Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
30.3.16
29.3.16
Riace, il sindaco Domenico Lucano è tra le persone più influenti al mondo
la news di oggi è tratta , foto comprese da
da Riace, il sindaco Domenico Lucano è tra le persone più influenti al mondo
Lo sostiene la rivista americana "Fortune", che ha pubblicato la classifica delle 50 persone più "importanti" sulla Terra. E' l'unico italiano citato, fianco a fianco a nomi come Papa Francesco, Angela Merkel e Bono degli U2
di Lucrezia Agnes
Domenico Lucano, sindaco di Riace da
tre mandati, è pressoché sconosciuto al grande pubblico, ma secondo la
rivista americana Fortune è tra le 50 persone più influenti al
mondo, nonché unico italiano presente in classifica. Da quando è primo
cittadino, Lucano ha accolto a Riace seimila immigrati: tutti hanno
ricevuto una casa e un lavoro nel settore imprenditoriale e artigianale,
contribuendo così alla rivitalizzazione del piccolo comune.
Da quando è sindaco Lucano, infatti, il Comune di Riace ha dato ospitalità a oltre seimila immigrati che hanno ripopolato il piccolo paesino della Locride. Molti di loro non se ne sono più andati e hanno avviato anche una serie di attività artigianali e imprenditoriali.
Il riconoscimento gli vale un grandissimo impegno nel campo dell’immigrazione ed evidenzia il messaggio sociale che non è stato quasi mai evidenziato negli ultimi anni dalla politica nostrana: l’immigrazione può essere una fonte di sviluppo.
Mimmo Lucano è l’unico italiano nella Top 50: nessun altro politico, nessun presidente del consiglio, nessun presidente di Regione, nessun uomo di Stato o grande imprenditore. Solo un sindaco di una piccola cittadina calabrese, arroccata ai piedi dell’Aspromonte, con meno di duemila abitanti di cui quasi la metà sono migranti.
Non sorprende che questo importante riconoscimento venga dall’estero: nessun esponente del mondo politico ha mai reso merito a questo primo cittadino capace di un vero e proprio miracolo.
“Questo è un esempio per i sindaci irpini che è possibile fare integrazione – commenta il segretario provinciale della Cgil, Vincenzo Petruzziello – questo sindaco illuminato ha permesso ad un paese di rivivere e di far riscoprire vecchi mestieri. Quanti comuni dell’Alta Irpinia hanno questo problema? Riace è la dimostrazione nei fatti che è possibile fare integrazione se si fa seriamente, che l’immigrazione è un’opportunità e non un fardello. Per avere la disponibilità dei sindaci bisogna rendere i comuni protagonisti. Il Prefetto può dare la gestione in aus dei migranti direttamente ai Comuni. Avellino potrebbe fare da capofila ed essere un esempio che è possibile fare gestione in proprio, che si possono eliminare le cooperative, che la gestione può essere affidata alle associazioni del luogo e che si possono creare nuovi posti di lavoro.”
La situazione in Irpinia sembra in attesa di una nuova “emergenza”…
“Abbiamo fatto l’ultima riunione con i presidenti dei piccoli comuni e dell’Anci in cui si è evidenziato l’ impegno dei presidenti ad inviare una circolare a tutti i Comuni per avere maggiore disponibilità all’accoglienza. La nostra proposta prevede la gestione diretta di un numero esiguo di immigrati in ogni comune: si attende la convocazione di un nuovo vertice con le associazioni ma per ora non abbiamo novità. Attendiamo inoltre la convocazione di un nuovo tavolo per fare il punto della situazione. Anche ad Avellino, al momento, sembra tutto fermo alle buone intenzioni. Non abbiamo notizie di chi abbia partecipato al bando, l’apertura delle buste in Prefettura doveva essere fatta a inizio Marzo.”
Rispetto all’arresto del presunto jihadista a Bellizzi di Salerno, quali controlli sono stati disposti anche nei Comuni irpini che ospitano i rifugiati?
“Non ho notizie a riguardo, è una domanda che va rivolta al Prefetto”.
Il sindaco di Riace tra i potenti della Terra. Egli , conosciuto in paese come "Mimmo", amministra
da tempo le sole 1820 anime di Riace, comune noto soprattutto per aver
dato il nome ai "Bronzi di Riace", le due celebri statue di epoca greca.
Il primo cittadino commenta l'intera vicenda in modo sorpreso, ma anche
con umiltà: "Non so neppure chi mi abbia candidato. Per me non è
cambiato niente, sono solo un sindaco che ci mette l'anima".
La sua buona volontà nei confronti di senegalesi, curdi e afghani è
stata dunque premiata con un posto nella classifica mondiale delle
persone più influenti, fianco a fianco, tra gli altri, al leader degli
U2 Bono, al fondatore di Amazon Jeff Bezos, alla politica birmana Aung
San Suu Kyi, ad Angela Merkel e a Papa Francesco.
Non c’è Matteo Renzi nella classifica dei leader più
influenti del mondo ma un sindaco meridionale che ha nel suo credo
“l’utopia della normalità”.
Iniziato nel 1998 con il primo sbarco di curdi a Riace e gradualmente
diventato realtà, è proprio quel sogno che oggi ha permesso al sindaco Mimmo Lucano di trovarsi al quarantesimo posto della classifica di “Fortune” in
compagnia deri grandi della terra Da quando è sindaco Lucano, infatti, il Comune di Riace ha dato ospitalità a oltre seimila immigrati che hanno ripopolato il piccolo paesino della Locride. Molti di loro non se ne sono più andati e hanno avviato anche una serie di attività artigianali e imprenditoriali.
Il riconoscimento gli vale un grandissimo impegno nel campo dell’immigrazione ed evidenzia il messaggio sociale che non è stato quasi mai evidenziato negli ultimi anni dalla politica nostrana: l’immigrazione può essere una fonte di sviluppo.
Mimmo Lucano è l’unico italiano nella Top 50: nessun altro politico, nessun presidente del consiglio, nessun presidente di Regione, nessun uomo di Stato o grande imprenditore. Solo un sindaco di una piccola cittadina calabrese, arroccata ai piedi dell’Aspromonte, con meno di duemila abitanti di cui quasi la metà sono migranti.
Non sorprende che questo importante riconoscimento venga dall’estero: nessun esponente del mondo politico ha mai reso merito a questo primo cittadino capace di un vero e proprio miracolo.
“Questo è un esempio per i sindaci irpini che è possibile fare integrazione – commenta il segretario provinciale della Cgil, Vincenzo Petruzziello – questo sindaco illuminato ha permesso ad un paese di rivivere e di far riscoprire vecchi mestieri. Quanti comuni dell’Alta Irpinia hanno questo problema? Riace è la dimostrazione nei fatti che è possibile fare integrazione se si fa seriamente, che l’immigrazione è un’opportunità e non un fardello. Per avere la disponibilità dei sindaci bisogna rendere i comuni protagonisti. Il Prefetto può dare la gestione in aus dei migranti direttamente ai Comuni. Avellino potrebbe fare da capofila ed essere un esempio che è possibile fare gestione in proprio, che si possono eliminare le cooperative, che la gestione può essere affidata alle associazioni del luogo e che si possono creare nuovi posti di lavoro.”
La situazione in Irpinia sembra in attesa di una nuova “emergenza”…
“Abbiamo fatto l’ultima riunione con i presidenti dei piccoli comuni e dell’Anci in cui si è evidenziato l’ impegno dei presidenti ad inviare una circolare a tutti i Comuni per avere maggiore disponibilità all’accoglienza. La nostra proposta prevede la gestione diretta di un numero esiguo di immigrati in ogni comune: si attende la convocazione di un nuovo vertice con le associazioni ma per ora non abbiamo novità. Attendiamo inoltre la convocazione di un nuovo tavolo per fare il punto della situazione. Anche ad Avellino, al momento, sembra tutto fermo alle buone intenzioni. Non abbiamo notizie di chi abbia partecipato al bando, l’apertura delle buste in Prefettura doveva essere fatta a inizio Marzo.”
Rispetto all’arresto del presunto jihadista a Bellizzi di Salerno, quali controlli sono stati disposti anche nei Comuni irpini che ospitano i rifugiati?
“Non ho notizie a riguardo, è una domanda che va rivolta al Prefetto”.
i valori della rivoluzione francese libertè legalitè fraternitè sono ancora validi ? se,mbra di no visto che Parigi non illumina come ha fatto per gli attentati di Bruxelles la Torre Eiffel con i colori del Pakistan.
colonna sonora d'oggi :
La torre Eiffel si è illuminata con i colori della bandiera
belga per commemorare le vittime degli attacchi terroristici del 22
marzo, ma non si accenderà con i colori del Pakistan colpito da un terribile attentato che ha ucciso a Lahore oltre 70 persone, tra le quali 30 bambini.
"Nel mondo ci sono regolarmente attentati e rendiamo omaggio alle vittime in altri modi", spiegano all'Hotel de Ville, la sede del Comune di Parigi, aggiungendo: "Gli attentati di Bruxelles hanno una portata molto particolare perché abbiamo un legame particolare con Bruxelles". E ancora: "L'illuminazione della Tour Eiffel è un gesto eccezionale".
La decisione però non piace a numerosi utenti di Twitter, che continuano a chiedere alla sindaca Anne Hidalgo di ripensarci.
"Il dolore di una madre è lo stesso in Belgio, a Parigi o in Pakistan", scrive una donna:
Tuttavia
una immagine del celebre monumento parigino in bianco e verde, i colori
del Pakistan, sta facendo credere a numerosi internauti che Parigi
abbia voluto omaggiare le vittime pakistane. Ma non è così. E non è
nemmeno un fake.
Come ricostruisce il sito Mashable, l'immagine è reale e risale al 2007, quando la torre usò questi colori per il campionato mondiale di rugby: verde per il colore del prato, bianco per le righe sul terreno.
Era molto difficile non farsi trarre in inganno, specialmente perché la prima a twittare la foto della torre Eiffel falsamente "abbigliata" con i colori del Pakistan è stata una giornalista pakistana, corrispondente per la Reuters, che comunque aveva usato la formula dubitativa:
Molti hanno cominciato un vero e proprio mail-bombing nei confronti della Hidalgo, più o meno replicando la stessa richiesta: "Allora questa sera illuminiamo la torre Eiffel con i colori del Pakistan?"
- I Griffin - Sigla Italiana
- Oltre la guerra e la paura - modena city ramblers Brano estratto dall'album Dopo il lungo inverno
Proprio come la sigla dei Griffin ( vedere url sopra ) dopo questo fatto mi chiedo elucabrando : ma che fine hanno fatto il vcalori della rivoluzione francese libertè legalitè fraternitè ? . Ma soprattutto questa e' la prova provante per chi ha ancora il prosciutto negli occhi che esistono solidarietà ( e vittime ) di Serie A e di serie B .
Va bene che come dice il sindaco di Parigi : << "L'illuminazione della Tour Eiffel è un gesto eccezionale".>> ma però dev'esserlo per tutti e non solo per uno \ due si e per gli altri no specie quando si tratta d'attentati cosi vili ed infami , e secondo alcuni ( mica tanto ) complottisti fatti fare su commissione per giustificare la guerra e la politica accentratice dell'occidente in medio oriente . Ho , per parafrasare una famosa canzone, perso le parole e non so che altro dire . e vi rimando a tale articolo
Parigi non illumina la Torre Eiffel con i colori del Pakistan. La protesta della rete: "Il dolore è uguale ovunque"
L'Huffington Post
|
Di
Redazione
Pubblicato:
Aggiornato:
"Nel mondo ci sono regolarmente attentati e rendiamo omaggio alle vittime in altri modi", spiegano all'Hotel de Ville, la sede del Comune di Parigi, aggiungendo: "Gli attentati di Bruxelles hanno una portata molto particolare perché abbiamo un legame particolare con Bruxelles". E ancora: "L'illuminazione della Tour Eiffel è un gesto eccezionale".
La decisione però non piace a numerosi utenti di Twitter, che continuano a chiedere alla sindaca Anne Hidalgo di ripensarci.
"Il dolore di una madre è lo stesso in Belgio, a Parigi o in Pakistan", scrive una donna:
@Anne_Hidalgo la douleur d'une mère est la même en Belgique à Paris ou au #Pakistan non. ??la tour Eiffel aux couleurs du Pakistan merci
Eiffel tower lights up to Pakistan's flag colours to pay tribute and condolences to Lahore Victims! 💚🇵🇰 pic.twitter.com/CM74Y08hXM— Aisha - FQ Fan (@FQ_FanClub) 28 marzo 2016
Come ricostruisce il sito Mashable, l'immagine è reale e risale al 2007, quando la torre usò questi colori per il campionato mondiale di rugby: verde per il colore del prato, bianco per le righe sul terreno.
Era molto difficile non farsi trarre in inganno, specialmente perché la prima a twittare la foto della torre Eiffel falsamente "abbigliata" con i colori del Pakistan è stata una giornalista pakistana, corrispondente per la Reuters, che comunque aveva usato la formula dubitativa:
Is that the Eiffel Tower lit up in #Pakistan colours? #LahoreBlast #LahoreAttack #EasterSunday #PrayForPakistan
01:04 - 28 mar 2016
Molti hanno cominciato un vero e proprio mail-bombing nei confronti della Hidalgo, più o meno replicando la stessa richiesta: "Allora questa sera illuminiamo la torre Eiffel con i colori del Pakistan?"
Alors @Anne_Hidalgo, comment ça se passe, ce soir on met la tour Eiffel au couleur du Pakistan ? #LahoreAttack
15:05 - 28 mar 2016
28.3.16
BOLZANO Bolzano, mendicante finto invalido: «Lo faccio per i miei figli»
Bolzano, mendicante finto invalido: «Lo faccio per i miei figli»
All’incrocio tra via Mayr
Nusser e ponte Loreto simula spasmi e zoppica . L’ammissione: «So che è
sbagliato, ma nessuno ascolta la mia storia»
di Alan Conti
di Alan Conti
BOLZANO. Una storia di inganno e disperazione, nascosta nelle pieghe del
fenomeno dei mendicanti sempre molto discusso a Bolzano
.
La storia di un’invalidità simulata per intenerire i passanti perchè non
c’è tempo di raccontare la propria storia di povertà. Chi frequenta
l’incrocio tra via Mayr Nusser e ponte Loreto conosce un mendicante con
il bastone che si apposta sempre, intorno a mezzogiorno, nei pressi del
semaforo. Presenta un’evidente zoppia alla gamba destra e soffre di
spasmi alla testa. Peccato che tutto questo sparisca in un video che una
nostra lettrice, Dany Calabrese, ha girato in via Alto Adige
dove si vede l’uomo camminare senza alcun problema. Com’è possibile
l’invalidità a comando? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui che, dopo
un attimo di resistenza, ha ammesso di fingere. «Ho due bambini e sono
senza soldi. Cerco di guadagnare qualcosa per la mia famiglia e sono
costretto a fare questo. Onestamente non rubo e non faccio del male».
Un’attività, quella dell’elemosina, che lo occupa tutti i giorni. «Vengo sempre qui al semaforo e in una giornata riesco a guadagnare circa dieci euro». Almeno questo dice lui. «Pochissimo, ma è tutto quello che riesco a permettermi». Non è l’unico, in famiglia, a utilizzare la tecnica della finta malattia. «Anche mio padre, in Romania, finge di avere dei problemi ad entrambe le gambe. Ripeto, cerchiamo di trovare un modo per sopravvivere senza dover delinquere». D’accordo, ma perché imbrogliare i cittadini? «Nessuno ha voglia o tempo di ascoltare la storia di un uomo in difficoltà». Un giornale è un buon modo per farla sapere. «Sì, ha ragione. Io sono un cittadino romeno che da anni vive a Bolzano. I miei bambini stanno a casa, in Romania: non ho occasione di vederli ma voglio aiutarli comunque. Non c’è lavoro, non c’è niente. Io sono sostanzialmente un povero». Anche lui arriva dal discusso parco Stazione . «Dormo lì e di giorno mi sposto. Di questi soldi tengo lo stretto necessario per me, il resto lo mando a casa». Raccontare la propria storia può aiutare più di fingere lungo la strada malattie inesistenti. Strappiamo la promessa, in cambio, di chiedere aiuto onestamente. Tra inganno e disperazione.
Un’attività, quella dell’elemosina, che lo occupa tutti i giorni. «Vengo sempre qui al semaforo e in una giornata riesco a guadagnare circa dieci euro». Almeno questo dice lui. «Pochissimo, ma è tutto quello che riesco a permettermi». Non è l’unico, in famiglia, a utilizzare la tecnica della finta malattia. «Anche mio padre, in Romania, finge di avere dei problemi ad entrambe le gambe. Ripeto, cerchiamo di trovare un modo per sopravvivere senza dover delinquere». D’accordo, ma perché imbrogliare i cittadini? «Nessuno ha voglia o tempo di ascoltare la storia di un uomo in difficoltà». Un giornale è un buon modo per farla sapere. «Sì, ha ragione. Io sono un cittadino romeno che da anni vive a Bolzano. I miei bambini stanno a casa, in Romania: non ho occasione di vederli ma voglio aiutarli comunque. Non c’è lavoro, non c’è niente. Io sono sostanzialmente un povero». Anche lui arriva dal discusso parco Stazione . «Dormo lì e di giorno mi sposto. Di questi soldi tengo lo stretto necessario per me, il resto lo mando a casa». Raccontare la propria storia può aiutare più di fingere lungo la strada malattie inesistenti. Strappiamo la promessa, in cambio, di chiedere aiuto onestamente. Tra inganno e disperazione.
I "non compiti" per Pasqua: "Giocate e guardatevi intorno"
"Quali compiti hai assegnato ai tuoi studenti per le vacanze di Pasqua?". E' questa la domanda rivolta dalla pagina Facebook "Your Edu Action", community di insegnanti, educatori e alunni, ai professori Alcuni di loro hanno condiviso le loro direttive per le vacanze pasquali nei commenti. Quelli che hanno raccolto maggior successo, neanche a dirlo, sono stati i compiti che in realtà poco (o niente) hanno a che vedere con lo studio. "Stai all'aria aperta, guardati intorno (la primavera porta novità)", si legge su una lavagna. Segue un invito altrettanto allettante: "Gioca con i tuoi amichetti, divertiti con la tua famiglia e leggi a piacere (non solo dai libri di testo)".
oppure
Macchina del tempo. Una vincita al Totocalcio nel 1955 e la foto ricordo in piazza a Fucecchio. Le due sorelle Rosita e Fiorella tornano in sella alla vespa
sottofondo musicale
- Canzone pubblicità anni 80 vespa 1985-1986 "Sulla strada del duemila"autori e interpreti iognoti ricordo ancora il ritornello : una vespa ed un casco e via anche tu .....
- la classica canzone Vespa 50 special - Cesare Cremonini
da http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca del 27\3\2016
Gregory Peck e Audrey Hepburn su una Vespa in "Vacanze Romane"
La Vespa, lo scooter più famoso e venduto al mondo con 18 milioni prodotti ad oggi, festeggia 70 anni. Il compleanno si celebra il 23 aprile: quel giorno, nel 1946, fu depositato a Firenze il brevetto per una "motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica".
Una Vespa 98, il primo modello prodotto
La Vespa Primavera
Era lo scooter destinato a diventare il più famoso al mondo, nato dall'intuito di Enrico Piaggio, che voleva riconvertire l'azienda di aeroplani di famiglia, e dal genio di Corradino D'Ascanio, ingegnere aeronautico che non amava la motocicletta: insieme al disegnatore Mario D'Este, ne progettò una, l'Mp6, che ne avesse le prestazioni ma con la "popolarità della bici e l'eleganza e la comodità dell'automobile". Eliminò la catena - sporcava -, optò per una scocca portante a presa diretta, mise il cambio sul manubrio per una guida più agevole, creò una sospensione a pantografo mutuata dai carrelli degli aerei per facilitare il cambio gomma. A battezzarla ci pensò Piaggio: la forma ampia ma dal vitino stretto gli sembrò una vespa.
La Vespa Gts 300
Un" Vespino", il mitico 50 Special
Le più longeve la mitica 125 Primavera (varo 1968) e la successiva Px (1977), il vespone che vanta il primato di singolo modello più venduto: 3 milioni. C'è il vespino 50, ultima creatura di D'Ascanio per fare a meno della targa quando diventa obbligatoria per le cilindrate superiori: 3,5 milioni commercializzati in più versioni dal 1963, tra cui l'ET4 del 2000, che promette 500 km con un pieno. L'ET4 125 nasce invece nel cinquantenario: è la prima spinta da un motore a 4 tempi e ridà anche fiato all'azienda - due ruote targato più venduto in Europa nel '97 e '98 - che sta attraversando anni difficili dopo quelli d'oro, e chiude il secolo passando addirittura al fondo tedesco Morgan Greenfell. Con Roberto Colaninno nel 2003 Piaggio torna italiana e poi in utile.
Un prototipo della Vespa Mp6
Un'avventura lunga 70 anni, celebrata con una versione speciale, in uscita a metà anno, caratterizzata da cromie uniche, e festeggiata in casa, a Pontedera, con l'inaugurazione del nuovo stabilimento automatizzato della verniciatura, un raduno internazionale dal 23 al 25 aprile e la mostra, al museo Piaggio, 'In Viaggio con la Vespa', inaugurazione il 22.
Protagonisti le imprese di chi, come Giorgio Bettinelli, ci fece più giri del mondo macinando 254.000 km, ma pure le gite fuori porta e le vacanze al mare in sella al mitico scooter: Piaggio ha lanciato una raccolta per selezionare foto, video e testimonianze di 200 appassionati e convinti che, per dirla con la pubblicità, [ vedere primna canzone sopra ] Con Vespa si può.
Avendo solo , e che belli , ricordi indiretti ( mio padre e mio zio che mi raccontavano da bambino le rivalità \ contrapposizione fra vespa e lambretta , il film " il grande blek " , le pagine ad essa dedicate in enzo biagi in storia d'italia a fumetti volume 4 e italiani sempre a fumetti ) ed le canzoni citate sopra racconto tale storia
Le sorelle fucecchiesi Rosita e Fiorella in Vespa come 61 anni fa
Una donna trova la foto scattata a mamma e zia vicino al Ponte Mediceo nel 1955 e il club organizza lo scatto-bis
FUCECCHIO. Correva l'anno 1955. Nei cinema si faceva la fila per vedere Gioventù Bruciata con James Dean, la Fiat si accingeva a lanciare sul mercato i primi esemplari della Seicento, in parlamento si fronteggiavano senza farsi tanti complimenti democristiani e comunisti.
Erano gli anni della ricostruzione che precedette il boom economico degli anni Sessanta, il fascismo era ormai solo un brutto ricordo, la disoccupazione era una parola sconosciuta e la gente trovava nuovi punti di aggregazione nei bar, dove la sera i primi apparecchi televisivi in bianco e nero davano le immagini di Lascia o Raddoppia, condotto da Mike Bongiorno ad inizio carriera… lì le persone giocavano al Totocalcio - o meglio alla Sisal, come ancora veniva chiamata la schedina. E ogni tanto qualcuno vinceva… pochi e fortunati quelli che facevano 13, molti di più coloro che riuscivano a centrare il 12, i quali - anche se vincevano di meno - potevano così togliersi una piccola soddisfazione economica.
ed invito a questi due documentari
non so che altro dire
chi lo dice che il vandalismo sia solo male ? Livorno In piazza della Repubblica abbattuta la spalletta, sotto c'è un tesoro di monete
non tutti i mali vengono per nuovere
infatti è stata una sorpresa per Pasqua. Le monete sono state
coniate nel 1859, forse lasciate lì dai muratori che realizzarono
l'opera
LIVORNO. Due fattori umani, come la stupidità e la curiosità, portano a raccontare la storia che ha colorato questa Pasqua livornese. Tutto avviene lungo i fossi che separano la Fortezza da piazza della Repubblica, dove durante la notte di venerdì qualcuno ha fatto crollare uno dei blocchi in pietra della spalletta. Un vandalo, che con la sua bravata ha danneggiato sia una delle imbarcazioni ormeggiate là sotto sia la passerella che corre a filo d’acqua. Un gesto sconsiderato che ha dato però l’occasione ad uno dei proprietari delle barche, Domenico Sicilio, di dare sfogo alla sua curiosità.
L’uomo è andato a vedere il buco lasciato sulla spalletta armato di cacciavite, per provare a capire come fossero riusciti a sradicare il blocco. Ma anziché delle prove, ha trovato un piccolo tesoro: alcune monete antiche coniate nel 1859, alla vigilia dell’Unità d’Italia, forse le hanno lasciate sotto al masso come segno di buon auspicio i muratori che costruirono la struttura.
A chiamare i vigili urbani, nella prima mattinata di ieri, è stato uno dei proprietari delle barche ormeggiate sotto la spalletta di piazza della Repubblica, spiegando che sia la passeggiata sia una delle imbarcazioni erano state danneggiate dal blocco caduto giù e poi sprofondato sul fondale del fosso, distruggendo tutto quello che ha trovato lungo il suo volo.
Una volta sul posto, la polizia municipale ha dapprima messo in sicurezza il tratto e poi ha dato il via ai rilievi, ipotizzando da subito che si trattasse di un atto doloso.
Una teoria che ha trovato sempre più conferme: non solo perché sul buco lasciato dal blocco nella spalletta ci sono segni simili a quelli che potrebbe lasciare un piccone, ma anche perché è pensare che sia bastato un po' di vento per far cedere un masso in pietra come quelli che costeggiano i fossi.
E mentre la polizia era impegnata a ricostruire l’accaduto cercando eventuali tracce del colpevole, Sicilio, proprietario di una delle barche ormeggiate (per sua fortuna uscita incolume dall'episodio) è andato a curiosare sul buco rimasto aperto con un cacciavite e scavando nella polvere con un cacciavite ha trovato delle monete di due secoli fa, insieme ad un vecchio crocifisso e un bottone, questo invece di età molto più moderna.
Sono da 5 e 10 centesimi, il conio porta la data del 1859 e lungo i bordi si legge “Vittorio Emanuele Re d'Italia” e “Governo Provvisorio della Toscana”: monete che risalgono ai governi provvisori che fecero da apripista all'Unità d'Italia (avvenuta nel 1861).
Ma come sono finite là sotto? Secondo i funzionari del Museo di Storia Naturale di Livorno, che si sono presi in cura le monete almeno in questo primo momento per le analisi del caso, ipotizzano che possano essere state lasciate lì alla fine del lavori della costruzione della spalletta, avvenuta più o meno in quegli anni, postuma rispetto alla realizzazione di piazza della Repubblica che invece viene datata intorno al 1830 (all'epoca chiamata dei Granduchi). In questo quadro, combacerebbero anche le date, sia della realizzazione della spalletta sia del conio di queste monete.
Al termine di una grande costruzione, infatti, gli operai lasciavano delle monete sotto le ultime pietre sia come portafortuna, sia per lasciare un segno della loro opera.
Che stesse cercando proprio queste monete la persona che ha gettato di sotto il blocco? Una sorta di tombarolo appassionato di storia che anziché bazzicare i cimiteri costeggia i fossi?
Possibile, ma sconveniente per il vandalo, dato
che il loro prezzo sul mercato dei collezionisti non è poi così sconvolgente. Ma in ogni caso, resta una traccia del passato livornese, custodito lungo lo scorrer dei fossi, che ritorna a galla.
LIVORNO. Due fattori umani, come la stupidità e la curiosità, portano a raccontare la storia che ha colorato questa Pasqua livornese. Tutto avviene lungo i fossi che separano la Fortezza da piazza della Repubblica, dove durante la notte di venerdì qualcuno ha fatto crollare uno dei blocchi in pietra della spalletta. Un vandalo, che con la sua bravata ha danneggiato sia una delle imbarcazioni ormeggiate là sotto sia la passerella che corre a filo d’acqua. Un gesto sconsiderato che ha dato però l’occasione ad uno dei proprietari delle barche, Domenico Sicilio, di dare sfogo alla sua curiosità.
L’uomo è andato a vedere il buco lasciato sulla spalletta armato di cacciavite, per provare a capire come fossero riusciti a sradicare il blocco. Ma anziché delle prove, ha trovato un piccolo tesoro: alcune monete antiche coniate nel 1859, alla vigilia dell’Unità d’Italia, forse le hanno lasciate sotto al masso come segno di buon auspicio i muratori che costruirono la struttura.
A chiamare i vigili urbani, nella prima mattinata di ieri, è stato uno dei proprietari delle barche ormeggiate sotto la spalletta di piazza della Repubblica, spiegando che sia la passeggiata sia una delle imbarcazioni erano state danneggiate dal blocco caduto giù e poi sprofondato sul fondale del fosso, distruggendo tutto quello che ha trovato lungo il suo volo.
Una volta sul posto, la polizia municipale ha dapprima messo in sicurezza il tratto e poi ha dato il via ai rilievi, ipotizzando da subito che si trattasse di un atto doloso.
Una teoria che ha trovato sempre più conferme: non solo perché sul buco lasciato dal blocco nella spalletta ci sono segni simili a quelli che potrebbe lasciare un piccone, ma anche perché è pensare che sia bastato un po' di vento per far cedere un masso in pietra come quelli che costeggiano i fossi.
E mentre la polizia era impegnata a ricostruire l’accaduto cercando eventuali tracce del colpevole, Sicilio, proprietario di una delle barche ormeggiate (per sua fortuna uscita incolume dall'episodio) è andato a curiosare sul buco rimasto aperto con un cacciavite e scavando nella polvere con un cacciavite ha trovato delle monete di due secoli fa, insieme ad un vecchio crocifisso e un bottone, questo invece di età molto più moderna.
Sono da 5 e 10 centesimi, il conio porta la data del 1859 e lungo i bordi si legge “Vittorio Emanuele Re d'Italia” e “Governo Provvisorio della Toscana”: monete che risalgono ai governi provvisori che fecero da apripista all'Unità d'Italia (avvenuta nel 1861).
Ma come sono finite là sotto? Secondo i funzionari del Museo di Storia Naturale di Livorno, che si sono presi in cura le monete almeno in questo primo momento per le analisi del caso, ipotizzano che possano essere state lasciate lì alla fine del lavori della costruzione della spalletta, avvenuta più o meno in quegli anni, postuma rispetto alla realizzazione di piazza della Repubblica che invece viene datata intorno al 1830 (all'epoca chiamata dei Granduchi). In questo quadro, combacerebbero anche le date, sia della realizzazione della spalletta sia del conio di queste monete.
Al termine di una grande costruzione, infatti, gli operai lasciavano delle monete sotto le ultime pietre sia come portafortuna, sia per lasciare un segno della loro opera.
Che stesse cercando proprio queste monete la persona che ha gettato di sotto il blocco? Una sorta di tombarolo appassionato di storia che anziché bazzicare i cimiteri costeggia i fossi?
Possibile, ma sconveniente per il vandalo, dato
che il loro prezzo sul mercato dei collezionisti non è poi così sconvolgente. Ma in ogni caso, resta una traccia del passato livornese, custodito lungo lo scorrer dei fossi, che ritorna a galla.
morire per troppo amore degli animali Insegue il cane in tangenziale: uccisa. Lo strazio di parenti e amici M investita mentre cercava di recuperare l’animale sfuggito, che avrebbe regalato oggi alla figlia
l'unica risposta che mi do a questa mia elucubrazione : fanatismo o amore ? incoscienza . Infatti essa è una storia d'amore e d'incoscienza e di troppo amore verso gli aninmali . Le foto dell'evento ,che trovate sotto ,sono troppo sckoccanti ed non aggiungono niente se non morbosità inutile . Quindi preferisco non riportarli ( chi interessa le trova qui )
da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/ del 27.3.2016
da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/ del 27.3.2016
Insegue il cane in tangenziale: uccisa. Lo strazio di parenti e amici
Manuela Messori, 30 anni, investita mentre cercava di recuperare l’animale sfuggito, che avrebbe regalato oggi alla figlia
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Il cagnolino scappa nel giardino dietro alla monumentale Villa Laura di via Barchetta e, risalite le frasche di un canale, si infila nella tangenziale che scorre proprio di fianco. soccorritori tentano un’iniezione di adrenalina sul posto ma poi decidono di portarla immediatamente al pronto soccorso di Baggiovara, più attrezzato. In ospedale Manuela è rimasta un’ora tra le cure disperate dei medici che le hanno praticato il massaggio cardiaco. Finché, alle 15.30, hanno dovuto constatare il decesso, certificato un’ora dopo. Manuela era morta in conseguenza di numerosi traumi, in particolare uno gravissimo alla testa.
Sul posto sono accordi subito parenti e amici, all'ospedale regnava la disperazione tra l'incredulità generale: "non può essere successo", si ripetevano. Ai genitori è toccato il riconoscimento.
Manuela lascia una figlia piccola con la quale abitava in via Verne, una strada di edifici nuovi non lontana dal giardino in cui ha fatto l’ultima passeggiata con l’amica e il nuovo amico a quattro zampe.
Il magistrato di turno, il pm Lucia De Santis, ha ordinato in serata il trasferimento della salma: le onoranze Gianni Gibellini hanno trasportato il corpo all’istituto di Medicina Legale dove resterà a disposizione per eventuali accertamenti autoptici.
Stando alle prime ricostruzioni della polizia stradale di Modena, intervenuta subito dopo l’incidente, la tragedia si è consumata verso le 14.20 di ieri in una giornata, la vigilia di Pasqua, che per Manuela doveva essere tutta di festa: la giovane infatti in mattinata si era recata al canile municipale per prendere un carico un randagio. Lo avrebbe regalato a sua figlia. Una vera sorpresa di Pasqua.
Nel primo pomeriggio, assieme all’amica, è andata a far sgambare il cane nel giardino dietro l’ingresso di Villa Laura, a fargli fare i primi giochi, le prime corse del cane nella sua nuova zona, lungo i campi. Ma il cane si è avventurato troppo tanto da finire con un balzo in tangenziale tra le auto che gli arrivavano incontro.
Manuela lo ha visto risalire in fretta le frasche del canalone separatorio dalla tangenziale e poi più niente. Temendo per la sua incolumità, lo ha inseguito insieme con l’amica. Quando ha scavalcato il guard rail, è arrivata una Megane, guidata da un 31enne modenese, che ha travolto Manuela sbalzandola di alcuni metri e lasciandola a terra tramortita. Anche se è riuscita a trovare le forze per dare tempestivamente l’allarme, l’amica è tuttora in stato di choc, così come il guidatore dell’auto.
Manuela, impiegata nel settore controllo qualità in una ditta in via De Nicola ai Torrazzi, lascia una bambina piccola. Sul luogo dell’incidente, per i rilievi previsti dalla legge, ha proceduto la polizia stradale di Modena.
Il cagnolino, una femmina di nome Celeste, è poi stato ritrovato. Subito è arrivato anche il cordoglio del Canile Intercomunale dove Manuela aveva adottato il cane poco prima.
26.3.16
Paolo Poli Il più pagano dei cristiani se n'è andato proprio un venerdì santo.
IL più pagano dei cristiani se n'è andato proprio un venerdì santo. Atterrava nella mia Milano ogni anno, ed era sempre goduria. Amore ricambiatissimo: teatro Carcano sempre pieno. Amichevolmente, sensualmente, riverentemente pieno. Paolo Poli era il nostro attore più italiano ed europeo, la nostra coscienza sottotraccia, libero e leggiadro, il Machiavelli del palcoscenico. Ma senza cattiveria, semmai con amabilissima perfidia. Perché Paolo, a differenza del suo concittadino Niccolò, buono lo era.
Poli s'è incuneato lungo il periglioso Novecento col suo metro e novanta d'irriverenza, femminilità, preziosismi letterari e battuage. È stato l'omosessuale (o l'invertito, ecco) quando non si poteva esserlo ma lui ci riusciva ogni volta, e smaccatamente. È stato il travestito senza mai diventar maschera, c'era lui non dietro, ma in mezzo, oltre quelle piume. Mica gli serviva, l'ambiguità.
È stato tradizione quando trionfavano le avanguardie che sapevano di vecchio e le sbaragliava immancabilmente. È stato il nostro maestro (maestra) dalla penna rossa, ci faceva il ripasso, ma no, la lectio magistralis su Palazzeschi Parise Artusi Pascoli (ma si, pure Manzoni) e mamme e Italia porcella ipocrita contadina e futurista, pacchiana nel suo virilismo in stivaloni neri. E fustigata (in tutti i sensi) nei cinemini di periferia, che' quelli erano il nostro vero confessionale. Paolo, hai avuto una vita lunghissima, ma eri un non concluso tanto straripava il tuo pozzo nero!!! (Così avrebbe esclamato monsieur Proust). E adesso chi riempie il nostro orfelinato? Oh beh ci arrangiassimo, e hai ragione, dato che abbiamo saputo applaudirti, scroscianti, solo a teatro, per poi continuare a indossar maschere nella vita. Addio, caro signore. La terra ti sia lieve.
© Daniela Tuscano
I
© Daniela Tuscano
I
25.3.16
VINCENZA SICARI: MORTE DI UNA CAMPIONESSA ABBANDONATA DA TUTTO E DA TUTTI ( Fidal e stato italiani ) e le due italiane ritornate salkve ma con mezzi prori dall’inferno di Bruxelles, ignorate dall’ambasciata e dal governo
Oltre al discusso caso dei Maro ( su cui non mi pronuncio il processo d'arbitrato è ancora in corso ) e di quello diu Giulio Regeni ci sono anche altre due storie : 1) il dramma della ex maratoneta vincenza sicari , forse non ha vinto un premio importante , 2) la storia di due italiane scampate all'attentto di Bruxeels e rientarate in italia con mezi di fortuna , che l'ambasacata italiana e lo stato italiano se ne sono fregate ( scometto che se fossero morte i nostri politicanti si sarebbero precipitate in parata ai loro funerali ) di due ragazze che dimostrano che lo stato e la diplomazia italiana fanno sempre più schifo e sono allo sbando tanto da creatre i soliti commenti imbeli ed exenofobici e le accuse di qualunquismo quando lo facciamo notare .
Iniziamo dalla prima
news trattya dai seguenti articoli :
A) http://www.atleticalive.it/22526/il-dramma-della-maratoneta-sicari-su-repubblica-mi-sento-morire-e-non-so-perche/
B ) http://www.osservatoreitalia.it/mobile/index.asp?art=7101
Il conto corrente a cui indirizzare le vostre donazioni è intestato a: Vincenza Sicari. IBAN: IT68B0709221900000000105881
E’ tutto il dramma della maratoneta Vincenza Sicari, costretta in un letto di ospedale con un male misterioso di cui ancora non si conoscono le origini, ma che non le darebbe le forze nemmeno di camminare. Queste le sue parole riferite a Capodacqua all’interno del pezzo:
quella che viene definita una degenerazione neuromuscolare di cui non si comprenderebbero le cause. Il male la costringe a letto, senza poter aver le forze per alzarsi. Nell’articolo si spiega come si stiano cercando collaborazioni mediche specialistiche che non arriverebbero. E così questo è il suo lamento:
di Roberto Ragone
Questo è il titolo che tutti noi ci auguriamo di non dover mai leggere su di una pagina di giornale.
Vincenza Sicari, 37 anni due giorni fa, lodigiana, una splendida carriera alle spalle come maratoneta – ne ha vinte ben cinque, ventinovesima alla maratona olimpica di Pechino del 2008 – è ora inchiodata in un letto all’Ospedale di Pisa, aggrappata con disperata determinazione a quella vita che sente sfuggirle minuto dopo minuto, mentre un male sconosciuto la sta divorando. Ma di che cosa è malata Vincenza? Questa è la faccenda più straziante. Il fatto è che non si sa quale sia la terribile malattia che la sta distruggendo, e i medici in Italia hanno alzato bandiera bianca, dopo aver compiuto tutti gli accertamenti possibili. “Vi prego, - è il suo appello - aiutatemi. Il mio è un calvario, sto andando incontro alla morte. Ed ogni minuto che passa capisco che è una sensazione terribile…”. Nessun ospedale ha saputo darle una diagnosi. Né le Istituzioni, così pronte a polemizzare su farmaci ‘non conformi’ per fare gli interessi delle lobby, hanno risposto al suo appello.
Pare che fare le ricerche per una sola persona non valga la pena, non sia conveniente. “Le Istituzioni? Certo, ho sentito anche il ministro Lorenzin – le sue parole – mi ha detto di chiamare la direttrice sanitaria della Regione Toscana, ma qui non si muove nulla.” Nessuna voce neanche dal mondo dello sport. “Non ho ricevuto alcuna telefonata da parte della FIDAL, e quando ho chiamato il Centro Sportivo dell’Esercito, per il quale ho corso anche a piedi nudi e anche di notte, mi hanno risposto ‘Chiama Malagò’. Il presidente del CONI, almeno lui, ha capito, si è interessato. Gli avevano garantito la massima assistenza quando sono stata ricoverata a Roma, e invece nulla. E lui, mortificato, mi ha detto: ‘Cosa devo fare?’”
Il tempo passa, e Vincenza peggiora sempre più. Tutto questo è iniziato nel 2013, andava ancora bene, poi ha incominciato ad avere febbre, spossatezza, fino a che – lei, maratoneta – a non riuscire a camminare neanche per brevi percorsi. La prima diagnosi parla di ‘malattia degenerativa neuromuscolare’, ma niente di più. Viaggi in tutta Italia, in cerca di soluzione, invano. Anzi, a Roma le hanno anche detto che non poteva rimanere in ospedale, costava troppo per il Servizio Sanitario Nazionale – vedi i tagli sconsiderati e orizzontali – e il posto letto andava liberato.
Ciò che rimane è quella prima diagnosi e una TAC che parla di tumore al timo, nulla di più. Ora è a Pisa, ad aspettare chissà cosa, forse la morte, visto che ormai pesa meno di 40 chili ed è assolutamente immobile. Le rimangono la fede e la forza di volontà. E così Vincenza è costretta, come tanti altri in questo bel Paese, a rivolgersi all’estero. Solo che i mezzi per farlo non ci sono. Per questo lanciamo un appello per una colletta che le consenta di raggiungere un Centro in cui possano trattare la sua malattia in modo adeguato, mentre in Italia l’impressione è che ognuno abbia voltato la testa dall’altra parte, in attesa che accada l’irreparabile, e così ognuno potrà tirare un sospiro di sollievo, visto che la sua presenza è diventata scomoda per tanti. Chi può fare qualcosa per Vincenza, lo faccia subito.
FIORANO. «Eravamo da un hostess per farci stampare i biglietti per tornare in Italia quando una ragazza è piombata di fianco a me dicendo “voglio un biglietto adesso per andare a casa, c’è stata un’esplosione”. Una massa di gente ha cominciato ad arrivare correndo; dopo mezzora di confusione ci hanno fatto evacuare tutti con ordine fuori dall’aeroporto».
Stefania Ziribotti, insieme all’amica Silvia Ricci, entrambe fioranesi, si trovavano all’aeroporto internazionale di Bruxelles proprio nel momento dell’esplosione, di ritorno da un viaggio a New York. Sono arrivate a Milano la notte successiva, attese con preoccupazione dalle famiglie.
«Siamo atterrate alle 7,30 per fare scalo, ma per fortuna invece di uscire dal gate per poi rientrare dalla zona partenze, siamo rimaste dentro; il nostro gate era il più lontano dall’esplosione. Dopo circa 2 ore in un’area fuori dall’aeroporto ci hanno portati tutti con dei bus alla stazione dei treni, c’era molta confusione e paura, ci dicevano tutte cose diverse, noi abbiamo preso il treno per Leuven. Qui abbiamo aspettato tre ore in una piazza; la polizia ci ha detto di stare ai lati così nel caso fosse successo qualcosa sarebbe stato più facile scappare; qui abbiamo incontrato un’altra ragazza italiana, Sandra, che ci ha aiutate tantissimo. Dopo ci hanno messo per mezzora in una stanzina dove la gente del posto ci ha aiutato a trovare una sistemazione in un hotel lì vicino». Qualche tentativo di ottenere assistenza dall’ambasciata italiana, Stefania e Silvia l’hanno anche fatto, ma inutile: «Noi la sera ci siamo messe subito a cercare una soluzione per tornare a casa il giorno dopo. La Farnesina e l’ambasciata non ci hanno aiutato per niente, anzi l’unica cosa che ci dicevano era “in bocca la lupo” oppure “potete tornare a casa come volete, a vostre spese e a vostro rischio e pericolo”. Perciò noi la mattina dopo alle 6,30 abbiamo preso un treno da Leuven a Monaco e poi da lì abbiamo preso un aereo per Milano dove ci aspettavano i nostri genitori; anche l’altra ragazza è tornata a casa con noi».
I momenti di paura non sono mancati: «Passavo da momenti di panico – spiega Stefania - a momenti in cui mi dicevo, bene stai calma vai avanti che finirà tutto. Ci siamo rese meglio
conto dell’accaduto in hotel a Leuven, perché nel momento dell’emergenza pensi a troppe cose in una volta e vuoi solo andare via da lì». La mattina dopo il ritorno Stefania è già sul posto di lavoro, niente pause: «È inutile stare in casa a pensare e piangere: voglio tornare alla normalità».
Iniziamo dalla prima
news trattya dai seguenti articoli :
A) http://www.atleticalive.it/22526/il-dramma-della-maratoneta-sicari-su-repubblica-mi-sento-morire-e-non-so-perche/
B ) http://www.osservatoreitalia.it/mobile/index.asp?art=7101
Il conto corrente a cui indirizzare le vostre donazioni è intestato a: Vincenza Sicari. IBAN: IT68B0709221900000000105881
E’ tutto il dramma della maratoneta Vincenza Sicari, costretta in un letto di ospedale con un male misterioso di cui ancora non si conoscono le origini, ma che non le darebbe le forze nemmeno di camminare. Queste le sue parole riferite a Capodacqua all’interno del pezzo:
“Sono qui in questo letto; non mi posso muovere; mi sento morire giorno dopo giorno e non so neppure il motivo”Vincenza Sicari, come viene spiegato su Repubblica, è una maratoneta più volte azzurra, appena 36enne, che al suo attivo vanta anche la partecipazione alle Olimpiadi di Pechino, proprio nella maratona (giunse 29ª con 2h33’31”), e con una partecipazione anche in Coppa Europa (nel 2008) sui 5000. Vincitrice della Turin Marathon nel 2008, e campionessa italiana nei 10.000 nel 2004.Ora, si spiega, sta combattendo la battaglia più dura della sua vita, ovvero quella con un male sconosciuto,
quella che viene definita una degenerazione neuromuscolare di cui non si comprenderebbero le cause. Il male la costringe a letto, senza poter aver le forze per alzarsi. Nell’articolo si spiega come si stiano cercando collaborazioni mediche specialistiche che non arriverebbero. E così questo è il suo lamento:
“Mi sento morire giorno per giorno senza poter fare nulla. Vorrei almeno sapere con certezza che ho”.Della vicenda si starebbe interessando anche il Presidente del CONI, Malagò. La degenerazione fisica sarebbe iniziata nel 2013: prima una spossatezza frequente, l’impossibilità di correre… anche di camminare, la scoperta di un tumore al timo, la successiva rimozione che non le avrebbe consentito lo stesso di alzarsi dal letto. Oggi, scrive Capodacqua, Vincenza Sicari pesa 40 kg. Questo si legge nel commento finale:
“Vorrei almeno fare tutte le analisi e le ricerche che possano portare ad una diagnosi, mi sento venir meno giorno dopo giorno. Non so se resisterò e fino a quando”.
VINCENZA SICARI: MORTE DI UNA CAMPIONESSA ABBANDONATA DA TUTTO E DA TUTTI
Questo è il titolo che tutti noi ci auguriamo di non dover mai leggere su di una pagina di giornale.
Vincenza Sicari, 37 anni due giorni fa, lodigiana, una splendida carriera alle spalle come maratoneta – ne ha vinte ben cinque, ventinovesima alla maratona olimpica di Pechino del 2008 – è ora inchiodata in un letto all’Ospedale di Pisa, aggrappata con disperata determinazione a quella vita che sente sfuggirle minuto dopo minuto, mentre un male sconosciuto la sta divorando. Ma di che cosa è malata Vincenza? Questa è la faccenda più straziante. Il fatto è che non si sa quale sia la terribile malattia che la sta distruggendo, e i medici in Italia hanno alzato bandiera bianca, dopo aver compiuto tutti gli accertamenti possibili. “Vi prego, - è il suo appello - aiutatemi. Il mio è un calvario, sto andando incontro alla morte. Ed ogni minuto che passa capisco che è una sensazione terribile…”. Nessun ospedale ha saputo darle una diagnosi. Né le Istituzioni, così pronte a polemizzare su farmaci ‘non conformi’ per fare gli interessi delle lobby, hanno risposto al suo appello.
Pare che fare le ricerche per una sola persona non valga la pena, non sia conveniente. “Le Istituzioni? Certo, ho sentito anche il ministro Lorenzin – le sue parole – mi ha detto di chiamare la direttrice sanitaria della Regione Toscana, ma qui non si muove nulla.” Nessuna voce neanche dal mondo dello sport. “Non ho ricevuto alcuna telefonata da parte della FIDAL, e quando ho chiamato il Centro Sportivo dell’Esercito, per il quale ho corso anche a piedi nudi e anche di notte, mi hanno risposto ‘Chiama Malagò’. Il presidente del CONI, almeno lui, ha capito, si è interessato. Gli avevano garantito la massima assistenza quando sono stata ricoverata a Roma, e invece nulla. E lui, mortificato, mi ha detto: ‘Cosa devo fare?’”
Il tempo passa, e Vincenza peggiora sempre più. Tutto questo è iniziato nel 2013, andava ancora bene, poi ha incominciato ad avere febbre, spossatezza, fino a che – lei, maratoneta – a non riuscire a camminare neanche per brevi percorsi. La prima diagnosi parla di ‘malattia degenerativa neuromuscolare’, ma niente di più. Viaggi in tutta Italia, in cerca di soluzione, invano. Anzi, a Roma le hanno anche detto che non poteva rimanere in ospedale, costava troppo per il Servizio Sanitario Nazionale – vedi i tagli sconsiderati e orizzontali – e il posto letto andava liberato.
Ciò che rimane è quella prima diagnosi e una TAC che parla di tumore al timo, nulla di più. Ora è a Pisa, ad aspettare chissà cosa, forse la morte, visto che ormai pesa meno di 40 chili ed è assolutamente immobile. Le rimangono la fede e la forza di volontà. E così Vincenza è costretta, come tanti altri in questo bel Paese, a rivolgersi all’estero. Solo che i mezzi per farlo non ci sono. Per questo lanciamo un appello per una colletta che le consenta di raggiungere un Centro in cui possano trattare la sua malattia in modo adeguato, mentre in Italia l’impressione è che ognuno abbia voltato la testa dall’altra parte, in attesa che accada l’irreparabile, e così ognuno potrà tirare un sospiro di sollievo, visto che la sua presenza è diventata scomoda per tanti. Chi può fare qualcosa per Vincenza, lo faccia subito.
Per poterla aiutare oltre ai
pensieri positivi, oltre che a pregare per lei, oltre che ad inviarle
messaggi solidarietà, presenza, è possibile fare una donazione al
seguente IBAN: IT68B0709221900000000105881 intestato a Vincenza Sicari
per contribuire alla ricerca e cercare di inviare le sue biopsie
all’estero e dare speranza per migliorare le sue cure.
LA SECONDA
Fiorano: «Nell’inferno di Bruxelles, ignorate dall’ambasciata»
La testimonianza delle due
ragazze dell’attacco terroristico a Zaventem. «Ci dicevano solo “in
bocca al lupo”: per tornare in Italia ci siamo arrangiate »
di Gabriele Bassanetti
FIORANO. «Eravamo da un hostess per farci stampare i biglietti per tornare in Italia quando una ragazza è piombata di fianco a me dicendo “voglio un biglietto adesso per andare a casa, c’è stata un’esplosione”. Una massa di gente ha cominciato ad arrivare correndo; dopo mezzora di confusione ci hanno fatto evacuare tutti con ordine fuori dall’aeroporto».
Stefania Ziribotti, insieme all’amica Silvia Ricci, entrambe fioranesi, si trovavano all’aeroporto internazionale di Bruxelles proprio nel momento dell’esplosione, di ritorno da un viaggio a New York. Sono arrivate a Milano la notte successiva, attese con preoccupazione dalle famiglie.
«Siamo atterrate alle 7,30 per fare scalo, ma per fortuna invece di uscire dal gate per poi rientrare dalla zona partenze, siamo rimaste dentro; il nostro gate era il più lontano dall’esplosione. Dopo circa 2 ore in un’area fuori dall’aeroporto ci hanno portati tutti con dei bus alla stazione dei treni, c’era molta confusione e paura, ci dicevano tutte cose diverse, noi abbiamo preso il treno per Leuven. Qui abbiamo aspettato tre ore in una piazza; la polizia ci ha detto di stare ai lati così nel caso fosse successo qualcosa sarebbe stato più facile scappare; qui abbiamo incontrato un’altra ragazza italiana, Sandra, che ci ha aiutate tantissimo. Dopo ci hanno messo per mezzora in una stanzina dove la gente del posto ci ha aiutato a trovare una sistemazione in un hotel lì vicino». Qualche tentativo di ottenere assistenza dall’ambasciata italiana, Stefania e Silvia l’hanno anche fatto, ma inutile: «Noi la sera ci siamo messe subito a cercare una soluzione per tornare a casa il giorno dopo. La Farnesina e l’ambasciata non ci hanno aiutato per niente, anzi l’unica cosa che ci dicevano era “in bocca la lupo” oppure “potete tornare a casa come volete, a vostre spese e a vostro rischio e pericolo”. Perciò noi la mattina dopo alle 6,30 abbiamo preso un treno da Leuven a Monaco e poi da lì abbiamo preso un aereo per Milano dove ci aspettavano i nostri genitori; anche l’altra ragazza è tornata a casa con noi».
I momenti di paura non sono mancati: «Passavo da momenti di panico – spiega Stefania - a momenti in cui mi dicevo, bene stai calma vai avanti che finirà tutto. Ci siamo rese meglio
conto dell’accaduto in hotel a Leuven, perché nel momento dell’emergenza pensi a troppe cose in una volta e vuoi solo andare via da lì». La mattina dopo il ritorno Stefania è già sul posto di lavoro, niente pause: «È inutile stare in casa a pensare e piangere: voglio tornare alla normalità».
24.3.16
22.3.16
BRUXELLES 22/3/2016
BRUXELLES 22/3/2016
Ho sperato
Perché marzo è pazzo
In un giorno nuovo
In un oceano di pace.
Ma ho pianto
Perché marzo è folle
E nell'ibrido delirio
Ha travolto il cielo
Ho sperato, ma non oggi
Nemmeno oggi
È una buona giornata
© Daniela Tuscano
21.3.16
Michael Grab, l'artista che mette le pietre in equilibrio per ritrovare la pace interiore
https://it.wikipedia.org/wiki/Pietre_in_equilibrio descrive benissimo gli artisti balancer come MIcheal Grtab
gravityglue.com. sito di Michealk Grab
Seguite il progetto Gravity Glue su Facebook e guardate il video che dimostra la straordinaria abilità di Michael Grab.
da http://www.greenme.it/vivere/arte-e-cultura/17318-pietre-equilibrio-michael-grab
Mettere le pietre in equilibrio per ritrovare la pace, ci avevate mai pensato? Il fotografo di origini canadesi Michael Grab ha iniziato ad esplorare l'antica arte del disporre pietre e sassi in equilibrio nell'estate del 2008 durante un'escursione presso il Boulder Creek, in Colorado.
Negli anni ha sviluppato una vera e propria passione per questa forma d'arte. In breve tempo per l'artista mettere sassi e pietre in equilibrio è diventata una forma di meditazione. Durante i suoi esercizi non era raro che una piccola folla di persone si avvicinasse incuriosita per ammirare le sue opere.
Grab è attirato soprattutto dalla precarietà delle sue creazioni. Per renderle immortali sfrutta le proprie abilità di fotografo, che gli permettono di scattare immagini spettacolari che tutto il mondo può ammirare grazie alla condivisione sul web e sui social network. L'arte di mettere le pietre in equilibrio si chiama stone balancing.
La sua ricerca dell'equilibrio nell'arte riflette il desiderio di mantenere un punto fermo nella vita nonostante le numerose sfide che tutti noi dobbiamo affrontare. Ma come fa a realizzare le sue opere che ci lasciano senza parole? Molte delle sue sculture apparentemente sfidano la gravità e sembrano quasi provenire da un altro pianeta. Si potrebbe pensare che siano stati utilizzati dei collanti o altri supporti esterni, ma è così. Grab infatti sottolinea che l'unico fattore che mantiene le sue creazioni in equilibrio è proprio la forza di gravità. Pietre e sassi si supportano l'un l'altro. La capacità dell'artista è quella di accostarli scegliendo dei punti di contatto ben precisi per garantire l'equilibrio della struttura. Ad esempio in alcune pietre sono presenti delle rientranze o dei solchi naturali molto utili da questo punto di vista.
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