Ho rivisto in rete Fango e Gloria - La Grande Guerra è un documentario italiano, andata in onda in prima serata su Rai 1 il 24 maggio 2015, per commemorare i cento anni dell'entrata in guerra dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale il 24 maggio 1915.Il film è composto da video originali della Grande Guerra, per la prima volta dotati di colorazione, mentre l'altra parte è un film.una fiction . Essa è incentrata sulla storia delMilite IgnotoItaliano, che nel film è identificato con Mario, un personaggio di fantasia, interpretato da Eugenio Franceschini da wikipedia
Mario, un italiano ventenne, dal 1914, dopo l'Attentato di Sarajevo, inizia a preoccuparsi con il suo migliore amico e la fidanzata al destino dell' Italia nel conflitto. Circa un anno dopo, il Re Vittorio Emanuele III, decide che l' Italia entrerà in guerra e mentre il padre e Mario passeggiano, il genitore legge il giornale e lo getta a terra indignato, perchè c' era scritto che l'Impero austro-ungarico era rimasto deluso dall'Italia. Dal giornale cade la cartolina che il ragazzo non avrebbe mai voluto ricevere: il richiamo alle armi. Parte e
combatte sul fronte italiano fino al 1918, quando durante una battaglia, ordina ai suoi uomini di uscire dalla trincea per avanzare e viene preso da un cecchino austriaco poco fuori dalla trincea. Rimane lì per un pò di tempo (qualche ora), fino a quando due soldati italiani, che cercavano di ristabilire con i fili, la linea telefonica, si accorgono che tra tutti quei morti ce n'è ancora uno che si muove: è Mario, ma muove solo le dita e per lui non c'è più niente da fare. Il soldato che va a vedere se è vivo gli ruba l'orologio, l' unico ricordo della fidanzata e l' unica possibilità di essere identificato, perchè aveva perso la medaglietta identificativa. Verrà ritrovato qualche giorno dopo e messo con i corpi "non identificati". E proprio come la vicenda storica nel1920 , è questa è storia , aMaria Bergamasè affidato l'incarico di scegliere fra undici salme di soldati italiani quella da tumulare nell'Altare della PatriaaRomacomeMilite Ignoto: la donna sceglie quella di Mario. Inizia così il suo ultimo lungo viaggio di tre giorni daAquileiaaRoma, dove la sua fidanzata Agnese e il suo migliore amico Emilio, sperando che dentro quella bara ci sia il loro Mario, gli danno un ultimo saluto.
Sono concorde con questa La recensione di FilmTv Rivista pubblicata su FilmTV
Cent’anni fa la Grande guerra, e solo un decennio dopo la fondazione dell’Archivio storico dell’Istituto Luce. Doppio anniversario celebrato dal regista Leonardo Tiberi, per il Luce e la Baires Produzioni, con questo Fango e gloria. Storia di tre ragazzi della riviera romagnola, Emilio, Agnese e soprattutto Mario, l’io narrante, diversamente coinvolti negli eventi bellici. I due giovani destinati alla trincea, la fanciulla a casa a resistere, aspettare, sperare e lavorare.
L’originalità del progetto non è però nella narrazione, quanto nella modalità di realizzazione. Alle scene che vedono al centro Mario e gli altri protagonisti si mescolano le immagini “vere”, quelle recuperate con archeologico sforzo da Tiberi tra le migliaia dell’Archivio storico. Colorizzate e sonorizzate così da rendere fluido l’amalgama. Il problema sta proprio qui. Al di là di una voce fuori campo un po’ invadente, le parti girate ex novo paiono quelle di una fiction tv, con i volti giovani che mal combaciano con quelli arcaici dei documentari. Su tutto pesa poi un certo didascalismo. Non v’è dubbio che l’operazione sia alta e nobile, tanto da meritarsi il patronato della Presidenza della Repubblica e il patrocinio del Ministero della difesa. Può darsi che possa funzionare in un contesto scolastico, per rendere più accattivanti e attuali le immagini di un tempo (che sono però la vera forza del film). Ma da un punto di vista cinematografico i dubbi sono più che leciti.
Originale l'esperimento di attualizzazione’, per dirla con le parole del regista,( vedi url intervista all'inizio del post ) che restituisce volti, paesaggi, azioni, atmosfere dell’evento bellico come realmente mai sono state viste. Una ricerca quindi non puramente tecnica, ma che si fa drammaturgia, per calare lo spettatore in un racconto quanto più possibile vivo e partecipato.
Buona la tecnica di solito la si usa per determinati film e fumetti ( come esempio dylan dog ) dell'incipit narrativo in prima persona , anche sopo la morte e la sepoltura all'altare della patria .
Un film Bellissimo . retorico certo ma allo stesso tempo indigesto a chi ( vedi post precedenti che trovi nele tag 24 maggio , prima guerra mondiale , ecc ) usa il centenario a scopi politici propagandistici vedi le recenti polemiche sulle celebrazioni in trentino e il manifesto della campagna elettorale appena conclusa di Salvini . La retorica qui non in se negativa in quanto non è solo sercizio ma dovere.per non dimenticare uno dei fatti che unificarono o almeno ci hanno provato l'italia dal punto di vista sociale cioè fatta l'italia facciamo gli italiani
nonostante alcune pecche come per esempio la lunghezza eccessiva Infatti secondo Idee buone per un corto, come dice questa mezzo stroncatura di un utente su mymovies.it
<< Ma nel giro di due ore, l’abilità tecnica e i virtuosismi di Sorrentino hanno , almeno per chio dovesse vedere per la prima volta uno dei suoi film , da sole la pretesa di riempire il vuoto. l’abilità tecnica e i virtuosismi di Sorrentino hanno da sole la pretesa di riempire il vuoto. I suoi cortocircuiti stranianti, con un registro che è abile nel tenersi per buona parte sulla superficie delle cose, per poi focalizzarsi su durezze improvvise, è ormai maniera. Quello che era peculiare distinzione in “La grande bellezza” e ne “Il divo” diviene replica vacua, riproposizione neanche troppo ispirata di stilemi logori. Sequenze come il finto videoclip della popstar o il sogno acquatico iniziale a Venezia, sono decisamente orrende e in un profluvio di discorsetti tra il bacio Perugina e un Woody Allen inacidito e stanco, spiace che alcuni passaggi, belli e strazianti (il discorso di Lena al padre durante la cura dei fanghi, il gioco al massacro tra Caine e la Fonda, la visita di Fred alla moglie toccata dal “sacro segno dei mostri”) anneghino nel mare magnum della vacuità a buon mercato, terreno fertile della clap silenziosa, già pronta con un carpiato a difendere il proprio eroe >>
Ma questi difetti passano in secondo piano davanti ad Un incipit musicale spiazzante, una buona fotografia , una discreta ed a tratti sublime colonna sonora . Un film commovente e spiritoso che parla della vita e della morte e del tempo che passa con tutti i nostri dubbi ed i nostri perchè. La fantasia è seminata piene mani con risultati discreti . Molto onirico . Le immagini sono di una bellezza abbagliante e poi i paesaggi , i personaggi , le battute intelligenti e profonde . Certo gli attori contano e sono fenomenali , naturalmente Michael Caine , ma Harvey Keitel , Paul Dano ( idea : con quella faccia un " po' così " alter ego di Sorrentino in qualche futuro film ? ), Rachel Weisz non sono da meno e Jane Fonda nel suo cameo è perfetta : che coraggio accettare di farsi truccare per sembrare più vecchia . I comprimari tutti , perfino l'esagerato e claudicante falso Maradona, con l'aggiunta di una Miss Mondo intelligentissima sono azzeccatissimi. Ma il merito di tutto ciò è suo ,tutto suo, di Paolo Sorrentino un regista di livello mondiale , alieno ad ogni forma di provincialismo .Uno che rischiando e butta sempre il cuore ed anche la mente oltre l'ostacolo e vince sempre le suo SCOMMESSE . Ogni paragone con il passato è fuorviante . Nel nostro cinema aver avuto un passato fenomenale non ci vieta dal poter avere un presente altrettanto importante . Non nego e non mi vergogno di dire che alla fine del film ero commosso e che mi sono alzato quando , i titoli di coda , accompagnati da una colonna sonora vivace , moderna ma anche importante e colta sono finiti e si sono accese le luci . A parte certe scelte musicali moderne , io mi sarei concentrato di più sula musica classica o quantro meno classico a moderna magari immaginando scritte dall'ex direttore d'orchestra , magari per il film delll'altro protagonista , la colonna sonora era buona . Un film triste e nostalgico . secondo me è il prequel della grande bellezza .
Molto bello . non certamente dei migliori di sorrentino ma guardabile e godibile almeno per chi nè abituato ai voli pindarici e alle scene oniriche . Le tre stelle sono più che meritate . Mi ha fatto esorcizzate il terrore che m,i viene più s'avvicinano , mancano -8 mesi , i miie 40 anni
Mi
sembra un discorso fazioso,buonista;ne ho sentiti molti di discorsi di
questo tipo fatti dalla benpensante 'borghesia progressista';da tanti
'pennivendoli'animati da buone intenzioni solo sulla carta!Non significa
essere razzisti avercela con i Rom;qualsiasi altra etnia che viene nel
nostro paese è ben accetta,ma non loro.Non sto certo a spiegare i gravi
difetti che si portano dietro da sempre,che sono endemici nella loro
cultura,perchè sarebbe troppo ovvio,e chi li nega(questi difetti)è senza
dubbio in malafede.Io sono sempre stato contro figure razziste alla
Salvini,ma nel caso dei Rom,ha perfettamente ragione;sono brutte persone
a prescindere e da come parlano,basta il suono della loro voce a rendere
l'idea!!Il che fare è un altro discorso,e non è facile da risolvere,ma
una cosa è certa,che in un momento come questo,gli conviene stare molto
attenti a come si muovono.
Possono , sempre che non vogliano allargare i loro orizzonti , a meno di leggere il post d'oggi
A mente fredda dopo aver letto diversi articoli sulla tragedia di primavalle avvenuta qualche giorno fa ( speriamo finiscano dentro e Chi ha ucciso merita di finire in galera per qualche decennio ) e ascoltando questo sublime pezzo , purtroppo sono riuscito a trovarlo solo in versione sottofondo e non solo musicale che riporto sotto
70 anni fa il bombardamento dell'Abbazia di Montecassino (estratto dalla puntata di Tg1Dialogo di sabato 15 febbraio 2014) Clip realizzata da Roberto Olla, montaggio di Patrizia Pellegrini, musica "Perché" composta e eseguita da Giuseppina Torre
che torno a parlare della marea nera ed appiccicosa ormai diventata sempre più incontrollabile sui social e non grazie alle bufale prese per buone .Ma soprattutto concordo con questo articolo di Deborah Dirani ,che riporto integralmente , sempre delll' http://www.huffingtonpost.it 29/05/2015 14:38
I
E dunque, se ho ben capito: gli zingari sono stupratori e
assassini, i marocchini spacciatori e stupratori, i rumeni ladri e
assassini, gli albanesi magnaccia, e gli italiani brava gente. Nessuna
madre italiana ha partorito stupratori, assassini, ladri e puttanieri. E
questo, essendo io italiana e potenziale mamma, mi consola un bel po'.
Perché, giustamente, la delinquenza è una roba che ha a che fare con
l'etnia, mica con l'etica delle persone. Al massimo si può concedere che
abbia a che fare con la fisiognomica, comunque non con la morale e il
cervello che la partorisce.
Deve essere davvero rassicurante cullarsi nella convinzione che se si asfaltano i campi nomadi,
si chiudono le frontiere e si sbattono fuori gli immigrati, l'Italia
tornerà ad essere un paese sicuro in cui poter lasciare le chiavi sulla
toppa di casa e dormire con le finestre aperte che nessuno, ma proprio
nessuno, entrerà per fregarci i gioielli di famiglia, usarci violenza e
poi tagliarci la gola. Deve essere molto rassicurante pensare di poter
saltellare sulle strisce pedonali con la certezza che nessun ubriacone disgraziato ci stirerà mandandoci all'altro mondo.
Peccato
che, solo negli ultimi 15 giorni due italiani abbiano falciato le gambe
e la vita di altrettante incolpevoli persone tra cui una ragazzina di 14 anni. Peccato che meno di un mese fa un bravissimo ragazzo partorito da un'italianissima mamma abbia stuprato una tassista.
Peccato che le rassicurazioni che si fondano sulle generalizzazioni
siano favole tristi lontane dalla realtà. Che la vita è un'altra cosa e
non prevede semplificazioni massimaliste come quelle di chi oggi è
saltato in groppa al cavallo della questione razziale per rimpinguare un
magro bottino di consensi elettorali. La vita, almeno quella di oggi
qui in Italia, è un equilibrismo continuo su una corda consumata.
Ed
è molto comodo indicare nell'altro il funambolo che l'ha sfilacciata,
ma la verità è che i primi a ridurla in brandelli siamo stati noi, noi
che oggi rischiamo di precipitare nel baratro che si apre sotto i nostri
piedi. Siamo stati noi ogni volta che abbiamo fatto i furbi, che non
abbiamo emesso una fattura, che siamo passati col rosso, che abbiamo
fregato il nostro vicino di casa, che abbiamo copiato a un concorso, che
ci siamo fatti raccomandare. La rovina attuale del nostro Paese non può
essere scaricata sulle spalle di chi è appena arrivato qua e non è
capace di integrarsi perché le politiche di integrazione costano denaro e
lo Stato questo denaro non ce l'ha e se ce l'ha non ha voglia di
spenderlo in iniziative poco popolari.
L'integrazione costa, il
populismo e l'intolleranza no. Basta fare i conti della serva per capire
quanto la fiaccolata di ieri sera (e tutte quelle che l'hanno preceduta
e la seguiranno) sia più conveniente rispetto a politiche di educazione
civica e integrazione. Per parlare alla pancia ormai vuota degli
italiani riempiendola di ignoranza e di razzismo assicura voti e
consensi, applausi e ovazioni. Accendere torce e piazzarle nelle mani
degli italiani brava gente costa meno che piazzare in quelle mani buoni
libri. Urlare odio costa meno che sussurrare comprensione.
Strumentalizzare la barbarie di uno spalmandola su tutta la razza sua è
diventato il nuovo sport nazionale. Una volta eravamo tutti allenatori,
oggi siamo tutti antropologi del pressapochismo etnico per cui: gli
zingari non si vogliono integrare e i mussulmani son quelli del velo
sulla testa delle donne.
E gli italiani? Gli italiani son quelli
che fanno i soldi sulla miseria di zingari e mussulmani, che li lasciano
a mangiare sabbia e scarafaggi perché si sono intascati il denaro per
il loro pane. E però gli italiani son brava gente. Come no. Gli italiani
non stuprano e non ammazzano, non rubano e non truffano. Gli italiani
son brava gente: non si sognerebbero mai di maltrattare le loro terre
con discariche abusive che spruzzano nell'aria diossina e veleni. Gli
italiani non sono Gomorra e Roberto Saviano è la reincarnazione del
delirio mistico di Dante Alighieri. Certo: gli italiani son brava gente e
chi sostiene il contrario è solo un razzista ignorante. Ecco.
Infatti è da un paio d'anni che sui media su tutti i media ( e ora ache in rete in particolare social come ) , non più soltanto di destra ( ormai senza nessuna distinzione tra moderata ed estrema ) e recentementre anche [ sic ] quelli progressisti e democratici cè spazzatura, Una valanga razzista, titoli che incitano all'odio, commenti e articoli che puzzano di pogrom. I rom, di nuovo, vengono additati come il Male, come la feccia da eliminare al più presto. Fisicamente, se necessario.
Un riflesso pavloviano. Succede ogni volta che qualche "zingaro" è protagonista di storie di cronaca nera. Spesso riguardano furti e borseggi. Stavolta è peggio: un'auto pirata con tre sinti a bordo, per scappare a un controllo di polizia, è finita a 150 all'ora sulla folla che attraversava la strada. Una donna filippina è morta sul colpo, altre otto persone sono rimaste ferite, il killer che guidava è riuscito a scappare.
Una tragedia, un assassinio. Ne capitano di continuo episodi così, ogni settimana. Ma se c'è un rom o un rumeno o qualunque altro gruppo etnico di mezzo, l'opinione pubblica, i media e i politici si eccitano, e lil fatto non viene trattato come una drammatica vicenda di cronaca giudiziaria, ma diventa questione razziale, scontro politico, zuffa ideologica. Scatena frustazioni ancestrali per il diverso. La caccia allo "zingaro" o all'extracmunitario che si èmacchiato del croimuine riprende vigore, con più forza che pria.
I giornalisti, deputati di destra e commentatori hanno gioco facile ad alimentare la rabbia. Anche perchè sperano di aumentare lo SHARE, mentre i Salvini e le Meloni si leccano i baffi sicuri di guadagnare qualche voto. Da Boccea, il quartiere di Roma teatro della folle carambola, la gente non piange il morto. Ma urla innanzitutto bestialità fasciste: «Radiamo al suolo i campi rom», «gli zingari sono merda, assassini nati per delinquere», «vanno bruciati vivi quando sono bambini». Frasi atroci che in tv e sui giornali, invece di essere stigmatizzate, vengono comprese, giustificate, accarezzate.. Ma basterebbe guardare ai fatti, dare un'occhiata all'archivio dell'Ansa, e capire subito come l'incidente, anche stavolta, è strumentalizzato da razzisti e sciacalli. Cinque giorni fa, a Vibo Valentia, due giovani italiani hanno ammazzato Vituccia Pasceri, 68 anni, e sono scappati: nessuno ne ha parlato. Dieci giorni fa a Palermo Tania Valguarnera, 30 anni, è stata presa in pieno a folle velocità da Pietro Sclafani, che aveva riavuto la patente ritirata mesi fa per eccesso di velocità. Anche lui se l'è data a gambe senza prestare soccorso: nessuno gli ha dedicato la prima pagina.
Nello stesso giorno, il 17 maggio, un italiano di 32 anni di Celano, vicino Pescara, ha investito due ragazzini sul motorino, uccidendone uno. È scappato, aveva la patente scaduta. I tg non ne hanno fatto parola. A Pistoia un mese fa un ragazzo italiano di 19 anni ha preso a martellate il parabrezza della sua auto, per tentare di cancellare le tracce dell'impatto con il cranio di una studentessa di 17 anni, presa in pieno mentre attraversava sulle strisce. Nessun politico ne ha fatto menzione. La ragazza è morta sul colpo.
Andiamo avanti. Ad aprile una signora di Udine ha patteggiato tre anni per aver ucciso un operaio: la rispettabile friulana pare avesse bevuto peggio di un rom alla sua festa di matrimonio. A Monza un rispettabile Suv Audi Q5 ha investito un'auto uccidendo un 15 enne e mandando in coma la madre, ed è fuggito: non è uno zingaro quello che qualche giorno dopo si è costituito, ma un benestante quarantenne brianzolo. Ovviamente è già a piede libero. Decine di stranieri, infine, hanno perso la vita negli ultimi anni sulle nostre strade (compresi rom e pachistani), uccisi da italiani drogati o ubriachi che non si sono fermati a prestare soccorso.
Questo vizio presente nei media vale anche se a commettere un reato è anche un italiano specialmente del sud
L'UnioneSarda.it » Cronaca » Si fa 130 km al giorno per perseguitare la ex: pastore sardo a processo
Si fa 130 km al giorno per perseguitare la ex: pastore sardo a processo
Venerdì 29 Maggio alle 16:57
Per perseguitarla non esitava a farsi ogni giorno 130 chilometri in auto.
L'aspettava davanti al portone, la minacciava, la seguiva sul posto di lavoro.
Ora dovrà rispondere davanti al giudice dell'accusa di stalking.
Ad essere rinviato a giudizio, Sebastiano Boe, pastore sardo di 58 anni, originario di Onanì (Nuoro) ma trasferitosi nel Maceratese.
Lo riferisce la stampa locale marchigiana.
La vittima, invece, è la sua ex compagna, residente a Senigallia (Ancona).
Secondo quanto accertato dalle indagini, l'uomo, non rassegnandosi alla fine della loro relazione e geloso del nuovo compagno della donna, aveva deciso di trasformare la vita di entrambi in un incubo, fatto di pedinamenti, messaggi minatori e, nei confronti della malcapitata, anche di telefonate con "disgustose allusioni sessuali".
Finché la donna, esasperata, si è rivolta alle autorità, sporgendo denuncia.
E ora, dopo le indagini di rito condotte dalla polizia, il magistrato ha deciso di portare alla sbarra il 58 enne
scorrendo la mia bacheca di fb , per cercare un video ho trovato questa storia . Lo so che l'anniversario è ormai scaduto e digerito ( come accade nel mondo dìoggi dove una news di un' ora fa è già vecchia ) ma chi se frega . Essa dimostra come il mondo dello sport ed istituzionale tende a dimenticare in fretta le sue magagne \ responsabilità ( ed a non ricordare le vittime , o i sopravvissuti simbolo come questo .
Heysel 1985-2015. Conte, tifoso rimasto sotto le macerie: “Ho chiesto un biglietto per finale di Berlino, Juve mi ha detto no”
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Divenuto il volto della tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio ha raccontato il dolore di quei momenti alla Gazzetta del Mezzogiorno: "Davanti a me c’era un uomo con la telecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio" di Francesco Casula
“Non metto piede in uno stadio da quel 29 maggio 1985 e avevo deciso di tornarci proprio per vedere di nuovo la Juventus in finale e così ho scritto alla società: ho spiegato chi ero, quello che avevo passato in quella curva Z e ho chiesto due biglietti per Berlino. Mi hanno risposto che i biglietti sono nominativi e numerati, ma se volevo potevo vedere la sfida con il Napoli”. Inizia così il racconto di Gaetano Conte a La Gazzetta del Mezzogiorno. Il tarantino divenuto suo malgrado il volto di quella tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio e persino una diffida vana per evitare di rivedere il suo viso barbuto in tv, al quotidiano pugliese ha descritto i suoi ricordi, i suoi dolori e il suo sogno svanito. Voleva riprendere da dove aveva lasciato, dal sogno di vedere la sua Juve sollevare la Coppa dei Campioni come la chiama ancora nostalgicamente. Ha chiesto alla figlia di spedire una mail, ma non è bastato. Lui che da quel giorno non è più tornato allo stadio: la finale contro il Barcellona, dovrà guardarla in tv. “Però lo so che a rispondermi è stato qualcuno dello staff perché se fossi riuscito a scrivere direttamente al presidente Andrea Agnelli, mi avrebbe accontentato”. Forse avrebbe potuto superare quella paura che ancora lo attanaglia. Quando qualcuno lo salvò dalle macerie che gli bloccavano le gambe fu sistemato su una barella di fortuna: “All’improvviso mi voltai a guardare gli altri feriti. Accanto a me c’era il corpo di una bambina. Avrà avuto 14 o 15 anni: aveva la gola tagliata. Ho passato tre giorni e tre notti a piangere”. Sotto quelle macerie c’era finito per un altro piccolo tifoso: “Portai con me un ragazzo disabile. Aveva 15 anni e per fargli vedere la partita qualche settimana prima andai al comune e lo feci inserire sul mio stato di famiglia. In quella bolgia è stato il mio unico pensiero: quando riuscii a metterlo in salvo caddi per lo sfinimento. Lì cominciò l’inferno. La folla mi travolse e persi i sensi. Quando pochi minuti dopo mi risvegliai avevo le gambe bloccate dalle macerie e davanti a me c’era un uomo con latelecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Gli dicevo di tirarmi fuori dalle macerie, ma quello continuava a girare. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio. Ci pensi? Io stavo morendo e lui aveva vinto u premio ”. Ricorda ogni momento di quella giornata fino a quando la folla non lo travolse: la sua gamba è così livida che ogni giorno deve prendere pillole antidolorifiche. “Per curare le conseguenze di quella finale: ho girato l’Italia, ma non c’è niente da fare, mi devo tenere il dolore. Pensavo solo di ricominciare da dove avevo lasciato e invece la dovrò guardare in tv. Peccato. Però vinciamo noi, ho giocato un biglietto con il risultato finale. Vinciamo noi”.
Lecce, il panettiere costretto a chiudere per la crisi regala pane e focacce in piazza
Alfredo Fiorentino aveva aperto l'attività sette mesi fa. Costetto a chiudere dopo aver lanciato appelli alle istituzioni, ha deciso di dare un pasto agli indigenti di CHIARA SPAGNOLO
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Alfredo Fiorentino ha provato ad avviare un'attività tutta sua. Sognava di fare il panettiere, ma la crisi lo ha stritolato e ora del suo sogno restano solo 25mila euro di debiti e l'insegna Baudaffi, che ha esposto in piazza Mazzini per gridare a una Lecce gremita di turisti la sua rabbia. Accanto a lui gli amici a cui ha teso la mano nell'ultimo mese: tante persone in difficoltà per le quali ha sfornato gratuitamente pane, focacce, pucce pur sapendo di essere ormai prossimo alla chiusura. La storia di Alfredo - 32 anni e un passato di cuoco in ristoranti e stabilimenti balneari - è emblematica di un momento storico difficile, in cui il coraggio di mettersi in proprio non basta. La panetteria in via Liguria, alle spalle del tribunale, l'ha aperta sette mesi fa grazie a un finanziamento da 10mila euro, appena sufficiente per prendere in affitto un locale e iniziare a pagare a rate l'attrezzatura. All'inizio c'era tanta voglia di fare, energia nell'alzare la serranda quando era ancora buio, nell'impastare e sfornare. Poi, con il passare dei mesi, la realtà si è palesata: gli affari non sono andati bene e per continuare a pagare i fornitori il giovane si è indebitato con gli amici e con le banche, finché ogni porta gli è stata chiusa in faccia.
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Giovedì le attrezzature sono state portate via dal locale - "ho sprecato tutti i soldi che avevo già versato" - e lunedì 1° giugno le chiavi saranno restituite al proprietario. La protesta in piazza Mazzini è più che altro simbolica: "Vorrei sollecitare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle difficoltà che incontra chi, come me, non ha le spalle coperte e vorrebbe farcela solo con la forza del lavoro". A sostenerlo tanti amici, persone indigenti, alle quali ha dato buste di pane da portare a casa quando non avevano i soldi per comprarlo e sfamare i loro figli. Tutti gli vogliono bene e lo stimano per quello che.. ha fatto. Nessuno di loro, però, può aiutarlo e Alfredo lo sa. Il suo rimpianto è di non avercela fatta, nonostante gli sforzi. E di non poter coronare il suo sogno d'amore, a causa della mancanza di un minimo stipendio che gli consenta di mantenere una famiglia: "Anche la mia fidanzata non lavora. Sposarsi è impossibile, così come pensare di mettere al mondo un figlio, anche se è la cosa che vorrei di più al mondo".
ma fino a quando visto l'aumento dei commenti xenofobici \ razzisti , bufale prese sul serio e rilancie come verità assolute , propaganda malpancista , destra che usa i crimini degli immigrati come news principali . .
La cacciarono da scuola bambina perché ebrea. Ora lo Stato le dà ragione: Edi Bueno, livornese, ha diritto a riscuotere il vitalizio di benemerenza. Così ha deciso la Corte dei conti. In questa lunga intervista alla nostra giornalista Ilaria Bonuccelli, Edi racconti alcuni toccanti momenti della sua infanzia, come la deportazione evitata per miracolo e quella bici riconsegnata da un soldato tedesco
Edi Bueno ospite al Tirreno in compagnia del niporte Renzo
Sanguinano i piedi. Edi avverte caldo e dolore, ma non si ferma. Scappa per i campi di Marlia. Via dai fascisti. Non ci crede che la vogliano mandare in Germania a lavorare, come dice sua madre. Sirio, il fratellino più piccolo, la segue. Anche il padre cerca un nascondiglio. La mamma e il fratello grande no. Restano nella casa dove si nascondono. Lontani da Livorno, nelle campagne della Lucchesia.
Edi Bueno ha rimosso il cognome della famiglia che li ha ospitati. La fuga dalla casa ce l’ha sempre impressa in mente, invece. È stata l’ultima volta che ha visto sua madre e suo fratello, morti ad Auschwitz. Quest’anno, a gennaio, ha accarezzato due piccole pietre “anti-inciampo” con i loro nomi incisi, Dina Attal e Dino Bueno: sono cementate davanti allo stabile che sorge al posto della loro vecchia abitazione di Livorno, in via della Coroncina, distrutta dai bombardamenti. L’unico segno tangibile del loro passaggio su questa terra. Fino a un paio di giorni fa. Ora ce n’è un altro. Edi Bueno l’ha inseguito per una decina di anni. Sconfitta dopo sconfitta. Ogni volta che si accarezzava le cicatrici sotto i piedi, trovava un motivo per non lasciarsi abbattere. E alla fine la Corte dei Conti di Firenze le ha dato ragione: Edi Bueno di Livorno è perseguitata per ragioni razziali. E ha diritto a riscuotere il “vitalizio di benemerenza”.
La famiglia di Edi Bueno. Da sinistra la tata, il fratello Sirio, il fratello Dino, Edi e la mamma morta ad Auschwitz
A quasi 80 anni dalla pubblicazioni dalle leggi razziali, lo Stato riconosce di averle usato violenza. Non l’ha picchiata, né messa in prigione o mandata al confino come gli oppositori del Fascismo. Ma - secondo la giurisprudenza attuale - gli atti di violenza verso gli Ebrei «sono anche di natura morale». Vanno oltre la «terribile» deportazione di familiari. Nel caso di Edi la violenza ha assunto le forme della quotidianità negata: «Sono andata a scuola fino a 7 anni. Quando sono passata in terza, non mi hanno più voluta». Secondo la magistratura contabile il «provvedimento di espulsione da una scuola pubblica può essere considerato un atto persecutorio» in quanto «limitativo del diritto fondamentale della persona». Proprio come il diritto a vivere nel proprio domicilio, ad avere una propria attività. «Il mio nonno - racconta Renzo Bueno, nipote di Edi e figlio di Sirio, detto Luciano - era benestante. Prima delle legge razziali aveva una merceria a Livorno, in via della Madonna. Ma con il fascismo e quelle leggi la vita cambiò». Lo sa bene Edi: «Le amiche con cui giocavo fino a poco tempo prima si rifiutavano di stare con me perché ero ebrea. Un giorno andai con il mio fratellino andai al bar Lateri, a Livorno, e la commessa non mi dette il gelato perché ero ebrea. Allora protestai con il direttore. E lui mi rispose: “Bimba sai leggere? Guarda cosa c’è scritto dietro di te: non si dà il gelato agli Ebrei”. Non me lo sono più dimenticato». Anche per questo dallo Stato Edi preteso il risarcimento.In denaro, il suo assegno corrisponde al trattamento minimo di pensione erogato ai lavoratori dipendenti. Non una grande cifra, tutto sommato. Soprattutto se paragonato alla fuga precipitosa del 1944 da Livorno «per una spiata dei fascisti». Ma Edi Bueno non si è mai battuta per i soldi. Piuttosto per la sofferenza: «Dopo 15-20 giorni che eravamo a Santa Caterina, a Marlia, abbiamo visto arrivare i fascisti. Ci hanno messo tutti in un salone. Mio padre mi ha fatto un cenno. Stava cercando di aprire una porta: io e il mio fratellino ci siamo avvicinati e infilati nella stanzetta. Era un bagno. Lì siamo rimasti nascosti, fino a quando non sono andati tutti via. Mia madre e mio fratello si sono lasciati portare via, convinti che sarebbe arrivato presto l’armistizio e che non avrebbero subito nulla di grave. Mio padre non era convinto e aveva ragione».
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Installate le pietre d'inciampo che ricordano due vittime dei lager nazisti
Sono state messe in via della Coroncina, dove abitavano Dina Bona Attal e Dino Bueno che furono uccisi nei campi di sterminio
Per questo nasconde i figli e si nasconde. Quando tutto è silenzo, Edi dice al fratellino: «Togliti le scarpe perché dobbiamo correre». E si buttano scalzi nei campi. Il grano è stato appena mietuto. I piedi si tagliano, ma non si fermano fino a quando non trovano un ponticello. «Ci nascondiamo, ma vediamo spuntare due teste. Iniziamo a dire: “Non siamo ebrei, non siamo ebrei”. Le voci - ricorda Edi - ci rassicurano: “Siamo partigiani”. Ci hanno presi e tenuti con sé due notti. Poi ci hanno riportati a Livorno. Davanti a casa abbiamo ritrovato nostro padre. Ma abbiamo avuto tanta paura».
Anche di questa paura, Edi chiede conto allo Stato. Ma ancora una volta la strada è in salita, conferma l’avvocato Jacopo Bandinelli di Firenze.La prima richiesta, infatti, viene inoltrata nell’aprile 2006 alla Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali costituita presso la Presidenza del Consiglio. Dopo quattro anni e un’istruttoria suppletiva, l’istanza è respinta: non viene precisato il nome della famiglia presso la quale la famiglia Attal-Bueno si è rifugiata nel periodo trascorso a Marlia, in località Santa Caterina. Gli atti sono considerati «troppo generici».
Edi Bueno non si dà per vinta. Neppure quando il ricorso viene rigettato. «Un sostegno consistente - conferma l’avvocato Bandinelli - arriva dal Comune di Capannori che ci ha aiutato a ricostruire il periodo nel quale la famiglia è rimasta nascosta a Marlia». Inoltre, da ricerche svolte sul sito www.nomidellashoah.it risulta che Dina Attal, il nonno (materno) David Attal e Dino Bueno vengono catturati a Marlia e deportati ad Auschwitz dove muoiono. Di fronte a queste indicazioni, perfino il ministero delle Finanze si è dovuto arrendere: per ordine della Corte dei Conti dovrà pagare il vitalizio a Edi, oggi 85enne. A partire dal 1° maggio 2006. la dovrà risarcire perché le leggi razziali le hanno impedito di frequentare la scuola. Di mantenere il proprio nome e, di fatto, la propria identità. Rinunce quotidiane che oggi sono archiviate, ma non dimenticate.Ci sono le cicatrici sotto i piedi a ricordarle. Ogni giorno, quando bada ai bisnipoti, va al «circolino a lavare i piatti e dare una mano», partecipa alle attività della comunità ebraica di Livorno. E perfino il sabato sera. L’unico giorno in cui i piedi non le dolgono. Perché lì al circolo Pirelli, a Livorno, Edi torna ragazza, prima della guerra. E balla. La samba, la bachata, perfino il rock. Come se le cicatrici non ci fossero. Come se.....
Come sempre accade per tutte le celebrazioni d'anniversari ci sono miti che resistono anche se sono da recenti studi e acquisizione di documenti rimessi indiscussione. Ed è il caso di quando , il nella notte fra il 23-24 maggio del 1915 l'Italia segno' la sua entrata nella carneficina che fu la grande guerra .Tutti credono che Dal Forte Verena, sull'altopiano di Asiago, parte un primo colpo di cannone verso le fortezze austriache situate sulla Piana di Vezzena: che fu questo per l'Italia inizia ufficialmente le operazioni militari nella prima guerra mondiale. E primo soldato Regio esercito a essere ucciso da una pallottola dell’esercito austro-ungarico fu l’udinese Riccardo Giusto. All’alba del 24 maggio 1915, nella zona del monte Colovrat,il proiettile sparato da un gendarme imperiale rimbalzò sulla vanga fissata allo zaino di Giusto e gli trafisse la nuca. Quasi contemporaneamente dal forte Verena, a nord ovest di Asiago, partiva il primo colpo di cannone di una batteria italiana. Ma oggi,sebbene si sia soliti abbinare alla mezzanotte del 24 maggio l’inizio delle ostilità, sappiamo con certezza che il primo colpo fu sparato due ore prima. A farlo – nonostante l’ordine perentorio di non sparare prima della mezzanotte – furono due militari della Guardia di Finanza sul torrente Judrio, non lontano da Gorizia, contro una pattuglia di austriaci che volevano minare un ponte.A Darne notizia è la bellissima e ben fatta puntata della trasmissione rai " il tempo e la storia " del 2\5\2015
Una puntata realizzata in collaborazione con la Guardia di Finanza che ha reso possibile, per la prima volta, la ricostruzione filmata dell’episodio con soldati equipaggiati con divise e armi originali dell’epoca.
Ospite di Massimo Bernardini, il professor George Meyr che ripercorre l’accavallarsi degli eventi politici e diplomatici che portarono appunto a quel fatidico primo colpo di fucile sparato dai nostri soldati nella grande guerra. Un evento, in sé, quasi insignificante se paragonato all’immane tragedia del primo conflitto mondiale, ma dal valore altamente simbolico per la storia militare del regio esercito italiano.
Chicco Fresu
Nessun compagno di classe al funerale di Domenico Maurantonio, studente padovano morto in circostanze misteriose mentre era in gita assieme a quelli che non si sono presentati. Com'è che non si leggono sparate sulla culture dell'omertà a Padova? E' lontanuccia da Orune...
non aggiungo altro perchè due parole sono poche ed una è troppo
Musica in sottofondo oltre la guerra e la paura - Mcr cercando storie di riportare sia su i mie social sia qui sul blog ho trovato questa qua che potrebbe , anche se alcuni lo sminuiranno : << bah è un caso su mille ., una mosca bianca ,ecc >> , a chi : 1) generalizza : 2) ha il prosciutto sugli occhi ., 3) è ormai succube dalla propaganda e l' imperante cultura del terrore, che si fonde col : qualunquismo \ populismo , il razzismo, xenofobia , ed i capri espiatori ed ci rende egoisti,ed malpancisti .
dahttp://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca del 18\5\2015 A Reggio Emilia Iren stacca le utenze ai condomini morosi e Khadija Lamami, cittadina reggiana di origine marocchina mette a disposizione la doccia di casa sua ai cittadini colpiti dal provvedimento che hanno sempre pagato e ai «morosi involontari», (ovvero quelli che hanno smesso di poter pagare perchè colpiti dalla crisi economica).
REGGIO EMILIA. Nuove polemiche a Reggio per il distacco da parte di Iren delle utenze nei condominii morosi della zona della stazione. A rispondere all'assessore al Welfare, Matteo Sassi, che giudica positivo il fatto che molti nuclei familiari che non hanno pagato le bollette stiano abbandonando gli stabili, è con una lettera Khadija Lamami, cittadina reggiana di origine marocchina che ha messo a disposizione la doccia di casa sua ai cittadini colpiti dal provvedimento di Iren che hanno sempre pagato e ai «morosi involontari», (ovvero quelli che hanno smesso di poter pagare perchè colpiti dalla crisi economica). La donna sostiene infatti che la risposta dell'assessore «è un esempio di come non si sappia affrontare nel merito un tema cruciale per la città, di come ci si ostini a non prendere atto della realtà».Debiti per due milioni: stop alla forniture in otto condomini tra via Turri e via Paradisi. Al freddo anche chi ha sempre pagato l Comune intanto «ha dato il via libera ad Iren per togliere acqua calda e riscaldamento a famiglie di anziani (italianissimi), famiglie con minori ed invalidi senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze». Inoltre «mentre si sospende il conflitto, il disordine regna sovrano in merito alla trasformazione energetica degli edifici», perchè «ancora una volta il Comune ed Iren rinunciano alla rigenerazione energetica degli edifici, non accompagnano i singoli condomini in un percorso di trasformazione degli impianti».Sassi, prosegue, «continua a non offrire risposte. L'azione del Comune e di Iren hanno di fatto messo all'angolo coloro che hanno sempre pagato le utenze chiedendo a loro di farsi carico del debito anche dei furbetti, ciò ha penalizzato coloro che di fatto le regole le rispettano e sono alleati delle istituzioni». In particolare, aggiunge Lamami, «il disconoscere l'esperienza del condominio al numero civico 47 è un errore grave, in quanto quel condominio ha attuato la trasformazione energetica ed è in grado di staccare le utenze a chi non paga. Ma nonostante questo il Comune ha preferito togliere anche a quel condomino il teleriscaldamento e l'acqua calda». Dunque «l'amministrazione comunale continua nella sua azione che conduce velocemente al degrado di un quartiere già difficile di per sè. una semplificazione eccessiva, una difficoltà enorme ad approfondire il tema dell'effetto banlieu». Insomma, conclude Lamami «non certo un bell'esempio di amministrazione» poichè «il rischio è che tra dieci anni i ragazzi che vivono nel quartiere, di fronte a tutto ciò, scelgano la via della violenza e non della convivenza».
Chiedo scusa ai miei pochi lettori , se ritorno a breve distanza di tempo ( vedere il precedente post ) ancora sul 24 maggio ma certe cose mi danno fastidio, specialmente quando sono dettate da becera ignoranza o peggio uso politico \ ideologico della storia , specie quando uno come Matteo ( ancora non ha come annunciato di fare cambiato il suo nome ) Salvini si è iscritto << ( .. ) al corso di laurea in Scienze Storiche dell'Università degli Studi di Milano, rimanendo iscritto per 16 anni, di cui 12 fuori corso, e fermandosi, secondo quanto riportato sul suo sito a 5 esami dalla laurea; (....) >> da http://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Salvini )
Ora il manifesti leghista ricorda una data e un luogo in cui, 100 anni fa, non successe nulla di quello che viene suggerito
Non vale la scusante dell'errore tipografico del manifesto visto che è qualche settimana purtroppo la Lega Nord ha fatto una grande battaglia comunicativa intorno alla data del 24 maggio. Quel giorno si annuncia la presenza di Matteo Salvini sul Piave, con lo slogan «Non passa lo straniero». Nell’ultimo lancio dell’iniziativa su Facebook, la pagina ufficiale della Lega Nord Padania sottolinea: «Oggi come 100 anni fa».
La Lega suggerisce, insomma, un parallelismo tra la Prima guerra mondiale e i flussi migratori di questi ultimi mesi, facendo leva sul patriottismo e l’orgoglio nazionale.
Ora Il problema è << che sceglie >> come fa notare l'ottimo articolo di http://www.linkiesta.it/lega-nord-salvini-piave << una data clamorosamente sbagliata. Il Piave, come recita la famosa canzone, «mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti, il 24 maggio»: il fatto è che i fanti italiani, più o meno mezzo milione, stavano andando all’attacco. E sul Piave, a dirla tutta, non è che quel giorno sia successo granché. >> Infatti Come insegnano i libri di storia fin dalle scuole elementari, l’Italia faceva parte della Triplice Alleanza allo scoppio del primo conflitto mondiale nel resto d’Europa, nell’estate del 1914; i rapporti con Austria-Ungheria però non erano semplici, e l’Italia cambiò fronte dopo alcuni mesi aderendo alla cosiddetta Triplice Intesa. Il 23 maggio 1915 il Regno d’Italia dichiarò guerra all’Impero Austro-Ungarico il 23 maggio 1915.
Il giorno dopo, il 24 maggio appunto, cominciarono le operazioni d’attacco su un fronte molto ampio nell’Italia nordorientale, che andava dal Trentino all’Isonzo. Il fiume Piave era ben dietro la linea del fronte. Gli italiani erano comandati dal generale Cadorna e gli obbiettivi erano, nel breve periodo, Gorizia, e se le cose fossero andate nel migliore dei modi si voleva arrivare nel cuore dell’Austria.
Per il primo mese l’avanzata italiana andò piuttosto bene, ma la seconda linea difensiva austriaca resse bene l’urto e cominciò la fase di stallo – la guerra di trincea – che conobbero gli eserciti in tutta Europa.
Al di là delle questioni irredentiste, se c’era qualche straniero che passava i confini il 24 maggio, quelli erano gli italiani.
<< Da dove viene l’errore leghista? [ se d'errore si tratta ] Da una lettura superficiale del testo della “canzone del Piave”. Composta nel 1918, la canzone racconta la storia della guerra – con toni assai patriottici – attraverso alcuni momenti salienti che sono ambientati intorno al corso d’acqua. Che nella realtà fu cruciale solo molto dopo il 1915: nei primi versi della canzone, il Piave è ricordato con una generosa licenza poetica, visto che non fu per nulla centrale nel maggio 1915 (e con una certa dose di forzatura retorica: «per far contro il nemico una barriera» è un gentile eufemismo, visto che «i primi fanti» erano all’attacco).
Dopo la sconfitta di Caporetto, cominciata il 24 ottobre 1917, cominciò una rovinosa ritirata che si fermò tre settimane più tardi – intorno al 12 novembre – sulle rive, appunto, del Piave. >>Ma questa è tutta un’altra storia.
Ora concordo con http://www.formiche.net/2015/05/23/matteo-salvini-novello-generale-cadorna/
( ... ) Matteo Salvini, novello generale Cadorna, domani disloscherà le truppe padane sul Piave al grido di “Non passa lo straniero!”. La Lega, quindi, stabilisce un parallelismo tra l’ingresso del nostro Paese nella Grande Guerra e l’invasione della penisola da parte degli immigrati. Ora, anche gli alunni delle scuole elementari sanno che il 24 maggio 1915 i fanti italiani, circa mezzo milione, si preparavano non a difendere i nostri confini orientali, ma a sferrare un attacco contro l’esercito asburgico lungo un perimetro che andava dal Trentino all’Isonzo. Inoltre, anche gli alunni delle scuole medie (forse) sanno che “La canzone del Piave” fu composta nel giugno 1918 da E. A. Mario (pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta). L’inno doveva contribuire a risollevare il morale dei nostri soldati dopo la disfatta di Caporetto. Questo spiega la forzatura contenuta nella prima strofa, dove la marcia dell’esercito regio viene presentata come una marcia a difesa delle frontiere nazionali. Al diavolo la verità storica, potrebbe obiettare Salvini. Cosa conta, se si prende un voto in più? (...)
Salvini pur di procacciarsi voti ha fatto la figura dell'ignorante superando perfino il trota .I nazionalisti di Casa Pound e forza Nuova sono più colti di te .
A Roma li chiamano ‘Urtisti’, per altri vengono definiti volgarmente ‘Ricordari’, per altri ancora ‘Peromanti’ o ‘Madonnari’. Dall’alba al tramonto sono davanti a ogni monumento importante romano e vendono souvenir: cartoline, magneti, braccialetti, rosari, statuine in finto marmo d’imperatori, di papi e madonne. Il luogo più ambito è piazza San Pietro. Quasi tutti sono ebrei, poco più di un centinaio. La loro esistenza è datata prima dell’Ottocento, a regolamentarla una bolla papale che autorizzava le licenze ai commercianti di religione ebraica, a quel tempo ancora confinati all’interno del Ghetto. La loro fortuna è stata negli anni ’60 con l’avvento dei turisti, ora tutto è cambiato e rischiano di scomparire. ASoVatican (iscriviti alla pagina Facebook)la storia di uno di loro
Nel carcere di Badu 'e Carros alcuni detenuti hanno ideato e realizzato uno spot contro il femminicidio.
Servizio di Graziano Canu Gli intervistati sono: CARLA CIAVARELLA DIRETTRICE CARCERE ''BADU 'E CARROS'' NUORO, GIANFRANCO OPPO GARANTE DETENUTI COMUNE DI NUORO
A volte basta un niente per tirare fuori la propria forza di volontà ed il proprio orgoglio ( ebbene si a volte esso può essere positivo ed utile alla tua opera d'arte ) è la storia di Claire-Crowther
Presa foto comprese da www.unionesarda.it del 22\5\2015
Il matrimonio era in programma ma la sposa continuava a rimandare.Il motivo? Si vedeva troppo grassa. Infatti due anni fa era cosi
Qualcuno poi, su Facebook aveva commentato una sua foto dicendo appunto che era molto in sovrappeso e l'aveva anche insultata.
Quella è stata la molla che ha fatto scattare la forza di volontà di Claire Crowther, 31enne del Galles, che ha iniziato a fare attività fisica, una dieta bilanciata e ha smesso di mangiare cibo spazzatura.
Così è riuscita a perdere 90 chili in 24 mesi, si è sposata e adesso dice: "Ora mi sento davvero a mio agio".
E pensare chevoleva sposarsi perché si vedeva ancora troppo grassa. Così Claire Crowther dopo che ha perso 90 chili e adesso è felicemente sposata. “Tutto iniziò quando qualcuno commentò su Facebook una mia foto – racconta Claire – Mi scrisse che ero grassa e mi insultò”. “Per questo – dice Claire – prima di sposarmi ho deciso di mettermi a dieta e di smetterla di mangiare cibo s spazzatura”.
E così con il supporto e l’amore del marito Claire in due anni ha perso 90 chili ed ora è in una forma perfetta
in sottofondo una canzone che ha caraterizzato ( non è mica colpa mia se mio nonno era di quel periodo ) la mia prima infanzia
IL trentino non ha tutti i torti . E' vero che il centenario del 24 maggio ( entrata in guerra del'italia ) debba essere ricordarto perchè la storia va riocordata tutta nel bene e nel male come dicevo nel post precedentemente . Ma la partecipazione a un conflitto non si dovrebbe, mica è un evento allegro ,
festeggiare non un evento positivo, come potrebbe essere la fine di una guerra. Do ragione al governatore del Trentino Arno Kompatscher quando dichiara al quotidiano ( da cui è tratta la foto sopra ) http://www.ladige.it/territori/alto-adige-s-dtirol/ del 21\5\2015
«L’invito della presidenza del consiglio - ha detto - è assolutamente incomprensibile e fuori luogo». Secondo il presidente della Provincia sarebbe stato meglio ricordare tutte le vittime della Grande Guerra con le bandiere a mezz’asta.
Kompatscher ha sottolineato che il 24 maggio «si celebra l’anniversario dell’inizio del primo conflitto mondiale e non un evento positivo, come potrebbe essere la fine di una guerra».
«Questo invito - ha proseguito - è incomprensibile, soprattutto per la popolazione di lingua tedesca e ladina». Il 24 maggio 1915 ebbe, appunto, inizio la Grande guerra che portò al distacco dell’Alto Adige dall’Austria. Il presidente della Provincia di Trento e attuale presidente della Regione Ugo Rossi dal canto suo ha invitato ad osservare un minuto di silenzio in memoria dei caduti di ogni conflitto. «Le bandiere dell’Italia e dell’Europa - ha detto - le esporremo, ma a mezz’asta, perchè l’inizio di quella guerra, come pure di tutte le guerre, è già di per sè una sconfitta per l’umanità».
e della Sudtiroler Volkspartei che
<< ha definito la decisione di Roma >> ( sempre secondo lo stesso giornale ) << incomprensibile e sbagliata >> . Infatti secondo il segretario del partito di raccolta dei sudtirolesi, Philipp Achammer, «sarebbe più opportuno ricordare le migliaia e migliaia di vittime di questa guerra con la fascia da lutto». Critiche sono state espresse anche dai partiti di opposizione di lingua tedesca Sudtiroler Freiheit e BurgerUnion («l’Italia si conferma un paese fascista e nazionalista») e dagli Schützen «l’Italia festeggia la morte di mezzo milione di soldati italiani >>.
Infatti Centenario grande guerra: dopo lo "sciopero" del tricolore bandiere a mezz'asta in Trentino
„Le indicazioni giunte da Roma che invitavano le
amministrazioni pubbliche ad esporre il tricolore per il centenario
dell'entrata in guerra dell'Italia, 24 maggio 1915, sono state oggetto
di controversie, com'era prevedibile, nelle province di Trento e
Bolzano, che a quel tempo non erano ancora italiane ed anzi erano in
querra già da otto mesi insieme all'Impero Austroungarico.
Comprendo benissimo e non biasimo la loro decisione perchè a differenza delle idiozie leghiste e di altri gruppi separatisti anche della mia regione , tale gesto e la sua o grande guerra: dopo lo "sciopero" del tricolore bandiere a mezz'asta in Trentino giustificazione esula da presunti intenti
autonomistici o separatistici, ma è semplicemente nel segno del lutto:
"per noi si tratta di un ricordo doloroso - spiega il presidente Ugo
Rossi - la Grande Guerra era iniziata per l'Impero austro-ungarico nel
1914, ma, con l'ingresso in guerra dell'Italia il Trentino si trovò sul
confine. Cento anni fa, sul finire di maggio del 1915, la nostra
provincia ha vissuto giorni di angoscia e di paura, gli abitanti posti
sulla linea del fronte con l'Italia vennero allontanati come profughi e
il conflitto varcò i nostri confini e toccò le nostre case".
"Oggi ci sentiamo parte di un’unica entità, l'Europa
- prosegue la nota - e le nostre tre comunità, Trentino, Alto
Adige/Südtirol e Tirolo, si ritrovano insieme nell’Euregio
trentino-tirolese. Crediamo nell'ideale della convivenza pacifica
e quella guerra come tutte le guerre è per noi una sconfitta, inoltre
quel giorno inviteremo tutti ad osservare un minuto di silenzio per i
caduti di tutte le guerre". Ora Visto che il tragico conflitto portò migliaia di morti, sarebbe stato molto meglio omaggiarli con delle corone d’alloro. Questo atto del governo, di ricordare l’entrata in guerra con l’esposizione della bandiera,ha un simbolismo totalmente incomprensibile Perché la Grande guerra, per i sudtirolesi, rappresenta una ferita particolarmente dolorosa nonostante siano passati 100 anni . Infatti tale eventi vengono usati ( ecco perchè non c'è e forse non ci sarà mai una memoria condivisa sui fatti del secolo scorso ) a scopo propagandistico e politico come dimostra il botta e risposta fra i due politici Trentini e La ministronza Giorgia Meloni
da il fatto quotidiani del 22 maggio 2015
“Se Rossi e Kompatscher si vergognano di vivere in Italia – attacca Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, con un post sulla sua pagina ufficiale su Facebook – possono tranquillamente decidere di andare a vivere in un’altra Nazione Di certo l’Italia non rimpiangerà questi due squallidi personaggi, che si vergognano della bandiera italiana ma non dei miliardi di euro che lo Stato italiano trasferisce loro per governare la Regione e la Provincia”.
Scandalose le parole del presidente della Regione Trentino Alto Adige, Ugo Rossi, e del presidente della Provincia…
“Rossi e Komptascher – conclude Meloni – chiedano scusa al popolo italiano e abbiano la decenza di dimettersi, perché sono indegni di rappresentare le Istituzioni e i cittadini italiani”. Fdi il 24 maggio sarà sul Piave “per ricordare gli italiani che si sacrificarono nelle trincee della Grande Guerra per l’unità e la libertà della nostra nazione”.
A Giorgia Meloni risponde Karl Zeller, senatore del Sudtiroler Volkspartei: “Questa è la solita menata, noi siamo fra i più grandi pagatori di tasse al netto all’Italia, il gettito fiscale non lo teniamo solo per noi. Che lei strumentalizzi il tema non mi meraviglia. Tutti i servizi pubblici sono gestiti con i nostri fondi, Trento e Bolzano non sono più sulle spalle dello stato da tempo”. Poi continua: “Condivido la posizione di Kompatscher, ritengo l’idea di festeggiare l’ingresso in guerra come una cosa sbagliata – spiega Zeller all’AdnKronos – al massimo si festeggia la fine. Costringere una popolazione che ha avuto un periodo non di certo felice durante la guerra a festeggiarla è sinonimo di poca sensibilità“. Inoltre domenica 24 maggio si voterà in molti comuni e secondo Zeller “che la presidenza del Consiglio faccia una richiesta del genere a pochi giorni dal ballottaggio è incredibile“.
Scambiatemi pure per disfattista ed anti italiano ( sono accuse che ormai mi scivolano vie , visto che mi vengono attribuite da quando ho messo su il blog nel lontano 2004 ) ma non è colpa mia se la storia del nostro paese è un insieme di storie ciascuna diversa dentro una grande storia . E se l'unità avvenuta istituzionalmente nel 1861 ma completata appunto con la fine della I guerra mondiale è solo un fatto politico ma non culturale come dimostra questa canzone di cui s'incominciano a sentire adesso le prime note nel mio nel mio stereo
buona celebrazione o buon festeggiamenti fate voi . Cosi come pure liberi di mandarmi in fncl o farmi i compliemti tanto la mia email del blog e i miei social li sapete
Ma la volete piantare razzisti di merda .( scusate la volgarità , ma certe persone non le sopporto proprio ) . se foste voi al suo posto vi piacerebbe ?
Razzismo a scuola: un altro biglietto contro la studentessa senegalese
Pisa: "Ti sei rivolta alla stampa ma non mi scoprirai mai", ha scritto una mano anonima. Presto la convocazione dei compagni di classe da parte dei carabinieri
PISA. Nonostante il clamore suscitato dai precedenti episodi e l'avvio di un'indagine da parte di carabinieri e Procura minorile di Firenze, nella mattina di giovedì 21 maggio la studentessa 14enne di origine senegalese di un istituto pisano che nelle scorse settimane aveva trovato sul diario lettere a sfondo razzista solo perché brava a scuola, ha trovato un altro biglietto dello stesso tenore.
"Ti sei rivolta alla stampa ma tanto non mi scoprirai, né te né i carabinieri". E' più o meno questo il contenuto del biglietto che ha trovato sul banco la studentessa senegalese 14enne già presa di mira nelle scorse settimane da una serie di lettere a sfondo razzista. E' quanto si apprende in ambienti investigativi. Il biglietto, come gli altri, è infarcito di insulti e volgarità anche nei confronti degli inquirenti. La scuola mantiene il massimo riserbo e il preside preferisce non commentare l'accaduto anche se non nasconde l'amarezza per il nuovo gesto razzista. Gli investigatori stanno invece analizzando lo scritto alla ricerca di tracce utili che possano portare ai responsabili. L'uso del plurale conferma il sospetto che ad agire non sia stata una sola persona.
Mercoledì 20 maggio il preside era stato nuovamente convocato dai carabinieri per cercare di trovare una soluzione alla vicenda senza dover ricorrere necessariamente, visto che tutti i protagonisti sono 14enni, alla soluzione giudiziaria. A questo punto per l'ennesimo ritrovamento rischia di accelerare l'inchiesta e forse che già nei prossimi giorni potrebbero scattare i primi interrogatori in caserma per i compagni di classe della vittima.
«Non gliela voglio dare vinta» aveva detto la 14enne, musulmana. Il clamore della vicenda ha portato alla luce quello che a livello scolastico era già stato affrontato, ma senza arrivare all'identificazione degli autori delle missive anonime. Un impasto di invidia per i buoni risultati e la denigrazione a sfondo razzista. I sospetti si sono concentrati su tre ragazzi e una ragazza. Ma nessuno ha fatto ammissioni davanti ai docenti. «Il rientro in classe è stato tranquillo - spiega la studentessa -. Ho ricevuto tanto affetto. So bene che non tutti sono uguali nella mia classe. C'è anche qualche ipocrita, ma non ci voglio pensare».
"Ti sei rivolta alla stampa ma tanto non mi scoprirai, né te né i carabinieri". E' più o meno questo il contenuto del biglietto che ha trovato sul banco la studentessa senegalese 14enne già presa di mira nelle scorse settimane da una serie di lettere a sfondo razzista. E' quanto si apprende in ambienti investigativi.
Il biglietto, come gli altri, è infarcito di insulti e volgarità anche nei confronti degli inquirenti. La scuola mantiene il massimo riserbo e il preside preferisce non commentare l'accaduto anche se non nasconde l'amarezza per il nuovo gesto razzista. Gli investigatori stanno invece analizzando lo scritto alla ricerca di tracce utili che possano portare ai responsabili. L'uso del plurale conferma il sospetto che ad agire non sia stata una sola persona. (ANSA).
«Non credo alle sanzioni collettive - chiarisce il preside dell'istituto -. Quello che potevamo fare è stato fatto. Escludo che gli autori delle lettere dopo quello che è successo tornino a scrivere. La classe, al di là degli episodi, è una classe normale con i problemi di tutte le prime che devono amalgamarsi. Mi auguro che questa vicenda possa essere risolta prima della fine dell'anno scolastico e confido che i responsabili di questo gesto inqualificabile siano individuati. Nel momento in cui i carabinieri dovessero indicarci nomi e responsabilità partiremmo subito con le sanzioni disciplinari - aggiunge -. Per la gravità dei fatti non può essere esclusa neppure la bocciatura». Intanto la sottosezione di Pisa dell'Associazione nazionale magistrati e l'Ordine provinciale degli avvocati hanno invitato la ragazza, che vuol diventare avvocato, a fare un giro in Tribunale.