commissione Giustizia alla Camera e il tragitto culturale, purtroppo, sembra essere piuttosto tortuoso. E’ difficile scommettere sulle persone, ed è difficile farlo con chi ha molte curve nel suo tragitto di vita. Il decreto approvato introduce, inoltre, la possibilità di poter trascorrere presso la propria abitazione la condanna, utilizzando il famoso “braccialetto”, dispositivo per il quale il nostro paese paga un affitto alla telecom da molti anni. Questa espiazione della pena appare in linea con le direttive europee e restituisce dignità a persone che, magari, per la prima volta si trovano a dover affrontare il percorso disagevole del penitenziario. Manca in questo decreto il coraggio vero, innovativo, di provare ad attuare la “riparazione del danno”, la possibilità di mediazione penale, la scommessa di mettersi in gioco e di farlo con un percorso serio, riflessivo, anche con la vittima del reato. 
Le carceri, dunque, non si svuotano. Ma vanno osservate con occhiali diversi. Dentro gli istituti penitenziari ci sono persone in grado di voler riscattare la propria vita, in grado di poter riparare ai propri errori, in grado di dimostrarlo. Vi è uno sforzo da parte di tutti per vincere questa scommessa e questo decreto più che “svuotacarcere” può essere appellato come: “piccola opportunità” per i detenuti ma anche per l’intera società.

Ian McKinley. Perde un occhio giocando a rugby: torna ad allenarsi e segna due mete

secondo alcuni potrà sembrare   macchino follia .Ma  per me  è passione   , di ripresa  , non  farsi schiacciare  \  deprimere  dalla  vita  .Proprio come avvenne  con un mio prozio   che perse   durante  una battuta  di caccia  grossa  l'occhio  sinistro    ( non ricordo se  gli spararano accidentalmente  o  era  partito  un colpo dal suo fucile) e  continuo  ad andare  a caccia   fino  ad  una  \  due  settimane  prima di morire  e  continuò ad  esercitare la professione di pediatra  .


Perde un occhio giocando a rugby: torna ad allenarsi e segna due mete

waeschetrockner testcamcorder test
Udine, 4 marzo 2014 
 Dalla maglia dei campioni del Leinster a quella della Leonorso Udine nella serie C italiana. Domenica, nella partita interna contro l’Oderzo, la squadra di Udine ha schierato un giocatore speciale,Ian McKinley. Irlandese, 25 anni, di Dublino, McKinley nel 2010 era una star del rugby e con la maglia del Leinster aveva già disputato da protagonista molti match internazionali.Purtroppo nel gennaio di quell'anno’anno un tragico incidente di gioco gli causòla perdita della vista all’occhio sinistro e lo costrinse a dire addio alla carriera. Il rugby però è sempre stata la sua vita e dopo essersi diplomato allenatore, Ian McKinley nel 2012 è arrivato in Italia, entrando nello staff tecnico della Leonorso.Da qualche mese però la sua carriera da giocatore ha visto la luce in fondo al tunnel. Da quando la federazione internazionale ha autorizzato la sperimentazione di speciali occhiali, la voglia di tornare a giocare è prevalsa. Così ieri c’è stato il grande ritorno in campo e McKinley con una prova maiuscola ha trascinato i compagni alla vittoria per 65 a 5 contro i veneti, segnando inoltre ben due mete e due calci di punizione. Il rugby ha ritrovato un campione.
Fonte: Il Gazzettino


Questo è l'8 marzo , non rinchiudersi in una pizzeria o spogliarelli maschili (Il treno delle mosche e le donne della speranza )

 ti potrebbe interessare





Canzoni consigliate  .
Fra le  tante  canzoni sui treni  , che  vanno   oltre  le  ovvie   e  scontate  in un post  simile   (ma non per questo belle  ed  intense)  ,  La locomotiva  di Guccini  e  treni  a  vapore -cielo   d'irlanda  di   Fiorella  Mannoia        ho trovate queste  :





Come specificato nellle primissime righe del mio post precedente ( trovate come sempre l'url sopra all'inizio del post ) su come vedo l'8 marzo ecco cosa intendo per storie di donne . 
Mentre incomincio  a  fare  cut&paste   dell'articolo  di    http://www.eticamente.net/ (   da  qui più  precisamente   )  mi ritorna  in mente   queste due    canzoni  la  prima  è di  un famoso  caffè è  lo spot  del  1981  


la  seconda   trovata  per  caso   anni   fa  mentre  cercavo   , non ricordo  per  quale motivo   ,  qualcosa   sul   rapporto tra    tra  la beat  generation  con   :  il   vagabondaggio  e treni .   E  riscoperta  mentre cercavo   qualche  canzone  adatta  per  questo post



Ma  ora  basta  . parlare io  , lasciamo  la parola  all'articolo

Sono le donne chiamate “Las Patronas“ che danno un filo di speranza, ogni giorno, alle 400mila persone che ogni anno attraversano il confine che divide il Messico dall’America, 8000 km tra boschi, rocce e deserto, fino al Rio Grande.Sono nicaraguensi, salvadoreñi, guatemaltechi, hondureñi che ogni giorno corrono affianco ad un treno, salgono in corsa, si sporgono, rischiano di rimanere amputati, fulminati o peggio: rischiano di morire.Ma quando passano per Veracruz hanno un pasto gratis, senza poterlo scegliere, senza poter decidere cosa mangiare ma ringraziando queste donne che ogni giorno sfidano “il treno della morte”, “il treno delle mosche”, “la bestia”, “il divoramigranti” che passa a 40 km orari e loro sono li, vicine, a volte troppo vicine… 


E non si aspettano niente in cambio, non vengono pagate, non vengono ringraziate ma sanno di essere l’unica speranza per questi migranti.I passeggeri soffrono la fame e le madrine del treno sono le uniche che danno loro un briciolo di speranza.Braccia alzate cibo che passa di mano, senza un errore, mai nulla avanza… E il giorno dopo si ricomincia.


Un tratto di strada dove le mani si incrociano velocemente in segno di speranza, dove gli sguardi si sfiorano velocemente in un grazie silenzioso nel frastuono del treno che inesorabile avanza veloce senza rallentare.
Nel video documentario di Nieves Prieto Tassier e Fernando López Castillo intitolato‘El tren de las moscas’




 (Il treno delle mosche) si vede questo passaggio di “testimone”, si vede il lavoro delle madrine, si vede la sofferenza dietro la speranza.Un cortometraggio che ha vinto il premio per il miglior corto politico al Film Festival Round

[Fonte dati www.repubblica.it ]


P.s
il video  è stato  salvato    tramite  donwloadhelper  (  estensione di mozzilla firex  fox  )   senza  nessun fine  di lucro  Ma  solo per  conservare la  memoria  di  tali  storie  che andranno perdute se nel caso  il canale  youtube  di Helios Cordero  (  https://www.youtube.com/user/caindenod   ) dovesse  essere  chiuso  o  i video rimosso  . I diritti sono  quindi  del quotidiano elpais.