5.1.14

Vincere o perdere

da l'unione sarda del 3\1\2014
Quando la 55enne canadese Michele Granger ha portato il suo fisico tutt'altro che atletico oltre la linea del traguardo, le gradinate di Klagenfurt traboccavano di pubblico. Mancavano due minuti a mezzanotte, come avrebbero cantato gli Iron Maiden, citazione non casuale, visto che in quell'istante anche lei si laureava "donna di ferro". Sugli spalti, dal collo di gran parte delle persone che l'applaudivano, pendeva la medaglia di finisherdell'Ironman Austria. Molti, tra quegli uomini e donne d'acciaio, avevano gli occhi lucidi dalla commozione. Michele era l'ultima di più di 2500 triatleti a tagliare il traguardo, due minuti e 40 secondi prima del limite massimo di 17 ore. La notte sul lago Wörther era invasa da luci e musica. Dopo tanto soffrire, anche per lei la giornata assumeva i contorni della fiaba.È molto difficile immaginare che la signora, subito intervistata dallo speaker, possa mai rivivere un'emozione di uguale intensità. Lo sa chi partecipa alle gare di triathlon su lunga distanza (in questo caso 3,8 km di nuoto, 180 di ciclismo e 42,195 di corsa), di quale rispetto goda chi arriva ultimo. Neanche l'applauso tributato al vincitore racchiude tanta ammirazione, tanto affetto. Oggi il concetto di vincere/perdere è spesso banalizzato o - peggio ancora - assolutizzato. Per tutta la vita Michele, ultima al traguardo, guarderà quella medaglia e si sentirà vincitrice.

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