Di solito non credo alle coincidenze , ma a volte esse ci sono . Qualche giorno fa su queste pagine ( http://bit.ly/1SqvUl0 ) avevo riportato la notizia che la a Castellania, trovata la bici dell’ultima corsa di Coppi Scoperta da un appassionato a Milano, esposta durante le celebrazioni di sabato. Realizzata da Fiorello Masi nel 1959, usata dal Campionissimo al Trofeo Baracchi ebbene leggo su http://www.sardegnablogger.it/ oppure anche https://www.facebook.com/Sardegnablogger un bellissimo network sardo che
GEN 2, 2016 Fiorenzo Caterini
L’Italia, era con il fiato sospeso. Le notizie del malore di Fausto Coppi rimbalzavano tra la radio e i giornali. Da qualche giorno la febbre del “Campionissimo” non accennava a diminuire.
Papà, chi era più forte, Coppi o Bartali? Coppi, Coppi ci aveva una roba in più di tutti, che neppure Merckx. E si che Merckx, il Cannibale, ha vinto tanto, era un mostro. Ma Coppi ci aveva una grandezza dentro, una poesia che quando correva faceva piangere.
40 anni, Coppi che respira piano, nel letto d’ospedale. Correva ancora e, con il vecchio rivale, ora direttore sportivo, Ginettaccio Bartali, ci aveva in mente di correre ancora per un po’. L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.
Perché il Fausto respirava sempre più piano, in quel letto di ospedale.
Qualche anno prima, è il 1953. Coppi ha già vinto tutto: 5 Giri, 2 Tour, 2 mondiali su pista, e decine di prestigiose classiche. Gli manca solo il Campionato mondiale su strada. In quell’epoca, i campionati del mondo erano disegnati per i velocisti puri. Quell’anno, a Lugano, solo uno strappo breve, nel circuito, poteva fare la differenza, il resto era tutta pianura. Per Coppi, a 33 anni, sul finire della carriera, era l’ultima occasione di vincere il mondiale. Quella salita, fu sufficiente a Fausto Coppi per sgretolare ad uno ad uno tutti gli avversari.
Qualche anno prima, era il 1951, il fratello di Coppi, anche lui ciclista, cadde durante la Milano – Torino. Tornò in albergo, tranquillo, ma durante la notte si sentì male. Emorragia celebrale. Tragico destino, quello di Serse, gregario del fratello Fausto, “il Campionissimo”.
Serse, fratello caro, non mi lasciare. Non mi va di gareggiare senza di te.
Ma Coppi aveva le corse nel suo destino.
Fausto Coppi era fuori dalla Grazia di Dio. Sposato, si innamorò di una donna, la moglie di un medico, soprannominata poi, con un certo mistero giornalistico, la Dama Bianca. Presero a frequentarsi prima clandestinamente, poi sfidarono il mondo, apertamente.
Scandalo. Altri tempi, erano gli anni ’50. Oggi fa ridere, con il puttanaio che ci gira intorno. Ma all’epoca si finiva in galera. La Dama Bianca fu arrestata, e passò 4 giorni in carcere per adulterio. Coppi fu condannato ad un mese con la condizionale. Altri tempi, altri costumi.
Che Coppi abbia fatto la storia del costume del nostro paese, non c’è dubbio. La sua rivalità con Bartali è certamente la più proverbiale e popolare, in assoluto, nella storia della Repubblica, e indica quella particolare caratteristica degli italici a dividersi in fazioni, alla faziosità precostituita, a fondare rivalità e inimicizie categoriche.
Quando Coppi tornò dalla guerra, nel 1943, neppure la bicicletta per correre aveva. Era stato prigioniero in Africa, ed aveva attraversato l’Italia in sella ad una bici con le ruote piene per tornare a casa, e si era spaccato la schiena. L’Italia era distrutta, e il ritorno alle corse di campioni che avevano acceso di emozioni il paese prima degli orrori bellici, era un auspicio per tornare alla normalità. Un onesto falegname gli regalò la sua bicicletta, e Coppi riprese a correre.
Qualche anno prima, durante una licenza premio, Coppi aveva tentato di fare il record mondiale dell’ora, nella pista del Vigorelli di Milano. Nel velodromo quasi deserto, in una scenografia spettrale, con l’aria tagliata dalle sirene dell’allarme aereo, Coppi volò verso il primato mondiale. Era il 1942. Due anni prima, aveva strappato al suo capitano di allora e futuro rivale, Gino Bartali, il suo primo dei cinque Giri d’Italia vinti.
Se non ci fosse stata la guerra di mezzo, Coppi avrebbe quasi raddoppiato il suo palmares.
Coppi, nel letto di ospedale, ha la febbre altissima, delira. La notte di Capodanno, riprende per un attimo conoscenza. Fa ben sperare. Poi invece sprofonda nell’abisso.
Serse dove sei? Come stai Serse, stai bene? Che hai? Andiamo in ospedale, fratello caro.
I medici a consulto. Una telefonata. É la moglie di Geminiani, il ciclista francese che aveva corso in Africa, qualche giorno prima, con Coppi. E’ malaria, implora. Ma il consulto dei medici, attorno al letto di Coppi, non gli da retta.
Geminiani si salva grazie al chinino, Coppi invece no. Muore per una diagnosi sbagliata.
Ma erano altri tempi. Tempi in cui si finiva in prigione per un adulterio. Tempi in cui non esisteva ancora la TV nelle case, e Mario Ferretti, leggendario radiocronista, apriva le sue trasmissioni con “Un uomo solo al comando. La sua maglia è biancoceleste. Il suo nome è Fausto Coppi”.
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