5.6.17

kevin il ragazzo cinese ferito a tlorino durante juve -real salvato dall'intervento di un africano e Piazza San Carlo: ristorante accoglie feriti. Una cliente si lamenta perché le «hanno rovinato la cena» e se ne va senza pagare

tra le  tante stolrie   dei fatti  torino  la  stampaufficiale  ignora   storie  come  queste  considerandole banali. Oppure   le riporta  in modo incompleto e fazioso  . Ad  esempio  si parla  tanto del  banmino cinese  (  meglio italo \ cinese  visto che lotta  tra  la  vita  e la morte   è stato  salvato  da un africano






pubblicato il 5 giugno 2017 alle ore 15:07



Mohamed, 20 anni lavora come bodyguard nei locali della movida torinese. E' lui che sabato notte ha impedito che Kevin, il bambino cinese di 7 anni ricoverato in gravissime condizioni, fosse travolto e ucciso dalla gente in fuga. "Avevo una gran paura di morire, ma non me la sono sentita di lasciarlo lì"

Infatti 


La sorella: «Siamo caduti entrambi, non riuscivamo più a rialzarci. Io provavo a gridare, ma non mi sentivano.» Il bimbo è tra i feriti più gravi.E’ la storia del sogno che si tramuta in incubo. Kevin, un bambino di soli sette anni, che era andato ad assistere alla partita della squadra del suo cuore, è oggi tra i feriti più gravi di Torino.
Il bambino, di origine cinese, è una delle tre persone che ha riportato le ferite più gravi in seguito al falso allarme bomba scoppiato in piazza San Carlo a Torino la sera del 3 giugno, mentre si stava disputando la sfida tra Juventuse Real Madrid per la finale di Champions League. Era andato lì accompagnato dalla sorella ventenne, quando è scoppiato il pandemonio sono stati travolti dal mare di gente.

torino bimbo cinese
«All’improvviso si sono messi tutti a correre. Erano così tante persone. Non c’è stato nulla da fare, erano più forti di noi: siamo caduti entrambi. Non riuscivamo più a rialzarci.»
Queste le parole della giovane ragazza, dopo gli attimi di terrore in cui ha creduto di perdere per sempre il suo fratellino. La piazza era gremita di gente in pieno delirio, le ultime stime parlano di almeno 30mila tifosi. Le persone correvano, ma nessuno sembrava accorgersi dei due ragazzi in terra e del bambino che rischiava di essere, letteralmente, schiacciato a morte.
«Kevin era per terra, con tutti che lo pestavano e gli passavano sopra con il loro peso. Io provavo a gridare, ma non mi sentivano. Per fortuna un ragazzo di colore si è accorto che lì sotto c’era un bambino. Si è tuffato tra la folla ed è riuscito a prenderlo ed a tirarlo su. Era molto muscoloso e con il suo corpo è riuscito a fargli scudo. Se non fosse stato per lui, mio fratello sarebbe morto. Vorremmo tanto poterlo ringraziare.»
Continua così il racconto della sorella della vittima. Il coraggioso soccorritore ha subito portato entrambi in un luogo sicuro. Ad aiutarlo anche un altro uomo, un signore italiano. Entrambi hanno
Continua così il racconto della sorella della vittima. Il coraggioso soccorritore ha subito portato entrambi in un luogo sicuro. Ad aiutarlo anche un altro uomo, un signore italiano. Entrambi hanno condotto i ragazzi, feriti e spaventati, in ospedale.
«Ci hanno portati prima al Mauriziano poi, visto che mio fratello era molto grave, lo hanno trasferito al regina Margherita, l’ospedale pediatrico di Torino.»  ( continua  qui  .  
http://www.lineapress.it/la-storia-kevin-salvato-un-uomo-colore-lunico-si-accorto-del-bimbo-calpestato-lotta-la-vita-la-morte/  ) 

  

Un  fatto  che <<  serva da lezione. Proprio nella città che vede vomitare insulti razzisti ogni domenica nel proprio stadio spunta una bellissima storia di amore per il prossimo e fratellanza. [..]>> (  da  http://www.calcionapoli24.it/ più precisamente  qui 



Mentre  finisoc   questa  storia  eccone  un altra   più  brutta   da http://www.giornalettismo.com/archives/2219112/piazza-san-carlo-ristorante-accoglie-feriti-una-cliente-si-lamenta-perche-le-hanno-rovinato-la-cena/

Il racconto della Pastry Chef Elena Wendy Bosca: «Hanno preteso di non pagare il conto e se ne sono andati via»

Elena Wendy Bosca in shock a Torino.
3 giugno alle ore 13:14VI PREGO DI LEGGERE QUESTE RIGHE.
FINO IN FONDO.
E RIFLETTERE!!!
Questa sera sono andata con Michele e una coppia di amici a cenare nel ristorante La Smarrita. Proprio dietro a Piazza San Carlo a Torino.Una serata deliziosa e cibo buonissimo.Purtroppo però, in Piazza San Carlo, si scatena l'inferno.Un falso allarme bomba e tutte le persone che erano in piazza si riversano nelle vie e molti ragazzi spaventati e feriti entrano nel ristorante in cerca di riparo.Subito lo staff del ristorante, compreso lo chef, si sono prodigati per aiutare tutti con incredibile professionalità.Ma è successo qualcosa di veramente schifoso.
Una coppia che cenava nel ristorante in un'altra sala è stata fatta accomodare nella sala in cui stavamo cenando noi per poter fare spazio ai ragazzi bisognosi. 
Il cameriere, gentilmente, fa accomodare la coppia e spiega loro cosa fosse successo in piazza. 
La donna lo interrompe subito, seccata del fatto che fosse stata fatta spostare, dicendo: "non me lo dica. Non mi interessa"Il cameriere con imbarazzo se ne va.La coppia, dopo poco si alza e la donna, uscendo, si lamenta fortemente con lo staff (che stava prestando i primi soccorsi ai ragazzi) perché le è stata rovinata la cena e che avrebbe scritto una recensione negativa perché il trambusto le aveva rovinato la serata.Hanno preteso di non pagare il conto e se ne sono andati via.Io in quel momento ero a tranquillizzare una ragazza che aveva perso la borsa e il cellulare.E meno male!!! Perché non so come avrei reagito !!! MA SIAMO DIVENTATI DAVVERO COSÌ SCHIFOSI ?????MA CHE RAZZA DI PERSONE SONO QUESTE !!!????Spero davvero che qualcuno legga questo post e possa capire di.chi sto parlando e aiutarmi a dare un nome a quella donna schifosa !O per lo.meno, tragga insegnamento da questa triste situazione... #schifata
P.s.
Un enorme e sincero applauso allo chef Matteo Chiaudrero e a tutto il suo staff per essere stati impeccabili e hanno subito messo a disposizione tutte le loro risorse per aiutare i ragazzi.
Sta diventando virale un post della Pastry Chef Elena Wendy Bosca che era presente ieri in un ristorante a piazza San Carlo, Torino. Il ristorante in cui Elena si trovava come cliente, “La Smarrita”, ha accolto i primi feriti mentre fuori regnava ancora il caos. «Subito lo staff del ristorante, compreso lo chef, si sono prodigati per aiutare tutti con incredibile professionalità. Ma è successo qualcosa di veramente schifoso», spiega. «Una coppia che cenava nel ristorante in un’altra sala – ha aggiunto Elena – è stata fatta accomodare nella sala in cui stavamo cenando noi per poter fare spazio ai ragazzi bisognosi. Il cameriere, gentilmente, fa accomodare la coppia e spiega loro cosa fosse successo in piazza. La donna lo interrompe subito, seccata del fatto che fosse stata fatta spostare, dicendo: “non me lo dica. Non mi interessa”. Il cameriere con imbarazzo se ne va». La coppia – spiega la chef – si è lamentata fortemente con lo staff e ha preteso di non pagare il conto per via della «cena rovinata». La signora in questione avrebbe minacciato il gestore di fare una recensione negativa per il trambusto le aveva rovinato la serata. «Io in quel momento – spiega Elena – ero a tranquillizzare una ragazza che aveva perso la borsa e il cellulare. E meno male!!! Perché non so come avrei reagito».
Il post della cake designer torinese sta diventando virale.




In tanti aspettano che la cliente in questione recensisca negativamente il ristorante in questione su TripAdvisor, in modo tale che, paradossalmente, riveli così la sua identità.

I miei complimenti vanno al personale del ristorante per l'aiuto prestato alle persone in diffcolta  c'è gente   ,  leggevo  oggi su repubblica  che visto locali che chiudevano le porte in faccia alle persone che avevano bisogno di aiuto.  ed che   dovevano  tirare  le sedie  contro  le serrande  per   farsi apriere  e chiedere aiuto  
  concludo     concordando e  provando le  suie stesse   emozioni   con  

Antonella Maiello Questi sono gli esempi REALI che al mondo esiste gente di merda. Mi vergogno che elementi così abbiano la mia stessa nazionalità.

condotto i ragazzi, feriti e spaventati, in ospedale.

piccoli e quotidiani stratagemmi per riempire il tempo infinito del suo ragazzone autistico e ragazzi\e speciali











la prima storia




è tratta da diversi siti trovati in tìrete in particolare da http://news.leonardo.it/achille-il-ragazzo-autistico-che-insegna-inglese-ai-bimbi/ è risale al giugno del 2017
















Achille, il ragazzo autistico che insegna inglese ai bimbi

DI FABIO GIUFFRIDA, 5 GIUGNO 2017



Ha 18 anni Achille, un ragazzo autistico che insegna inglese ai bambini, due quarte elementari, che lo attendono con ansia ad ogni lezione. Al lavoro si presenta sempre in giacca e pantaloni blu, come riporta il Corriere.it. A stupire è che il giovane abbia appreso l’inglese da solo, senza alcun corso: il suo amore per le lingue è stato determinante e gli ha consentito di diventare un vero e proprio “teacher” temutissimo dai suoi piccoli alunni. Achille, tra l’altro, ha perfezionato l’inglese guardando video su internet e ripetendo le frasi con grande costanza e determinazione.Il ragazzo autistico che ha appreso le lingue su internet
“La prima volta che Achille è venuto a fare lezione non avevamo detto loro che aveva l’autismo: non se ne sono accorti e non hanno colto le sue difficoltà sociali. Poi abbiamo lavorato per sensibilizzarli su chi è un “fuori classe”. Abbiamo già un altro appuntamento per l’anno prossimo” ha dichiarato una delle insegnanti, entusiasta per il progetto che ha portato un giovane autistico ad insegnare inglese.nico, sta partecipando all’alternanza scuola-lavoro ed è affetto da disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento. Ha un quoziente di intelligenza alto, 111 sulla scala non verbale



e  dal  corriere ella sera
LA STORIA

Achille, il ragazzo autistico
che insegna inglese ai bambini
Modena, il 18enne insegna alle primarie. «Ho imparato su YouTube»


di Elena Tebano








I bambini, due quarte elementari, sono tutti sulle spine: qualcuno fa addirittura fatica a stare seduto. Achille Missiroli, elegantissimo in giacca e pantaloni blu, aspetta nascosto dietro una porta. Poi avanza fino al centro dell’aula di fronte alla cattedra, appoggia il libro illustrato su un leggio e inizia a declamare, la pronuncia perfetta: «Alice was sitting by the river». Accompagnandosi con un gesto delle mani descrive, sempre in inglese, il coniglio bianco dagli occhi rosa e il salto di Alice nella tana che la condurrà nel Paese delle Meraviglie.

Alla scuola primaria Nicola Pisano di Modena si fa lezione di lingue. Niente di strano se non fosse che l’insegnante, Achille, è un ragazzo autistico di 18 anni che ha perfezionato da solo l’inglese guardando e riguardano video su Internet e ripetendone le frasi. È già la terza volta che tiene una lettura nell’istituto e il giorno dopo lo aspetta un’altra scuola.

Le domande dei bimbi


Quando Achille pronuncia le parole conclusive del racconto: «That’s it! That’s the End», un’ondata di eccitazione percorre tutta la sala. «Adesso avrei qualche domanda in inglese per voi» dice ai bambini. «Anche noi!» rispondono loro in coro. E immediatamente si alza una selva di mani. Lo scambio prosegue in lingua.

«What’s your favourite machine?» chiede uno degli scolari. «Machine? You mean your favourite car!» lo corregge Achille. «Lamborghini!» aggiunge poi accolto da un’ovazione carica di orgoglio emiliano. E ancora (sempre in inglese): «Ti piace più Alice grande o quella piccola?» domanda una bimba riferendosi alla parte della storia in cui la protagonista cambia dimensioni. «Né grande né piccola — ribatte lui — ma quella della dimensione giusta». L’entusiasmo è difficile da contenere e ogni tanto le maestre devono richiamare all’ordine le classi.




Il progetto


«Il fatto di relazionarsi con lui e di esprimersi in inglese li stimola moltissimo — dice una delle insegnanti, Anna Maria Morselli, 52 anni —. La prima volta che Achille è venuto a far lezione non avevamo detto loro che aveva l’autismo: non se ne sono accorti e non hanno colto le sue difficoltà sociali. Poi abbiamo lavorato per sensibilizzarli su chi è un “fuori classe”. Abbiamo già un altro appuntamento per l’anno prossimo».

Dietro alle letture nelle scuole c’è quella che Achille, chiedendo di farle «un applauso» , definisce «la mia collega» («senza di lei non avrei mai fatto questa esperienza», spiega): Marcella Vaccari, 47 anni, l’educatrice specializzata nel lavoro con bambini autistici assunta dalla sua famiglia, che si è inventata il «Progetto fuoriclasse» (appunto) per permettere ad Achille, che frequenta la quinta di un istituto tecnico, di partecipare all’alternanza scuola-lavoro prevista per gli studenti italiani.

Le abilità di Achille


«Quello che abbiamo fatto è puntare sulla sua abilità, invece che partire da una disabilità — dice —: Achille è affetto da disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, ha un quoziente di intelligenza alto, 111 sulla scala non verbale, ma ha difficoltà per quanto riguarda l’autonomia e le capacità relazionali». L’autismo infatti limita soprattutto le interazioni sociali e le persone che ne sono affette faticano a riconoscere le emozioni di chi li circonda. Le letture nelle scuole elementari stanno aiutando anche lui: «Con i bambini crea una relazione vera, che gestisce lui — aggiunge l’educatrice —: a volte ha bisogno del mio aiuto, ma “tenere” due classi è complicato per tutti. Abbiamo solo dovuto prepararci un po’ prima — aggiunge Vaccari — perché Achille di solito dice molte parolacce e con i bimbi non va bene».

Recitare è la vera passione di questo ragazzo e la sua chiave di accesso agli altri: per parlare prende in prestito le frasi dei film che vede, il timbro impostato da anni di corsi di teatro. È così bravo a replicare voci e toni che uno studio di Milano, l’Adc, lo ha selezionato per doppiare uno spot pubblicitario. Ora ha un sogno: che diventi un lavoro. «Se fai una cosa e la sai fare bene, mai farla gratis», declama.

Intanto una ricompensa, a fine lezione, gli arriva dai bambini della scuola Pisano: una coppa fatta incidere apposta per lui. I bimbi lo abbracciano e Achille la mostra con il sorriso più grande del mondo. C’è scritto «Best teacher».




l  seconda    invece  da www.pernoiautistici.com/2015/10/un-autistico-tra-gli-italici-marmi/

Irene, che non si ferma mai, ci racconta qualcuno dei piccoli e quotidiani stratagemmi per riempire il tempo infinito del suo ragazzone autistico. Quando si trova una “personal trainer” appassionata è già un bel respiro di sollievo…Già ma la giornata è lunga e l’ autistico non può restare inattivo e quindi minuto dopo minuto qualcosa ci inventeremo! Intanto i volitivi giganti di marmorea italica stirpe guardano invidiosi…Lui è silenzioso come loro, ma almeno si muove quelli invece, pur forgiati di olimpica possanza, restano irrigiditi nel tempo che fu.


TOMMASO ACROBATICO

Vi ho già parlato della propensione di Tommaso verso le attività all’aria aperta. Da più di 17 anni Tommy ha una “personal trainer”, Antonella con la quale va allo Stadio dei Marmi o zone limitrofe quando le onnipresenti partite ne impediscono l’accesso, per 1 ora e mezza di esercizi. Non è un passatempo, ma una vera e propria palestra sia dal punto di vista sportivo che di vita. In tutti questi anni la preziosa Antonella ha insegnato a Tommaso non solo a fare cose che fa un vero atleta, come ha confermato guardandoli lavorare il “signor Mauro” funzionario del CONI diventato amico dei due, ma anche cose di utilità quotidiana come abbottonare e sbottonare, grazie ad una “bottoniera” da me copiata da materiali montessoriani, giochi e attività che richiedono l’uso dei movimenti fini che spesso per un autistico sono impossibili o sembrano tali.
La prima volta che ho assistito ad una “lezione” ho pensato che il bambino biondo che stava facendo le flessioni o che saliva e scendeva le scale a comando non fosse mio figlio, ma un altro bambino e tutte le persone che negli anni hanno visto lavorare i due non sono rimasti indifferenti. Antonella non è una persona “specializzata” nei rapporti con i disabili, è semplicemente una donna molto in gamba che ha lavorato per anni nel settore dello sport e che ha da subito instaurato con Tommaso un rapporto di fiducia basato anche su un sano “bastone e carota” che è passato attraverso vari stadi, ma senza mai demordere da parte di entrambi. Tra i due si è creato un feeling cha ha portato nel tempo a grandi risultati come potete vedere dalle foto. Tommaso ama al di sopra di ogni cosa il suo monopattino e Antonella apre e chiude le “lezioni” con un giro sul medesimo intorno allo Stadio dei Marmi.Nel tempo Tommaso ha fatto sue le regole: non correre troppo, non ti fermare. Nulla li scoraggia, nemmeno la pioggia come dimostra la foto di Tommy in monopattino con l’ombrello. E poi anche ripensare l’uso degli attrezzi e delle cose: chi di voi è capace di fare lo slalom sul monopattino mentre con l’altra mano palleggia? L’abilità di Antonella è stata in primo luogo entrare in contatto con Tommaso e stabilire un rapporto di reciproca fiducia, cosa indispensabile per tutti, a maggior ragione per un autistico. In secondo luogo ha saputo valutare le sue potenzialità e le ha tirate fuori da lui rendendole abilità. Certo, non è stata una passeggiata, ci sono stati momenti di sconforto, crisi, urli, frustrazioni, ma il risultato è sempre arrivato con grande soddisfazioni di entrambi e di noi tutti. E questo ha contribuito e contribuisce ad aumentare l’autostima di Tommaso non solo nello sport, ma anche con sé stesso e verso gli altri. Si è creato anche un bel giro di conoscenze tra i frequentatori abituali del posto e quindi ne ha giovato anche la socialità. Se una mattina di lunedì o mercoledì vi allungate allo Stadio dei Marmi potrete imbattervi nella “strana coppia” all’opera e vedere con i vostri occhi cosa si può fare con la buona volontà, l’impegno costante e la pazienza.

IRENE GIRONI CARNEVALE


  la  seconda  

4.6.17

IL CORO © Daniela Tuscano

IL CORO
Ma cos'è, alla fine, il martirio? Cos'è, in Occidente, se non qualcosa di remoto e quasi mitologico, e per ciò stesso irreale? Sono enormi tele barocche grondanti macelleria e vividi drappi, un trionfo di corpi membruti o gracili donzelle. Tavola imbandita, in fondo. Perché satollarsi in quel modo, e in quel mondo lacero e pomposo, era ferino e impudico. E poi sono giunte le dissacrazioni (e le dissezioni) psicoanalitiche: segni di nevrosi, quei dipinti e quei santi, masochismo ecc. Armi spuntate, razionalità miserande già irrise da un animo acuto come Svevo. E però il martirio è qui e pulsa, schianta e percuote, e non v'ha palma di vittoria che l'ingentilisca. Il martirio è semplicemente cristianesimo. Per questo le letture dopo Pasqua, compresi i passi del primo testamento, sono lì a ricordarlo, ogni giorno, a dimostrazione della loro eternità terrena. Un ossimoro e una realtà. Il martirio è affare dell'al di qua e lotta contro "il principe di questo mondo". Il martire è la perpetrazione del Dio fattosi umano versus il kamikaze, l'uomo fattosi Dio. Martire anche senza volerlo, perché uccidere un uomo, una donna, un bambino è sempre e comunque bestemmia. 
Ieri notte un ennesimo furgone è piombato su London Bridge decimando i passanti, di cui uno giovanissimo. Una ragazzina musulmana di 16 anni, Asya Mustafa, risulta dispersa. Le altre vittime sono state finite a coltellate, proprio come nelle norcinerie secentesche. E non sono le sole. In Filippine, Siria, Afghanistan si sono ripetute eguali tragedie, il cui culmine simbolico s'è forse verificato a Kabul, con una bomba esplosa contro un corteo funebre! Lo sfregio della memoria trova un'agghiacciante eco nello spegnere il vivente, quella comunione d'amorosi sensi alla base d'ogni umanità.
È un coro di lacrime che ormai unisce Oriente e Occidente, quest'ultimo ancor barcollante, indocile a capirlo. Ma è pure un coro che può incendiare, e farsi forte, e distruggere il Male. Il martire non è solo chi subisce. Ma soprattutto il testimone. Testimoni sono i copti che hanno resistito alle conversioni forzate. Sono quelli che lottano per la pace, e la perseguono, ovunque ci sia seme di resistenza, sì, anche nei musulmani che sfidano il Daesh a rischio della vita, in quelli che, a Mosul, aiutano i cristiani a ricostruire una chiesa. Sono i laici, perché il laico, quello vero, crede: nella convivenza, nella democrazia, nei diritti. Applicati, difesi, non retoricamente proclamati. Perciò non è imbelle. Non intona al pianoforte motivetti freak. Martire è chi sa parlare ogni lingua, la lingua della resistenza e della prosecuzione. Martire è il coro che si oppone alla Babilonia dell'incomunicabilità e del panico (a Torino, un falso allarme-bomba ha mietuto mille feriti), alla Sodoma della non-accoglienza. Ricominciare a sentirsi coro, oggi, ovunque, rivivere i simboli, riappropriarsi della cultura, è l'unica speranza di vincere il mutismo della morte.
                                      © Daniela Tuscano

Tre storie che fanno ancora più male quando il dibattito pubblico è così concentrato su cosa si intende per famiglia e gendert ed antigender

vedi anche
perché i preti vanno spesso in TV a parlare di sesso ? [ L'elzeviro del filosofo impertinente ]

un vecchio post della grandissima e nostra utente fin dale origini Tina Galante ha condiviso il video di La Cronaca Italiana.2 febbraio 2016



 <<Tre storie di donne vittime della violenza. Tre storie che fanno ancora più male quando il dibattito pubblico è così concentrato su cosa si intende per famiglia >> ma  soprattutto    su gender   e  antigender  ( vedere il pre  , durante  , e  post   legge  unioni  civili  ) . Un pase  diviso  dove  .

solo il termine    ed  l'ìinroduzione   del reato  femminicidio   crea  ancora resistenza    . Un paese  e   video  di questi  giorni  


Reggio Emilia: musica e preghiere, rosario e diritti. Il Gay Pride e la "processione riparatrice"



La festa dell'orgoglio gay e la processione riparatrice. In mezzo Reggio Emilia a osservare, con curiosità, chi è sceso in piazza per difendere un diritto e chi ha scelto di sfilare dietro turibolo e croce, recitando il rosario. Due mondi che si sono solo sfiorati. Gli ultracattolici, circa 300, hanno organizzato la processione riparatrice la mattina. I partecipanti al Gay Pride, decisamente più numerosi, hanno invaso le vie della città, il pomeriggio

di Francesco Gilioli

Nella marcia riparatrice potevano aggiungerci i loro silenzi per la pedofilia di tanti preti coperti anche da loro, ed ancora protetti, ben più grave della omosessualità.Nella marcia riparatrice potevano aggiungerci i loro silenzi per la pedofilia di tanti preti coperti anche da loro, ed ancora protetti, ben più grave della omosessualità.

Nella marcia riparatrice potevano aggiungerci i loro silenzi per la pedofilia di tanti preti coperti anche da loro, ed ancora protetti, ben più grave della omosessualità.

Se la mafia non è il nemico ma lo è la cultura mafiosa (di M.Galli)

da http://www.alessioporcu.it/commenti/galli-mafia-cultura-mafiosa/  del  

di Marco GALLI

Sindaco di Ceprano


Il problema più complesso non è combattere la mafia (  anzi le mafie  aggiunte  mia  ) , ma la cultura mafiosa che la sostiene, si prostra, la difende.Un’impresa ancora più difficile in una nazione che ha fatto del clientelismo e del servilismo verso i potenti una peculiarità quasi unica, tra i Paesi avanzati del continente. Una nazione dove l’onestà non è di moda, così come la legalità. E che per questo sconta un livello di corruzione altissimo, con un costo in termini economici e di qualità della vita che non ha uguali.





Il ritardo dell’Italia sul piano economico e sociale non è dovuto al mancato investimento di risorse. Ma dalla corruzione che ha deviato gli investimenti nelle tasche dei mafiosi e dei politici corrotti.Purtroppo ancora oggi si fa troppo poco e i centri di potere restano sostanzialmente gli stessi, anche se cambiano nome, simboli e slogan, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria. Li facilita una non cultura che si è incardinata su un populismo strisciante privo di reali contenuti.A questo si aggiunga l’assenza del cambiamento, frutto anche della non alternanza al Governo di questo Paese per oltre 50 anni.Non sarà facile modificare questo stato di cose, perché non è modificando un logo o un simbolo che si può trasformare in meglio il presente. Basta sfogliare i giornali per rendersi conto di questa generalizzata e trasversale illegalità.Serve una rivoluzione culturale che mobiliti le forze sane del Paese che ora sono indifferenti, perché ritengono inutile impegnarsi. Ma per cambiare, mandando a casa chi da trent’anni occupa posti di “comando” e condiziona la vita politica dei territori, non ci sono alternative.E qui ritorna il discorso della legalità, quale elemento indissolubile per creare un Paese “normale”.La legalità come pari opportunità, come giustizia sociale, come prospettiva di sviluppo, perché soltanto rispettando le leggi tutti potranno sentirsi a pieno titolo portatori di diritti e doveri in questo Paese.Ricco e povero, bianco e nero, di destra e di sinistra, maschio e femmina il rispetto delle norme consente tutti di essere semplicemente cittadini con i medesimi diritti e doveri, in un Paese straordinariamente “normale”.





3.6.17

QUELLE STRANE OCCASIONI… - A proposito di “Chiedi di lui 2.0”





Sfogliando il bello e ricco libro di Daniela Tuscano e Cristian Porcino Ferrara su Renato Zero si capisce quanto la fine degli anni ’70 sia stata importante. 


Noi, giovanissimi ai tempi, non ce ne rendevamo conto, ma quello fu forse l’ultimo strascico della contestazione. Gli scontri all’interno della famiglia erano diretti, spesso aspri. Seguire un personaggio come Zero era in un certo senso un atto “politico”. Senza la seriosità di partiti e movimenti ma sensibili a tutti gli stimoli di novità che provenivano dal mondo della cultura popolare, visiva e musicale. Renato li rappresentava totalmente e non era impresa facile: all’epoca, tutti i cantautori erano al massimo dell’inventiva e ogni disco era più bello dell’altro. Ma Renato era un mondo a parte, un mondo dove il privato, come scrive Daniela, diventava davvero politico, o forse sociale, comunque rivoluzionario. Una rivoluzione incruenta e colorata ma ugualmente potente. E qui sorge anche un rammarico. Proseguendo nella lettura, e avvicinandoci agli anni più recenti (il volume è infatti diviso in due parti, diverse ma complementari), si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un altro artista, con un’altra storia. Fino a un certo punto, e anche in tal caso il percorso è reso molto bene da Cristian, si poteva parlare di maturità ed evoluzione: ma a partire soprattutto dalle ultime prove è chiara l’impressione di una svolta netta in una dimensione più decisamente nazionalpopolare e conservatrice. Mentre in principio queste componenti erano equamente dosate, d’un tratto sono diventate predominanti al punto quasi da “trasformare” il personaggio. In tal senso appare molto interessante il capitolo in cui si analizza il rapporto tra Zero e la comunità Lgbt. Il rammarico è dovuto proprio al confronto tra le potenzialità dimostrate da Zero e le successive scelte. Insomma ci si domanda a quali risultati avrebbe potuto approdare un artista unico come lui se avesse continuato sulla strada del glam-rock e della sperimentazione piuttosto che adagiarsi su un repertorio simil-classico (come dimostra l’ultimo, controverso “Zerovskji”) e temi rassicuranti per il grande pubblico. Quest’ultima opzione si è rivelata sicuramente più fruttuosa in termini di popolarità ma dal punto di vista musicale mi sorge il dubbio si sia persa, o ridimensionata, un’occasione unica, soprattutto in Italia dove il discorso artistico appariva così prevedibile e stantio. I due autori non propongono tesi preconcette, lasciano aperte tante domande e questo per me è un altro grande vantaggio. Lo scopo dei libri è infatti quello di stimolare degli interrogativi, non di imporre la propria visione come una verità assoluta. Forse la parola “fine” sul cantautore Zero è destinata a rimanere aperta, a suscitare tanto interesse e qualche rimpianto.

Carlo Giordano

Keira Rathbone,, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere






Keira Rathbone
 Chi lo dficde   che  per  fare   un quadro  sino neccessari dei penneli  ?   I suoi "pennelli" preferiti sono due Olivetti, una Valentina e una Lettera 22. Con esse "dipinge" immagini singolari e immagini dell'artista al lavoro scattate da Luisa Romussi e alcuni dei suoi disegni fatti a macchina. sorprendenti: paesaggi, scorci urbani, vedute panoramiche, ritratti, nature morte. Lei si chiama Keira Rathbone  (  vedere  sito  sopra   e  foto affianco sotto  )  ed è una "typewriter artist" londinese che da tredici anni realizza opere uniche pigiando sui tasti delle celebri macchine per scrivere olivettiane. I suoi lavori sono esposti in questi giorni a Ivrea in occasione del festival di letteratura "La Grande Invasione": si possono vedere all'Atelier Mama-B. Se prima    , giusto per  non andare  prevenuti  ed  impreparati ,  potetge  vedere  Nella gallery online  del  quotidiano  la   repubblica ( da  cui   ho preso  le due  foto centrali , quella    al lato  dal suo  sito   vedere  l'url  sopra  9    e  del  suo portofolio  alcuni dei suoi disegni fatti a macchina.  
L'unico articolo  in italiano, poi magari ce  ne saranno  altri  ma  non ne  ho voglia   di  stare a cercare  , è   questo    preso  da  http://www.lastampa.it/ del  24/12/2015


Keira, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere


E’ stata per molti anni l’immancabile compagna di scrittori e giornalisti, presente in tutti gli uffici e luoghi di lavoro, ma è completamente scomparsa da quando i computer hanno permesso di sostituirla. Eppure la macchina da scrivere conserva l'induscutibile fascino della carta stampata e dell’inchiostro: alcuni artisti hanno imparato ad utilizzare a modo loro trasformandola in strumento per la realizzazione di opere grafiche. Si chiama typewriter art - ‘typewriter’ significa ‘macchina da scrivere’ - ed è una forma d’arte che utilizza le lettere impresse sui fogli come piccoli tasselli che, nel'insieme, andranno a comporre un grande disegno, sfruttando i giochi di chiaro-scuro dati da inchiostro e spazi bianchi. 



Keira, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere  

Eccelle in questo tipo di arte grafica è , artista che ha sviluppato una tecnica particolarissima per trasformare lettere, numeri e simboli in opere grafiche di impressionante minuzia. Innamorata di uno strumento umile e dimenticato come la macchina da scrivere, Keira è in grado di realizzare ritratti, paesaggi, cartoline (di auguri per le feste ad esempio) con il solo utilizzo dei tasti; in alcune occasioni la sua abilità diventa una performance dal vivo, e non mancano brand di vario genere che le richiedono di realizzare etichette, pubblicità, materiali vari, tra cui lo stilista Paul Smith, l’azienda vinicola californiana Tuscandido Winery, la compagniA di crociere Cunard. Tra i pionieri della typewriter art, si annovera Flora F.F. Stacey, che nel 1989 rese nota la sua sorprendente farfalla fatta con la macchina da scrivere. Negli anni ’30 è Julius Nelson l’artista che diffonde maggiormente questo tipo di arte, pubblicando anche un volume sui processi creativi che permettono di realizzarla, con il titolo di Artyping. Nel volume Nelson porta esempi di come si possa utilizzare la tastiera per creare scritte decorative e greche, fino alle figure vere e proprie con particolari sempre più minuziosi.

finchè esistono i razzisti e gli imbecilli io continuero a raccontare \ riportare storie come questa Zaia insultato su Facebook per foto con calciatore di colore

leggi anche  su taled  argomento
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2017/06/pensieri-sparsi.html



Mio amato\Con la pace ho depositato i fiori dell’amore\davanti a teCon la pace\con la pace ho cancellato i mari di sangue\per teLascia la rabbia\Lascia il dolore\Lascia le armi\Lascia le armi e vieni\Vieni e viviamo o mio amato\e la nostra coperta sarà la paceVoglio che canti o mio caro " occhio mio " [luce dei miei occhi]E il tuo canto sarà per la pace\fai sentire al mondo,\o cuore mio e di' (a questo mondo) \Lascia la rabbia\Lascia il dolore\Lascia le armi\Lascia le armi e vieni\a vivere con la pace.   
Poesia araba citata in Luglio, agosto, settembre (nero) degli Area


lo so che : non ne vale la pena perdere tempo e con gli imbecilli , e replicherei Isaac Donkor, 23 anni originario del Ghana arrivato in Italia nel 2003 ( ed è ormai cittadino italiano a tutti gli effetti) e la sua intera famiglia vive da tempo nel trevigiano ed è impiegata in un mobilificio e in un allevamento della zona non , giustamente . si stupisce piùDegli insulti ricevuti su Facebook e risposnde : << ci sono abituato e non ci faccio più caso. Se non rispondo è perchè non vale la pena sprecare energie per certa gente. Non rovineranno il mio ritorno a casa per le vacanze, perchè è da qui che vengo >> , passo oltre .  Ma   preferisco  fare  come  ho detto nel  titolo di questo post  , 
Infatti  
                       da   sempre  da  la  repubblica online  

VENEZIA - Non è stata apprezzata la foto che Luca Zaia, presidente del Veneto, ha postato sul suo profilo: nello scatto è in posa accanto a Isaac Donkor, giocatore di colore dell'Inter in prestito al Cesena. E questo, all'elettorato di destra più radicale e xenofobo, proprio non è andato giù. Così sotto la foto sono comparsi centinaia di insulti, rivolti sia al calciatore sia al governatore."Ma 'sto qua è appena arrivato con il barcone dall'Africa, altro che Inter", scrive un utente. "Pare un profugo, perdi punti", scrive un altro. E ancora: "Pur di vincere arriverà il giorno in cui andrete a elemosinare voti a loro".
Commento, quest'ultimo, cui Zaia ha risposto: "Caro, il Veneto, che amministro, ha 517mila immigrati regolari, gente perbene. Siamo la terza regione in Italia per numero di immigrati. Chi viene qui con un progetto di vita e sposa i nostri valori è benvenuto. Per gli altri tolleranza zero. Spero di essere stato chiaro".
 




Infine, interpellato da Ansa, il governatore ha detto: "Lo rifarei mille volte. Forse - ipotizza - le critiche dipendono dal fatto che nella foto con me non aveva la maglia dell'Inter? Se l'avesse avuta non avrebbero aperto bocca".
Il presidente del Veneto critica quello che definisce "il mondo dei leoni da tastiera", che sfoga rabbia e frustrazioni sui social. "Gli utenti si dividono in tre categorie - rileva - la prima è quella dei distratti che commentano a prescindere, vedendo un uomo di colore; la seconda è di quelli che fanno la morale al leghista puntando sulla dietrologia; la terza, più disgustosa, è quella dei razzisti".  (...)
Alla domanda se voterebbe Zaia, dopo averlo incontrato in un comizio elettorale, risponde senza esitare: "Subito, per com'è come persona. Ho parlato con lui e mi è piaciuto molto. Nei miei confronti, poi, è stato eccezionale"(.,.)  



 Pur  essendo lontano anni lucen  dal pensiwero     di Zaia   stavolta  gli do  ragione  : << I social network sono un festival dell'incoerenza - conclude il presidente del Veneto - la gente che scrive queste cose è la stessa che non sa usare l'italiano. Questa gente è come le api impollinatrici: oggi è toccato a Isaac, ieri a Bebe Vio e prima ancora al dj Fabo.>>





pensieri sparsi

Stamattina una bella giornata di sole rovinata ( mica tanto ci vuole ben altro ) da una discussione su ius soli , cittadinanza , abbassamento della punibilità da 14 anni a 12 anni per i reati gravi ( ma anchde no ) commessi dai minori . Alla fine il mio interlocutore invece di dirti : << chiusa qui la pensiamo in maniera differente , non sono d'accordo , ecc >> mi dice come si fa congli ubriachio ed matti : << chiusa qui hai ragione tu >> . Ma il tempo è talmente bello ed la musica che viene dalla piazza all'ora dell'aperitivo è piacevole che non importa e che ci sono altre cose ben più gravi invece di queste sottigiezze per cui arrabbiarsi e pendersela .

2.6.17

Raffaele Arcella, classe 1920, presidente dell’Associazione nazionale ex internati nei lager nazisti: << Così un libro su Lenin mi salvò da un proiettile >>

“Questo libro mi ha salvato la vita. Anzi me l’hanno salvata il libro e Lenin”. 



Durante la cerimonia per le consegne della medaglie in occasione della Festa della Repubblica,  Raffaele Arcella, classe 1920, presidente dell’Associazione nazionale ex internati nei lager nazisti, mostra un vecchio libro. È un volume su Lenin scritto in russo. E l’avvocato, nato a Napoli nel 1920,  laurea in giurisprudenza e in lingue e letterature slave e istituzioni europee orientali, non scherza quando dice che è vivo grazie a quel libro dove è ancora evidente il segno di un proiettile. Arcella aveva il libro all’altezza del petto quando un cecchino, durante la seconda guerra mondiale, gli sparò contro. “Il proiettile si è fermato proprio dove c’è una foto di Lenin – dice l’avvocato -, avevo appena tirato fuori il libro dalla bisaccia del cavallo, per questo dico che la lettura e Lenin mi hanno salvato la vita”. 

A Bergün, piccolo paese dei Grigioni tra St. Moritz e Davos, firmata la delibera: divieto di scatti, pena multa di 5 franchi. E il sindaco fa appello alla Nasa: "Cancellate le nostre foto dall'alto"

va bene porre un argine al trash fotografico e telematico , e allo sfruttamento commerciale € delle proprie bellezze naturalistiche come ha fatto il comune di San quirico borgo del Senese
Ma  qui  si  esagera  e  si rischia  di scendere  nel  ridicolo  . Speriamo che la Nasa   glki risponda  con una sonora  risata  e peggio un  Vaff
La singolare iniziativa del paesino svizzero di Bergun, che ha vietato ai turisti con delibera comunale di scattare foto nel suo territorio per non "rendere infelici quelli che vedono le nostre foto e non ci hanno visitato" non si ferma. In un video , vedere  sotto , del sindaco Peter Nicolay ha radunato tutti gli abitanti per fare un appello alla Nasa: "Sappiamo che avete nostre foto dal satellite. Cancellatele, grazie" 

Infatti  


A Bergün, piccolo paese dei Grigioni tra St. Moritz e Davos, firmata la delibera: divieto di scatti, pena multa di 5 franchi. E il sindaco fa appello alla Nasa: "Cancellate le nostre foto dall'alto"

di GIACOMO TALIGNANI

Così belli da causare infelicità negli altri. Con un po' di supponenza e molta strategia di marketing un piccolo comune svizzero di 507 abitanti ha deciso di vietare a chiunque lo visiti di scattare foto del suo paesaggio (e non solo). Pura trovata pubblicitaria? Non del tutto, dato che la questione è diventata legge: da poche ore il consiglio comunale di Bergün (noto come Bergün/Bravuogn) ha infatti ufficialmente votato a favore della delibera che vieta "di fare e pubblicare foto del comune e dei suoi paesaggi", pena una multa simbolica di 5 franchi.  

Venticinque chilometri di innevate piste da sci, altre per il fondo, splendidi scorci montani per escursioni e con il suo centro situato a meno di 40 chilometri da Sant Moritz o Davos, Bergün - nel mezzo del cantone dei Grigioni nella regione dell'Albula - è convinta con la sua "straordinaria bellezza" possa far male a chi si imbatte in una qualsiasi fotografia che la ritrae.



"E' scientificamente provato che belle foto delle vacanze sui social media rendono gli spettatori infelici perché non possono essere lì” scrive l'ufficio del turismo cittadino nella sua campagna anti "Fomo". Questa sigla sta per  "Fear of missing out" ed è una sindrome legata alla "paura di perdere un evento o qualcosa", insomma il "terrore" di essere tagliati fuori da qualcosa di bello a causa delle migliaia di foto postate sui social network.  
In pratica, con questa curiosa motivazione, quelli di Bergün sono sicuri che chiunque si imbatta in uno scatto delle loro splendide vallate senza essere lì o averle visitate almeno una volta nella vita, possa soffrirne. Ci credono talmente tanto che - con indubbia trovata pubblicitaria - gli abitanti del villaggio sindaco in testa si sono ritrovati a fare un video appello persino alla Nasa: "Non fotografateci nemmeno dall'alto e cancellate le nostre foto" dice il primo cittadino in inglese fornendo le coordinate geografiche del suo villaggio.  
Passata la legge, in men che non si dica dai profili social di Bergün sono scomparse molte delle fotografie del paese. "Bergün/Bravuogn è un bellissimo posto e noi non vogliamo rendere infelici le persone al di fuori della nostra comunità. Dunque anziché attraverso le foto, invitiamo chiunque a venirci a vedere dal vivo" ha spiegato orgoglioso il sindaco Peter Nicolay.  Premesso che la multa difficilmente verrà applicata ("è più che altro simbolica") è lampante come l'operazione sia parte di una strategia di marketing per attirare turisti, ha ammesso anche il direttore del turismo Marc-Andrea Barandun, ricordando però che "la legge è reale e in vigore". 
Da Facebook a Twitter non sono mancate le prime critiche da parte dei viaggiatori da ora in poi a secco di selfie: c'è chi ha paragonato la scelta alle rigide leggi della Corea del Nord e  chi ha scritto che "allora non visiterò mai questo paese".  Lo stesso ufficio del turismo si è detto consapevole che la decisione "non piacerà a tutti" ma difende la sua scelta. Una scelta che, seppur differente, richiama ad esempi casi come quelli di San Quirico D'Orcia che impose una sorta di copyright sulle sue valli ultra fotografate (e sfruttate come immagini). 

"Ma per noi l'importante è che si parli di Bergün"  ha precisato Barandun confermando la parte di trovata pubblicitaria dell'operazione, anche se sui social alcuni gruppi di appassionati di fotografia avrebbero già deciso di annullare il loro viaggio nella zona. Gli svizzeri comunque non mollano. "Al fine di rendere tutti consapevoli della bellezza del nostro paese di montagna oggi abbiamo bisogno di metodi coraggiosi e ne abbiamo scelto uno. Grazie per la vostra comprensione e saluti da Bergün". Chiaramente, solo testo e niente foto-cartolina di corredo.

Guardate queste foto, potrebbero essere le ultime immagini di Bergun che vedete. Perchè questo paesino di 507 anime incastrato fra le montagne svizzere, a soli 40 chilometri da Sant Moritz, è talmente convinto di essere "così bello da causare infelicità in chi vede le nostre foto" che ha deciso di vietare ai turisti di fare foto nel suo territorio.



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Tramite delibera comunale è stato infatti vietato ai visitatori di scattare immagini del paesaggio, che di solito venivano poi pubblicate sui social network. Cinque franchi di multa per chi non rispetta la legge. Una sanzione più che altro simbolica, dato che si tratta in parte di una trovata di marketing. Proprio dalla pagina Facebook del turismo di Bergün sono già state rimosse decine di fotografie, tranne quelle qui pubblicate. Ne compaiono invece di nuove: il cartello con il divieto di fotografare e sindaco e abitanti felici con delibera appena firmata in mano.





Champions League, da Altamura a Cardiff in una 500: l'impresa di quattro ragazzi pugliesi



BRAVISSIMI ragazzi, spirito di avventura e coraggio e amore per la vita. Un esempio bellissimo di come si affronta la vita. Questa è la storia di 




Antonio, Sandro, Giuseppe, Francesco, tutti di 24 anni, sono partiti da Altamura in Puglia alla volta di Cardiff a bordo di una Fiat 500 del 1970 per seguire la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Una impresa che hanno voluto dedicare a un loro amico, Lorenzo, prematuramente scomparso per leucemia. Partiti venerdì scorso, hanno percorso fino ad ora 2.600 chilometri facendo tappa a Roma, Amatrice, Milano, Torino, Parigi, Londra per arrivare stanotte nella città gallese.
                                  di Alessandro Allocca

L'elzeviro del filosofo impertinente

Iniziamo con una semplice domanda: perché i preti vanno spesso in TV a parlare di sesso?
In ogni programma dedicato all'amore o alla morale sessuale indovinate un po' chi c'è sempre a farfugliare qualcosa? Naturalmente un chierico di santa madre Chiesa! Non solo ciarlano in TV, ma scrivono perfino libri su come vivere una sana e santa sessualità. Ma vi rendete conto? Per statuto sono uomini celibi che fanno voto di castità e poi diventano, tutto ad un tratto, esperti di sessualità!? A me i conti non tornano, non so a voi. Non dimentichiamo che il giovane arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla scrisse nel 1960 un'opera filosofica dal titolo: Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale. La filosofa e amica di Wojtyla, Anna Teresa Tymieniecka disse: "Ciò che ha scritto (Wojtyla ndr) sull'amore e sul sesso dimostra la sua scarsa conoscenza del tema. Mi sembrava che fosse evidente che non sapeva di cosa stava parlando". Come può un sacerdote sapere quali dinamiche intercorrono tra due innamorati che vivono e sperimentano le gioie del sesso? E non dimentichiamo che la CEI di Ruini-Bagnasco e i papi non smettono mai di ricordarci l'importanza della famiglia e dei figli. Ma se sono così ossessionati dalla famiglia perché non ne hanno creata una tutta loro? Ufficialmente non sono padri carnali ma si fanno chiamare in tal modo per trattarci come figli ed esercitare la loro autorità. A me sembra paradossale questo atteggiamento. Qui non si tratta di essere credenti, agnostici, atei o anticlericali ma di seguire semplicemente la logica. Io non sono padre e d'ora in avanti mi dedicherò a scrivere testi, e a tenere convegni sulla paternità e la gestione dei figli. Sono sicuro che se lo facessi mi sentirei ridicolo e insignificante. Come posso parlare con cognizione di causa di un argomento che non padroneggio?! È arrivato il momento per il Vaticano di occuparsi di fede e non di morale sessuale. Papa Bergoglio è l'unico pontefice a non manifestare quell'ossessione tanto cara ai suoi predecessori per la vita sessuale dei suoi fedeli. Infatti, i più conservatori lo attaccano per questo motivo. Non gli perdonano il suo continuo concentrarsi sul Vangelo e non su argomenti che non spetta a un prete giudicare. Bergoglio ricorda incessantemente ai credenti cristiani che dichiararsi tali significa mettere davvero in pratica le parole di Gesù. Forse questi soggetti trovano imperdonabile un papa che si dedica a portare avanti l'insegnamento evangelico ed è per questo che tentano di scalfire la sua autorità senza alcun successo. Un motivo in più per stimare umanamente questo papa. Lui va avanti per la sua strada senza prestare attenzione a certi individui. Naturalmente io non lo vedo con gli occhi della fede che non ho, e dunque non lo percepisco come "il dolce Cristo in terra" (vedi Santa Caterina da Siena), ma solo come un uomo di pace (e non è mica poco!). Per caso vi siete dimenticati che con Joseph Ratzinger si finiva sempre a parlare di famiglia composta da uomo e donna, il valore dei figli e via discorrendo? Come si dice a Napoli "Dalle 'e dalle se scassano pure e' metalle". Io non dimentico che per la giornata della pace 2013 il papa emerito Benedetto XVI scrisse che le unioni gay erano un vero attentato alla pace! Due persone che si amano metterebbero a repentaglio la pace nel mondo?!!! Io rimango basito e non aggiungo nulla, ma vi consiglio vivamente di leggere le opinioni del teologo Hans Küng sul pontificato ratzingeriano. Nei vari talk show quando si parla di divorzi, anticoncezionali, unioni civili ci trovo sempre un prete, mentre se l'argomento trattato è la pedofilia, la corruzione nessuno, e sottolineo nessuno, si sogna di invitare un sacerdote in trasmissione. Ma se il loro abito li autorizza a parlare di sesso perché non di frode bancarie, ingerenza e tanti altri argomenti? Non si può essere tuttologi a convenienza. Io trovo molto più preoccupante dei chierici che blaterano di sessualità i fedeli che credono ciecamente alle loro parole. Non li sfiora mai il dubbio che quelle frasi non andrebbero prese per oro colato? Se parlano di fede sono delle vere autorità, ma quando parlano d'altro la loro opinione vale quanto la vostra. La loro competenza però non sempre è dimostrata se pensiamo al commento fuori luogo pronunciato da quel vescovo italiano all'indomani della strage di Manchester. Costui ha definito i bambini e gli adolescenti uccisi per mano dei terroristi in tal modo: "Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto. Pregherò per voi". Che orrore !!!!
Quando leggiamo certe invettive ricordiamoci che se la gente si allontana sempre più dalla religione è per persone così.
Ovviamente ognuno di noi è libero di scegliere autonomamente a chi e a cosa prestare attenzione. Io certamente non ho tempo da perdere con certi tuttologi dalla doppia morale che vivacchiano nei salotti televisivi.
"L'intelligenza non ha valletti, si serve da sé" (Aldo Busi).


Cristian Porcino
® Riproduzione riservata

1.6.17

Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"

E' morta sul fronte Ayse, la militante filo-curda raccontata da Zerocalcare
Ayse Deniz Karacagil, in una foto diffusa su Facebook da Zerocalcare 
 da   repubblica    del 1\6\2017

Zerocalcare dedica un post su Facebook al ricordo di Ayse Deniz Karacagil, combattente morta a Raqqa, che la sua matita aveva disegnato e raccontato in Kobane Calling.
". nella primavera del 2013, quando i giovani schierati a difesa del verde pubblico di Gezi Park non avevano vinto, ma quanto meno avevano costretto il presidente Erdogan a tirare giù la maschera del padre islamista moderato della nazione per rivelarne per la prima volta il vero volto. Quello del potere assoluto, indisponibile al dialogo, sordo alle istanze di una società secolarizzata e democratica che si credeva protesa verso l'Europa. Kobane Calling - Le tavole inedite di Zerocalcare Gli scarponi dei militari mandati da Erdogan a piazza Taksim avevano calpestato tende e striscioni, la protesta messa a tacere con la forza. Otto i manifestanti rimasti uccisi, tantissimi i feriti. La maggior parte degli arrestati processata e condannata a scontare pene di poco superiori ai due anni per "danneggiamento della pubblica proprietà", "oltraggio a moschea", "interruzione di servizio pubblico". Ayse, invece, era stata travolta da un'accusa ben più grave: militanza in organizzazione terroristica. Ovvero i separatisti del Pkk, il Partito Curdo dei Lavoratori. Tra le prove depositate contro di lei, non un cappuccio ma una "sciarpa rossa, simbolo del socialismo". Con Ayse in cella, era stata sua madre a protestare: quella sciarpa dimostrava solo che tutto si reggeva su un castello accusatorio retto da prove fabbricate a tavolino. Ayse Deniz Karacagil aveva atteso il processo rinchiusa nella prigione di Alanya, a 138 chilometri da Istanbul. Poi era arrivata la condanna a un secolo di galera. Ma la "terrorista" era stata scarcerata prima del verdetto e aveva già capito a sue spese che a un certo punto della vita si è chiamati a fare delle scelte, che siano i semplici seppur sofferti compromessi tra le proprie individuali ambizioni e la dura realtà o la risposta da dare quando a chiamare sono battaglie per qualcosa che supera il destino di un solo uomo. La libertà, per fare un esempio. A chiamare Ayse era stata Kobane. Kobane Calling. Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil.

Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling" Condividi A volte le parole non bastano. Per difendere la cittadina siriana prossima al confine con la Turchia dalla stretta mortale di uno Stato Islamico che allora sembrava uno spettro imbattibile, i curdo-siriani avevano dovuto imbracciare i loro fucili. Uomini e donne, che la Turchia di Erdogan oggi bombarda additandoli ancora con quell'aggettivo, "terroristi", e che invece nei giorni della vittoriosa resistenza di Kobane avevano dimostrato al mondo cosa vuol dire il coraggio. Con le donne col kalashnikov del Ypj, ala femminile delle Unità di protezione popolare (Ypg) c'era anche la turca Ayse Deniz Karacagil. Fuggita sulle montagne seguendo percorsi che in carcere le avevano indicato alcuni detenuti, dalla latitanza aveva scritto una lettera per far sapere di essersi unita alla battaglia per Kobane attraverso il braccio armato dell'illegale Partito Comunista Marxista-Lenninista turco (MLKP). Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling" Condividi Ayse è morta in battaglia la mattina del 29 maggio, annunciano le pagine web dell'International Freedom Battalion, in cui militano giovani giunti da tutto il mondo per combattere l'Isis, celebrando come un'eroina la studentessa che divenne combattente. Ayse, caduta alle porte di Raqqa quando i ruoli sono ormai invertiti rispetto ai tempi di Kobane. Ora gli assediati sono gli assassini del Daesh, che nell'ultima roccaforte guardano i minuti scorrere sull'orologio, mentre il Pentagono continua a rifornire di armi i suoi veri alleati sul campo, i curdo-siriani. Dopo Obama, lo ha capito anche Trump quando è arrivato per lui il tempo delle scelte. Molto più semplice, per il presidente degli Stati Uniti, fingere di non sentire Erdogan e le sue indispettite rimostranze. .

Blue Whale, un "virus " nato in rete alimentato dai media



Paolo Attivissimo, giornalista informatico, spiega il fenomeno del Blue Whale, il presunto “gioco del suicidio” che sta spaventando le famiglie italiane. Consisterebbe in una sfida in 50 passi, tra cui atti di autolesionismo, sotto la guida di un “curatore”: l’atto finale dovrebbe essere la morte. Molti esperti della rete sono scettici su origine e natura del fenomeno,  ma è necessario stare in guardia. “A furia di parlarne si è creato il mito e se le persone ci credono diventa vero”, avverte Attivissimo (intervista di Maria Rosa Tomasello, video a cura di Andrea Scutellà )

per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...