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AVVERTENZA
Prima di lanciarmi insulti rimuovermi dai contatti , scambiare aglio per cipolla , ecc . leggere il post dall'inizio alla fine ed occhio alle faccine espresse nel titolo
Le donne che noi uomini abbiamo ( e tentiamo ancora oggi ) di dominare e mettere sotto il nostro potere , nella maggior parte riuscendoci anche in maniera violenta , ci stanno mettendo sotto . Ecco qui alcuni casi
La prima è presa da repubblica online d'oggi 14\12\2018
Dalle ragazze anti-plastica il contenitore che sparisce
Suvi Haimi (a sinistra) e Laura Kyllonen, fondatrici di Sulapac
Vasetti e confezioni dei cosmetici di lusso in un nuovo materiale ottenuto dagli scarti del legno. In casa dura tre anni. Si scioglie in soli 21 giorni nel compost
di GIACOMO TALIGNANI
HELSINKI - Se 21 grammi è il peso dell'anima, 21 giorni è il tempo della speranza. Tanti ne servono a una nuova e innovativa confezione, prodotta con scarti del legno, additivi naturali e priva di plastica, per degradarsi nel compost. E non inquinare. "È il tempo che più o meno ci mette una patata", sorride Suvi Haimi mentre ci mostra una scatola Sulapac. Sugli scaffali della sede di Helsinki - dove ora lavorano in venti - ci sono prototipi di pettini, cotton fioc, stoviglie, tutti in fibre di sughero. Sono i primi tentativi di Haimi e Laura Kyllonen, due giovani biochimiche finlandesi, che dopo anni di test nel 2016 hanno individuato la formula giusta.
"Cercavamo un packaging che fosse davvero plastic free, privo di microplastiche, ma con le stesse proprietà della plastica. Abbiamo pensato alle tante foreste qui da noi, ai trucioli del legno, e iniziato a fare degli esperimenti".
Da donne, a Suvi e Laura è bastato guardare nel loro armadietto del bagno: fra creme e cosmetici c'era tanta plastica, spesso monouso. Molti cosmetici non solo includono creme o prodotti che contengono sfere con microplastiche, ma sono anche contenuti in imballaggi lontani dall'idea di riciclo: ci vogliono secoli prima che un barattolo di plastica - così come una bottiglietta - si degradi nel mare.
Ma questo nuovo materiale potrebbe "rivoluzionare il mercato. C'è scritto anche nella confezione: meglio non tenerlo troppo sotto l'acqua o sotto terra", scherza Suvi, oggi Ceo dell'azienda. Le confezioni saranno lanciate nel 2019, stesso anno in cui si produrranno anche cannucce biodegradabili realizzate con gli svedesi di Stora Enso. "Pensiamo anche a confezioni alimentari o bottiglie per l'acqua. Vogliamo prodotti che, una volta acquistati, scompaiano senza inquinare. Ma per riuscirci serve anche l'aiuto di altre aziende", spiega Haimi.
La richiesta di Sulapac è infatti che sia l'intero mercato mondiale del packaging - che oggi vale 800 miliardi di euro - a condividere strategie contro il degrado dei nostri oceani. Per farlo però i grandi marchi devono cambiare approccio. Chanel è uno di questi: i suoi prodotti saranno venduti nelle confezioni Sulapac.
Ma non basta. "Dobbiamo anche pensare alla produzione: usare le vecchie fabbriche per la plastica e trasformarle, a basso costo, in industrie che stampino barattoli biodegradabili al 100% e con lo 0% di microplastiche". Quanto al problema della deforestazione, Suvi risponde che "al momento la quantità degli scarti della filiera del legno finlandese, proveniente da foreste certificate, è sufficiente. Ma in futuro si potrebbe pensare anche ad altri scarti naturali".
Poi il telefono squilla, altri marchi di lusso sono interessati alla sua rivoluzione. Ma prima di salutare ci tiene a dire: "È solo una questione di scelte. Io stavo per accettare una carriera accademica negli Stati Uniti, ma poi ho deciso di fare qualcosa di concreto per il Pianeta e di investire in questo progetto. Ogni nostro pacchetto può fare la differenza, ognuno di noi può scegliere di seguire una sua strada per aiutare l'ambiente".
la seconda dall'unione sarda sempre d'oggi
LE STORIE
Vittima per anni dell'etichetta di iettatrice Francesca dice basta: "La mia adolescenza devastata da una diceria"
Da uno stupido scherzo al passaparola sui social: l'odissea di una studentessa cagliaritana
"Mi hanno scippato l'adolescenza. Nessuno me la potrà restituire. Ho diciannove anni: chiedo solo di poter vivere un'esistenza normale. Non voglio continuare a scappare dagli altri o dover lasciare la mia Cagliari". Francesca Sias lo dice sottovoce. Ma vorrebbe urlare il suo dolore. Da quando aveva tredici anni e frequentava una scuola media del capoluogo è stata additata, per colpa di qualche ragazzino idiota, come iettatrice."Tra qualche giorno questo stupido scherzo finirà", ha pensato all'inizio Francesca, ma sono trascorsi sei anni e il perfido gioco si è trasformato in dramma, la maldicenza si è sparsa come un virus incontrollabile alimentata dai social network e l'esistenza di Francesca è stata stravolta, rovinata.I suoi occhi azzurri trasmettono una forza interiore enorme racchiusa in un corpo minuto, grazie alla famiglia e agli amici è riuscita ad andare avanti, a sopportare anni e anni di gesti scaramantici, prese in giro di ogni tipo, emarginazione continua, telefonate anonime, video e audio offensivi su Instagram, Facebook e WhatsApp.Francesca ha dovuto lasciare la pallavolo, l'oratorio, disertare feste e serate tra ragazzi perché il suo nome spuntava fuori in troppi contesti, sempre con la stessa diabolica finalità, quasi un rito medievale.Da ragazza esuberante ed estroversa che era si è chiusa in se stessa, ha iniziato ad avere difficoltà nel relazionarsi con gli altri temendo che quella maldicenza scollegata dalla realtà emergesse all'improvviso. Molti suoi coetanei, forse più deboli, non sarebbero riusciti a sopportare tutto questo.Ora, al primo anno di Università nella facoltà di Farmacia - ma Francesca spera di fare il medico -, ha trovato la forza di dire basta pubblicamente e spera che la sua storia possa essere un esempio per tante vittime di bullismo in modo che trovino la forza di reagire. Ma anche un monito per i carnefici, forti dietro un profilo Facebook o perché capaci di agire solo se in branco: "Attenti - avverte la giovane cagliaritana - le vostre azioni possono distruggere una vita"Intanto, lo scorso febbraio, la studentessa ha presentato una denuncia ai carabinieri di Cagliari.
Come è nata questa terribile diceria?
"Non lo so. Me lo chiedo ancora ma non ho mai trovato una spiegazione logica. È accaduto improvvisamente. Avevo 13 anni e frequentavo la terza media. Mi vedevo con degli amici, almeno pensavo fossero tali. Un giorno hanno insistito per farmi fumare. Ho detto no e ventiquattr'ore dopo è nata la maldicenza".
La sua vita è cambiata?
"All'inizio ho pensato fosse una banalità che sarebbe durata solo qualche giorno".
Invece?
"La situazione è peggiorata rapidamente. A scuola cadeva un telefono cellulare e venivo additata come responsabile. Ero nel parco e iniziava a piovere: era colpa mia. Poi sono iniziate le dicerie. Invenzioni perfide".
Tipo?
"Chi ha messo in giro questa voce ha raccontato di aver trovato un fazzoletto sporco di sangue con la lettera 'S'. Da qui l'abbinamento con il mio cognome e con Satana. Hanno inventato la notizia della morte di un mio fidanzato".
La situazione è migliorata quando ha iniziato il liceo?
"Per niente. Ho sperato che l'estate mettesse la parola fine a questa assurda vicenda. Invece il passaparola, con i social network e con WhatsApp, ha provocato una valanga. Non ho potuto far nulla per fermare questo schifo. Alle medie avevo un'amica che non mi lasciava mai sola. Alle superiori per fortuna i miei compagni erano con me. Mi hanno protetta. Ma quando uscivo, ero sola. Nome e cognome venivano usati da migliaia di ragazzi. A scuola, un giorno, mi hanno lanciato cibo e penne dalle scale. Sono corsa via per la vergogna".
La conoscono tutti di persona?
"No. Quasi tutti ripetevano questa cosa senza sapere che dietro c'era una ragazza che stava soffrendo. Il mio nome veniva urlato durante una partita di calcio o di pallavolo".
Episodi che difficilmente dimenticherà?
"Sono dovuta scappare più volte dai pullman per evitare di assistere alle 'toccatine' scaramantiche. Per anni ho evitato le feste. Sono andata solo a quella del diploma ma sono dovuta scappare quando un ragazzo ha usato il mio nome".
E i social network?
"Immancabili i post su Facebook o le 'storie' su Instagram. Sono circolati dei video. In uno si vede un ragazzo che invita, ridendo, coetanei e bambini a ripetere il mio nome e ad adottare le consuete squallide contromisure. Sono stati creati dei gruppi su WhatApp. Mi ha fatto molto male scoprire che erano presenti delle persone che consideravo amiche".
Dove ha trovato la forza per andare avanti?
"Grazie ai pochi che mi sono stati vicini e ovviamente alla mia famiglia. All'inizio ho tenuto nascosta la cosa ai miei genitori: poi quando hanno visto che ero diventata taciturna e che mi stavo chiudendo in me stessa si sono preoccupati. Ho raccontato tutto. Ora cerco di andare avanti, ma a volte soffro di paure, insonnia e stress".
Perché ha voluto raccontare questa terribile vicenda?
"Qualche mese fa ho iniziato l'Università. Speravo che almeno lì questa diceria non arrivasse ma sbagliavo. Un mio collega, Samuele, mi ha voluto conoscere. Con la mia autorizzazione ha lanciato una campagna contro il bullismo, raccontando la mia storia e utilizzando l'hashtag #thinkaboutit. Spero serva. Per me e per tutte le vittime di queste schifezze: non tutti sono forti per sopportare un'esperienza così. Ho perso la mia adolescenza. Ora vorrei riprendermi la vita".
Matteo Vercelli
quindi scegliamo se : A continuare nella sterile ed anacronistica contrapposizione uomo donna e lotta a chi è migliore o inferiore ., B accettiamo che anche l'altro sesso può essere migliore ed avanti a noi .
Io ho scelto la B e voi ?