Salve a tutti\e voi cari amici vicini e lontani appena tornatri o che partite per le ferie Rieccoci al consueto appuntamento ( se voi avete altri post simili ben vengano in qualunque momento ) del lunedi .
Prima degli articoli di oggi voglio però L'introduzione d'oggi non serve per spiegare l'articolo ma per rispondere a delle email ( scusate ma non ho resisto e poi è meglio soffernmarsi a chiarire che lasciare delle ambiguità o deimalintesi , non vi sembra ? ) che stò ricendo da quando ho deciso di aprire ispirato al bellissimo blog maree.splinder.com e alle lezioni di letteratrura italiana del prof Nicola Tanda e di filologia romanza del prof Paoolo Manichedda . Alcune d'esse ( la maggior parte ) sono d'approvazione e di metraviglia , altre ( ma che ci volete fare la mamma dei cretini è sempre incinta ) di sfottò del tipo : << sei troppo nostalgico , troppo al passato , ecc ) e\o provocatorie : << come uno di sinistra è passato a destra o fà la politica della destra ,ti contraddici , hai buttato via i tuoi ideali , ti sei convertito hai voltato gabbana , ecc ) . Ecco la mia risposta alla prinma affermazione E' vero a volte sono un nostalgico , ma chi non lo è , e poi è meglio vivere nel presente con la consapevolezza delle tue origini in modo da capire chi sei e dove vai , piuttosto che farlo senza una base o meglio senza identità o coscienza delle proprie origini . Quindi guardare si al futuro , ma senza vivere solo nel passato in maniera da evitare inutile nostalgie e rimpianti e allo stesso tempo senza dimenticarsi d'esso . Per quanto riguarda la seconda poso dire che il scoprire ( riscoprire nel mio caso ) le proprie tradizioni non è solo di una parte politica \ ideologico ma lo diventa o puà diventere se ci si chiuda a riccio a gli apporti esterni fondendosi e diventando tutt'uno con il razzismo e la xenofobia della legadi alcuni settori di An oltre ai gruppi \ grupposcoli della destra extra parlamentare o ,SIC , nell'antimericanismo e attacchi ad israele a senso unico di certe frangie di estrema sinistra parlamentare ed extra parlamentare . Cosi facendo si rischia che le radici imputridiscano se raxcchiuse in qualcosa . Io ho risolto questo problema trasformandole in seme facendo la mia bandiera ( anche con questo blog ) del la frase dello scrittore ( ne ho parlato neio precedenti post ) Sergio Atzeni (1962-1995), che affermava : << ... Sono sardo, sono italiano,sono europeo >> era un suo "credo", molto prima dell'avvento di Maastricht ; e da questo strofa tratta da un canto anarchico \ libertario del 1800 i pare si chiami Dimmi bel giovane per il testo sezione canti anarchicio del sito ildeposito ( più vote rifatto e riomaneggiato come è tipico della canzone di ptrotesta , la versione che qui è riporto è di Pietro Gori del 1904 intitolata " Stornelli dall'esilio " trovate qui il testo integrale ) che dice " nostra patria è il mondo intero, nostra speme la libertà " unici rimedi contro l'attaccamento estremizzato conservatore e l'invenzione \ l'esaltazione localista che nè fa un uso strumentale delle radici, contro il rapporto razzista sangue-suolo di infausta memoria ( leggi fascismo e nazismo ) . Condivin parte quanto dice Melisssa P nel suo ultimo libro :<< (..) Spesso sento dire a chi si è allontanato da casa per troppo tempo che l'unico motivo che lo spinge a ritornare nella propria cuccia è il bisogno d'impossesarsi dele proprie radici , di sviscerarle dal terreno e appropiarsene vivisezionandole . Radici? di che cazzo di radici parliamo ? Non siamo alberi siamo uomini . uomini provenuti da un seme e rimaniamo semi per l'eternita Semai , forese l'unico luogo dove abbiamo messo rafdici , è il ventre materno . E se un giorno io vorrò ritornare alle origini , se vorrò mangiare le mie radici , non dovrò farealtro che squarciarti il ventre entrarci dentro con tutto il corpo e legarmi a te con un filo ormai fittizio Ma non mi sevirebbe a niente .Voglio continuare ad essere seme .Voglio esere la mia origine e la mia fine . e non voglio imputridire dentro nessun terreno voglio che il vento mi trascini sempre >>
D Dopo questa prolissa introduzione , ne chiedo scusa ma non riesco ad uccidere o trasformare la mia loggorea ecco gli articoli in questione IL primo articolo è tratto dalla ormai consueta rubrica del lunedi la nuova sardegna 12\9\2005 ex miniera che diventerà ( speriamo il più presto possibile ) patrimonio dell'Unesco . IL secondo sempre dalla nuova sardegna del 11\9\05 ma dall'edizione di Olbia - Gallura si parla di una serie di manifestazioni a sostegno e per la raccolta di fondi per l’Auser del AUser concluse il 12\09\2005
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<< La cava dei bronzi di rame Gadoni, la miniera di Funtana Raminosa che vive come immersa nel passato adesso coltiva il sogno dell’Unesco Nella montagna si nasconde un esteso giacimento di metallo con il quale i nuragici hanno fuso i loro piccoli guerrieri >>
Il nome è poetico, da ode oraziana: Funtàna Raminòsa. Come quella letteraria di Bandusia è una sorgente che filtra tanta acqua fresca dai ghiacciai del Gennargentu. Ma questa è la montagna che nasconde anche un esteso giacimento di rame, il metallo col quale sono stati fusi i bronzetti nuragici e che ha battezzato la foresta incantata nel territorio di Gadoni. Oggi la Regione la vuol riportare - e ha in parte riportato - all’uso collettivo. Per ricordare come eravamo e come lavoravamo. Obiettivo: farne uno dei musei e una delle calamite più attraenti dell’archeologia industriale in Sardegna. Già oggi queste gallerie sono percorribili, messe in sicurezza. Attendono una cosa sola: i visitatori, gli studenti, i tecnici dell’ingegneria mineraria. Traguardo non proprio a portata di mano, ma da raggiungere costi quel che costi. È valore aggiunto per il turismo sardo. Ne parleremo più avanti. Un po’ di storia, per cominciare. Di questo tesoro si erano già accorti i primi invasori ed esploratori dell’Isola. Ne fanno fede la galleria Fenicia (negli atti ufficiali definita in francese, Phenicienne). C’è ovviamente la galleria romana (cantiere Sant’Eugenio) visto che almeno fin qui erano arrivati i centurioni e gli schiavi di Cesare e Pompeo. Ecco la galleria “Yvonne”, pare dal nome della bella moglie di uno dei direttori che si sono avvicendati da queste parti.
Una pagina di storia tanto antica quanto affascinante per gli intrecci politici, economici, industriali e scientifici che suscitava. C’è una “permissione” allo sfruttamento dei minerali “dell’incontrada di Belvì” risalente al 26 giugno del 1517: il primo a beneficiarne è un certo Pietro Xinto. La miniera continua a imporsi a livello internazionale dopo il 1880, prima con gli scavi attribuiti a un ingegnere piemontese, Vincenzo Ridi, poi - nel 1886 - a un altro professionista-industriale sassarese, Luigi Satta Manunta che segnala il ritrovamento al collega Emilio Jacob. Dai tecnici si passa presto ai finanzieri quando, nel 1912, è un avvocato d’Oltralpe, Paolo Guinebertière ad acquisire tutti i permessi rilasciati. Ed è questa una delle tappe da globalizzazione di Funtana Raminosa. Sotto terra lavorano più di duecento persone, Gadoni è un polo di attrazione, chi lavora in miniera è ritenuto un fortunato perché “almeno lo stipendio arriva a casa ogni mese”. Gadoni è la Ottana, la Sarroch, la Portotorres di fine Ottocento e del primo Novecento. Le “cattedrali” non erano nel deserto ma dentro le viscere della terra. Guinebertière esporta il rame sardo nel mondo, soprattutto nel Regno Unito e in America. Qui il rame di Gadoni, di Funtàna Raminòsa, trova il suo grande sponsor: il presidente degli Stati Uniti Herbert Clark Hoover che prima di mettere piede alla Casa Bianca bada ai suoi affari di imprenditore, di finanziere nato a West Branch nello Iowa e presto estende i suoi interessi specifici di ingegnere minerario nella City londinese e nella sua America. È Hoover che conia il motto “The business of America is business”, gli affari dell’America sono gli affari. E Hoover - prima che sull’America si abbatta la grande crisi del 1929 - fa affari davvero, col rame sardo macina dollari e sterline, è lui a dire che “Sardinian copper is excellent” perché è più puro di altri, è duttile, si presta a tanti tipi di lavorazione. In questi anni l’avvocato Guinebertière arriva ad esportare negli States 63 mila tonnellate di prodotto. Come oggi cambiano proprietà le banche e le aziende, anche allora mutavano le sigle industriali. Viene costituita la “Société Anonyme des Mines de Cuivre de Sardigne”. Ne parla nel 1937 Vincenzo Ravizza nel volume “La Funtana Raminosa” edito dalla “Premiata Scuola Tipografica Salesiana”.
Ne riferiscono in lungo e in largo le “Relazioni sul servizio minerario e statistico dell’industria estrattiva in Italia” redatto dal ministero dell’Industria e commercio fra il 1880 e il 1985 a cura del Poligrafico dello Stato.
E si ha notizia di tanti altri passaggi di mano. È lo stesso Ravizza, nel 1936, a sottrarre la miniera ai francesi e a costituire la “Società Anonima Funtana Raminosa” con investimenti negli impianti e in tecnologie estrattive. Le cose vanno bene per quattro anni fino a quando la società di Ravizza viene messa in liquidazione per passarne la gestione nel 1940 alla “Società Anonima Cogne-Raminosa”. È l’inizio della seconda guerra mondiale. I nuovi proprietari di Gadoni hanno ottime intenzioni, il rame sardo è molto richiesto dai mercati, funziona ancora l’effetto Hoover, vengono ordinati nuovi macchinari ad aziende tedesche. Ma la nave che li trasportava viene affondata da un siluro nelle acque del Mediterraneo.
Il resto è storia recente e cronaca. Il Boom industriale diventa declino. Nel 1950 le concessioni minerarie passano alla Cuprifera sarda. Ma l’interesse per gli impianti della Sardegna centrale ormai va scemando. Molte professionalità cambiano lavoro. Gadoni, da paese di immigrazione, diventa paese di emigrazione. A poco serve se nel 1973 arrivano le Partecipazioni statali. Ma un fatto positivo avviene (ed è ciò che non è successo nel Sulcis-Iglesiente): la miniera viene ristrutturata, messa in sicurezza, gli impianti salvati ed ecco il miracolo di oggi: la miniera può essere visitata. Funtana Raminosa è stata visitata, nei giorni scorsi, dai consiglieri del Parco geominerario accolti dal presidente dell’Igea Franco Manca, geologo di Carbonia e da un altro geologo, Roberto Sarritzu, cagliaritano, responsabile del servizio minerario e del monitoraggio delle falde. Ci sono il presidente Emilio Pani col nuovo direttore Luciano Ottelli, Ivano Iai (ministero dell’Istruzione), Francesca Segni Pulvirenti (ministero Beni culturali), Giampiero Pinna, Nicolino Rocca e Giancarlo Pusceddu (rappresentanti della Regione). È un viaggio nella presitoria, nella storia e nella cronaca. Perché si è ripetuto che i bronzetti nuragici sono fatti di rame e il rame utilizzato era proprio quello di Funtàna Raminòsa. Si possono vedere le gallerie, le centinature, i martelli perforatori e soprattutto i macchinari utilizzati per estrarre il metallo. Tra i consiglieri del Parco c’è un ingegnere minerario dell’Università di Cagliari, Marcello Ghiani. Sprizza felicità mostrando macchine dell’Atlas Copco impiegate dalla fase della frantumazione dei minerali per arrivare alla macinazione, flottazione e filtrazione.
Questo - dice Ghiani indicando un congegno - era un nastro trasportatore brandeggiabile, quello era un silos di alimentazione dei mulini a palle». E sono ancora visibili le “palle” di minerale, della dimensione di una pallina da tennis. Ai lati di un torrente detto Rio Saraxinus c’è la sala compressori. Qui si ingegnano due sorveglianti di Gadoni, Quinto Secci e Antonio Venier: fanno funzionare, esattamente come avveniva un secolo fa, un generatore elettrico alimentato dalle acque del torrente, c’è una grande ruota in ferro di almeno tre metri di diametro ed è trascinata da una cinghia di trasmissione in cuoio, il tutto per quell’acqua benedetta che scende ancora copiosa da questa boscosa montagna di incanto. Ora il silenzio diventa religioso perché tutti ammirano la cascata circolare interna alla miniera, le gocce sembrano fili d’argento illuminati sapientamente da fibre ottiche piccole come la punta di una penna biro. La magìa è quella del concerto d’acqua di Haydn. Franco Manca, presidente dell’Igea (Iniziative di gestione ambientale, 325 dipendenti in tutta l’Isola), fa notare “gli addensatori e i filtri per la disidratazione dei concentrati e le pompe per l’invio della torbida sterile al bacino di decantazione”. Un altro fabbricato multipiano: c’è il silos di alimentazione di un frantoio, qui arrivava il grezzo proveniente dai vari cantieri attraverso una ferrovia, la teleferica, mezzi gommati. Più avanti si separavano i minerali, in particolare la calcopirite, la blenda, la galena. Altra galleria, altra visione stupefacente. È la “Rampa Brebegargiu”, e così ci si rende conto dell’integrazione fra attività mineraria e bucolica con una galleria dedicata a sua maestà il pastore di pecore.Questa rampa - spiega Sarritzu - è l’ultimo importante scavo realizzato nella miniera che avrebbe dovuto riprendere l’attività estrattiva nel 1980». Così non è stato. Corsi e ricorsi industriali. Per cui dall’attività e dallo sfruttamento si passa all’archeologia. Qui ci sono macchinari unici al mondo. Vanno valorizzati, come fossero nuraghi moderni. E non è detto che questo trapasso non possa creare nuove forme di reddito. Nelle miniere francesi, austriache e tedesche è successo e succede da tempo. Ed è boom di visitatori con numeri che superano il mezzo milione annuo.
Gli antichi bacini minerari sono diventati culturali e turistici. Perché in Sardegna no? A quando i percorsi geominerari e ambientali dal Sulcis alla Nurra? Gadoni è un paese dell’interno, fa parte della Barbagia di Belvì e del Bim, bacino imbrifero montano del Flumendosa. Un villaggio ordinato, per terra è difficile trovare una cicca. Ogni madre di famiglia pulisce con cura il selciato davanti alla propria abitazione. “La strada è pubblica ma è anche l’ingresso della mia casa, perché non devo tenerlo pulito?”, dice una donna in via San Pietro, tra casette basse, finestrelle piccole, infissi in legno. Il finito edile detta legga sul non finito, fiori e piante da frutto. In piazza ci sono ancora gli alberi con le susine viola e gialle, sono dolcissime, gustose. Al paese si arriva percorrendo la statale 128, prima di Aritzo deviazione a destra, al bivio di Cossatzu, sei chilometri di curve fra castagni secolari e noccioleti. In fondo la vallata del Flumendosa verso i tacchi di Seulo e la punta di Bruncu Sa Scova. Ma il paese si spopola. Quando la miniera era in attività gli abitanti arrivavano a 1250, adesso sono meno di mille, alta percentuale di anziani. «Oggi viviamo di pensioni, la produttività è modesta», dice l’ex sindaco Nicolino Rocca, medico, consigliere d’amministrazione del Parco geominerario. Qualcosa si muove. Ma se la miniera, come è possibile, dovesse diventare davvero una calamita che attrae visitatori, molto resta da fare. Si sta formando una buona schiera di piccoli manager. Due i panifici: quello di Caterina Secci e Gisella Dessì, specialiste nel pistoccu di alta qualità, coccoi e pane bianco di semola. L’altro forno è di Monica Abis, cinque dipendenti, pane tradizionale e una larga offerta di dolci tipici. È in leggera ripresa l’artigianato con le botteghe di Antonello Moro, Davide Castangia (rientrato da Cesano Boscone dov’era emigrato in cerca di lavoro), Adriana Mura fa cornici e vassoi. Due ristoranti-trattoria (di Telemaco Pilia e Christian Moro) e i primi due Bed and breakfast di Mario Cocco e Carlo Polla. Albino Moro, figlio di “Momorettu” confeziona salumi, salsicce e prosciutti. Ottimi. E poi? E poi, dicevamo, le pensioni. Oggi sono molte le case abbandonate. L’idea condivisa un po’ da tutti è quella di risanarle rispettando i modelli urbanistici e trasformarle poi in albergo diffuso. Con una integrazione di reddito che andrebbe spalmato fra molti: “Daremmo intanto un volto sempre più ordinato al paese, crescerebbe il decoro urbano e potremmo essere in grado di far pernottare qui decine di visitatori”, dice Rocca. Certo, non può essere solo questa l’unica ricetta per far rinascere un paese al tramonto. Come in tutti i centri dell’interno occorre ridare vita all’artigianato, soprattutto a quello artistico, collegandolo al turismo integrato all’archeologia industriale, alla valorizzazione dell’ambiente. Ma è necessaria anche una nuova organizzazione turistica. E se questa, pur tra cento stenti è possibile, è molto più impegnativo creare animazione economica e competenza diffusa da Santa Teresa di Gallura a Sant’Anna Arresi. E poi, si chiede un gruppo di giovani al bar Zelig: «Perché venire a Gadoni percorrendo strade tracciate due secoli fa e rimaste immutate, solo con un nastro d’asfalto a ricoprire la massicciata del tempo che fu? L’isolamento non si argina anche con vie di comunicazione agevoli ?”. La materia prima per creare moderne forme di reddito non manca. Le nuove tecnologie collegano anche Gadoni a New York in tempo reale. Si studia più di prima, cresce il numero dei laureati. Ma sarà necessario trovare un altro presidente degli Stati Uniti che, come Hoover per il rame, sponsorizzi la Sardegna di dentro per la sua storia millenaria? È la sperata rivoluzione prossima ventura. Per l’Unesco le miniere abbandonate sono patrimonio dell’umanità. Sono zone con una marcia in più. Ma il motore va acceso presto.
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Ma quei mestieri sono da salvare Artigiani all’opera all’Auchan. Raccolta di fondi per l’Auser
OLBIA Oggetti intagliati nel legno, o specchi di legnoe pietra ( come questo nella foto tratta dal sito www.sardegnacreazioni.it)
centrotavola ricamati o all’uncinetto, strumenti per aggiustare gli orologi. Sono i simboli di alcune arti ormai in estinzione, incapaci di mantenere il passo con la concorrenza e con la tecnologia.
Ed è proprio il desiderio di non dimenticarle che ha ispirato la mostra inaugurata ieri nella galleria Auchan e aperta al pubblico per tutta la giornata di oggi che ospita alcune esposizioni di oggetti dell’antico artigianato; assenti gli artigiani della pasta e delle pelli per alcuni problemi organizzativi.
Nel mondo dell’artigianato ci sono tradizioni tramandate di padre in figlio: come il lavoro all’uncinetto e ai ferri che Vilma
Ghigliano apprese dalla nonna quando aveva sei anni. «E’ un’arte bellissima - spiega - che coltivo da tanto tempo. Mi rilassa, mi aiuta a dimenticare i brutti pensieri e poi mi da soddisfazione: con un po’ di impegno si riescono a fare dei lavori molto belli».Il rimpianto della signora Ghigliano è quella di non avere delle figlie alle quali insegnare quest’arte. «Per questo spero di riuscire a organizzare un corso di uncinetto all’interno dell’Auser: è un peccato che tradizioni come queste vadano perdute». Salvatore Pireddu, invece, incarna due arti ormai in via di estinzione: scalpellino per alcuni anni, in seguito a un incidente sul lavoro divenne orologiaio dopo aver seguito un corso in Svizzera. «Lo scalpellino è un mestiere che ancora esiste, ma in maniera completamente diversa - spiega -: noi eravamo dei taglia sassi e con le nostre mani e l’aiuto di piccoli strumenti modellavamo la dura pietra. Certo gli oggetti che realizzavamo non erano perfetti, ma in ognuno di essi c’era la nostra mente e il nostro cuore». L’uso delle macchine ha poi reso meno faticoso questo mestiere, ma secondo l’ex scalpellino lo ha privato dell’anima. Nella mostra all’Auchan, però, Salvatore Pireddu ha voluto esporre gli strumenti della sua seconda arte, quella dell’orologiaio, e una collezione di orologi e cronografi degli anni trenta e quaranta. «Era un lavoro di precisione - spiega l’ex orologiaio - che non esiste più, soppiantato dalla tecnologia e dalle produzioni giapponesi ».
In corso di riscrittura e di correzione dello sfasamento del template e degli eventuali errori d'ortografia mi sono accorto di aver dimenticato un articolo interessante che inizialmente ritenevo di scarso interesse , ma poi rillegendoli mi sono sembrati di notevole interesse e ho deciso di metterli che riguarda rubrica bi settimanale il silenzio e la parola sempre di lunedi della nuova sardegna tenuta da paolo Pillonca . Esso parla dello studio storico e filologico sulle origini del nome dela cittadina di Tortoli fatto dallo scrittore tortoliese il primo è una recensione -intervista , il secondo di una sua "£ biografia " .

«E proprio una passione e si accompagna alla curiosità di indagare i luoghi dove sono stato. A Oristano ho lavorato per nove anni e ne ho tratto il mio primo libro, ‘Temi sull’Oristanese’. Poi è venuto il lavoro sul mio paese natale e quello sul vino. Sono un sommelier».
-Perché un secondo libro su Tortolì?
«Il mio lavoro, nel 1991, è stato il primo a parlare della storia del paese, in assoluto. Il secondo completa in parte i libri di Virgilio Nonnis. Non siamo in concorrenza: Nonnis parla della gente di Tortolì che ha conosciuto e ne fa un quadro molto convincente, io completo la sua opera partendo dal periodo romano, con i due personaggi storici tortoliesi di cui è stato rinvenuto il congedo, i marinai della flotta del Miseno Numitorio Tarabone e suo figlio. Dopo la mia notizia, a Tarabone è stata dedicata una via. Questo è il primo tortoliese e quindi uno dei primi ogliastrini storicamente attestati. Siamo nel 187 dopo Cristo».
-Come fa a dire tortoliesi?
«O vi si erano stanziati con la flotta o sono tornati a Tortolì dopo il congedo. Se sono ritornati probabilmente erano ogliastrini, d’altra parte in Ogliastra sono stati ritrovati altri due diplomi di questo tipo, ma di marinai appartenenti ad altra flotta».
-Venendo a secoli più vicini a noi, cosa ha trovato?
«A parte il Medioevo, ho completato il quadro con le genealogie e con un censimento di fine 1700 dove sono riportate tutte le famiglie. Abbiamo un quadro di Tortolì al 1780 e possiamo conoscere tutti i ceppi familiari che vivevano nel mio paese in quel tempo. Partendo dal censimento, ho ricavato tutti quelli che sono arrivati a Tortolì dal 1780 al 1915, 135 anni di storia. Una curiostà: ho individuato il cognome forse più antico del mio paese, Murreli».
-Antico quanto?
«Quasi settecento anni».
-Andando per archivi, quali sono le difficoltà maggiori per un ricercatore?
«Non sempre si può cercare ciò che si desidera. Molte volte ci si deve basare solo sugli inventari, schedari, cataloghi e promemoria. Importanza notevole hanno i Quinque libri, i registri delle parrocchie. Per me il problema è stato che a Cagliari i Cinque libri dell’Ogliastra non ci sono».
-Il suo tempo libero dove va a finire?
«Negli ultimi due anni ho trascorso il sabato mattina all’Archivio di Stato, oltre che il martedì ed il giovedì pomeriggio, giorni di apertura serale. I pomeriggi domenicali li ho passati all’Archivio dei Mormoni sfogliando i registri anagrafici di Tortolì».
-Che c’entrano i Mormoni?”I Mormoni hanno microfilmato i registri anagrafici di tutto il mondo: con una semplice richiesta e il pagamento di circa tre euro si può far arrivare a Cagliari, in via Peretti, anche la bobina di Tortolì».
-Altre carte?
«Una fonte importante, la segreteria di Stato del periodo sabaudo. Vi si trovano molte informazioni. Inoltre i testamenti: non sono soltanto nell’archivio di Stato ma anche nei Cinque Libri. Io ne ho trovato uno di un notaio tortoliese del 1600».
-Quale diffusione, per i libri di storia locale?
«Il mio libro sull’Oristanese è stato acquistato a Oristano e provincia. Questo di Tortolì è in tutte le librerie, sta andando molto bene».
-Esiste una ricetta che favorisca il gradimento da parte dei lettori?
«Direi il carattere popolare. Scrivendo il primo libro mi ero posto proprio il problema di essere il più semplice possibile e nello stesso tempo di trasmettere il maggior numero di informazioni. La gente legge poco. Volevo dare la possibilità ai tortoliesi di leggere un libro: devo dire che ci sono riuscito».
-Come fa ad esserne sicuro?
«Il primo libro ha venduto più di duemila copie soltanto a Tortolì. Non sono poche. Con questo secondo sono entrato più in profondità negli argomenti ma ho cercato di conservare la semplicità di scrittura».
-Preferenze dei lettori?
«Sembrerà strano, ma gli alberi genealogici interessano moltissimo. Come pure i racconti dell’ultima parte, tratti da documenti dell’Archivio di Stato, dalle cause civili e penali. Un esempio è la storia di Efisia Cardia, una ragazza imprigionata dai genitori per quindici anni perché era rimasta incinta di un ragazzo di famiglia plebea all’inizio dell’Ottocento».
-Da chi era costituita due secoli fa la popolazione di Tortolì?
«Molti lavoratori delle campagne venivano da fuori, troviamo parecchi giardinieri di Barisardo e diversi pastori arzanesi. Pietro Ferreli di Arzana aveva il bestiame nella tanca di San Salvatore, poi si è fermato a Tortolì e ha dato origine al grande ceppo dei Ferreli tortoliesi: informazioni che dànno un’idea degli interscambi».
-I libri non si scrivono per far denaro. Quale può essere, allora, la gratificazione interiore per chi si dedica a questa passione?
«Il libro su Tortolì l’ho riletto almeno venti volte, ogni volta che lo rileggo è come se non l’avessi scritto io. La gratificazione? Aver dato la possibilità ai miei compaesani di leggere queste cose. Io sono innamorato del mio paese forse perché ne sono stato sradicato presto. La gratificazione è anche quella di aver visto la firma di mio nonno che non ho conosciuto perché è morto nel 1924. Durante l’elaborazione del libro ho vissuto un film in diretta, il migliore della mia vita».
-Che tiratura avete fatto?
«Mille copie. Il primo problema è coprire le spese. In questo lavoro è già intervenuta la Comunità Montana e la Provincia. Il presidente Piero Carta è stato molto sensibile».
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è nato a Tortolì nel 1953. Nella cittadina costiera ha vissuto fino all’età di 14 anni, «poi siccome in Ogliastra non c’era l’istituto dei ragionieri e stava nascendo l’industrializzazione, io avevo una zia a Macomer e sono andato a studiare nel centro del Marghine». Inizia una vita di spostamenti, lui la racconta così.«A Macomer mi avevano messo in una classe di pendolari, mi son trovato isolato anche perché a quell’età si sente il distacco dagli amici d’infanzia. Allora sono voluto andare via ed ho ripiegato su Nuoro dove mi sono diplomato, poi mi sono laureato a Cagliari in Economia e commercio. Qui mi sono fermato, con la parentesi del servizio militare: sono stato a Salerno, Napoli e Firenze che mi ha aiutato molto a crescere». Assunto come «addestrando per diventare funzionario della direzione generale della banca nazionale del lavoro», viene mandato a Verona come sede di prima assunzione. Prima di partire, da buon sardo, si era coperto le spalle «dando un altro concorso per avere la possibilità di rientrare in Sardegna». Il concorso riguardava le dogane ed era riservato ai laureati. Memore dei periodi trascorsi a Macomer e Nuoro, Albino Lepori volevo un posto di mare. «Sono stato chiamato alla dogana di Oristano, quando avevo già la casa a Cagliari. Per nove anni ho fatto il pendolare, Cagliari-Oristano-Cagliari. Nel 1989 finalmente sono rientrato a Cagliari dove ho prestato servizio alla dogana. Adesso, dal 1992, sono alla direzione regionale dell’agenzia delle dogane e mi occupo di contenzioso, faccio l’avvocato della dogana sarda, seguo i rapporti con l’avvocatura dello Stato, i procedimenti giudiziari e così via». Il rientro a Cagliari gli dà modo di frequentare «centri di consultazione che in altre città non ci sono, come l’archivio di Stato e la biblioteca universitaria». Luoghi molto importanti per l’ultimo libro su Tortolì ma anche per quello su Selegas. Racconta Lepori: «In pratica il libro su Selegas è servito come prototipo per poi fare il lavoro su Tortolì, che come argomenti si presta molto di più di un paesino come Selegas. Intanto, per Selegas, ho cominciato a sondare gli archivi, e quindi a non prendere cose scritte da altri ma a trovare notizie nuove ed elaborarle. Contemporaneamente scrivevo su alcune riviste: Quaderni Oristanesi, Il giornale della Trexenta, l’Ogliastra e Studi Ogliastrini».
Tra le scoperte cagliaritane, Albino Lepori ne privilegia una: «È stato molto proficuo l’incontro col Centro sardo studi genealogici, nel 1997: è veramente un’associazione fatta apposta per chi ama approfondire gli argomenti di cui stiamo parlando. È un gruppo composto da persone veramente serie e qualificate. Mi sono stati molto utili, mi hanno fatto crescere e dato consigli, abbiamo scambiato opinioni. Qui in questo lavoro infatti comincia ad esserci un abbozzo di genealogia. Anche il colloquio continuo con studiosi del livello di Lorenzo Del Piano, Marcello Lostia, Vittoria Del Piano, Francesco Floris, Pino Ledda e Sergio Serra mi aiuta ed incoraggia». Ma il pensiero finale di Lepori va «ad una persona molto importante che ha scritto su tutti i Comuni dell’Ogliastra, il canonico Flavio Cocco di Gairo Sant’Elena, un ricercatore infaticabile e metodico, di grande rigore intellettuale: per me è stato un vero caposcuola».
APPROFONDIMENTI
STORIA per informazioni sulle ex miniere della sardegna e sulla storia del movimento operaio sardo,le sue lotte,ecc . ; e questo altro qui sulla miniera dell'articolo http://tinyurl.com/apooj
LETTERATURA il figlio di bakunin di sergio Atzeni qui una lettura radiofonica e qui per trama del romanzo
SECONDO ARTICOLO
- artigianato sardo vendita e qacquisti
http://tinyurl.com/7gxgv http://tinyurl.com/e3s3m http://tinyurl.com/c8p2n










Chi lo ha detto che gli eroi sono solo quelli costruiti dai media o dal potere . In cui strumentalizzano ( indipendentemente dal colore politico \ ideologico sia chi relamente è erore copme i pompieri
storia di cui riporto qua l'articolo tratto da un giornale locale della mia regione purtroppo ( ormai come il 90% dei giornali online a pagamento ) che spesso vengono dimenticati o sminuiti dai media mentre altri vengono amplifiati per coprire scomode verità come quelle di un vero eroe
ex pescatore, cagliaritano ( foto a sinistra ) . Un piccolo eroe sconosciuto che non ha avuto l’onore della ribalta o la fortuna di vedersi riconosciuto pubblicamente il suo gesto audace e di coraggio. Sono passati circa dieci giorni da quell’incidente. I due stavano passeggiando sulla banchina troppo vicini all’acqua, quando la donna ha perso l’equilibrio ed è finita in mare. Angelo non ha perso tempo, si è gettato in suo aiuto e ha rischiato a sua volta di annegare nelle acque del porto. Solo la prontezza di un vigile del Fuoco del distaccamento del porto, Filippo Serreli, che a nuoto li ha riportati a terra, era riuscito a evitare il peggio. La donna si è ripresa subito, ma le condizioni dell’uomo erano invece apparse gravi. Una volta a terra, infatti, si era resa necessaria la respirazione bocca a bocca. Poi la corsa con l’ambulanza al San Giovanni di Dio, dove l’ex pescatore era giunto in stato di incoscienza. Quel tuffo in mare gli era costato un principio di annegamento. Non era la sua donna, quella ragazza. Solo una semplice conoscenza nata da una chiacchiera a passeggio tra le banchine del Molo Calata Darsena, a pochi metri dalla sua casupola. Del resto era fatto così Angelo Cao, 53 anni, cagliaritano. Aveva un pensiero gentile per tutti. E tutti lo rispettavano al porto: vigili, poliziotti, portuali. Graduati o persone comuni, come lui, che da qualche anno aveva scelto la vita del clochard, senza mai rompere del tutto il legame con la sua famiglia. Mercoledì, dieci giorni dopo quel tragico incidente Angelo è morto forse a causa di quella imprudenza che gli è costata la vita. Due giorni di rianimazione al san Giovanni di Dio, altri nove nel reparto di Patologia Medica, dove è sopraggiunta una broncopolmonite che se l’è portato via. A piangerlo sono accorsi in tanti ieri pomeriggio nella chiesa della Medaglia Miracolosa dove era nato e cresciuto assieme a due sorelle e un fratello. «Era troppo buono, e poi quel gesto eroico, ma i poveri muoiono così, dimenticati da tutti». Paolo, un cugino, ha gli occhi lucidi. E come lui tanti altri: la moglie, che ha accettato con rispetto la sua scelta di vita pur restandogli legata, la madre, i sei figli, quattordici anni il più piccolo, ventinove la più grande, gli amici e parenti. Commossi hanno voluto portargli l’ultimo saluto.Gente brava, dicono della famiglia nel quartiere. Qualcuno un po’ sfortunato. Anche il figlio maggiore, Roberto, che sta scontando al carcere di Is Arenas una condanna a pochi mesi, è riuscito a ottenere il permesso di partecipare ai funerali. «Ciao papino, fai da bravo», hanno gridato tra le lacrime le figlie, quando la salma ha lasciato la chiesa. «Era ben voluto da tutti al porto, Angelo e anche in famiglia - racconta uno zio - aveva un sorriso per tutti. Si era costruito la sua casupola di fronte alla caserma dei Vigili del Fuoco. Lì non dava fastidio a nessuno. Anzi si rendeva utile. Nessuno li lesinava un sorriso o una parola buona». Aveva scelto di vivere così, da clochard. Libero. Vicino ai pescherecci allineati lungo le banchine, piccole imbarcazioni con cui per anni è uscito in mare a pescare triglie e gamberoni. Se n’è andato in silenzio senza clamore né notorietà. Qualche bella corona di fiori adagiata sul carro funebre ed un lungo e sentito applauso ha accompagnato l’uscita della bara dalla chiesa. Come si conviene ad un vero piccolo eroe.
Man mano che guerdo i tg o leggo i giornali ( quotidiani e settimali ) m'accorgo che il discorso che fanno : Giulietto Chiesa ( foto prima foto a dfestra ) fondatore di
Lo so dovrei lasciare perdere e cestinare detterminate email , cosa che farò visto che la maggioranza sono di persone in malafede , e che dovrei seguire l'esempio dell'avvelenata di Guccini ( evito di riportare ie il link perchè è stato da me più volte riportato in questo blog e poi lo trovate fra le faq ) , ma non ci riesco . Sperando che questa sia l'ultima volta che debba mandare a .jpg)
della tv ( ovviamente cercando di evitare dele gneralizzazioni ) dei media (come le persone in malafede vedere
Il 10 agosto 2005, nel 60esimo anniversario del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, Turi, siciliano 52enne ex operaio della FIAT a Torino, e' entrato nella base militare di Woensdrecht, nel sud dell'Olanda, e con un martello di 15 chili ha distrutto due caccia-bombardieri militari F16. Turi e' ora in sciopero della fame, detenuto nel carcere olandese di Breda. Il 1 settembre, data della sua prima udienza in tribunale, Turi ha contestato l'imparzialita' del giudice facendo cosi' rinviare il processo di una settimana. Nel frattempo e' tenuto in isolamento e gli viene impedito anche l'incontro con il suo avvocato. Turi rivendica la tradizione dei '''Plowshares''', un gruppo di attivisti per la pace che si ispirano alla profezia biblica di Isaia "E sbatteranno le loro spade nei vomeri e non impareranno mai più la guerra". La stessa bibbia usata da Bush per benedire le crociate occidentali in medio oriente. Il martello usato per distruggere gli F16 proveniva da Assisi e secondo lo stesso Turi godeva della benedizione di San Francesco. 
si guadagnano con due mesi di stipendio da statale. Una cifra da ricchi. Con la sua valigia Iacob passa la frontiera, attraversa l’Ungheria e arriva a Roma. Con la nave va a Olbia poi raggiunge Oristano con il treno. «La persona per cui dovevo lavorare mi aveva pagato tutto il viaggio - spiega in un italiano stentato - e appena sono arrivato, il 12 luglio, ho cominciato subito ad accudire gli animali». Per Iacob inizia la vita del servo pastore. Nessun foglio da firmare, nessuna stretta di mano. Solo una zappa, il trattore e il mangime. Dalla mattina alla sera per sette settimane Iacob ha curato il bestiame e arato il terreno, ha sistemato la campagna e fatto tutto quello che gli veniva chiesto. L’unico intervallo sono i pasti e qualche sigaretta, regalata dal suo datore di lavoro. O quasi. Dopo un mese e mezzo Iacob non ha ancora ricevuto un soldo e chiede spiegazioni a Sebastiano, il «padrone» di cui il giovane conosce soltanto il nome. L’uomo risponde che la cifra è cambiata. I seicento euro sono diventati 350. Ma bisogna anche togliere le sigarette, altri cento euro in meno. Iacob, arrivato con un sogno in tasca, prova a insistere per essere pagato. Ma Sebastiano non vuole sentire ragioni. Prendere o lasciare. A lui non interessano le speranze di questo ragazzo che ha lasciato la famiglia per inseguire un sogno, non gli interessa neanche sapere che i genitori del giovane, ai quali lui vuole portare quel gigantesco stipendio promesso, sono la sua famiglia adottiva, perché Iacob fino a tre anni fa ha vissuto in un istituto. Il giovane rumeno capisce che la promessa è solo un inganno e prende l’unica decisione possibile: rimettersi in strada verso casa. Dato che non ha un soldo, accetta il passaggio di Sebastiano: l’uomo si offre di accompagnarlo fino a Olbia e pagargli il viaggio di rientro. «Non mi ha mai trattato male - continua Iacob -. Solo che non mi ha mai pagato». Lo dice con un sorriso triste, la delusione stampata sulla faccia. Anche perché la parte peggiore del suo racconto deve ancora arrivare. «Siamo arrivati al porto di Olbia - dice mentre cerca le parole giuste - e lì Sebastiano mi ha detto di aspettare un attimo: doveva guardare gli orari delle partenze». E invece è stato lui a prendere il largo. Dopo avere scaricato Iacob nel bel mezzo del porto, è rientrato in macchina e ha ripreso la via di casa. Il pastore, dopo avere sfruttato per settimane il lavoro di un giovane straniero, l’ha lasciato su una strada, senza pagargli nulla di quello che aveva guadagnato con più di un mese di lavoro. E infrangendo anche quell’ultima promessa di un biglietto verso Civitavecchia per rientrare in Romania.A Olbia non ho mangiato per quattro giorni - dice quasi con imbarazzo -, poi ho trovato la Caritas e per due volte mi hanno dato il pranzo. E di notte ho dormito su un camion che era parcheggiato lì». Iacob, privo di documenti, gioca quella che pensa sia l’ultima carta: andare dai carabinieri per essere rispedito a casa. «Mi hanno detto che dovevo chiamare un amico per poter rientrare in Romania, ma io non avevo soldi per telefonare». Una motivazione che non ha smosso nessun animo: «Sono stati chiari: “Trova una persona, oppure tra due giorni ti facciamo così”» spiega mettendo i due polsi uno vicino all’altro. Iacob prova a rivolgersi a un rumeno che vende fazzoletti a un semaforo di Olbia. Il connazionale gli consiglia di andare a Sassari, «perché i tempi per l’espulsione sono più brevi» gli dice. «Ho chiesto un passaggio a qualche automobilista ma le persone volevano soldi». Al giovane non resta che mettersi in cammino. Qualcuno gli ha detto che le due città distano poco più di una decina di chilometri, al massimo dodici. Non immagina che siano più di cento. E così venerdì scorso questo piccolo Forrest Gump in versione rumena inizia l’ennesimo viaggio a bordo delle sue scarpe. Ma a differenza del protagonista del film di Robert Zemeckis, Iacob sa perfettamente perché lo fa: vuole tornare a casa, scappare da questa spirale che l’ha intrappolato in un posto sconosciuto e senza neanche un soldo per comprarsi qualcosa da mangiare. «Venerdì ho fatto sessanta chilometri a piedi e poi ho dormito in un campo» racconta. Sabato ha ripreso il cammino «anche se qualche volta mi fermavo, mi facevano male i piedi». Dita e talloni sono ridotti a carne viva, ma Iacob non ha scelta, deve arrivare a Sassari se vuole uscire da questo incubo. A quindici chilometri dalla meta, per strada, incrocia un pullman in arrivo da Olbia. Lo guida lo stesso conducente che l’aveva visto incamminarsi dal porto. «Si è fermato e mi ha accompagnato fino alla città». Qui Jacob dorme su una panchina della stazione, non riesce più a muovere un passo. Una persona lo nota e, sentita la sua storia, si offre di portarlo a mangiare qualcosa «ma io non potevo muovermi». All’uomo basta un’occhiata ai piedi per capire che Iacob ha bisogno di cure. Lo porta immediatamente al pronto soccorso. Quando parla di questi piccoli gesti lo sguardo si illumina. E viene fuori un piccolo sorriso: «Anche qui in ospedale sono stati gentili. Mi hanno anche regalato un paio di scarpe». A Sassari finalmente ha saputo che potrà rientrare nel suo paese. Forse già domani, con i piedi fasciati e un sogno ridotto a brandelli, ripartirà verso casa. In tutto questo tempo ha sentito i suoi familiari solo una volta. «Mi è dispiaciuto sentirli piangere ma ora tornerò a casa». È risoluto e felice, questo ragazzo, che il 30 agosto, mentre dormiva per strada, ha trascorso il suo ventesimo compleanno lontano da tutto. La convinzione in questo momento è una sola: «Non tornerò mai più qui. Voglio andare dalla mia famiglia, rivedere i miei amici. Volevo lavorare e guadagnare un po’ di soldi. Adesso voglio solo ripartire».