"Ogni somiglianza tra il dittatore Hynkel e il barbiere ebreo è puramente casuale". Con questo cartello inizia Il grande dittatore, il capolavoro di Charlie Chaplin che torna nelle sale italiane (una settantina di copie sparse per l'Italia, privilegiando i cinema di provincia) l'11 gennaio in versione restaurata e originale (e contemporaneamente in dvd) a 75 anni dalla sua prima uscita (New York, 15 ottobre 1940). Un cartello che può sembrare la prima battuta di un film comico, ma che in realtà rivela il senso profondo che il regista inglese dava a quel suo film tormentato, osteggiato, boicottato ma voluto profondamente. Il dittatore Hynkel è Adolf Hitler, il barbiere ebreo è Charlot. "Io non sono ebreo, ma il fatto di prendersela con una minoranza mi sta più a cuore dell’ideologia, più del movimento dei lavoratori, più di qualunque cosa - diceva Chaplin nel 1948, nel corso di un lungo interrogatorio desecretato dall'FBI alla fine degli anni Ottanta - Io non appartengo a gruppi, partiti o fazioni, non credo nel nazionalismo, mi considero un uomo e un artista libero, e soprattutto un cittadino del mondo".
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Nel 1936 la stampa satirica si concentrò sulla somiglianza tra i baffi di Chaplin e Hitler, vero motivo che avrebbe spinto il Führer a mettere al bando "Tempi moderni"
4 giorni e un abisso: Chaplin vs. Hitler. Quattro sono i giorni che separano le date di nascita di Charles Chaplin (16 aprile 1889) e Adolf Hitler (20 aprile dello stesso anno). Da un lato, l'attore più celebre del mondo, dall'altro lato, il dittatore che ha incarnato l’idea stessa del male nel mondo. Ma molti altri sono gli aspetti che li accumunavano, non soltanto la data di nascita, non soltanto quei baffetti di scena che pare fossero il vero motivo per cui Hitler avesse messo al bando Tempi moderni e che facevano sostenere a Chaplin: "Mi ha rubato i baffi!". I vignettisti dell'epoca avevano sottolineato le due diverse "carriere" con ironia, mentre Hitler veniva bandito dall'Accademia d'Arte di Vienna, Chaplin dopo aver avuto successo a teatro, essersi trasferito a Hollywood a 24 anni è già famoso e pochi anni dopo fonda la sua casa di produzione; a 24 anni dopo aver fallito in tutto invece Hitler si dà alla politica e scrive "Mein Kampf"; Chaplin conquista il pubblico con La febbre dell'oro, produce Luci della città, Hitler nel 1939 attacca la Polonia, Chaplin dichiara guerra a Hitler. Hitler: il più grande errore della storia, Chaplin il più grande divertimento al cinema, conclude il vignettista.
Un té con Einstein. Pensare che Il grande dittatore sia una dichiarazione di guerra a Hitler per motivi di "baffetti" fa ridere, ma ovviamente non rende la statura del personaggio. La genesi di questa opera, atto di guerra ad un uomo che è un appello di pace al mondo, ha radici molto lontane fin dal 1931, quando durante un tour europeo Chaplin fu invitato a prendere un té a casa di Albert Einstein di cui il regista era un grande ammiratore. Da quello che si legge nel diario di viaggio l'incontro fu per Chaplin un'occasione per sviluppare il suo interesse per la materia socio-economica che avrebbe poi raccontata in Tempi moderni. Nel discorso finale del Dittatore, quel climax che sancisce il definitivo passaggio dal muto al parlato per Chaplin (Tempi moderni era solo cantato con la sequenza finale della Titina), riecheggiano gli scritti e i discorsi pubblici di Einstein a partire da quello storico del 1930 in cui lo scienziato parlò a milioni di ascoltatori in occasione dell'inaugurazione del Radio Show a Berlino: "La radio ha compiuto una funzione speciale e unica per riconciliare i popoli. Sta alla gente ora cercare di conoscersi l'un l'altro con l'aiuto dello specchio distorto della stampa quotidiana" diceva Einstein.
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Dall'11 gennaio, la Cineteca di Bologna porta in sala e contemporaneamente in DVD il nuovo restauro di "The Great Dictator – Il grande dittatore", nell'ambito del progetto di distribuzione deiclassici restaurati Il Cinema Ritrovato. E quel messaggio di pace, vivo oggi più che mai, verrà ascoltato dalla vera voce di CharlesChaplin: il film infatti sarà distribuito nella versione originale inglese con sottotitoli italiani.
Dittatori: da Napoleone a Hitler. L'humus filosofico, politico e sociale de Il grande dittatore ha radici lontane ma anche l'idea comica, il meccanismo cinematografico dello scambio di persona che sta alla base del film, il barbiere ebreo in tutto e per tutto identico al dittatore, che finisce per sbaglio a parlare alla nazione e a dire ciò che il suo cuore gli detta, era nella mente di Chaplin da tanto tempo. Era stato il regista e produttore Alexander Korda a suggerirgli una commedia sui dittatori basata sul vecchio escamotage dello scambio in stile "ricco e povero", in un primo tempo Chaplin aveva pensato a Napoleone che, esiliato a Sant'Elena, veniva sostituito da un sosia per rientrare in Francia poi però fu proprio la stampa (e i vignettisti satirici in particolare) a suscitare l'idea dal momento che ironizzavano sulla somiglianza tra Charlot e il Fuhrer già dal 1933. E così il 12 novembre 1938, tre giorni dopo la Notte dei cristalli, Chaplin fece richiesta di depositare il titolo The Dictator alla Library of Congress. Il regista era perfettamente consapevole dell'impresa che andava affrontando: era pronto ad investire personalmente due milioni di dollari nel progetto e, consapevole che in molti paesi in Europa e America Latina il film sarebbe stato proibito, aveva deciso di distribuirlo in modo autonomo e fuori dai circuiti commerciali (senza però poi rinunciare ad una serie di gadget e decorazioni a tema per le sale palloncini, stendardi e striscioni con la doppia croce oltre alle maschere del Fuhrer Hynkel). La mattina del 9 settembre 1939, otto giorni dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Chaplin batté il primo ciak del film sul set del ghetto. Chaplin ebbe poi modo di dire che se avesse conosciuto l'orrore dei campi di concentramento non avrebbe realizzato il film, anche perché in una prima versione nel campo si svolgeva gran parte della storia, alcune delle sequenze poi non furono montate. Il regista scriveva "nel campo il piccolo Ebreo incontra persone stupende: i migliori musicisti, attori, scienziati. Sono tutti terribilmente abbattuti, ma non lui, che invece prende le cose come vengono".
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Il Barbiere e il Comandante Schultz (Reginald Gardiner) in una scena ambientata nel campo di concentramento eliminata dal montaggio finale
Tra censura e autocensura, la vita del Dittatore in Italia. Il film, che negli Stati Uniti rimase in cartellone per quindici settimane diventando uno dei più grossi successi commerciali di Chaplin, naturalmente ha avuto una vita travagliata nel nostro paese. Uscito verso la fine della guerra in una versione con didascalie fu un mezzo flop, Chaplin tentò di farlo arrivare nei cinema nuovamente nel 1960, ma fu bloccato dalla censura (temevano che i neofascisti che avevano attaccato le sale dove si proiettava Il generale della Rovere assaltassero le sale). Soltanto nel 1972, sulla scia dell'Oscar alla carriera a Chaplin e del Leone d'oro che la Mostra del cinema di Venezia per l'insieme della sua opera, il film riuscì nel nostro paese doppiato da Oreste Lionello con un buon incasso. Ma il film rispetto all'originale mancava di cinque minuti ovvero la scena di Hynkel che balla con la moglie di Napoloni, decisione che fu presa per rispetto ne confronti di Donna Rachele che era ancopra viva. Oggi il film torna nelle sale italiane esattamente come il suo regista lo aveva concepito e nella sua lingua originale.
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Dall'11 gennaio in sala nella versione restaurata e originale il capolavoro di Charlie Chaplin, messaggio di pace che 75 anni dopo è ancora attuale. Un progetto complesso, osteggiato anche negli Stati Uniti, complesso dal punto di vista cinematografico, completamente scritto e pianificato per la prima volta nella storia del regista. Spazio all'improvvisazione venne dato solo in due scene, due vere e proprie danze: la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms e quella di Hynkel alle prese con il mappamondo.
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Dall'11 gennaio in sala nella versione restaurata e originale il capolavoro di Charlie Chaplin, messaggio di pace che 75 anni dopo è ancora attuale. Un progetto complesso, osteggiato anche negli Stati Uniti, complesso dal punto di vista cinematografico, completamente scritto e pianificato per la prima volta nella storia del regista. Spazio all'improvvisazione venne dato solo in due scene, due vere e proprie danze: la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms e quella di Hynkel alle prese con il mappamondo.
La recensione di George Orwell. "Viviamo in un’epoca in cui la democrazia sta progressivamente scomparendo, il mondo è messo in scacco da dei ‘superuomini’, il concetto di libertà ci viene spiegato da capo e i "pacifisti" trovano argomentazioni per giustificare il rastrellamento degli ebrei. Nonostante tutto ciò, l’uomo comune si affida con fiducia e ostinazione ai principi in cui crede (evidentemente di matrice cristiana). L’uomo comune è più saggio dell’intellettuale, allo stesso modo in cui l’animale è più saggio dell’uomo. Qualunque intellettuale sarebbe in grado di imbastire un’incrollabile argomentazione a favore della soppressione del sindacato tedesco e della tortura degli ebrei. Ma l'uomo comune, che non è guidato dall’intelletto, che è dotato solo di istinto e tradizione, sa che "non è giusto". Più che nell’invenzione comica, credo che il fascino di Chaplin risieda nella sua capacità di riaffermare la verità – soffocata dal Fascismo e anche, ironia della sorte, dal Socialismo – che vox populi e vox Dei sono la stessa cosa, e che i giganti sono spesso delle carogne. (Time and Tide, 21 dicmbre 1940)