10.5.20

chi sono o dovrebbero essere i complottisti e perchè lo siamo in fondo un po' tutti chi acriticamente chi criticamente ?


Approfondisco  nel  post  d'oggi  , la  discussione   facebookiana nata  due  due  post


  1. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10222855683170567&set=a.1377616090386&type=3&theater
  2. https://www.facebook.com/redbeppeulisse/posts/10222853796763408
e  dal precedente post   : <<  ma  l'articolo  21  della costituzione  ...... >> in cui facevo l'avvocato del diavolo    per la  rimozione di  un   video    contro el versioni ufficiali    del codiv  19  . Ma   soprattutto     per  questo video  che   ha  fatto   molto discutere  sulla mia bacheca  di facebook






Lo siamo  un po' tutti\e   chi razionalmente    cioè usando il metodo scientifico   chi solo  l'irrazionmalità  . Lo siamo perchè



 qui la puntata integrale     Facendo  attenzione 
da  https://www.galluranews.org/i-siti-a-caccia-di-bufale-chiedetevi-chi-ci-sta-dietro/


[...] .
Aprite i siti a caccia di bufale stando attenti che loro stessi non siano delle bufale al servizio del sistema. Meglio dubitare, porsi domande e mai smettere di cercare la verità. Una cosa vi risulterà: non troverete mai una sola notizia vera che metta in ombra l’operato del sistema. Tutte rigorosamente attendibili.

Infatti  oggi c'è  un abuso del  termine   da lpotere  e  dai media       viene   considerato  complottista     anche   chi  mette  indiscussione  o propone una versione diversa   dalal  loro   .  Però  è anche  vero che  credere  (  e  diffondere    vedere    il mio secondo post  con relativi cmmenti    citato  fra i link  sopra   )   teorie assurde senza disporre di prove fondate è stupido ed pericoloso ma definire "complottista" chi si fa delle domande o non si fida  ciecamente     delle  versioni   versioni ufficiali   è un insulto all'intelligenza umana. 
Bisognerebbe anche trovare un termine per etichettare chi ama fidarsi ciecamente e ingenuamente delle versioni promosse dal governo e dai media. 
L'immagine può contenere: 1 persona, meme e testoDenaro, potere etc.  gli interessi in gioco sono numerosi e giornali, tv e social subiscono l'influenza della politica, delle multinazionali, del Vaticano e chi più ne ha. 
No alle stupidaggini ma dubitare è sacrosanto se non addirittura doveroso, soprattutto di questi tempi.
Quindi  non sempre   i complottisti sono dei frustrati dalla loro ignoranza, persone  che  in un mondo sempre più complesso l'informazione circola, ma per comprenderla occorrono delle basi, preferisce  meglio cercare informazione pre-masticata e pseudo  "alternativa" che in poche e semplici parole ci dice come apparire svegli, intelligenti ed originali semplicemente ripetendo poche parole supportate dal nulla o  spesso  messe  in atto  dai poteri   per    gettare  fumo negli occhi  sulle  loro magagne  ed abusi  come dimostra
L'immagine può contenere: una o più persone e testo

MARTIN MYSTÈRE
N° : 322
Periodicità: bimestrale
CONGIURA NEI CIELI
UNA TEORIA DEL COMPLOTTO PARTICOLARMENTE FANTASIOSA POTREBBE RIVELARSI DRAMMATICAMENTE REALE!
uscita: 10/08/2012
Codice a barre: 977112157900320322
Soggetto e sceneggiatura: Carlo Recagno
Disegni: Esposito bros.
Copertina: Giancarlo Alessandrini
Sinossi Martin Mystère riceve la visita di un bizzarro personaggio che sostiene l'esistenza di una massiccia cospirazione su scala globale, con infiltrati a ogni livello della società. Un complotto diabolico che si consumerebbe ogni giorno nell'indifferenza totale, e il cui scopo sarebbe addirittura quello di avvelenare l'atmosfera! La teoria, però, è piuttosto strampalata, e Martin non riesce a prenderla sul serio, ma quando un uomo viene brutalmente assassinato, il Detective dell'Impossibile non può fare a meno di chiedersi se nella vicenda ci sia più di quanto sembra. Tra luci e ombre, sospetti e paranoia, Martin scopre di essere sorvegliato dagli Uomini in Nero e di essere in grado di scoperchiare un grande inganno ai danni della popolazione mondiale!



Concludo   con questo  commento   Francesco Marani  al  video   sopra  citato
6 giorni fa
Eh si è così:), infatti i complottisti non esistono, sono inventati. Complottista è solo un insulto, come new age o no vax, mai sentito nessuno dire ''io credo nella new age'', no! La new age è solo un insulto. Sarebbe come dire: ''io sono coglione''. Un complotto.

«Lettere dall’Italia», il brano cantato in tutti i dialetti . un nuovo inno nazionale

questo  dovrebbe essere  il  vero   inno nazionale  . Che  descrive  :  tutte le  sofferenze e dolori , le   gioie  ,  le  diversità  etniche ed  linguistiche  che  ancora   resistono  nonostante      sia unita    politicamente   dal  1861   (    secondo altri  dal 1918    con l'acquisizione  del   trentino  e  del friuli )  linguisticamente  dal  1954  (  con la  televisione  )


9.5.20

Si può raccontare la mafia in maniera : non retorica , non troppo realistica , scontata e prevedibile ? Il caso del film 5 è il numero perfetto di igor tuveri



La  risposta   alla  domanda  , espressa  nel titolo , la  risposta  è  Si  . IL  film  5 è il numero perfetto  n'è la prova  



Infatti per un regista esordiente nel mondo del cinema raggiungere il numero di riconoscimenti che ha fin qui meritatamente ricevuto Igor Tuveri con la sua opera prima, non è solo pazzesco, è incredibile !
“5 è il numero perfetto”, a mio modestissimo parere, avrebbe meritato qualcosa di più ai David di Donatello 2020, ma con la vittoria di Valeria Golino come migliore attrice non protagonista e le candidature come miglior attore protagonista di Servillo, migliore attore non protagonista per Buccirosso, migliori effetti, miglior trucco, migliore scenografia, miglior suono, migliori costumi, credo che sia stata riconosciuta la qualità di un progetto davvero innovativo .
Infatti c'è il fattoi che 5 è il numero perfetto è la rappresentazione tangibile che anche in Italia si possano fare film fuori dal coro, dove visione d'autore e spettacolo convivono con forza e intelligenza.
Igor e il suo gruppo hanno costruito il racconto mantenendo intatta l’atmosfera e la carica emotiva della storia disegnata e credo che in tutto questo abbia giocato un ruolo importante quel pizzico d’incoscienza da parte di chi ha affrontato per la prima volta (a questi livelli) non un foglio di carta ma una macchina da ripresa: secondo il mio modo di vedere è questa specie di “balentía” che ha dato freschezza e originalità all’opera. E mi sembra che i riconoscimenti che sta ricevendo diano ragione alla spavalderia di Igort .  Toni Servillo, presentando il film a Roma, ha definito il fumetto il “Quaderno napoletano” di Igort. Si tratta di una definizione felice ed  azzeccata   visto  la cura dei particolari   che Igor mette dentro ale sue opere  . In  quest’opera emerge il tipico approccio dell’autore cagliaritano, una sorta di immersione totale nell’atmosfera più sottile di un luogo, a svellerne le “radici genesiache” (direbbe Artaud, scomparso  recentemente ), a destarne e a corteggiarne il genius loci.
<< Napoli è protagonista  <<  come  dice  Adriano Ercolani Scrittore e critico letterario sul  il fattoi quodiano del   5\9\2019   <<   teatro onirico di barocche visioni mistiche e di una realtà ben più allucinata. Nella sua mescolanza, quasi da metropoli indiana, di alto e basso, santità e vizio, solennità e sberleffo, spensierata saggezza ed efferato sadismo, Napoli è l’unico scenario pensabile per la parabola paradossale di Peppino Lo Cicero (interpretato da un Servillo quanto mai centrato): eroe nell’abiezione, trionfale nello strazio, grigio impiegato della morte che, nel mondo moralmente a rovescio della malavita, diviene traditore disubbidiente per amore e per sopravvivenza. La stessa condizione del regista è paradossale: un maestro del fumetto, esordiente al cinema, che traspone nel medium in cui è meno esperto la sua opera più apprezzata, dunque diviene potenzialmente il peggior traditore di se stesso. Una sfida non per tutti.>>
Il film, ovviamente, mantiene e affronta, almeno  da quelle  poche  tavole  che ho visto     e  dale recensiuoni che  ho  trovsato in rete  , tutti i temi che rendono il fumetto di Igort un’opera di grande intelligenza, a partire dalle contraddizioni che lacerano il protagonista: il tradimento e la vendetta, la coesistenza di dolci sentimenti e spietatezza omicida, il contrasto grottesco tra devozione mariana e abitudine al massacro, un sottotesto di sapienza taoista mascherata in lazzi in vernacolo partenopeo. Solo un ricercatore consapevole e ironico come Igort poteva nascondere in bocca a un anziano killer napoletano che sorseggia un caffè dopo una carneficina una splendida allegoria dal sapore gurdjieffiano (ovvero, il titolo della storia).
I pedanti professori  ed  i  fissati  del genere  noir  e dei film  sule mafie potrebbero obiettare circa una certa lentezza nel ritmo, soprattutto iniziale, ma  <<  non si può relegare 5 è il numero perfetto alla categoria noir: se lo si vede in quell’ottica, è chiaro che non ha i tempi adrenalinici di una macelleria tarantiniana.>>   non concordo la tesi  di  Adriano ercolani  .  Ma la bellezza del film è altrove, è un’opera filosofica, una meditazione sulla vanità dell’apparenza mascherata da noir, prova ne sia come, nel momento dell’apice parossistico della vendetta il protagonista si trasformi in un Meursault o  in  Edmond Dantès  de   Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas. , Lo Straniero camusiano, al contrario. Un film che rimarrà al contrario, delle sciocche polemiche che hanno accompagnato una frase (meno felice di quella citata) di Servillo. Ma, si sa, in Italia ogni giorno c’è un torneo di volpi, riunite attorno ad ogni nuovo grappolo d’uva. Alcuni passano la vita a tirare fango, altri a estrarre diamanti . Un film bellissimo  ,  poetico , malinconico  , vedere  soprattuttto le scene  con la pioggia   . Azzecate le musiche  della colonna sonora    . 
Infatti    concordo    con  questa  bellissima   recensione  di  https://www.fumettologica.it/
Citando l’amico André Bazin, Jean-Luc Godard sosteneva che «il cinema sostituisce al nostro sguardo un mondo che si accorda ai nostri desideri». Il fumettista Igort, al secolo Igor Tuveri, ha ben chiara questa lezione quando debutta alla regia per adattare il suo graphic novel 5 è il numero perfetto. Il suo noir napoletano si discosta da modelli cinematografici e televisivi recenti – Gomorra ed epigoni – e dalle loro pretese di trasporre e narrativizzare il reale. Questo non è cinema verité, ma cinema che racconta, reinventa e seduce, inquadrando una sequela di immaginari più o meno condivisi attraverso la lente distorcente del fumetto [...]

Una  storia    d'altro tempi ,  nella  sua  visione   sembra     tornare  indietro  agli  anni  30 dl  secolo   scorso   .Infatti   5 è il numero perfetto è una storia fatta di storie, un vero e proprio racconto dei racconti, per riprendere un altro fortunato lungometraggio partenopeo. Il film offre allo spettatore un sofisticato pastiche di suggestioni cinematografiche, letterarie, fumettistiche e finanche geografiche.
5 numero perfetto film
Incontri sincretici, a seguire il leitmotiv della produzione dell’autore: da Dick Tracy e Batman a Kriminal, dal noir di Howard Hawks, Fritz Lang, Jean-Pierre Melville al wuxia e Heroic bloodshed da Hong Kong, passando per il cinema italiano di genere e quello non di genere, volendo d’autore, quello di Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, o quello di Paolo Sorrentino evocato meta-cinematograficamente dall’incedere sommesso e dai monologhi di Toni Servillo. Praticamente  , ai più sembrerà banale  ,  è riuscito a   dare  forma  (  credo che  de  andrè o i suoi eredi     gli avrebbero   se  richiesto   concesso i  diritti per  la  canzone )   alla canzone,  in questo momento  in canna    nel  mio stereo  don Raffaè di  fabrizio de  Andrè  . Cosi  come credo     che se  la Bonelli cambiasse  idea   e   abbatesse    il  suo ultimo  tabù  di genere   pubblicasse    graphic  novel dovrà tenere  conto  di lui  . Cocludo   confermando    quanto  dice sempre  ilsito     fumettologica  


<< [...]  Nel 2002, parlando del Peppino Lo Cicero fumettistico, Igort diceva «ho l’impressione che questo personaggio vivrà a lungo, ho in mente altre storie. Altre atmosfere, altri tic che forse contribuiranno a renderlo più umano, più vicino». E nel cinema, forse, ha trovato la sua destinazione ideale, la sua umanità, il suo Parador. >>

  Buona  visione







7.5.20

anche le tradizioni si possono adeguare al coronavirus il caso del costume è quello tradizionale di Calangianus (ribucculata), gruppo folk “lu rizzatu caragnanesu».

un  grazie  al  compaesano e  compagno di    strada    antonio masoni del sito  Gallura news    a   cui  ho preso la notizia  sotto  riportata 


https://www.galluranews.org/


La mascherina artistica nasce in una fase della vita di tutti nella quale ci si ritrova spesso a riempire il tempo nel modo migliore possibile. Da ieri ci si può impegnare nello sport, nelle uscite d’evasione sempre nel rispetto delle misure vigenti ma accade anche che le persone di talento, più creative e abili di altre, lo impegnino nella creazione di piccole preziosità. Di mascherine facciali bizzarre in questi mesi se ne son viste tante. In tantissimi, quando era tangibile la loro mancanza come presidio fondamentale per evitare il contagio, si sono adoperati per crearsele da se. È stato bello affidarsi alla generosità di chi lo ha fatto generosamente per gli altri.
Caterina Romano, che ha studiato all’Accademia delle Belle Arti, nativa di Calangianus, dispone nel suo patrimonio di raffinato talento, anche doti artistiche non da poco. Ha pensato bene, per riempire il tempo infinito che tutti trascorriamo fra le mura domestiche, di mettersi all’opera per qualcosa di estremamente pregiato, destinato, come lei stessa ci dice, ad impreziosire l’abito folkloristico del gruppo del suo paese. Magari, chissà, si potrà anche esibire appena saranno possibili eventi all’aperto.

«La mascherina artistica nasce per le donne sarde, forti, fiere e solide»

«Il popolo Sardo non ha paura, si adegua, è resiliente. Cambia a seconda delle situazioni e non abbandona mai le sue tradizioni, le sue radici ma le trasforma tenendole salde e vive. In questa occasione di divisione e solitudine immagino le donne forti, orgogliose e tenaci del passato resistere e combattere. Le immagino risolute, decise e pronte ad accogliere il cambiamento che inesorabilmente incombe. Noi siamo quelle donne, noi siamo quegli uomini. Non abbandoniamo le nostre radici ma impariamo ad adeguarci a questo momento! Le mascherine sono realizzate in broccato sardo da me. La modella è Giacomina Ciaffia, e il costume è quello tradizionale di Calangianus (ribucculata), gruppo folk “lu rizzatu caragnanesu».
Una proposta che affonda le sue radici nell’orgoglio dei sardi che mai rinunciano, nei loro abiti tradizionali, a mostrare la fierezza della loro indole ma anche la bellezza e la ricchezza delle loro vesti.

«Naturalmente – ci dice Caterina – « Le mascherine sono disponibili su commissione contattandomi su facebook, hanno un prezzo di 20€. Naturalmente non sono “beni di prima necessità”, sono più un vezzo e una visione per un ipotetico ritorno al lavoro dei gruppi folk».

l'odio non ha colore ideologico e sopratutto non #Lodiononvainquarantena

 ecco le  storie    d'oggi  la  prima  è la  risposta   agli imbecilli    che  lasciano ne ho parlato  nel   post  : << Lucca, infermiera trova biglietto nella posta: "Ci porti il Covid"    >>   biglietti anonimi   ad  una   del condominio  perchè  infermiera  in un reparto  di covid 19  o vedono i medici   ed  il personale  sanitario   come untore  .
 da https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/  del 7\5\2020

Irene Nasone, giovane medico, calabrese vive in Lombardia da un anno
Irene prova a scherzare in ospedale a Treviglio, frontiera contro il Covid-19
"In un periodo storico in cui sembra essere riemersa la differenza tra ‘nord e sud’, in cui i medici e gli infermieri vengono visti come pericolosi untori ai quali lasciare messaggi minacciosi nella cassetta delle lettere, esistono anche esempi di bellezza. Ed è giusto parlarne perché il bene va raccontato, almeno ogni tanto per ricordarsi che c’è"."Sono un medico in formazione specialistica in medicina d’emergenza, al primo anno. Da circa sei mesi mi trovo a Treviglio e sto lavorando nel pronto soccorso di quello che è diventato a tutti gli effetti un ospedale per pazienti Covid-19. Sono originaria di Reggio Calabria e qui sono sola, senza parenti o amici. In questi mesi mi sono ritrovata ad affrontare situazioni che non avrei mai potuto immaginare. Tornando a casa dal lavoro in, in un appartamento vuoto, non facevo altro che rivivere ancora e ancora quello che avevo affrontato in ospedale"."Rivedevo continuamente quei corridoi invasi dalle bombole di ossigeno, quelle barelle piene di sguardi impauriti, quelle mani ‘sporche’ che nessuno poteva stringere se non attraverso degli sterili guanti. In mezzo a tutto quel dolore si inseriva un sorriso quotidiano. Ogni giorno trovavo dei bigliettini attaccati alla porta. Erano da parte dei miei vicini, persone che io non conosco e che non ho mai visto di persona.Avendo saputo il lavoro che svolgo, hanno pensato di starmi accanto attraverso dei pensieri e qualche piccolo regalo".
Il coniglietto
L'immagine può contenere: 1 persona, occhiali
"Chi scrive è Viola, una bambina di 8 anni che mi chiede come sto, come è andata a lavoro e conclude ogni lettera con un arcobaleno. ‘Cara Irene in questi giorni ho avuto tanti compiti da fare, sono in terza elementare, ma oggi ho avuto un po’ di tempo per te e con l’aiuto della mia mamma ti ho preparato un regalino: spero ti piaccia, magari puoi farlo vedere anche ai tuoi colleghi come pensiero di speranza, un forte abbraccio, Viola e Marco, mamma e papà’".

"E insieme alla lettera c’era un coniglietto di pezza coperto di quadrati di stoffa colorata. Un arcobaleno. In questo difficile periodo lei mi ha fatto compagnia, mi ha insegnato ad attendere quell’appuntamento epistolare con gioia, immaginando una realtà a colori. Mi ha regalato la sua amicizia con una spontaneità disarmante riaccendendo in me un sentimento di speranza, come solo i bambini sanno fare”.

Infatti  Dovremmo imparare a prendere ad esempio il comportamento dei bambini di fronte alle grandi difficoltà, e dare così un aiuto a chi per lavoro si trova in mezzo ai mille problemi. Complimenti anche ai genitori della bimba.Visto   che    questo virus  , come   tutti quelli che  ci  sono   stati nel  corso  della storia   ,  ci   hanno   dimostrato che la democrazia è quella che lui detiene. Infatti attacca chiunque senza nemmeno preoccuparsi di sapere chi è.Ricchi, poveri, blasonati, umili. bianchi, neri, intelligenti, ritardati, del nord del sud...Dovremmo restare tutti bambini per non impregnarci di queste stupidaggini  e  fare  si (  veder e anche  storia   sotto  )  che  anche in quarantena  non  ci sia  odio  . Mi piace  concludere    con queste parole      espresse   da  Totò  nel  finale  della  sua poesia A Livella



"Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!"



Siamo quindi  stati avvertiti tutti. Si parla molto della democraticità del coronavirus. Colpisce indifferentemente il Primo Ministro britannico e la Signora di Voghera. La confusione è impressionante, non si sa come venirne fuori. Si discute imperterriti sul significato di normalità, se siamo già al dopo oppure semplicemente nel durante, su chi è stato il più bravo di tutti a prevedere o a reagire, se è stato un megacomplotto per non si capisce quale scopo, sulle nuove dive della cronaca, le mascherine, sconosciute fino a ieri - le portavano solo quei fissati igienisti di giapponesi. Intanto l'infallibile Organizzazione Mondiale della Sanità avverte di tenersi pronti per la prossima pandemia.
Quando i bambini dimostrano, nella loro ingenua perfezione, una chiara superiorità su noi adulti imperfetti. Se il Mondo fosse nelle loro manine, andrebbe molto meglio !


la seconda 


Grande solidarietà a queste ragazze.Il problema risiede purtroppo in questo paese bigotto, di poca cultura e di molta ignoranza.Un paese dove purtroppo sembra di vivere nel medioevo, questa è la triste realtà.Dovete denunciare e mandare in galera questi vigliacchi che si nascondono perché hanno paura, continuate ad amarvi.


la  loro  vicenda  (  ne  avevo parlato  nel blog  da qualche  parte   )  è dimostrazione   come  in italia  manca  e  ci sono  fortissime resistenze ad  una  legge  contro   le  discriminazioni  omofobe e  transfobiche . Infatti    mi hanno  abbandonato  ,  certe persone  è   meglio perderle  chje  trovarle  e  ne  ho cosa  rara   eliminato   alcune  ,  ma certi insulti  non riesco a  reggerli  e  certe posizioni retrograde  di gente  che  scambia  la libertà  d'espressione   ed  una proposta  di legge   contro tali discriminazioni  come un limite   con la  libertà di  discriminare , minacciare  , insultare  .

 da http://www.novaratoday.it/attualita/

 di Annalisa Felisi 04 maggio 2020 11:59
L'odio non va in quarantena, insulti omofobi a due ragazze gay: "Il coronavirus è colpa vostra"

L'odio non va in quarantena, insulti omofobi a due ragazze gay: "Il coronavirus è colpa vostra"
Erika e Martina affrontano ogni giorno decine e decine di insulti: durante il lockdown non hanno potuto nemmeno sporgere denuncia                   



Potrebbe interessarti: http://www.novaratoday.it/attualita/insulti-omofobi-erika-martina-coronavirus.html?fbclid=IwAR0BzeNgGHfwS9dT-hFQ5BI9adxgghHvrr70uf_fg5Ud8Kmlie-5jv1APBQ
Martina Tammaro ha 24 anni ed è di Arona. La sua compagna Erika Mattina, 22 anni, abita invece a Monza. I loro nomi, purtroppo, non sono nuovi alle pagine di cronaca, visto che nell'agosto del 2019 erano state prese di mira per aver postato sui social una loro foto mentre si baciavano.
Da allora gli insulti sono continuati e non si sono mai fermati, nemmeno durante il lockdown. "L'odio non va in quarantena - raccontano le due ragazze alla redazione di NovaraToday - Con l'arrivo del coronavirus pensavamo che la gente avrebbe avuto altro da fare, altro a cui pensare, altri problemi. Invece non solo hanno trovato il modo di insultarci, ancora e ancora, ma ci hanno anche attribuito "la colpa" per l'arrivo del coronavirus. Ed anche per tutte le altre disgrazie che stanno capitando (e capiteranno). L'odio non si è fermato, ma tutto il resto sì. Inclusa la possibilità, per noi, di denunciare. Abbiamo chiamato più e più volte i carabinieri, e ci hanno sempre detto di aspettare. Ora, finalmente, dopo quasi 2 mesi di reclusione, martedì 5 potremo andare dai carabinieri. Anche se ci hanno detto che per gli insulti più vecchi, è troppo tardi. Passati 3 mesi, non si può più far nulla (o quasi)".
Gli insulti che le ragazze hanno ricevuto sono terribili 

 eccone  alcuni le  altre le  trovate  qui sulla galleria fotografica   del sito
:

Insulti omofobi a Erika e Martina(4)


Insulti omofobi a Erika e Martina(5)

oltre a offese gratuite hanno anche ricevuto minacce di morte, di stupro e di violenza. "Tra due settimane, il 17 maggio, sarà la giornata conto l'omontransfobia - spiegano Marina e Erika -. Un fenomeno, ancora oggi, troppo radicato e invisibile agli occhi di tutti. E non è normale, a 24 e 22 anni, ricevere ogni giorno insulti e minacce solo per il semplice fatto di amarsi. Solo nell'ultima settimana abbiamo ricevuto più di 100 offese e insulti gratuitamente. Perché l'odio non è andato in quarantena. E mentre tutto il mondo si è fermato, noi incluse, ci siamo ritrovate con valanghe di offese disgustose e "colpe" che non abbiamo. Noi abbiamo una pagina instagram, @leperledegliomofobi, che denuncia tutto questo, e cerchiamo di aiutare e sensibilizzare più persone possibili, anche se a volte è dura".

Infatti   concludo    non  avendo  ottenuto    da  loro nessuna risposta  per  intervistarle  per   voi lettori   con  quanto dichiarato  loro   su  https://www.leggo.it/italia/cronache/  del Lunedì 4 Maggio 2020, 16:46
[...]
Perché vi scriviamo, però?
Perché tra due settimane, il 17 maggio, sarà la giornata conto l'omontransfobia. Un fenomeno, ancora oggi, troppo radicato e invisibile agli occhi di tutti.
E non è normale, a 24 e 22 anni, ricevere ogni giorno insulti e minacce solo per il semplice fatto di amarsi. Solo nell'ultima settimana abbiamo ricevuto più di 100 offese/insulti gratuitamente.
Perché l'odio non è andato in quarantena. E mentre tutto il mondo si è fermato, noi incluse, ci siamo ritrovate con valanghe di offese disgustose e "colpe" che non abbiamo.
Noi abbiamo una pagina instagram, @leperledegliomofobi, che denuncia tutto questo, e cerchiamo di aiutare e sensibilizzare più persone possibili. Anche se a volte è un po' dura.
Vi alleghiamo qualche screen. (sono tutte cose che ci hanno detto nell'ultima settimana. Quelle più fresche, insomma. Le altre minacce di morte e stupro sono "vecchie" e le abbiamo già denunciate ai carabinieri.)
In più alleghiamo delle foto nostre, più quella "famosa" del bacio al mare.
Speriamo che si possa parlare anche di questo, perché, anche se in maniera diversa, è comunque una 

Andrà tutto bene.
Erika e Martina

La lettera di Erika e Martina è arrivata all'attenzione di Leggo nel primo giorno della Fase 2. Per le due ragazze, fidanzate da quasi tre anni, alle problematiche legate al lockdown condivise da tutti i cittadini italiani si sono aggiunte quelle dell'omofobia che combattono con ironia sui social grazie alla pagine Le perle degli omofobi.

Quella su Instagram e Facebook è stata l'unica denuncia possibile durante i giorni della quarantena. Perché non avete denunciato alle autorità?

«Ci siamo informate telefonicamente per tre volte. La prima volta ci è stato detto che la questione al momento non era prioritaria. Ci siamo sentite sminuite, anche se capiamo la situazione. Alla seconda telefonata ci hanno consigliato di aspettare la fine della Fase 1, sicuramente anche per tutelare la nostra salute. Solo la settimana scorsa abbiamo ricevuto il via libera: domani potremo denunciare».

Cosa denuncerete?

«Andremo dai Carabinieri di Arona, perché la Polizia Postale è troppo distante. Porteremo tutto quello che abbiamo, dalle offese online ai video molesti che arrivano in continuazione: per molti uomini due ragazze lesbiche sono sinonimo di porno. Ma non tutte le offese online sono perseguibili, per denunciare è necessario che scattino minacce o diffamazione». 

Chi c'è dalla vostra parte?
«Al momento, dal punto di vista legale, siamo sole. Ma riceviamo il supporto dei nostri followers, tantissime persone che ogni giorno ci dimostrano affetto e solidarietà». 

E le critiche?
«Non sappiamo cosa sia successo, ma nell'ultima settimana è arrivata una nuova ondata d'odio».

Come ve lo spiegate?
«Probabilmente le persone in questo momento di frustrazione collettiva riversano la rabbia su un "problema secondario" come quello di due donne che si amano. Che non solo non è affatto un problema, ma di certo non è un problema loro. È per questo che abbiamo deciso di lanciare l'hashtag #lodiononvainquarantena».

4.5.20

Fruttero & Lucentini non erano “congiunti”, tanto meno “affini” e neppure “affetti stabili”, stando all’ultima interpretazione del decreto eppure la vicinanza era tutto L’amico è più di un affetto

Una  storia   che  dimostra   che  l'affetto non è solo qualcosa  di  burocratico  .  Leggoi e  riporto    sotto   , su repubblica  d'oggi 4\5\2020 



Carlotta Fruttero: "Mio padre e Lucentini non erano congiunti, ma un'amicizia così non si può tradurre nella lingua della burocrazia"
Parla la figlia dello scrittore che diede vita, insieme all'amico Franco, alla più celebre coppia letteraria italiana: "Avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio. Era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti"




Fruttero & Lucentini non erano "congiunti", né di primo né  di sesto grado, tanto meno "affini" e neppure "affetti stabili", stando all'ultima interpretazione del decreto presidenziale che espunge dalla categoria l'amicizia. Sicuramente non potevano fare a meno l'uno dell'altro, nella vita come
nella letteratura. A pensarli nel distanziamento sociale imposto dal Coronavirus, viene in mente un possibile titolo a quattro mani: "La prevalenza del congiunto".
"Mio padre Carlo Fruttero collegato a Lucentini via Skype? Inimmaginabile. Non tanto per papà quanto per Franco, che non aveva la Tv, figurarsi lo smartphone. E poi entrambi guardavano con sospetto alle minime invenzioni tecnologiche, fossero anche una lametta da barba o un cavatappi di nuova concezione".  Dalla più celebre coppia letteraria italiana, Carlotta Fruttero ha ereditato ironia e tenerezza. "No, non avrebbero mai potuto resistere lontani. Avevano bisogno di parlare, vedersi e stare insieme almeno un paio d'ore al giorno".

Era un'amicizia anche "fisica" che contemplava lunghe passeggiate.
"Sì, avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio, a Torino lungo il fiume Po ai Murazzi, o in Francia vicino al canale del Loing, tra Fontainebleau e Nemours, dov'era la casupola di pietra di Franco. Avevano l'abitudine di ritirarsi da quelle parti ad agosto per lavorare. E papà mi raccontava le passeggiate notturne, misteriose, che era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti. Potevano parlare per ore d'un dettaglio della trama oppure stare in silenzio: la loro amicizia non aveva bisogno di parole. Per decifrarsi l'un l'altro, bastavano uno sguardo, la postura delle spalle o il modo di camminare".
Come definirebbe il loro sodalizio?
"Un'amicizia assoluta. Inscindibile. Papà si sarebbe gettato nel fuoco per Franco, e viceversa. Era anche un'amicizia spirituale nel senso della coincidenza dei loro spiriti, e del sentire sul mondo".
Un'amicizia che fonde caratteri diversi.
"Sì, mio padre era quello che leggeva i quotidiani, s'informava, guardava la Tv: una costante immersione nella realtà, sostenuta da curiosità inesauribile. Franco era l'uomo dalle grandi visioni, letture alte tra filosofia e arte, conoscenza approfondita dei classici greci e latini, padronanza di almeno diciassette lingue. Papà mi diceva sempre: quello veramente bravo è lui, non io. Se non ci fosse stato Franco, non sarei riuscito e mettere in piedi la struttura del romanzo. In realtà non era così. Il suo libro Donne informate dei fatti ha dimostrato che poteva farcela da solo. Ma questo era il suo sentimento verso l'amico".
Non esisteva competizione.
"Si completavano vicendevolmente, senza ombre. Ed evitavano con accuratezza ogni discussione sterile. Potevano avere punti di vista differenti, ma il confronto era sempre limpido e amichevole".
Non hanno mai litigato?
"Mai. Erano capaci di stare in silenzio per molte ore, ma non li ho mai sentiti alzare la voce. C'era una cosa che creava tra loro tensione: l'uscita da casa in macchina per andare al cinema. Ansiosissimo per il parcheggio, Franco fissava la partenza un'ora prima; di temperamento più quieto, mio padre spostava più avanti l'appuntamento, con l'effetto comico di stare a discutere per ore sul minuto esatto dell'uscita. E mia madre sempre dalla parte di Franco".
Fruttero ha dovuto convivere per una vita con le malinconie della moglie e con la stessa attitudine saturnina del suo migliore amico.
 "Sì, Franco poteva avere momenti di depressione e in questo senso lui e la mamma erano lo specchio l'uno dell'altra. Mio padre non poteva certo appoggiarsi sulla spalla dell'amico, perché sapeva che Franco viveva la difficile condizione di mia madre con grande angoscia. Per tutta una vita ha dovuto alleggerire le situazioni, invitandoci sempre a godere del dettaglio minimo del quotidiano. Non puoi guardare i problemi tutti insieme  - mi diceva - perché c'è il rischio di restarne paralizzata. Bisogna guardare la vita un pezzo per volta. E lui riuscì a sopravvivere a una esistenza cupa rifugiandosi nella scrittura e nelle trame dei suoi romanzi".
Anche per questo aveva bisogno di stare con Lucentini. Per entrambi la letteratura era un rifugio.
"Sì, un'officina in cui non smettevano di progettare, inventare nuovi generi, lanciarsi in una sfida letteraria senza fine. La fantascienza, i fumetti, i classici rivisitati, i drammi e i radiodrammi, gli adattamenti televisivi. Li chiamavano Bouvard et Pécuchet, come i personaggi di Flaubert: loro li lasciavano dire, ma in realtà di quella strana coppia non condividevano la fede nel progresso, però l'ansia di fare sì. E ne hanno fatte tante insieme".
Lucentini più ansioso, anche nel progetto.
"La famosa scaletta: Franco esigeva un 'preromanzo', una traccia dettagliatissima, mentre mio padre  preferiva lanciarsi in un percorso gravido di sorprese. E allora discutevano. "Sei schizofrenico" gli diceva papà. 'Vuoi scrivere sul serio, fingendo di scrivere per prova'. E lui replicava: 'No, schizofrenico sei tu che vuoi scrivere fingendo di non sapere dove stai andando'".
Come capirono di essere amici?
"Nei primi anni Sessanta, quando dalla Einaudi passarono alla Mondadori, con l'incarico di curare Urania, la collana di fantascienza. Non ne sapevano granché ma erano molto curiosi. Così andarono a fare incetta di racconti fantascientifici in lingua inglese nelle bancarelle di libri usati in corso Valdocco, a Torino. Poi se li dividevano per blocchi di sessanta titoli a testa; ognuno doveva fare la sua scelta. E successivamente si scambiavano i blocchi di libri, per un'ulteriore verifica. Alla fine scoprirono che i libri scelti erano gli stessi".
Si erano conosciuti a Parigi, nel 1953. Suo padre aveva 27 anni, Lucentini 33.
"Papà era rimasto colpito dal suo sorriso: ironico ma mai feroce, provvisto di un punto di vista preciso ma sempre indulgente. Come se fosse animato da un fondo di sconfinata tenerezza verso ogni minima cosa che poi si traduceva in compassione per ogni debolezza, follia, bassezza. Seppur ammirandone moltissimo l'indole, lui si sentiva diverso, più giudicante e tranchant".
Poi, nella vecchiaia, da dinamici Bouvard et Pécuchet divennero statici come i personaggi di Beckett paralizzati dall'attesa di Godot: lo racconta Fruttero in una bellissima pagina dedicata all'amico.
"Si incontravano al caffè o su una panchina di Piazza Maria Teresa o in ospedale per caso tra un ricovero e un altro: mi ricordo una volta in ascensore, Franco seduto sulla sedia a rotelle - era malato di tumore - e papà in attesa di una serie di controlli. Si guardarono con infinita tenerezza. Franco diceva di non starci con la testa, ma era lucidissimo: aveva paura della malattia, sentiva venir meno le forze. E non sopportava l'idea di non essere più autonomo".
È stata lei a dire suo padre del suicidio?
"Eravamo nella casa estiva di Roccamare, vicino a Grosseto, e presi la telefonata di Mauro Lucentini, il fratello. Entrai nello studio e glielo dissi. Non fece scenate, immobile, fedele alla sua educazione sabauda. Mi guardò con dolcezza e rassegnazione, come se in fondo se l'aspettasse. Negli ultimi mesi Franco non aveva voluto vedere nessun altro che lui. Mi chiese solo: come? Ed è stato il modo che l'ha straziato, il fatto che Franco sia stato costretto a fare tutto da sé, spingersi faticosamente sul pianerottolo, trovare un varco nella tromba delle scale. Se avesse avuto un medico pietoso al suo fianco, si sarebbe potuto risparmiare questa ultima crudeltà. Lo disse ai funerali, con quel termine inconsueto di 'suicida bricoleur'. E mentre parlava non riusciva a staccare la mano dal legno della bara".
Carlotta, suo padre e Lucentini non erano congiunti, forse qualcosa di più.
"Mi è appena arrivata la notizia della morte di Mauro Lucentini, il fratello novantaseienne che viveva a New York. Per me è un dolore acuto, come se fosse venuto a mancare l'ultimo legame con quella che per molti è una coppia letteraria ma per me resta un universo affettivo intimo, una bussola sentimentale, un padre e un secondo padre. Non so come tradurlo nella lingua della burocrazia".
       

che ne sarà delle vecchie abitudini fatte di cultura ed identità dopo il covid 19 ?

secondo me  come   sono sopravvissute alle  varie  epidemia  e pandemie  che    la  storia    secolo scorso compreso  , rimarranno    talmente  sono  anche  se  trasformate  dalla modernità   e  dal tempo , tanto sono radicate  da  costituire   un fattore  culturale    \ identitario   come  testimoniano   le  canzoni  (     trovate  sotto    l'elenco  )    che  formano  la  colonna sonora  di questo  post   . Inoltre  il  bar     non è  solo  sinonimo  di vino  e  di alcolici e quindi    alcolismo  e  disagio sociale   ma   è anche   vita  sociale   e  di comunità   come   testimoniano :  il  libro  Bar Sport  il primo libro di Stefano Benni, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 1976  da  cui  è tratto il  film omonimo  ed   il suo  seguito  Bar Sport Duemila  2007   in generale .,  oppure    molta letteratura  italiana  mi  sovvengo   in mente         i  capitoli    de il  giorno del giudizio  di Salvatore  Satta    in cui parla del caffè tettamazzi ( tutt'ora esistente e  attivo    )  di Nuoro  o  il film Radiofreccia 1998 diretto da Luciano Ligabue, all'esordio nella regia, e prodotto da Domenico Procacci.L'opera, ispirata ad alcuni racconti presenti nel primo libro pubblicato da Ligabue, la raccolta Fuori e dentro il borgo, ottiene un successo inaspettato: ben tre David di Donatello, due Nastri d'argento e quattro Ciak d'oro.
Ecco quindi  che  se nel  nord  era (  ed è ) più classista  , il mito dell'aperitivo   e della   Milano da bere  cioè espressione giornalistica, originata dalla  famosa   campagna pubblicitaria
che definisce alcuni ambienti sociali della città italiana di Milano durante gli anni 80 del XX secolo.





Infatti questo periodo, la città era assurta a centro di potere in cui si esercitava l'egemonia di quello che fu Partito Socialista Italiano del periodo craxista,e le origino del Berlusconismo caratterizzato dalla percezione di benessere diffuso, dal rampantismo arrivista e opulento dei ceti sociali emergenti , dei Parvenu , arrampicatori sociali , dall'immagine "alla moda" in particolare  yuppies, dei paninari e del mondo della moda del capoluogo lombardo e  non solo .  questi film ricordiamo:


Proletario o quanto meno misto a partire dall'Emilia e dalla Toscana al sud .   Come dimostra  per  quanto riguarda   la mia sardegna 

  ecco una  storia  presa dall'account  Facebook    Luca  Urgu  di  citato nell'articolo della  nuova  sardegna  del  3\5\2020  


MOSSIDU T’HATA?In paese le donne sono più argute e spesso più coraggiose degli uomini, fanno mestieri persino più pericolosi di quelli maschili, la vita le ha temprate a tutto, perché quando era necessario era proprio la donna a vestire i panni degli uomini. Era così anche Cosomina, una donna bella e con un fisico possente, intelligente e simpatica che per tanti anni ha gestito il bar di famiglia come e meglio di un uomo. A lei non sono mancati anche i disturbatori e gli avvinazzati e più di una volta andava a verificare dentro la vaschetta dello sciacquone per trovarci una o due pistole che giovanotti preoccupati dall’avvicinarsi di carabinieri in servizio depositavano frettolosamente. Per lei si trattava di quotidianità, non le turbavano il sonno. E non mancava neanche chi osava stuzzicare Cosomina per il suo essere donna, ma lei non si scomodava più di tanto, anzi furbescamente stava al gioco, in fondo cosa più del gioco e dell’allegria invita un uomo ad offrire da bere a tutti i presenti?E fu così che un giorno Antoneddu offrì da bere a tutti e chiese a Cosomina quanto doveva pagare. Cosomina gli disse la cifra ma non aveva fretta di riscuotere, ma Antoneddu voleva giocarle il suo tiro: «Mi chi su inare est in busciacca si lu cheres picatilu!!» disse, facendo capire che la tasca era quella del pantalone, luogo pericoloso per le donne.
Cosomina non si si spaventò, il tipo non era certo un adone e lei sapeva che in quella tasca proprio pericolo non ce n’era e decise di stare al gioco. Infilò la mano ma ebbe anche lei il suo colpo di genio… facendo finta di aver toccato chissà cosa tirò indietro la mano e si rivolse ad Antoneddu ma anche a tutta la platea con finto spavento: «Maleittu sias!!!!»
Antoneddu, non da meno: «Mossidu t’hata??»
E ancora Cosomina : «bae innorommala!!!»
Strepitosa risata generale, dove Cosomina e Antoneddu avevano superato se stessi, senza certamente avere un copione scritto.
I nostri BAR sapevano essere luogo di incredibile divertimento.



Colona  sonora
VITA SPERICOLATA- Vasco Rossi

3.5.20

Nuoro L’epopea di un gruppo di insegnanti che istruiva gli studenti tra monti e campi Dai viaggi in groppa all’asinello alle classi che si radunavano post mungitura



Cambiamo discorso   , non stiamo  sempre  a parlare  di Covid19    \ coronavirus  e notizie  legate direttamente  ed indirettamente  ad  esso legate  . Parliamo d'altro .  Riporto     qui   questo articolo  preso dalla nuova  sardegna del  29\4\2020  . Eccovi una storia d'altri tempi 😢😎😁 quando  ancora  l'analfabetismo   era  una  piaga   che sembra  ritornato in auge  , i  corsi ed  i ricorsi   della storia  .  Ma  ora   bado alle  ciance  veniamo  ala storia   d'oggi



NUORO
Mezzo secolo fa gli insegnanti colmavano le distanze con gambe da scalatori e volontà di ferro, oggi nelle scuole chiuse per decreto a tenere unità e produttiva la classe – ognuno a casa sua – c’è bisogno di un computer e di una linea wi-fi affidabile. Generazioni a confronto con storie e metodologie differenti per affrontare le emergenze. Così, se da una parte gli insegnanti itineranti non conoscevano la fase uno e poi quella due, ignoravano termini come lockdown o altre diavolerie, avevano però un solo credo: faticare tutti i giorni per sconfiggere l'analfabetismo, allora galoppante. Perché tutto quello che possedevano, che non era molto anzi, era quasi nulla – se lo dovevano conquistare con il sudore in tutte le stagioni dell’anno.


Oggi per i pochi maestri rimasti che portavano l’insegnamento in campagna, là dove c’erano gli alunni che mai sarebbero andati a scuola in paese, reduci di una stagione che sembra essere lontana anni luce dalle comodità attuali, vivere quest’era afflitta da un male, il coronavirus, fino a poco tempo fa sconosciuto, sorprende ma non li allarma. Sentendo i loro racconti l’emergenza attuale è davvero poca cosa rispetto alle difficoltà – davvero di ogni tipo – che hanno dovuto affrontare e superare quando andavano a insegnare tra i monti e le campagne del nuorese. Viaggi quotidiani in groppa all’asinello se si era fortunati o a piedi per chilometri per portare la didattica ad una classe di pastori che si radunava dopo la mungitura.
Di quel gruppo nutrito di insegnanti – in Sardegna erano una cinquantina – ne sono oggi rimasti davvero pochi. Una compagine che si è ulteriormente assottigliata dopo la dolorosa perdita di uno di loro, l’apprezzato e compianto, Gianni Berria di Orune, una delle tante vittime di questa malattia fino a poche settimane fa sconosciuta. Il lavoro in prima linea di Berria, ma anche di Giovanni Puggioni, di Giovanni Pala Mundanu e dei loro alunni – pastori spesso coetanei e con voglia di apprendere – non era sfuggito all’Europeo, rivista che nel febbraio del 1960 aveva realizzato un reportage su questo particolare spaccato di vita e lavoro di un’Isola che lottava per emanciparsi.
«Le nostre difficoltà raccontate oggi hanno dell’incredibile. Sembrano irreali. Eppure le abbiamo vissute con fermezza e spirito di adattamento. E con uno stipendio che a mala pena serviva a coprire le spese», racconta Giovanni Puggioni, 81 anni. Gli fa eco dalla sua Orune, costretto in casa come tutti dalle restrizioni nei movimenti imposte dal governo per contrastare il coronavirus, Giovanni Pala Mundanu. Voce ferma e vis ironica ancora intatta, l’ex insegnante dimostra molte stagioni in meno dei suoi 87 anni. «Questo male non ci può spaventare – dice – noi abbiamo superato tutto, qualsiasi malattia, dalla tubercolosi, alla malaria. E poi andare a fare lezione in campagna non era semplice. Un’esperienza che ti temprava e portava anche molte soddisfazioni».
A Oliena vive Monserrato Mereu, che allora pastore quasi ventenne, era uno degli alunni che seguiva le lezioni di Giovanni Puggioni. Anche la sua dichiarazione e foto fu raccolta da Epoca, giornale che custodisce gelosamente in un quadretto.

«Il maestro era una gran brava persona e mi aiutò tantissimo» rimarca l’anziano che grazie a quei primi insegnamenti riuscì a prendere la licenza elementare. Oggi invece in questa situazione di tempo sospeso la didattica online dà un aiuto importante, anche se ritrovare la scuola e i suoi spazi sarebbe tutt’altra cosa. «Tra gli estremi rimedi rientra sicuramente la didattica a distanza. Essendoci trovati noi tutti scaraventati in una realtà surreale quale quella causata dal covid-19, l’utilizzo degli strumenti tecnologici per l’insegnamento non lasciava scampo. Ma sono tanti i contro di questo mezzo, primo tra tutti il venire a mancare di tutto il sistema scuola e il suo riconoscimento da parte dell’alunno come luogo non solo di apprendimento e di studio, ma anche e soprattutto come spazio protetto e sicuro, un luogo di accoglienza non solo intellettiva ma soprattutto emotiva – spiega Ivana Dore, insegnante e psicologa – È venuta a mancare la motivazione e il coinvolgimento nelle attività a causa della distanza fisica, della relazione. Anche per gli insegnanti e per tutti gli operatori che utilizzano questo strumento non è semplice, si incombe in tante distrazioni, si rischia di lasciare indietro chi anche all’interno della classe aveva bisogno di maggior attenzione e un grande vuoto si apre per i bisogni educativi speciali) e per chi ha una diagnosi precisa»

Evade il fisco per pagare le cure negli Usa alla figlia malata: artigiano finisce a processo

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