28.1.16

La California è qui: è pisano il re del surf Federico Nesti, 19 anni, è appena diventato campione italiano

Concludo per oggi le storie  se    ne volete altre  seguitemi  su : i  mie due  account   (   I II   )  e la  pagina di    facebook  o  twitter




La California è qui: è pisano il re del surf

Federico Nesti, 19 anni, è appena diventato campione italiano. Ha vinto la competizione nazionale nella categoria longboard: "Ho imparato grazie alla nonna che mi portava in spiaggia anche d’inverno"



TIRRENIA. «Il surf lo impari in acqua, le scuole non servono. Io non ne ho mai fatta una. Lo impari provando ad alzarti sulla tavola con le onde piccole e quelle più grandi. Ogni volta che vai sotto, magari bevi, ma poi risali in sella, è uno scatto, aggiungi una tacca alla tua confidenza con il mare e la sua natura. Io sono cresciuto così, guardando gli altri, e infilando fin da bambino il vialetto di sabbia fra la 46esima Brigata e il Lido del Carabiniere».
Federico Nesti  foto di GIAN PAOLO VANNI - gianpaolovanni1986@gmail.com
È sempre stato testardo e appassionato .Un vulcano con i riccioli biondi ossidati dal sole o mezzo bruciati dalla tramontana di gennaio. Fin da quando a undici anni costringeva la mamma e la nonna ad accompagnarlo in spiaggia, perché da solo non l'avrebbero lasciato andare. « Col freddo, il vento, la sabbia che ti gelava i piedi e magari ti portava i polmoni a un pelo dalla bronchite». E vabbè, Tirrenia non sarà stata né potrà mai essere Malibù, ma ora che c'è lui dietro a quegli spruzzi laggiù sembra un po' la California. Perchè da una settimana a Tirrenia ci vive un campione. Federico, 19 anni, ha un cognome legato alle auto, il padre ha una famosa concessionaria a Ospedaletto. Ma la sua vita romba altrove: ha appena ricevuto il titolo italiano 2015 nella categoria "longboard", la tavola lunga: 2.470 punti raccolti in tre gare fra Liguria, Lazio e Sardegna; 70 in più del secondo classificato, Fabrizio Gabrielli, una specie di mostro sacro della specialità, 520 sopra Marco Boscaglia, la medaglia di bronzo. «E pensare che ho provato con la long solo quest'anno». Per Federico è stato un ritorno alle origini, alle radici di questo sport scoperto da James Cook, che durante le sue esplorazioni per primo descrisse le imprese dei polinesiani che scivolavano sulle onde tenendosi in equilibrio su grandi tavole di legno, e poi esploso negli anni Sessanta fra Honolulu e Los Angeles come l'espressione meno libertaria e più libertina della rivoluzione culturale.  «La tavola lunga è la musica classica del surf, 
idem foto recedente   le altre  le trovate   qui http://bit.ly/1JJcN4a
un inno alla tradizione, quella corta la sua evoluzione, più radicale, progressista, nevrotica. Ma questo non significa che non serva tecnica. Se nella short dominano le manovre, la potenza dell’onda, i salti, la velocità, qui contano la cura, lo studio, l'estetica, la tensione verso il bello».
E infatti nei video con la longboard Federico monta in groppa alla risacca, asseconda il flusso con mosse morbide ed eleganti, cammina sulla tavola a passi misurati, leggeri; con la tavola corta scarta, si incunea, balza, sembra venir risucchiato da un gorgo e poi riemergerne un attimo dopo. «Sulla long si danza un valzer del surf». Così, se di solito il rock pesta duro quando fa da sottofondo ai ruggiti della short, qui suona più melodico e folk. Ma che rapporto c'è fra un surfista e la sua tavola? «Nessuno, la tavola è un legno, e ogni tanto devi anche spezzarlo. La sfida è il controllo. Una delle evoluzioni più premiate sulla long è mettersi girati con la punta dei piedi sulla punta della tavola».
Anche se per Federico non fa molta differenza. Per un pelo quest’anno non è schizzato in cima alla classifica della shortboard. «Il campionato lo ha vinto un outsider, ma solo perché delle tre gare della competizione, i migliori ne hanno disputata solo una». L’ultima, il Frozen open, a settembre. Marinedda bay, nord della Sardegna. «La tappa migliore, il livello più alto di tutti. Mi sono piazzato secondo dopo Leonardo Fioravanti, campione del mondo under 18. E ho superato per la seconda volta Roberto D’Amico, il migliore d’Italia». Alla fine ha chiuso il torneo al settimo posto.
Ecco le immagini dell’“Indotrip”, come Federico Nesti chiama il suo ultimo viaggio in Indonesia. “Sono stato via da casa un mese, il surf per me è una passione travolgente. A Giava camminavo per trenta minuti nella giungla, in un posto dove ci sono i dieci serpenti più velenosi del mondo come il King Cobra, pur di arrivare alle spiagge e surfare in una spiaggia incontaminata e bellissima, dove c’erano solo i pescatori indonesiani”, racconta il 19enne pisano appena diventato campione italiano di surf

Ha cominciato a 6 anni, "il Nesti". Aveva una tavoletta in polistirolo che usano tutti i bambini d’estate e su cui si va distesi. «Io provavo a salirci in piedi. L'anno dopo il babbo me ne fece trovare una vera». Il sogno. «Alle medie è diventata una passione travolgente. E così ho cominciato a tuffarmi anche d’inverno. In fondo, Tirrenia e Marina sono posti in cui si passano le giornate all’aperto, anche col freddo. E il mare è un’attrazione. Se ci nasci non ne puoi fare a meno». Sul litorale pisano il surf è cresciuto anche un po' intorno a lui e alla ciurma degli amici. «Eravamo in cinque o sei, ora la crew conta 75 persone». Alcuni sono i suoi compagni di viaggio.
Grazie al suo talento, Federico è diventato un globetrotter delle onde. Le coste europee più famose se l’è girate tutte. Santander, Fuerteventura, Biarritz, Hossegor. Canarie, Spagna, Francia. È appena tornato dall'Indotrip, come chiama il viaggio in Indonesia. È stato via da casa un mese e a marzo se ne andrà due settimane in Portogallo. «Ma non sempre c'è bisogno di andare fuori per salire sulla cresta giusta, anche in Italia si surfa che è una meraviglia: Toscana, Sardegna, Liguria, Puglia, Sicilia, le isole hanno luoghi e baie spettacolari». Parte dei suoi viaggi li finanzia grazie agli sponsor, anche se con il «surf ancora non riesco a mantenermi». Gran parte della vita però la passa all'estero. E la scuola? «Dalla seconda superiore, quando questo sport è diventato una cosa seria, sui banchi passavo solo tre mesi: ho dovuto prendere il diploma da ragioniere come privatista».
È così. Per questo ragazzo il mare è tutto. Coltiva il surf con precisione e costanza maniacali. Affina la sua tecnica come se dovesse scolpirla. «Quando non sono in acqua ad allenarmi, guardo i video dei più forti del mondo. Scruto ogni dettaglio, in che momento il surfista si alza sulla curva dell’onda, come ruota le braccia, a che punto del tubo gira la testa, come si piega sulle gambe prima di un salto. Me li sparo al rallentatore anche cento volte, mi metto in camera, in piedi, come uno scemo, e li ripeto finché quei movimenti non li ho memorizzati e non me li sento addosso». Questo sport nella testa di chi lo pratica è anche una sfida costante con i superman della disciplina. Ogni baia un point break, un punto di rottura, una cresta levigata su cui corre il confine fra i propri limiti e quelli della leggenda.
«È chiaro, si va sempre a caccia dell'onda perfetta, del gesto puro. E non c'è esperienza più bella di sentire il feeling con l'onda, lei che ti spinge e tu che ci galoppi sopra. A Java, camminavo per trenta minuti nella giungla, in un posto dove ci sono i dieci serpenti più velenosi del mondo come il King Cobra, pur di arrivare alle spiagge e surfare con i brividi addosso per le pinne di squalo che ogni tanto sfilavano come ombre sotto il pelo dell'acqua». Ma è così, ogni surfista cerca il proprio mercoledì da leoni, il ruggito alto quattro piani con cui giocarsi la gloria.




Ovvio, la geografia è quindi mitografia: il sogno sono l'America, i coralli e i fondali delle Hawaii. «Poi oh - chiude Federico - Se il mare è giù di tono, si sa, le spiagge sono un bel posto e il surf ha pochi ingredienti ma essenziali: un falò, lo sfrigolìo della risacca, i tramonti nello specchio dell’acqua, musica, amici e bikini. Nugoli di bikini; per i quali ogni tanto rinunci volentieri anche a qualche ruggito».




Bari, la Marina espone le sue armi in Ateneo e gli studenti insorgono: "E' un luogo di pace"

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Polemica all'Università per la presenza di miltari armati in occasione della firma dell'accordo di collaborazione con la Marina militare. Link: "In luoghi come questi dobbiamo promuovere la pace"


L’occasione è stata la firma dell’accordo di collaborazione fra Università di Bari e Marina militare. Preceduta da un convegno su “Stabilità e sicurezza nel contesto marittimo”. Così nel cortile dell’Ateneo è stata calata una enorme bandiera tricolore della Marina e nei corridoi interni è stata allestita una mostra di strumenti, armi e mezzi della Difesa. “Questa giornata si colloca all'interno di un rapporto particolarmente solido tra Università di Bari e Marina militare: questa convenzione significa soprattutto ampliare lo spettro delle attività formative e consolidare lo specchio dei rapporti – ha commentato il rettore Antonio Uricchio - Ci sono attività di natura formativa presso Mariscuola a Taranto, arricchite e implementate con un nuovo corso di studi in comunicazione digitale che si aggiunge alle lauree infermieristiche e al corso di laurea in Scienze e gestione delle attività marittime".


L’iniziativa non è piaciuta agli studenti dell’associazione Link Bari, però, che hanno protestato per la presenza di armi all'interno dell'Università. "Come studenti troviamo del tutto rivoltante che la nostra istituzione possa prestarsi a simili iniziative – spiega Luca Ieva, coordinatore di Link Bari - promuovendo una retorica militarista, con tanto di esposizione di armi da fuoco, militari armati e promozione dell'arruolamento". "L'Università, lo ricordiamo, dovrebbe lavorare per promuovere la pace tra i popoli e le culture. Un simile atteggiamento - continua l'associazione - è quanto più ipocrita possibile relazionato all'intitolazione di un'aula studio poco tempo fa a Valeria Solesin, la giovane ricercatrice uccisa a Parigi negli attacchi terroristici del 13 novembre scorso: sono stati gli stessi interventi militari dei Paesi occidentali a gettare le basi per la costituzione dello Stato islamico". "Il fatto che si continuino a tagliare gli investimenti sull'istruzione mentre si sbloccano i fondi per la difesa, come voluto dall'Ue, e solo dal Sud venga più della metà degli arruolamenti, mentre la disoccupazione giovanile è al 60 per cento - conclude Ieva - la dice lunga su quali siano le priorità dell'attuale classe politica. L'Università dovrebbe incentivare il territorio allo sviluppo e all'innovazione e non promuovere forze armate impegnate in guerre di occupazione come sbocco per i suoi studenti".

amore tra gatti , Coppia trans si sposa e sogna un bambino ,


Amore tra gatti: la sorella è paralizzata, se ne prende cura Due gattine separate dopo lo svezzamento si ritrovano e quella che sta meglio non abbandona più la malata da http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca del 23\1\2016




















Alessia e Davide si sposano, la coppia trans sogna un bambino. Uno dei genitori paga le spese per la fecondazione


Orbetello, entrambi i partner hanno cambiato sesso. Cerimonia fissata per il 6 febbraio. Ecco come esaudiranno il loro desiderio da  http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/  27\1\2016 
di Ivana Agostini



Alessia  e  Davide 


APPROFONDISCI




Otto, il maialino (vegano) da passeggio sul Liston Gloria e Fabio hanno adottato un porcellino che portano in giro al guinzaglio: «Non c'è nulla di strano, è affettuoso come un cane»  http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca del 28\1\2016 di Silvia Quaranta







All'estero hanno ragione su noi italiani non ci capiscono ....

.....  ci capiscono

la vicenda

27.1.16

Note tribali dal Sudafrica con il modenese Riccardo Moretti La storia di Riccardo, musicista modenese, trapiantato a Città del Capo

da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca  del 25\1\2016 


Note tribali dal Sudafrica con il modenese Riccardo Moretti
La storia di Riccardo, musicista modenese, trapiantato a Città del Capo


di Laura Solieri

















MODENA. «Sono sempre stato circondato dalla musica, mio padre suonava la chitarra. Il mio maestro, quando avevo nove anni mi disse che ero negato. Poi sperimentò su di me un corso di jazz e in pochissimo tempo trovai la mia strada. A 13 anni iniziai a salire sul palco e quello è rimasto il mio mondo». Da Modena al Sudafrica dove si è trasferito da diversi anni, il musicista Riccardo Moretti, classe 1972, si esibisce nei locali e nelle manifestazioni più importanti e prestigiose in Italia e all'estero come ad esempio Pflasterspektakel (Austria), Ferrara Busker, Pennabilli, StreetLife (Monaco), Gurtenfestival (Bern), CapeTown Jazz Festival, BalHarbour e PhiBeach (Costa Smeralda).
La musica di Riccardo Moretti da Modena a Città del CapoRiccardo Moretti è un musicista modenese che da anni si è trasferito in Sud Africa, a Città del Capo. Si esibisce nei locali e nelle manifestazioni più importanti e prestigiose in Italia e all'estero come ad esempio Pflasterspektakel (Austria), Ferrara Busker, Pennabilli, StreetLife (Monaco), Gurtenfestival (Bern), CapeTown Jazz Festival, BalHarbour e PhiBeach (Costa Smeralda). Video di Gino Esposito. Leggi l'articolo
Il suo ultimo progetto, TribalNeed, si sviluppa attorno ai suoni ancestrali del didjeridoo e dell'hang: combinando sintetizzatore, didjeridoo, percussioni, hang, beatbox e giocattoli modificati ad un looper elettronico, questo progetto è all'avanguardia delle tendenze musicali contemporanee..Quella per la musica non è l'unica passione di Riccardo, che negli anni Novanta ha iniziato a fare snowboard e windsurf ed è diventato maestro di snowboard quando ancora non lo praticava nessuno e nel giro di poco tempo diventò poi sport di massa. «Sono sempre stato un amante degli sport estremi e questo mi ha portato a viaggiare. Ho cominciato a girare con un vecchio pulmino della Volkswagen quando ero ancora uno studente di Economia a Modena e insegnavo snowboard a Madonna di Campiglio: di giorno lavoravo, di sera studiavo. Lo studio mi ha aiutato a chiarirmi le idee e a capire cosa volevo fare da grande».«Andai a Cape Town, paradiso del surf, per la prima volta nel 1996: la sorella di un mio amico aveva sposato un ragazzo del luogo e decisi di andarli a trovare. Inizia così la mia avventura in terra straniera, dove tuttora ho la residenza. Appena arrivato sono stato per sei mesi in un ostello dove ho conosciuto un australiano che mi ha insegnato a suonare il didjeridoo, cambiandomi, senza saperlo, la vita».In Sudafrica Riccardo comincia a suonare con band innovative, con una di queste, i MoodPhase5ive, è stato in tour con i Morcheeba. «Ho conosciuto il mondo della musica elettronica che ho mescolato con quello tribale e da qui nasce il progetto TribalNeed che sto portando in giro per il mondo e ho fatto diventare la musica il mio lavoro». Piano, sintetizzatori, didjeridoo, hang drum, percussioni varie, Riccardo sa suonare di tutto e ha inciso sette album. «Negli ultimi anni, l'artista Francesca Krnjak, di Modena anche lei, con cui ho fatto il progetto LegoLoop, ha influenzato molto la mia produzione e la mia esperienza si è arricchita del suo contributo. Nel frattempo continuo con i miei sport estremi in mare, l'altro mio grande amore».

Barbone entra in autogrill, la cassiera lo riconosce: "Papà sei tu! Ti cerco da 20 anni


http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca/  Oggi alle 16:44


foto simbolo
Foto simbolo

Suo padre se n'era andato di casa quando lei aveva solamente tre anni.
Oggi la giovane Shoshannah, 23enne dello Stato Usa dell'Idaho, lo ha ritrovato nella maniera più incredibile.
Mentre era al lavoro, cameriera in un autogrill nei pressi della città di Post Falls, la ragazza si è vista arrivare al bancone un senzatetto.
L'uomo ha tirato fuori un tesserino dei servizi sociali, che dà diritto a pasti gratis per le persone indigenti.
E, leggendo il nome del clochard, è rimasta pietrificata.
"Sono scoppiata a piangere. Era il nome di mio padre!", ha raccontato alla tv locale KHQ Local News.
"'Sei il mio papà!' - gli ho detto. E lui ha risposto: 'Forse sì'. E così ci siamo abbracciati".
Sempre secondo quanto riferito dai media locali, dopo una lunga e commovente chiacchierata l'uomo avrebbe promesso alla figlia ritrovata di non abbandonarla mai più.
Nel frattempo, la storia del rocambolesco incontro ha fatto il giro del mondo.

La Venere capitolina coperta con dei pannelli per la visita di Rohani e a mancanza di prendersi la resaponsabilità del gesto facendo da scaricabarile verso altri

 rissunto  della  vicenda


Leggo  su il televideo  la  rai    del consueto vizio  italico  delo scaricabarile  \  palòleggio di responsabilitaà  quando  si fanno delle figure  di merda    barbine   
  SOVRINTENDENZA:STATUE?
     CHIEDETE A P.CHIGI   

     "Sulla vicenda delle statue dei Musei 
     Capitolini coperte in occasione della 
     visita del presidente iraniano Rohani 
     dovete chiedere a Palazzo Chigi".
    Così la Sovrintendenza capitolina smen-
     tisce un suo ruolo nella decisione di 
     coprire le statute nude e precisa: "la
     misura non è stata decisa da noi, è   
     stata una organizzazione di Palazzo   
     Chigi, non nostra". 
 

                     (La Venere capitolina, a sinistra coperta con dei pannelli per la visita di Rohani)  



 te pareva che quando in italia i nostri politicanti fanno e fanno fare figuracce di merda facciano da scaricabarile e cerchino di dare la colpa agli altri anzichè a se stessi . Cosi facendo si rendono anche più ridicoli . Avrebbero fatto meglio , la cosa si sarebbe sgonfiata e la cosa sarebbe finità li , a starsi zitti visto che non hanno il coraggio di prendersi le responsabilità della boiata buonista \ politicamente corretta tutti i costi . Oppure cosa più unica che rara ammettere il proprio errore. Infatti  concordo  con     il mio   amico  fb   Giuliano Ciapetti   quando  dice  : <<  L'atteggiamento delle istituzioni nell'era democratico-capitalista, mostra la propria faccia! Il mondo occidentale è in crisi economica da moltissimi anni e per non affogare, abbiamo bisogno di chi ha soldi. Rohani è in Italia per accordi puramente economici. Di fronte al Dio denaro si è disposti a tutto. Quando un islamico è povero è un terrorista, quando investe è un benefattore e può anche comandare !  >>

 per  rispondere a  Franceschini    la  soluzione sarebbe  stata  questa  suggerita  da      da questo sito  



Ed  hanno ragione   tutti    compresi  i malpancisti     se,pre  da  televideo rai 

            

 "Decisione degna del peggior terrorista
 islamico, offende la nostra cultura",  
 tuona il capogruppo FdI-An, Rampelli.  
 "Roba da matti", sbotta il leader della
 Lega, Salvini,"Il governo sembra vergo-
 gnarsi delle nostre radici",aggiunge la
 deputata Saltamartini."Non è rispetto  
 delle altre culture ma negazione della 
 nostra", attacca Squeri, FI. "Si abdica
 alla propria storia", dice da sinistra 
 Civati, "è calato un velo pietoso sull'
 Italia". "Laicità a correnti alterne"  
 per i radicali: a Torino coprirono per 
 il Papa manifesti di Tamara de Lempicka 
 
   questo articolo   sagace   e  caustico  come  sempre  di Massimo  Gramellini    sula  stampa  mi ha  fatto venire  anche  a me  la  curiosita   di  <<  (... )  sapere come funziona la sensibilità a corrente alternata del signor Rohani (le tette di marmo lo sconvolgono e i gay condannati a morte nel suo Paese no?) e di sentire cosa penserebbe mia nonna di questa ennesima arlecchinata italica: quando ero bambino mi insegnò che il primo modo di rispettare gli altri è non mancare di rispetto a se stessi. >>

27 gennaio 2016 Giorno della Memoria - Due testimonianze a confronto Primo Levi e ETTY HILLESUM

 Come tutti i  27  gennaio  mi chiedo   serve ancora  la  giornata della memoria  ?  Pi però tale elucubrazione  scompare perchè , mi ricordo che ho già risposto nelle mie tante riflessioni a mente fredda   in  un post del febbraio scorso   : <<  serve  ancora il giorno dela memoria  ? >>


PRIMO LEVI: "Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza" (Se questo è un uomo, ultimo capitolo) .,  2. ETTY HILLESUM: "L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi , mio Dio... Io non chiamo in causa la tua responsabilità" (Etty Hillesum, Diario, 12 luglio 1942)

26.1.16

legge cirina la battaglia continua

dopo  le manifestazioni  nelle piazze  italiane  nella giornata  del 23\1\2016   la battaglia  continua  .   Perché



 Continuerò nelle mie  battaglie   fin quando esisteranno  gente  come questa




 per  chi non vedesse  il video   ecco che  c...  ha detto  

“Sono contrario ai preservativi, non li uso e sono contrario. Abbassano il piacere e interrompono il momento.  La soluzione alle malattie è la sessualità responsabile. Sono contrario anche alla pillola del giorno dopo.”
Poi continua sulle donne…
“La condizione ideale è quella di avere un solo uomo o una sola donna nella vita, io non lo posso dire ma invidio chi ha questa possibilità. La moglie sottomessa cristiana è la pietra fondante, la pietra su cui si edifica la famiglia. Sottomessa significa messa sotto, cioè la condizione per cui la famiglia possa esistere. Una donna mite”. 
poso capire   simili  scelte  anacronistiche  e  spesso ipocrite  espresse nella prima  parte dell'intervento  , ma    quello che dice sulla donna no  . E' vero  che è  fondante per la società e la famiglia   sia  quella  ormai logora   tradizionale    sia  in quella    arcobaleno   che in quella  di fatto





La shoah dei bambini . giorno della memoria 2016

Anche questo ė stato

August Landmesser fu l'uomo che nel 1936 si rifiutò di salutare Hitler



Ho scoperto   questa  storia     d'ogi l'anno scorso  proprio quiando ormai per i media  la  giornata  della shoak  era già stata  archiviata e digerita . Ma per  non annoiare   e  non renderla  ancora più odiosa ale  nuove  generazioni   l'ho archiviata   . Infatti  quest'anno  mentre  cercavo  ispirazione  e storie  nuove  per evitare  di scadere  nel solito post  retorico  e ripetitivo su tali eventi   che ormai (  ma purtroppo non è cosi  )    dovrebbero  essere relegati al passato  ho ritrovato   questa  storia  . Essa  è    poco conosciuta  al tritacarne mediatico , la  vicenda  è  quella  di  August Landmesser ( che  trovaste rikassunta  oltre  nella pagina di wikipedia  che riporto sottto in questo  libro  : L'uomo che disse  no ad  Hitler  \ Josef Mayr-Nusser un erore  solitario    di Frncesco Comina    ,  foto a destra )
di  fu l'uomo che nel 1936 si rifiutò di salutare Hitler. Troppe storie sono rimaste in silenzio, nell'attesa che qualcuno le raccogliesse, celebriamo la Giornata della Memoria ricordandole. ed  evitando che cadano nell'oblio . In quanto esse  ebbero La forza di esprimere il proprio NO sempre davanti alle ingiustizie !!! Questi Uomini e Donne  sono come le Stelle si intravedono nella nebbia non diamo loro x tanto tempo nessuna importanza, a volte vengono dimenticati. Ma quando si ha necessità di Loro ci sono sempre. Lasciandoci sempre una Carica Immensa.
Troppe storie sono rimaste in silenzio, nell'attesa che qualcuno le raccogliesse, celebriamo la Giornata della Memoria e non solo  ricordandole.
  

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


August Landmesser (Moorrege, 24 maggio 1910 – Stagno, 17 ottobre 1944) è stato un operaio tedesco, oppositore politico antinazista negli anni trenta. Fu uno dei pochi tedeschi che si opposero pubblicamente al potere di Adolf Hitler.



  August Landmesser nel 1936, quando si  rifiutò di eseguire il saluto nazista



August Landmesser nacque il 24 maggio 1910 figlio di August Franz Landmesser e Wilhelmine Magdalene Schmidt.

Operaio presso l'arsenale navale Blohm + Voss di Amburgo, August Landmesser diventò noto nel 1991 per la sua probabile ma non certa apparizione in una fotografia ove, unico fra centinaia di operai e autorità, si rifiutò di eseguire il saluto nazista ad Adolf Hitler rimanendo impassibile a braccia conserte nel corso dell'inaugurazione del varo della nave scuola della marina militare tedesca, la Horst Wessel, il 13 giugno 1936. Questa fotografia fu ritrovata solamente nel 1991, esposta al centro di documentazione "Topografia del terrore" presso il vecchio quartier generale della Gestapo a Berlino, fu pubblicata dal quotidiano Die Zeit. In quello scatto le figlie di August, Ingrid e Irene, credettero di riconoscere il loro padre nel suo significativo gesto di protesta.

August Landmesser fu membro del partito nazionalsocialista dal 1931 al 1935 costretto all'adesione solamente perché spinto dal bisogno di ottenere un posto di lavoro. Cominciò ad osteggiare il nazismo quando, divenuto padre di due figlie avute da una giovane donna di religione ebraica, fu ritenuto colpevole di "disonorare la razza" e pertanto - segnalato come oppositore al regime del Terzo Reich - fu dapprima espulso dal partito e poi incarcerato due volte nel campo di concentramento di Börgermoor.

August Landmesser si era sposato nel 1935 con Irma Eckler che era nata nel 1913, ma il suo matrimonio - a causa dell'entrata in vigore delle leggi razziali di Norimberga nell'agosto del 1935 - non fu riconosciuto dall'ufficio del registro del comune di Amburgo e inoltre alle stesse figlie, Ingrid nata il 29 ottobre del 1935 e Irene nata il 6 agosto del 1937, non fu riconosciuto il cognome paterno ma quello della madre.

Irma Eckler fu arrestata nel 1938 dalla Gestapo e detenuta dapprima nel campo di concentramento di Fuhlsbüttel ad Amburgo e successivamente trasferita nei campi femminili di Oranienburg e Ravensbrück. Irma Eckler si suppone sia deceduta il 28 aprile del 1942 nell'istituto sanitario di Bernburg dove i medici nazisti praticavano l'eutanasia sui malati mentali. Le figlie Ingrid e Irene furono separate: Ingrid fu affidata alla nonna paterna mentre Irene fu condotta dapprima in un orfanotrofio poi assegnata a dei parenti.

August Landmesser fu scarcerato il 19 gennaio 1941 e assegnato ai lavori forzati presso la società Püst. Questa compagnia era una branca della Heinkel-Werke sita a Seebad Warnemünde. Nel febbraio 1944 a causa della penuria di uomini abili alle armi, Landmesser, nonostante i suoi precedenti penali, fu arruolato nella Wehrmacht e assegnato ad un battaglione di disciplina, il 19º Battaglione penale di fanteria della famigerata Strafdivision 999, ove fu dichiarato disperso in combattimento nel corso di una missione operativa a Stagno in Croazia.

Il 20 dicembre 1949 la corte distrettuale di Amburgo-Altona dichiarò Irma Eckler morta, indicando il giorno 28 aprile 1942 come la data più probabile del suo assassinio mentre, sempre nello stesso anno, il tribunale distrettuale di Rostock dichiarò morto August Landmesser alla data del 1º agosto 1949. Nell'autunno del 1951 il municipio di Amburgo riconobbe ufficialmente il matrimonio tra August Landmesser e Irma Eckler e, inoltre, le figlie Ingrid e Irene, sopravvissute alla guerra, ricevettero il cognome del padre.

Bibliografia


  • (DE) Wolfgang Benz, A concise history of the Third Reich. Transl. by Thomas Dunlap (p. 122)
  • (DE) Irene Eckler, The Guardianship Act 1935–1958. Horneburg Verlag, Schwetzingen 1966.
  • (DE) Irene Eckler, A Family Torn Apart by "Rassenschande". Horneburg Verlag, Schwetzingen 1998.

25.1.16

Crede di essere sposata da 20 anni. In realtà il marito aveva chiesto il divorzio subito dopo le nozze


Crede di essere sposata da 20 anni. In realtà il marito aveva chiesto il divorzio subito dopo le nozze


gabriel villa e cristina carta
Gabriel Villa e Cristina Carta
Dopo vent'anni di matrimonio, ha scoperto di essere... divorziata.
È davvero surreale la storia - raccontata dal New York Post - che vede malcapitata protagonista Cristina Carta, 59enne, residente nella Grande Mela, dal cognome di origini sarde. Tutto inizia nel 1994, quando Cristina, insegnante di italiano al Boston College, accetta la proposta di nozze di Gabriel Villa, brillante e facoltoso avvocato, oggi 90enne, reduce da una precedente relazione, dalla quale ha avuto una figlia.
"Era assolutamente affascinante e nonostante la differenza d'età è stato amore a prima vista", racconta la Carta alla giornalista del Post Kathianne Boniello.
Una passione andata avanti fino al novembre scorso. Quando Cristina ha scoperto che il suo Gabriel, poco dopo il fatidico sì, si era recato di nascosto in Repubblica Dominicana, per chiedere, attraverso un iter poco chiaro e avvalendosi delle leggi del posto, il divorzio.
Ottenuto il quale è tornato a casa, facendo finta di nulla.
Sposato e divorziato al tempo stesso.
Perché?
Cristina, che ha avuto le prove dei suoi sospetti dopo aver assunto un investigatore privato, non ha dubbi: questione di soldi.
Secondo la 59enne, infatti, il marito vorrebbe esautorarla dall'eredità e da ogni bene, a beneficio della figlia avuta da un'altra donna in prime nozze, che vive a Roma.
Per questo si è rivolta alla Giustizia, denunciando il consorte (o ex consorte, in base ai punti di vista) per "truffa".
"Nonostante tutta la gioia e la felicità - confessa ancora Cristina al Post - e nonostante tutto quello che abbiamo condiviso in questi anni, mi sono resa conto che mio marito mi ha mentito. Ed è questa la cosa che mi fa più soffrire"

24.1.16

l'identità chiusa non è sintomo d'integrazione e incrementa il fondamentalismo le dichiarazioni dell'imam Sami Abu-Yusuf,sui fati di colonia avvenuti nela notte di capodanno


concordo  con quanto dice Massimo Granellini
22/01/2016
MASSIMO GRAMELLINI
Secondo l’autorevole parere di un imam di Colonia, Sami Abu-Yusuf, la responsabilità delle violenze di Capodanno non sarebbe da attribuire ai maschietti che intimidivano e palpeggiavano, ma alle indigene che li provocavano andandosene in giro mezze nude e intrise di profumo. Rimango un ostinato fautore del dialogo, però vorrei che qualche illuminato ci spiegasse come si fa a dialogare con un troglodita che considera demoniaca la femminilità e vorrebbe estirparne ogni traccia, almeno in pubblico. Uno che, pur vivendo in Germania da decenni, non ha mai compiuto un solo passo verso la cultura che lo ha accolto, comportandosi nei fatti come un invasore arrogante e ottuso. Chiunque di noi, quando va all’estero anche solo per un giorno, si sforza di adeguarsi al contesto. A questo imam, invece, del nostro contesto non importa un fico. Ci considera una massa di degenerati e si rifiuta di prendere in considerazione la possibilità che una ragazza in Occidente si vesta come le pare e si profumi quanto le pare perché è un suo diritto farlo, senza doversi preoccupare delle reazioni ormonali che le sue scelte estetiche produrranno sui maschi irrisolti e frustrati.
La donna di Colonia potrà essere provocante, ma non è provocatoria. Si prende la libertà che il suo mondo le consente. E il suo mondo gliela consente in quanto libertà condivisa, che migliora la qualità del vivere di tutti. È una conquista recente, parziale, ancora molto fragile e proprio per questo non trattabile. Chi non è disposto ad accettarla va accompagnato alla porta con una boccetta di profumo come ricordo.
Va bene  mantenere  la propria  cultura ed  identità  anche  in un pese   straniero   o di viverci   senza prenderne la cittadinanza  come fece   lo scultore  Costantino Nivola   ma   dialogare  e confrontarsi   con una cultura  che non è tua   ma non fare   anche  in maniera   critica    : <<  un solo passo verso la cultura che lo ha accolto, >>     significa    giustamente    che  ti  comporti    <<  nei fatti come un invasore arrogante e ottuso. >>  . Ora  capisco     che  ad un orientale  i  costumi di noi occidentali possano anche    non piacere    e  posso essere  anche  criticati   , ma  arrivare  a dire  simili  cose e  , anche se  non è questo il caso  , a picchiare    ed  usare  violenza  su un familiare  o altre persone solo perchè  svecchiano   la  loro cultura e  s'aprono ad  un altra  cultura  non mi piace  per  niente  .

anche noi italiani abbiamo fatto la shoah e l'olocausto I campi di concentramento fascisti in Jugoslavia

  anche noi italiani    non fummo immuni  dai  crimini dell'olocausto  ma  di questo  non tutti  ne parlano e  chi lo fa  viene bollato  come   anti patriota  

Lunedì, 29 June 2015 17:45 Scritto da Davide Allegri



I campi di concentramento fascisti in Jugoslavia







“Il mio nome è Marija Poje. Sono una ex internata nel campo di concentramento forzato di Rab-Arbe e di Gonars. Sono nata il 5 aprile 1922 a Gorači, un paesetto sperduto tra i boschi al confine tra la Slovenia e la Croazia. Sono stata arrestata e internata alla fine del mese di luglio del 1942 con tutta la mia famiglia, con tutta la gente del mio paese, i bambini, i vecchi, tutti. Ci hanno bruciato le case a Stari kot dove mi ero trasferita dopo il matrimonio. Siamo partiti solo con quello che siamo riusciti a portarci dietro. […]In quella bolgia infernale dove il pianto dei bambini si alternava agli urli delle donne alle quali avevano appena fucilato il marito, io ho pensato solo al mio bambino che allora aveva 16 mesi ed era sempre con me, perché avevo paura che ci dividessero e non avevo fiducia in nessuno. Essere divisi dalla famiglia, dagli abitanti del proprio paese o da gente conosciuta era la cosa peggiore che sarebbe potuta accadere. Noi gente di montagna eravamo abituati a stringere i denti, ma l’insicurezza della nostra posizione e la crudeltà dei soldati ci facevano stare in apprensione. […] La mattina seguente dopo un ultimo appello e dopo averci diviso dagli uomini, ci hanno fatti salire sui camion per portarci chissà dove.”
A prima vista questa sembra una delle tante testimonianze toccanti dei sopravvissuti ai campi di sterminio della Germania nazionalsocialista sparsi nell’Europa occupata. Ma qualcosa non torna, nei nomi di luogo: Rab, un’incantevole isola dell’attuale Croazia e Gonars, che a dispetto del nome, si trova in Friuli a pochi chilometri da Palmanova. Certo non sarebbe una novità venire a conoscenza di lager in terra italiana, vista la terribile fama guadagnata ad esempio dal campo di concentramento di Bolzano. Probabilmente campi sorti e gestiti dai tedeschi in Italia ed in Croazia dopo il 1943, dirà qualcuno. Assolutamente no: essi erano campi di concentramento voluti e organizzati dall’Italia fascista all’indomani dello scoppio della Seconda Guerra mondiale. Forse non votati allo sterminio sistematico e scientifico di una razza, come quelli del Reich tedesco, ma luoghi di orrore e morte del tutti simili a quelli ideati dal Führer.



Sorti per piegare la resistenza dei popoli dei Balcani ma, si badi bene, non certo destinati solo ai partigiani di Tito ed ai combattenti. In questi campi venivano indistintamente segregate e lasciate morire di fame e di malattie le popolazioni iugoslave  
Uomini, ma soprattutto vecchi, donne e bambini: come Marija che aveva solo vent’anni ed era incinta. Il campo si portò via entrambi i figli dopo la fucilazione del marito. Una vita spezzata e segnata per sempre. Come lei decine di migliaia di civili subirono una sorte analoga. “Nei 29 mesi di occupazione italiana soltanto nella provincia compresa tra Lubiana e Fiume vennero fucilati cinquemila civili, 900 furono i partigiani catturati e fucilati e, in base ai dati a disposizione presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, furono più di 20.000 i deportati civili sloveni internati nei campi di Arbe, Chiesanuova (Padova), Monigo (Treviso), Gonars (Udine) e Renicci di Anghiari (Arezzo)” sostiene Boris Mario Gombač (articolo completo qui), lo storico italo-sloveno che insieme ad altri come Angelo del Boca per l’Africa e Carlo Spartaco Capogreco per i Balcani, sta cercando di rompere il velo di silenzio e omertà sui crimini commessi dal fascismo nelle sue “colonie”. Studi che distruggono lo stereotipo del “soldato italiano buono” a confronto con i tedeschi “cattivi” e che mettono in luce la necessità di approfondire ulteriormente queste vicende. Si trattava di campi del tutto “illegali”, vale a dire non visitabili dalla Croce Rossa internazionale e dove i detenuti non potevano ricevere aiuti, pacchi viveri e visite dall’esterno. Campi dove gli internati erano costretti ad una durissima lotta quotidiana per la sopravvivenza: “ormai la sopravvivenza era diventata una lotta di tutti contro tutti. Si lottava contro gli abitanti delle altre tende, contro i militari ma anche contro i nostri uomini che dall’altra parte della rete pretendevano dalle mogli il loro rancio quotidiano. Nelle nostre menti era inciso solo un pensiero: chi riusciva a sopravvivere un giorno più degli altri era vivo e chi non ce la faceva lo portavano giù verso le fosse comuni. Ormai eravamo solo l’ombra di noi stessi. I giorni e le notti passavano tra il pianto e i gemiti continui dei bambini affamati o assetati che andava avanti per mesi” prosegue la testimone nel suo toccante racconto.



Solo l’armistizio del 1943 interruppe questo orrore. Marija, nel frattempo trasferita da Rab a Gonars così descrive la fuga: “All’uscita del campo eravamo mal messi, le gambe non ci tenevano e dopo pochi passi eravamo stanchi come se avessimo falciato l’erba tutto il giorno. Un militare ci aveva dato del riso, ma non sapevamo cosa farne, non sapevamo come cuocerlo e mangiarlo. Per strada abbiamo trovato gente che ci dava del pane. Qualcuno vedendoci ripeteva esterrefatto “poveri bambini, poveri bambini”. Alcune donne ci hanno portato pane e sapone indicandoci i bambini. Era buona questa gente.” Un barlume di umanità in una vicenda turpe e taciuta troppo a lungo.

la rai e i media si dimentica di celebrare \ ricordare il 27 gennaio

siamo vicino al 27  gennaio  , strano che la Rai   dimentica    ( di solito ci faceva  due  palle  cosi )   di ricordarlo  .  Certo da  un lato  è meglio  perchè tali eventi vanno  ricordati sempre  e non ipocritamente  e  non solo quel determinato giorno  Infatti per  non dimenticare ne parlo adesso e  se  capita  (  vedete archivio  del blog  )  anche  al di  fuori del giorno canonico  .
Anzi   che fare  il  solito pistolotto e la solita  spiega    vi accontenterò delle storie    è  questa  è  una   di  oggi  .  Infatti   <<  Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti. >>  Primo levi .  Ma  sopratutttutto perchè cerco di fare  mio    giorno per  giorno    quanto dice  : << La pagine della Memoria non vuole essere solo la memoria del più grande genocidio dell'umanità ,ma anche la memoria dei tanti eccidi ,sopraffazioni in nome di ideologie,religioni e atteggiamenti dell'uomo volto non alla pacifica convivenza e al dialogo , ma all'odio pervicace tra gli uomini in nome del bene dell'umanità invece è solo odio per essa. Ricordare vuol dire non solo commemorare ,ma anche capire i perchè di quelle stragi e come esse possono verificarsi ancora . ricordare significa capire e vivere. >>  l'intonazione a alla  , aggiornata  continuamente  , pagina facebook Il Giorno della Memoria :27 gennaio 1945 -Mai Più!!!!!!!!!


Perché a volte  per  salvarsi  dall'inferno ,si  perchè  l'inferno  è  anche qui in terra  e  dentro  ciascuno di noi , basta  anche  un po ' di culo fortuna  o  miracoli    come la  prima storia     che  vado a raccontare  


per  approfondire
http://www.blogtaormina.it/2014/01/27/lorigine-dellodio-contro-gli-ebrei-quando-nasce-e-perche/176777
http://www.prefettura.it/catania/contenuti/9096.htm


da  http://www.lavoceditaranto.com/
News AUTHOR: ELEONORA BOCCUNI - 21 GENNAIO 2016
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Speciale Shoah // La storia di Klara: “Sopravvissuta ad Auschwitz perché era finito il gas”



La donna ha raccontato la sua amara esperienza trascorsa in tre lager, oltre all’ironia delle SS nel giorno della sua “salvezza”
Klara Marcus, il nome della donna che, originaria della Romania, ha voluto raccontare la sua esperienza all’interno del campo di concentramento di Auschwitz.
Una testimonianza diretta e, al contempo, agghiacciante che permette di ripercorrere gli anni più bui della storia dell’umanità; anni in cui la “diversità” era simbolo di imperfezione e impurezza; anni che hanno scritto parte della storia mondiale, i quali narrano le inaccettabili, condannabili e deplorevoli azioni compiute illogicamente dagli uomini che sottostavano alle direttive di un uomo spregevole, abietto e ignobile.
Klara Marcus


Quella che vi raccontiamo è la storia incredibile di una donna che, nonostante le angherie e i soprusi subiti fisicamente e moralmente, ha avuto la forza di andare avanti (senza la sua famiglia), creandosene una nuova, riuscendo a sopravvivere a tre campi di concentramento: Dachau, Ravensbruck e Auschwitz.
Ecco la sua preziosa testimonianza, raccontata al tedesco Bild, in merito alle vicende e alle barbarie che segnarono il periodo della Seconda Guerra Mondiale: “Oggi è il tuo giorno fortunato”, questo è ciò che, inizialmente, rammenta Klara Marcus; ciò che le SS le dissero quando la fecero uscire viva (assieme ad altre donne) da una camera a gas di uno dei più grandi campi di concentramento costruiti, quello di Auschwitz.
“Quando ci hanno fatto entrare e hanno aperto il gas, si sono accorti che era finito. Una delle guardie ha scherzato dicendo che era il nostro giorno fortunato perché ne avevano già uccisi talmente tanti che non era rimasto gas per noi. Quel giorno Dio mi stava guardando”.
La donna, costretta a entrare nella camera a gas, pesava solo 32 Kg e, fortunatamente, da quel momento riuscì a trovare la forza di fuggire da quell’inferno e tornare nella sua patria, dove, seppur senza più una famiglia, trovò il coraggio e la determinazione di ricostruirsi una nuova vita assieme a colui che, poi, sarebbe diventato il suo compagno di vita, suo marito.
“Quel giorno ho capito che non avevo veramente nulla da perdere”, commossa racconta a un rappresentante del governo romeno, Anton Rohian, il quale si recò presso la sua abitazione per farle visita per congratularsi con lei. “In questa storica occasione”, proferisce Rohian, “Ho portato una bottiglia di champagne, un mazzo di fiori e un attestato di onorificenza per ringraziare la signora Marcus per essere tornata a Marumares dopo tutto quello che ha attraversato nella sua vita”.
Le lacrime di una storia vissuta, il volto e gli occhi di chi ha vissuto la disperazione sulla propria pelle; il coraggio di una donna che ha continuato a lottare per amore e per amare, perché, nonostante l’odio, il bene supremo vince su tutto!

Eleonora Boccuni




la  seconda  una  reazione creativa  a  le schifezze  dei nazifascisti  o qualche ragazzino imbecille
 




Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove . fara una cosa simile per la manifestazione del 7 gennaio ?

È stata già rimossa la targa firmata "i camerati" che era stata affissa abusivamente a Roma vicino alla vecchia sede del Msi di Ac...