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4.2.15

Sport e Integrazione”: lo sport ha capito, ma il Paese ?




Peccato che il Salone d’Onore del CONI oggi non fosse colmo come accade nelle grandi occasioni, spesso di vetrina più che di sostanza. Peccato perché quanto andato in scena in occasione della presentazione del progetto “Sport e Integrazione” ha un valore profondo, maggiore di quanto le parole dei convenuti siano riusciti ad evocare. Crediamo che oggi, parlando di sport e integrazione, si sia riusciti a toccare uno dei capisaldi di questa attività, antica e moderna, percependone i motivi per cui questa è legata intimamente all’uomo.
Ma senza voler andare troppo in profondità e per volare bassi (alla politica spicciola), la giornata di oggi ha mostrato quanto meschine e limitate sono tutte quelle istanze di rigetto delle altre culture, il razzismo strisciante, la xenofobia imperante. Proprie del nostro Paese e dell’Occidente in questi giorni ma non dello sport e, soprattutto, di chi fa sport.
Sport e Integrazione, Roma, Salone d'Onore del CONI (foto mezzelani)
Sport e Integrazione, Roma, Salone d’Onore del CONI (foto mezzelani)
In sostanza al Salone d’Onore del CONI, oggi, si è parlato di integrazione, senza se e senza ma, spostando l’asticella ben oltre il problema dello ius soli. Al presidente Malagò si possono rimproverare tante cose, sicuramente non la capacità di parlare al cuore: “Dobbiamo fare in modo che la cittadinanza sportiva, e non solo, venga rapidamente concessa a tutti quei ragazzi e ragazze che vivono, giocano, si allenano nel nostro Paese. Altri Paesi sono stati in grado di superare questa barriera psicologica. Lo sport adesso ha il dovere di smuovere le coscienze del legislatore e del Paese.”
E’ in gioco il nostro futuro: l’Italia senza quel milione di ragazzi stranieri che vivono qui (e che, come ha ricordato Natale Forlani, Direttore Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione “hanno una percezione dell’Italia migliore di quella che abbiamo noi…”) non potrebbe vincere le sfide del futuro, non solo in campo sportivo, anche economico e culturale. E’ anche una questione di civiltà. Privare della cittadinanza sportiva (e piena, aggiungiamo noi) questo milione di persone vuol dire creare tanti apolidi che non hanno una comunità di riferimento. Ne qui in Italia, tanto meno in paesi da cui provengono solo di nascita e che nella maggior parte dei casi non conoscono e che non li conosce.
Peccato che un così alto messaggio culturale rischia di perdersi in un Italia concentrata sulla caccia a “chi ruba il nostro lavoro”, come ha ricordato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti: “Siamo così impegnati a trovare un responsabile della crisi che non ci rendiamo conto che l’unico modo per accrescere il nostro benessere è quello di accrescere il benessere delle persone che abbiamo vicino. La cittadinanza sportiva può essere un modello per convincere il Paese a seguire questa strada dell’integrazione.”
E’ inutile spiegare, a chi fa e vive di sport, quanto l’integrazione sia parte stessa dell’attività sportiva. Inutile perché scontato; Diana Bianchedi, membro del Comitato Scientifico “Sport e Integrazione”: “Lo sport è un veicolo privilegiato nell’integrazione perché assegna a ciascuno un ruolo preciso in un contesto collettivo, di squadra. E’ più facile ottenere integrazione nello sport che in un contesto scolastico: la comunità, infatti, riconosce l’atleta, lo integra e fa il tifo per lui. Per questo tutti gli atleti devono mettersi a disposizione per andare nelle scuole a raccontare la loro realtà a coloro che non conoscono da vicino il mondo dello sport tanto quanto un atleta”.
Abbiamo paura, però, che nel paese dei salvini e del “si però, gli zingari…”, un Paese che, guarda caso, ha una delle più basse percentuali di praticanti di una qualsiasi attività sportiva, queste parole e questo bellissimo progetto rischiano di essere inutili. Inutili, in questo caso, perché parole che cadono nel deserto dell’indifferenza e del qualunquismo. Dello sport siamo abituati a parlare solo in caso di successi o di fatti di cronaca. Tanto ci basta. Tutto il resto… è noia!
                                        Antonio Ungaro


La storia di Emma Holten: da oggetto online a decidere di mostrare il suo corpo

da ( tramite oknotizie ) http://forsediscovoancora.blogspot.com/ del 2\2\2015

Quattro anni fa Emma Holten è stata vittima da parte del suo ex di un video intimo condiviso online. Il motivo della vendetta, perché la ragazza aveva deciso di lasciare l'uomo. Da quando il video e altre immagini sono diventati di dominio pubblico, Emma ha subito una vera violenza psicologia. Ogni giorno riceveva centina di email che le chiedevano di mostrare ulteriori foto di lei senza veli. Un ricatto a tutti gli effetti: minacciandola in caso contrario che avrebbero avvisato il suo boss dell'esistenza di quel video, ( la ragazza è una giornalista danese).
Come se non bastasse quando ha contattato alcuni siti per rimuovere alcune  immagini, le hanno risposto che la colpa era sua per aver acconsentito a fare qual genere di scatti. Così Emma  Holten ha voluto rispondere in prima persona, raccontando la sua esperienza al sito per donne Hysterical Femminism, l'ha fatto a suo modo con delle foto che la ritraggono senza veli. Gli scatti sono opera dalla fotografa Cecilie Bødker.  C'è anche un video realizzato per il Guardian dove spiega il motivo di questa decisione.

Mostrare il proprio corpo in maniera naturale senza costrizioni, è questo il messaggio delle sue foto. Averlo fatto per lei significa che nessuna persona deve essere ridotta come un oggetto. Un atto indipendente per sentirsi ancora  un essere umano e decidere con la propria testa.

Si calcola che nel 90% dei casi, il 59%  di immagini e video vengono postati con il nome reale della vittima. Il 49% con account sociale, 26% con l'indirizzo di posta elettronica.

censure stupide o paura da parte della disney sul fenomeno Charlie E ? tanto da cambiare copertina all'ultimo numero del settimanale topolino

La  disney  ha  imposto alla redazione del settimanale  topolino    il cambiamento  di copertina    topolino  e   loro senza  battere   ciglio   , nonostante  l'abbiano annunciata   tempo prima  sulla pagina fb    cosa  fanno  ?   la  cambiano .


                                     La  Copertina   censurata



                                              La  copertina    attuale



cosi la disney con questa sua imposizione censoria fa il gioco dei terroristi islamici radicali che vogliono che noi abbiamo paura di loro e delle loro reazioni

poniamo fine alle ideologie sui morti ( foibe e olocausto ) e ricordiamo come sugerisce il sindaco Riccardo Borgonovo di Concorezzo ( Monza )




come   punto di partenza


Cercando   un incipit   per  non cadere nella solitra retorica  celebrativa   di tali eventi  ho trovato e  fatto mio   questa parte  di pensiero  di  http://goo.gl/y2BqZ0

 Sia chiaro, non propongo alcun giustificazionismo: stragi e persecuzioni sono sempre da condannare anche quando si pretendono in risposta a torti subiti. Vorrei invece si riflettesse sul fatto che è possibile rompere lo schema per cui ognuno ricorda i propri morti, alimentando il proprio odio contro il nemico. Sarebbe invece opportuno che le giornate del ricordo riguardassero i morti che abbiamo provocato noi ad altre popolazioni, uscendo da facili autoassoluzioni che portano a proiettare sugli altri le proprie parti oscure per salvare l'immagine di sé (noi siamo buoni; sono gli altri i cattivi!) 

  che    potrebbe essere   insieme alla  motizia   trovata   con gooogle  news    e  proveniente  dal sito del Comune    di  Concorezzo comune di 15.371 abitanti della provincia di Monza e Brianza )  un modo  per  ricordare senza  cadere  nella strumentalizzazione  politica \  ideologica   e  nella  distruzione reciproca  di   mostre    che descrivono gli orrori in Istria  - Dalmazia  ( fatta  dai fascisti   con gli ustasia e  con i nazisti  )  o di targhe , vie   ,  monumenti ,ecc  dedicati alle vittime dele foibe 

   da  http://www.concorezzo.org/cultura/shoah-e-foibe-insieme-il-sindaco-mette-fine-alle-ideologie-sui-morti-2123.html

[... ]


borgonovo_riccardo.jpgCare alunne e cari alunni,
Quest’anno, in occasione delle celebrazioni della Giornata della Memoria, il 27 gennaio, e del Giorno delle Foibe, il 10 febbraio, ho pensato di scrivervi questa lettera, immaginando di parlare direttamente con ciascuno di voi perché credo sia importante condividere qualche riflessione su quegli eventi così gravi della storia del nostro Paese e dell’Europa e sul significato di ricordarli solennemente.
Il 27 gennaio di 70 anni fa, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa varcarono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, liberando i pochi superstiti. Attraverso quei soldati fu il mondo, incredulo e inorridito, a spalancare gli occhi sull’atroce realtà dello sterminio nazista del popolo ebraico, perpetrato e attuato con metodo e con crudeltà disumana. Questa data in tutto il mondo ebraico celebra appunto il ricordo  dell’olocausto ebraico. Il 10 febbraio è la data scelta dallo Stato Italiano per ricordare la tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra della complessa vicenda del confine orientale.
Perché ricordare tutto ciò? Perché conservare memoria di due storie così diverse e però simili per la violenza, l’ingiustizia, l’intolleranza che ne sono state cause e sostanza? Perché valga da monito, perché tutto questo non ritorni mai più. Perché noi tutti, e voi giovani per primi, dobbiamo tenere alta la guardia contro ogni germe di sopruso e sopraffazione, esercitare ogni giorno senso di giustizia e libertà, denunciare le sopraffazioni e combatterle con ogni mezzo. Non dovete rinunciare mai a pensare con la vostra testa, anche quando può apparire più semplice o più comodo reprimere la propria coscienza e accodarsi con vigliaccheria al richiamo di prepotenti e fanatici.
Per avere memoria bisogna però conoscere, e per conoscere bisogna leggere, vedere, raccogliere testimonianze, informarsi, ascoltare il passato per poter guardare con lucidità e consapevolezza il presente.
Immagino che nelle vostre aule queste ricorrenze rappresentino appunto momenti di conoscenza del passato e di riflessione che i vostri insegnanti vi aiutano a costruire e a sviluppare.
Ecco, il mio invito è a proseguire sulla strada di questa conoscenza, a soffermarvi su queste ricorrenze con profondità e con curiosità, a condividere anche con le vostre famiglie un’esperienza di ricordo e di riflessione rivolta anche al presente, purtroppo funestato nel mondo e anche in Europa dalla violenza e dal ritorno di terribili fantasmi che paiono non essere ancora sconfitti.
Concludo dunque ringraziandovi per l’attenzione e ricordandovi che, come ogni anno in occasione di queste giornate, presso la biblioteca comunale di via De Capitani potrete trovare un’ampia bibliografia sull’Olocausto e sul dramma delle Foibe alla quale attingere per coltivare la memoria di questo nostro passato doloroso e mai sufficientemente ripensato.
                                          Il sindaco    
                                      Riccardo Borgonovo
 Ora   Speriamo  che    questa  vicenda     non sia    1) solo  tentativo   revisionista estremo   , ma  sopratutto  comparativo   di  equiparare    due  tragedie   distinte  della storia   frutto   guasto  dalle ideologie  XIX e  XX  secolo  .,  2 )   di  mettere    da  parte  il  vittimismo italiano  nel non volere    fare i conti con il proprio passato  e  non ricordare  a  360 °  gradi  tali abberranti eventi    ma  solo quello  che   gli pare  
das  http://goo.gl/5VyFQi
Infatti  come   ho  già detto    nel  post  precedente  e  in altri post  del  blog  in occasione di tale  giornata    le  foibe  e   l'esodo  delle popolazioni dalmate  \  istriane    vanno ricordate  non   a senso unico   cioè ad  uso e  consumo ideologico . Ma  nella  sua interezza fra  ciò che   c'è  stato prima  La composizione etnica della Venezia Giulia e Dalmazia.,  la  Grande Guerra e annessione all'Italia ,Il biennio rosso e il "fascismo di confine" , L'italianizzazione fascista , L'invasione della Jugoslavia ,La nascita della resistenza jugoslava , Repressione, conflitti etnici e crimini contro i civili,le stragi  dell'esercito   italiano stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale Roatta con la  collaborazione  e  il supporto  di   Ante Pavelic, la  gestione e  la creazione  i leger di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar,  Rab. Furono creati campi anche in Italia, per esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso)Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova degli itraliani le  vendette   personali   dopo   il 25 luglio  e  l'8 settembre  1943 , l'armistizio e prime esecuzioni , I ritrovamenti dell'autunno 1943 ,L'armistizio in Dalmazia,  i campi  di transito  e  i lager   tedeschi  non dimentichiamo  che  primo levi prima  di andare in germania  era passato da  Fossoli )  
) e  quello  che   ci fu dopo (  Gli eccidi contro la popolazione italiana , L'occupazione tedesca della Venezia Giulia e l'Ozak, Autunno 1944: Ritiro dei tedeschi dalla Dalmazia,Primavera 1945: l'occupazione della Venezia Giulia  da parte  dei  comunisti , Gli eccidi a Trieste ed in Istria,situazione  di Gorizia e provincia,  Fiume )  
 Tutte  situazioni specie  le  ultime   che portano   all'esodo  popolazioni  istriane   E   per     finire  la  guerra  fredda   tra  Usa  e  Urss      che fece cadere  il  silenzio   salvo  che  i nazionaisti   italiani  )  su tali  argomenti   . fino alla istituzione della  giornata del ricordo
Ma    vedendone  l'altro alto della  medaglia potrebbe     anche essere  un tentativo  di   guardare  avanti    oltre  il dualismo ideologico  che  ha caratterizzato  (  e caraterizza  )    queste   due  date  senza    per  questo  dimenticare   ciò  che  essi  sono stati  .
 Solo cosi eviteremo o  almeno  ridurremo   drasticamente   fenomeni  come    :
  • scontro tra ideologie
  •  strumentalizzazioni   ed uso politico  d'avvenimenti  tristi e ddolori   come questi 
  •  ragazzi\e  liceai   che   intorno al 27 gennaio di ogni anno, da qualche tempo a questa parte, masse di giovani pseudo-studenti, provenienti dalle scuole di tutta Italia, blaterano per stradao  su i social  , dicendo: «aeh, mi devo sciroppare un’altra volta la pippa sugli Ebrei  \  o sugli infoibati ?». Opeggio  fare  "  filone "  a scuola  quandi  si celbreranno il 27  gennaio e il  10 febbraio ., o andranno  a  visitare con lke  ascuole  i  campi  di cncentramento   solo per farsi una gita  



3.2.15

L’ultima disfida della montagna “Basta elicotteri usati come skilift”

  Leggo   sempre  più alibito  alla cretineria   che può arrivare la  smania  del  denaro e  dell'estremismo  

 da repubblica del  2\II\2015

Dilaga l’heliski: 250 euro per farsi portare in vetta e riprendere a valle. “Rischio slavine, vietiamolo”



DAL NOSTRO INVIATO
LUIGI BOLOGNINI
TORRE SANTA MARIA (SONDRIO).

Con ciaspole e pelli di foca per battere l’elicottero. È la protesta andata in scena ieri in provincia di Sondrio contro l’eliski,pratica che abbina lo sci su percorsi non battuti e l’uso dell’elicottero come skilift. Già il fuoripista può provocare valanghe, chiaro che la situazione si complica se lo si fa con un apparecchio che sposta masse d’aria e quindi di neve fresca, inquina zone incontaminate, terrorizza a morte gli animali in letargo e rende più spericolati anche sciatori poco esperti.
Però questo importa poco a chi lo pratica: il costo non è basso (si parte dai 250 euro a persona,poi dipende a quante risalite si prenotano) ma muovendosi in gruppo lo si può spalmare,e arrivare in cima a un dosso in elicottero per scendere sci ai piedi è molto scenografico.      
E molto pericoloso, malgrado pressoché ovunque siano obbligatorie la presenza di una guida e una dotazione di ricetrasmittenti e zaini Abs per ritrovare più in fretta possibile chi viene travolto dalla neve. Precauzioni che due settimane fa non hanno impedito a quattro turisti a Livigno di finire sotto una
slavina che ha ucciso uno di loro, uno svizzero di 34 anni. Il malumore degli alpinisti più ortodossi
strisciava da tempo, ma la tragedia ha rinfocolato i dibattiti,
amplificati anche dalla decisione del Collegio lombardo delle guide di patrocinare un festival
di fuoripista che si terrà proprio a Livigno e dove si potrà praticare anche l’eliski. Risultato,
Popi Miotti, storico alpinista della provincia di Sondrio, si è dimesso da guida: «È ora di ribellarsi
agli atti di spadroneggiamento sulla montagna», ha detto ricevendo l’appoggio del Cai locale. E ieri all’alba Miotti è stato tra i tanti partecipanti di una manifestazione in Valmalenco contro l’eliski: dal fondovalle nel comune di Torre Santa Maria si è saliti fino alla vetta del sasso Bianco, quota 2.490
metri, solo coi classici metodi,ciaspole e pelli di foca.
«Una iniziativa simbolica — dice il promotore, la guida Michele Comi — per mostrare il
volto possibile della nostra montagna, per assaporarne il tempo e il silenzio, per testimoniare
quanta importanza ha quest’ultimo frammento di integrità che ormai scarseggia e
diventa preziosa. L’eliski è solo una parte del problema generale,che è il consumo della montagna, la frenesia con cui la viviamo, spesso con i motori ». E non è un problema solo italiano. Anzi, in un certo senso sì: l’eliski è vietato in Francia e ferreamente regolamentato in Austria e Svizzera. In Italia è legale, o per la precisione non è illegale (a parte la regione autonoma Trentino-Alto Adige), e il risultato è che gli stranieri vengono qui a praticarlo. «Nelle ultime settimane — rivela Comi
— ho ricevuto diverse telefonate di guide austriache e tedesche che mi chiedevano informazioni
sull’innevamento per la pratica dell’eliski da noi. Ci usano come terra di conquista:
ci sono agenzie di viaggi estere che vendono pacchetti completi in Valmalenco, anche in aree
protette dove già scorrazzano le motoslitte».
I sostenitori dell’eliski, turisti a parte, sono tanti operatori del settore che guardano all’opportunità
economica: gli stranieri portano soldi, e non pochi. «Un ragionamento che capiamo e rispettiamo — dice Comi — Ma se si devasta il territorio alla fine il turismo finisce». E per questo la protesta, morbida ed ecologica, si allargherà: «Ieri non hanno partecipato solo valtellinesi,
ma anche gente di altre zone alpine dove l’eliski è un problema. L’idea è di manifestare
a rotazione sulle varie  montagne italiane »


secondo me  ha ragioione  Mauro Corona


CHE GRAN FISCO DE ‘NA MIGNOTTA! L’AGENZIA DELLE ENTRATE FA I CONTI IN CHIAPPA ALLA ESCORT E LE NOTIFICA UNA SANZIONE DI 70 MILA EURO PER NON AVER PAGATO LE TASSE DAL 2009 AL 2014

Ho pensato di parlare  di prostituzione  e sesso  visto che tira  di più un pelo di .....  cioè    i post  più letti in rete   oltre ai  post  sui cani e  gatti    al gossip  , gli anticasta ,  complottisti ,    c'è  il sesso Infatti ,  incima   ai mie post  più letti   compare  al primo  posto, nonostante  siano passati quasi 4 anni  il caso dei film porno  di Sara  tommasi .Quindi  ho deciso di  dare spazio ( odem farò se  qualcuno\a  dio voi  è contrario a tale  cose  )   a    questo notizia preso da http://www.dagospia.com/
Però prima    ne  approfitto   per  ribadire  la mia idea di legalizzare  la prostituzione  ovviamente  quella  volontaria  e  maggiorenne .
Perchè a mio avviuso  è l'unica  soluzione   e  nel resto dell'Europa   specie    quella del nord   lo hnno capito   rispetto a noi  Italiani .  Solo  cosi  visto il fallimento delle politiche proibizioniste  erepressive    si  evitano    situazioni simili a quelle descritte sotto   , sfruittamento da  parte delle mafdie  e dei papponi ,  spettacoli vergognosi  lungo le strade  , violenze in case  chiuse   visto  che   punendo  i clienti  e  l'addescamento   esse  si nascondono  , ecc .
Inotre  aggiungo  io   mancati  introiti allo stato  perchè  non la liberarizziamo   e puniamo solo lo sfruttamento  ?
Ma desso bado alle  ciancie  e vediamo all'argomento in questione


 Andrea Rossi per “il Sole 24 Ore”
3 feb 2015 16:59

Alla donna sono stati riconosciuti 5 giorni di riposo forzato al mese, causa ciclo mestruale, e 30 giorni di ferie l’anno - Il mese lavorativo è di 25 giorni. Sono stati ipotizzati due clienti al giorno, con tariffa media di 70 euro - I conti sono presto fatti: per il Fisco la signora guadagna 3.500 euro al mese e poco meno di 40 mila all’anno




 


Quanto guadagna una escort? Dipende da quanti clienti ha, direte voi. Sbagliato. Dipende da un funzionario dell’Agenzia delle Entrate e dalle sue valutazioni. Per conferme chiedere a M. V., una prostituta cuneese di 37 anni, che si è vista recapitare dal Fisco una sanzione di 70 mila euro per non aver pagato le tasse dal 2009 al 2014. Le hanno fatto i conti in tasca. Anzi, sotto la gonna.??
«Un giorno hanno suonato alla porta di casa. Erano i carabinieri. Mi hanno detto che avevano letto il mio annuncio su un giornale. Non capivo che cosa volessero». I dubbi si dissolvono in un amen. «Mi hanno chiesto se davvero sono una escort. Che domande, certo che sì, non vedo perché dovrei nascondermi». ?
IL CONTEGGIO?
AZZURRA - ESCORT

                                  AZZURRA - ESCORT
Fine della visita e inizio dei guai. La pratica passa all’Agenzia delle Entrate che aveva disposto le verifiche controllando gli annunci pubblicitari pubblicati su alcuni giornali. Del resto la signora, italiana, ha un lavoro, ma non dichiara alcun reddito e - di conseguenza - non versa un euro di tasse. Il problema però non è di poco conto: quanto lavora una escort? Quanto guadagna? Impossibile saperlo: non esistono passaggi di denaro tracciati. E allora come si calcola ?


Un bel dilemma, che un funzionario di Cuneo risolve con un calcolo spannometrico e anche molto discrezionale. Dunque, considerato che la signora è a riposo forzato per cinque giorni al mese, causa ciclo mestruale, si può ipotizzare che lavori 25 giorni. Vogliamo concederle trenta giorni di ferie l’anno? Sembra ragionevole.
escort
escort
Poi tocca scendere ancora più nei dettagli: quanti clienti riceverà in un giorno? Potrebbero essere due, uno al pomeriggio e uno la sera. E che ciascuno paghi una tariffa di 70 euro. I conti sono presto fatti, a questo punto: la signora guadagna 3.500 euro al mese e poco meno di 40 mila all’anno.
 Il tutto esentasse, ovviamente.?Ed ecco che scatta l’accertamento tributario: poiché la donna è una libera professionista l’Agenzia delle Entrate le contesta di non aver versato le imposte sul reddito di impresa. E le presenta il conto: 70 mila euro, multecomprese.?Inutile scucire informazioni alla signora.
«Quanto guadagno sono affari miei». Inutile anche dire che - avendo due appartamenti di proprietà, e rischiando quindi il pignoramento - la donna s’è precipitata da un avvocato e ha fatto ricorso alla commissione tributaria provinciale. L’ha pure vinto: secondo i giudici l’accertamento era scorretto e quindi doveva essere annullato. ?La regolamentazione?Per versare le imposte, M. V. dovrebbe avere almeno una partita Iva.
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«Sì, ma ha mai provato ad andare alla camera di Commercio? Non sanno nemmeno in quale categoria inquadrarci. Dove ci inseriscono, tra le attività di servizio alla persona?». Regolarizzare la propria posizione, per una escort, è un’impresa. Ed è l’appiglio cui si sono agganciati l’avvocato Emiliano Riba e il tributarista Ivan Tosco che hanno assistito la donna nel ricorso. «Finché la prostituzione non è un’attività regolamentata non è possibile chiedere il pagamento delle tasse», spiega Riba.
 «È vero che così si sottraggono al Fisco diversi milioni di euro, ma l’Agenzia delle Entrate non può sottrarsi al Parlamento. Il suo è un tentativo un po’ maldestro».?Anche in questo caso i funzionari del Fisco ripeteranno il mantra diventato abituale in Italia: ce lo chiede l’Europa.
 n effetti, l’Unione europea considera tassabile il reddito derivante dalla prostituzione. Peccato che, tanto per cambiare, l’Europa si è ispirata alla Germania, in cui l’attività è regolarizzata dal 2002 e dove escort e prostitute pagano le imposte ai Comuni e ai Länder. Con grande gioia dei sindaci: Colonia, prima città a introdurre un’apposita tassa, incassa oltre un milione all’anno

Dagli archivi della Casa Bianca emerge un telegramma inviato dalla star di Hollywood alla coppia presidenziale. Ma i Regan dissero NO

  fno a che punto  l'amicizia può arrivare ?  , mi chiedo leggendo  questa  storia 

Dagli archivi della Casa Bianca emerge un telegramma inviato dalla star di Hollywood alla coppia presidenziale.

 
Rock Hudson (a sinistra) con Nancy e Ronald Reagan
1985: Rock Hudson sta per morire di Hiv e chiede aiuto al suo amico Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti. Vorrebbe partecipare a una cura sperimentale contro l'Aids, in Francia. La risposta della coppia presidenziale è netta: "No". Ora emerge un telegramma, rintracciato negli archivi della Casa Bianca, che riporta la disperata richiesta di aiuto, e sembra che sia stata proprio Nancy Reagan a decidere di non tendere la mano alla star di Hollywood. La scusa: non si possono chiedere raccomandazioni per i propri amici per qualcosa che non si può garantire a tutti gli americani. Dietro, invece, ci sarebbe l'imbarazzo per l'omosessualità dell'attore.

Freelance: giovani non più giovani professionisti dell'oggi La storia di Eleonora Casula

Anche i frelance sono giornalisti . Soltanto che sono , per esperienza personale i più liberi . Essi sono " una categoria " Dimenticati dal Jobs Act ci sono giovani che non si sono arresi prima e non si arrendono ora. Stay hungry, stay foolish , citando Steve Jobs è il leit motiv della nuova generazione di creativi della rete. Inventarsi un lavoro non è facile occorrono coraggio e perseveranza, una buona dose di formazione e di coaching. Nessun timore per tasse, casse, INPS, ritenute e tutto ciò che comporta avere una Partita Iva. Mettersi in gioco, lanciarsi su un mercato, provare a lavorare in modo indipendente e con i propri strumenti è possibile, ma lo è solo ed esclusivamente se si ha la giusta formazione, il giusto carattere e sopratutto una ottima conoscenza della rete e dei suoi infiniti piccoli e grandi segreti. Tra i giovani c'è chi è in grado di ritagliarsi uno spazio professionale. Un caso, quello di Eleonora, libero professionista e Partita Iva del settore comunicazione. Internet, la rete, la comunicazione, la fantasia, la capacità di scrivere, la conoscenza di più lingue straniere, queste le sue risorse. Ecco la storia di una di loro Eleonora Casula  (  foto  sotto  ) 

Eleonora, , ha iniziato il suo viaggio nel mondo dei freelance, un po' per gioco, un po' per noia ma
sopratutto per amore.
Stanca di inviare curriculum, rispondere a proposte di candidatura e non ricevere mai una richiesta
di colloquio, diversi anni fa Eleonora ha deciso di provare da sola a costruire la propria
professione. Un solido percorso di formazione e piccole collaborazioni, spesso gratuite o
frequentemente non pagate sono stati un ottimo background per tentare.
Provare, provare sempre, mettersi in gioco quotidianamente, la sua ricetta, quella di brava
freelance.
Scrivere per il web non è un gioco da ragazzi ma significa: riuscire ad intercettare al meglio
algoritmi complessi; creare una buona campagna di web marketing. Grazie alla buona conoscenza
del Seo è possibile lavorare bene e sopratutto soddisfare le esigenze del cliente. Oggi con internet
anche la figura dell'addetto stampa cambia, un testo per avere visibilità deve essere realizzato in
chiave Seo e deve soprattutto essere accattivante così tanto da poter stimolare una ipotetica viralità
anche nelle testate o negli spazi che lo rilanceranno.
Eleonora comunica, in tutti i modi possibili e probabili grazie alla rete. Scrive, pubblicizza, crea
contenuti, posiziona al meglio siti aziendali e personali, prodotti e sopratutto soddisfa le necessità
di chi vuole avere la giusta visibilità online.
Dalle campagne stampa tradizionali a quelle più innovative attraverso tutti i media raggiungibili,
dalla carta stampata alla radio, alla televisione e ai blog. Crea e gestisce pagine social, rivestendo il
ruolo di social media manager; genera campagne pubblicitarie di web marketing per privati e
agenzie; cura la comunicazione politica attraverso internet per singoli o partiti.
Eleonora si definisce una creativa della rete, una web writer, content editor, web marketer, digital
PR ,social manager e addetto stampa nel mondo 2.0. Flessibile, una flessibilità intelligente e non
casuale. Eleonora come ogni freelance continua la ricerca di collaborazioni per accrescere le
conoscenze e per scoprire nuove realtà al www.webjournalist.eu

la  trovate   oltre  che  sul suo sito   anche su  facebook   
come  Redazione presso

Serve ancora il giorno della memoria ?

 Dopo  quest fatti  
  da  Milano repubblica   del 2\II\2015

Milano, scritte antisemite contro il convegno sulla Brigata Ebraica: la denuncia del Pd

L'atto vandalico alla sede della Provincia denunciato dal Pd milanese. Bussolati: "Condanniamo ogni provocazione contro una pagina importante della guerra di Liberazione dai nazifascisti"


"Non ci fermano e non ci condizionano le scritte ingiuriose apparse nottetempo davanti a Palazzo Isimbardi, in vista della conferenza sulla Brigata Ebraica". Il Pd metropolitano milanese così prende posizione sulle scritte comparse ('Sionisti assassini') su palazzo Isimbardi, dove prende il via la serie di eventi del programma di 'Bella Ciao Milano!', l'iniziativa promossa dal Partito Democratico Area Metropolitana di Milano per ricordare, celebrare e narrare il 70° anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. continua   qui

 Mi "  marzuullo  "  cioè mi faccio domanda e risposta   se    come   suggerisce  ,  questo articolo   di http://caratteriliberi.eu/   che trovate  sotto    di   cui ho ripreso  apposta    il titolo . 
N.B
 Ho riportato   integralmente  l'articolo in quanto   la risposta  che  do' alla mia domanda elucubrartoria  e  forse  ovvia  \ scontata   per  me  chje ricordo  a  360  la  giornata del 27  gennaio di  ogni anno  stessa     è alla fine  più  precisamentre  : << ( .....)   questa delega alla memoria ebraica mostra una sempre più scoperta vocazione a collocare l’intera storia della Shoah in una storia ebraica e solo ebraica. Quasi che anch’essa vada assegnata al dolore “privato” di ciascun popolo che la storia ha nel tempo percosso e offeso, non importa neppure in che misura.
Eppure, se non si prende coscienza del fatto che il carattere mostruosamente inedito di quello sterminio riguarda l’intera Europa, compresi soprattutto i non ebrei, la Shoah continuerà a restare inesplicata, macigno rimosso che continuerà a gravare sulla coscienza pubblica e privata d’Europa, ombra pesante al cui riparo altre ombre potranno di nuovo allungarsi. >>

                        Serve ancora il giorno della memoria  ?
                         di Marco Brunazzi

Da tempo alcuni intellettuali ebrei in Italia (David Bidussa, Alberto Cavaglion, Elena Loewenthal e non pochi altri) si interrogano su quella che a loro pare la progressiva irrilevanza culturale e sociale di quella commemorazione e la sua perdita di significato etico-civile.
Non si tratta soltanto dell’effetto saturazione o, peggio, di”business”, peraltro, in vario modo e peso presenti entrambi. Si tratta proprio della constatazione della distorsione che si sta determinando, pur con le migliori intenzioni delle istituzioni, delle finalità stesse dell’iniziativa e della sua legge istitutiva, ormai quindici anni fa.
In sostanza, si constata che per troppi quelle commemorazioni sono percepite ormai come risarcimenti simbolici agli ebrei vittime della Shoah e dunque come qualcosa che riguarda “loro” e non “noi” e quindi, tutto sommato, persino stucchevoli: dopo tutto, che ognuno pianga i suoi morti e non ci stia a importunare oltre. Ovviamente, le vittime non ne hanno alcun bisogno, in quanto tali, ma sono tutti gli altri, le non-vittime che ne avrebbero sempre più bisogno. Infatti, il nodo della memoria della Shoah è il nodo irrisolto della domanda su come sia potuta accadere quella mostruosità incrociata di “barbarie e modernità”. E tutto ciò nella “dotta e civile Germania”, come scriveva Thomas Mann, ma per estensione collaborativa anche da parte di tutti i”volenterosi carnefici” in tutta Europa, Italia compresa.
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 dalla rete  un estratto del film  Il bambino con il pigiama a righe di   Mark Herman Usa  2008        
 
Qui sta appunto il problema, il comandamento ebraico della memoria riguarda certamente un imperativo di sopravvivenza culturale di un popolo da duemila anni almeno esposto alla minaccia dell’annientamento (violento o per assimilazione più o meno pacifica). Ma per l’Europa tutta quel dovere di memoria non dovrebbe affatto essere soltanto un atto di dovuta solidarietà per “le povere vittime”. Al contrario, dovrebbe essere un serio tentativo di fare i conti, finalmente, con le radici oscure di un passato che si crede di demonizzare su qualcuno soltanto (i nazisti, in primis, certo) ma senza alcun serio sforzo di analisi sulle origini e natura di quel terreno fecondo (culturale, politico, sociale) che nutrì il nazismo e il razzismo omicida che ne scaturì. E poiché questa autocoscienza riguarda tutti, ma innanzitutto quei paesi che posero mano per tempo all’edificio ignobile del razzismo antisemita (tra cui l’Italia, con le sue leggi del 1938 e l’attivo concorso alle deportazioni verso i Lager da parte della Repubblica neofascista dopo l’8 settembre 1943), forse occorre che anche in Italia si cominci a ragionare senza più compiacenti indulgenze.
Da parecchi anni la letteratura storiografica ha affrontato il tema delle leggi antiebraiche del 1938 in Italia (le c.d. leggi razziali) e valga citare, tra le prime e più accurate, le ricerche di Michele Sarfatti. Così, il complesso lavorìo che portò a quella odiosa legislazione è oggi riscontrabile in tutti i suoi aspetti politici, giuridici e amministrativi.
Grazie a tali ricerche appaiono oggi ormai inadeguate e superate le spiegazioni che puntavano sulla occasionalità e superficialità di decisioni attribuite essenzialmente all’ondivago umore di Mussolini in materia.
E così pure smascherata si rivela l’infondatezza della opinione, presentata quasi come senso comune, per la quale quelle leggi sarebbero state in complesso blande e tali da non arrecare grave nocumento alla vita degli ebrei italiani, per i quali invece la sciagura della deportazione nei Lager e della persecuzione anche cruenta sarebbero iniziate soltanto con l’occupazione tedesca e soltanto per causa esclusiva dei Tedeschi stessi.
Al contrario, le gravi responsabilità del regime fascista, sia prima dell’8 settembre 1943 e soprattutto dopo, con l’instaurazione della Repubblica Sociale Italiana, sono oggi chiaramente individuate e documentate.

Certo, ancora aperto resta il dibattito sulle ragioni decisive che indussero Mussolini a quella svolta, anche se qui oramai il problema non si pone più nei termini esclusivi e deterministici ancora presenti nella storiografia meno recente (come nel pur apprezzabile e originale lavoro di Meir Micaelis, per esempio).
In realtà, a quel passo concorsero, sia pure con intensità, tempistica e gradazioni diverse, una molteplicità di fattori che andavano dall’antisemitismo latente (ma non troppo) nella cultura fascista alle esigenze di politica estera non meno che di quella interna e di riposizionamento del partito fascista in vista di una guerra ormai ritenuta comunque imminente e, presumibilmente, da condursi a fianco della Germania nazista.
In questo quadro, finalmente preciso e documentato, hanno da tempo assunto crescente rilevanza le vicende dei “giusti” che si prodigarono, non di rado con grave rischio personale, per recare soccorso e salvezza agli ebrei perseguitati e ricercati per essere avviati alla deportazione. Tali vicende hanno spesso occupato e con larga risonanza l’informazione e la divulgazione pubblicistica.
Non infrequenti sono state anche le trasposizioni letterarie e cinematografiche (basti citare la storia di Perlasca o quella, in realtà tuttora controversa, di Palatucci). Anche la memorialistica ha apportato, in misura crescente, nuovi contributi, così come le stesse procedure avviate, da parte ebraica, per pervenire al riconoscimento ufficiale del ruolo di “giusto” nei confronti di personaggi prima sconosciuti anche se, per altre ragioni, di storica notorietà (basti citare il recente caso del campione del ciclismo Gino Bartali).
D’altra parte, che tali riconoscimenti siano oggi accolti molto favorevolmente dall’opinione pubblica italiana è facilmente comprensibile, ma non solo per l’ovvia soddisfazione di vedere così migliorata l’immagine della propria identità etico-civile in sede storica.
In realtà, questi riconoscimenti sembrano poter confermare e corroborare la vulgata da tempo presente nella memoria diffusa e nel senso comune. Che cioè gli italiani non sono mai stati antisemtiti, tranne frange estreme del fascismo più filonazista; che le leggi razziali vanno addebitate totalmente alla spregiudicatezza politica del Duce e ai suoi errati calcoli opportunistici per compiacere l’alleato tedesco; che sino all’occupazione tedesca “nessun ebreo perse la vita per causa di tali leggi”; che di fronte alla brutalità nazista all’opera nell’Italia occupata la stragrande maggioranza degli italiani, civili e religiosi, antifascisti e anche fascisti, si prodigarono per mettere in salvo quanti più ebrei poterono.
Queste semplificazioni storiche sono da tempo smascherate, dalla storiografia più attenta, per quelle che sono: mezze verità che sono anche, inevitabilmente, bugie intere, raccontate con finalità autoconsolatorie e di “giustificazionismo” per una storia altrimenti troppo imbarazzante.
In tali edificanti racconti non hanno quasi mai posto le numerose delazioni che, per denaro o qualsivoglia altra ragione, consegnarono invece non pochi ebrei ai loro carnefici; per non parlare dell’attivo ruolo svolto dalle istituzioni e dalle varie autorità civili e militari della RSI nella ricerca, cattura e consegna delle vittime al loro destino.
Si ha insomma l’impressione che in tutta la storia sciagurata e tragica delle persecuzioni contro gli ebrei italiani continuino a mancare alcuni tasselli fondamentali. Primo fra tutti quello di una indagine più capillare della rappresentazione dell’ebreo nell’immaginario italiano del 1938 e poi anche dopo.
Naturalmente, molto è stato finora indagato, anche a livello documentario, dalla storiografia più recente, ma molto deve essere ancora ricercato. Ad esempio in quelle minute notizie di cronaca locale nelle quali spesso si nasconde l’ombra del pregiudizio, pur se solo indirettamente richiamato. Né andrebbe trascurato il lessico corrente, specialmente là dove la natura del suo luogo di elezione (la comunicazione pubblicitaria, quella di intrattenimento, ecc.) potevano facilmente e subdolamente (persino inconsapevolmente) veicolare messaggi di sottinteso razzismo antiebraico.
Si vuole dire insomma che un fenomeno come quello dell’inaspettato irrompere di un antisemitismo istituzionale in una società apparentemente sino allora esente, complessa e articolata come quella italiana (e sia pure costretta nelle forme di un regime autoritario e tendenzialmente totalitario), richiede un supplemento di analisi che tenti di andare più a fondo nella comprensione della “dimensione “molecolare” di quell’evento stesso.
Come è potuto accadere tutto ciò, anzi, che cosa è accaduto davvero in una realtà di diffusa e profonda assimilazione della minoranza ebraica, di fronte all’ improvviso ribaltamento formale e sostanziale di quella stessa realtà? La memorialistica e la sua rielaborazione letteraria (pur di dignitosa qualità e onestà autocritica, si pensi ad esempio a “La parola ebreo” di Rosetta Loy) non paiono sufficienti a fornire un quadro adeguato.
Si consideri che, a tale scopo, assai più significativo e probante del punto di vista degli ebrei italiani e della loro memoria (necessariamente sofferta, oscillante, soprattutto nei primi anni dopo la fine della guerra, tra rimozione e minimizzazione) sarebbe stato fondamentale scandagliare il punto di vista degli italiani non ebrei. Qui le stesse fonti memorialistiche sono scarse e troppo spesso autoassolutorie rispetto alla diffusa passività con le quali quelle leggi infami furono accolte.
Oramai è troppo tardi, per le ovvie ragioni del venir meno fisiologico dell’era del testimone, ma si pensi quanto sarebbe stato interessante avviare una sorta di questionario diffuso, almeno tra gli “opinion makers”del tempo. Giornalisti, insegnanti, magistrati, avvocati, operatori sociali e culturali, che provassero onestamente a raccontare come vissero, pur nel silenzio e nella imperturbabilità delle forme esteriori del loro vivere civile e professionale, quella inaspettata “novità”. Novità che non era solo normativa, ma di sovversione di un costume, di una pratica di relazioni condivise, di un codice etico implicito oltre che esplicito. Oggi possiamo soltanto tentare di coglierne qualche riflesso nelle avare testimonianze documentarie e memorialistiche, ma con tutti i limiti prima ricordati.
E anche per il tempo dell’occupazione nazista, quanto effettivamente è rimasto di quelle delazioni, quali tracce, non soltanto nelle rare, sfuggenti e ambigue carte, ma nella memoria personale di chi seppe, di chi tacque, di chi rimosse una vicenda subito collocata nel generico contenitore dei “mali” della guerra?
Insomma, nonostante i reiterati “giorni della memoria”, continuiamo a sapere ben poco di ciò che realmente accadde nella coscienza degli italiani del tempo.
Eppure, l’antisemitismo (come altri pregiudizi, del resto) non è mai riducibile alla sua dimensione istituzionale e formale. Esso presuppone una ben più grande e profonda estensione sottostante, proprio come la scontata immagine dell’iceberg può utilmente suggerire.
Il fatto è che qui entra in gioco l’autorappresentazione storica di una società, prima ancora che di un popolo (termine di per sé già ambiguo e di scarsa maneggiabilità scientifica). Di fatto, tale autorappresentazione continua ad essere affidata alle fonti ristrette delle retoriche del discorso politico-culturale e delle sue finalità moralistiche e consolatorie, senza alcun vero tentativo di indagine sul campo.
Si badi che tale problema, di uno sforzo tuttora latitante per spiegare la realtà di una vicenda che ha segnato orribilmente la storia europea del ventesimo secolo, non riguarda solo l’Italia. Dalla Francia alla Polonia, tanto per citare due altri importanti paesi, pur con le loro distinte peculiarità, questo stesso sforzo è apparso tardivo e ancora incompleto.
E’ come se la coscienza pubblica e privata degli europei tutti cercasse di sottrarsi ancora, a quasi ottant’anni dagli eventi, a quel doloroso compito di elaborazione di un lutto che le generazioni di allora e di dopo non seppero e non vollero affrontare sino in fondo.
Così, ci si continua di fatto ad affidare all’imperativo ebraico della conservazione e trasmissione della memoria, per non lasciar cadere nell’oblio della banalizzazione e della insignificanza comparativa l’altrimenti inesplicabile e “aliena” Shoah.
Ma questa delega alla memoria ebraica mostra una sempre più scoperta vocazione a collocare l’intera storia della Shoah in una storia ebraica e solo ebraica. Quasi che anch’essa vada assegnata al dolore “privato” di ciascun popolo che la storia ha nel tempo percosso e offeso, non importa neppure in che misura.
Eppure, se non si prende coscienza del fatto che il carattere mostruosamente inedito di quello sterminio riguarda l’intera Europa, compresi soprattutto i non ebrei, la Shoah continuerà a restare inesplicata, macigno rimosso che continuerà a gravare sulla coscienza pubblica e privata d’Europa, ombra pesante al cui riparo altre ombre potranno di nuovo allungarsi.


ecco perchè il film TORNERRANNO I PRATI di Ermanno Olmi non ha creato ( almeno in ITalia ) dibattiti sulla grande guerra

L'intervista esclusiva di Fabio Falzone a Ermanno Olmi in occasione dell'uscita del suo nuovo film “Torneranno i prati”. Lo speciale è arricchito da immagini inedite e coinvolgenti dal set del film, girato in condizioni ambientali e climatiche estreme.
per  sicurezza   metto anche il codice    d'incorporamento di youtube


Su Pier Paolo Pasolini troppa retorica e uso pro domo suo .Meglio non leggerlo o leggerlo dopo i bla bla ufficiali del potere

  stavoltas  concordo  conquanto dice      MASSIMO ONOFRI (  foto a destra  )   nella  sua rubrica  contro amno su la nyuova   sardegna  del  2\2\2015


Il ministro Franceschini ha istituito il comitato per celebrare il quarantennale della morte di Pasolini. Niente da dire sui nomi: a cominciare da quello del presidente, Dacia Maraini,per finire con quello di Emanuele Trevi. Non ho mai visto tanto zelo ministeriale per un quarantennale:per il cinquantenario,
l’alfiere, cioè, d’un nuovo conformismo,il conformismo dell’anticonformismo, buono per qualsiasi salotto televisivo alla Fabio Fazio. Tra parentesi: credo che farebbe assai bene a Pasolini, e anche a tutti noi, se smettessimo di leggerlo per unpo’. Ogni retorica anti moderna, di destra o di sinistra che sia, passa ormai per qualche citazione da lui ricavata. E sempre la più banale.
allora,che arriveremo a fare? Ma la questione è un’altra: non credo che sia una buona cosa, dico per l'intelligenza e la cultura,per la libertà e la poesia,la costituzione di comitati di Stato per glorificare intellettuali che, come Pasolini, furono eretici nell’arte e nella vita,e fieri avversari del Potere, in qualsiasi forma si palesasse. Uncomitato di Stato per Pasolini è, per qualsiasi autore scomodo al potere ( corsivo mio ) innanzi tutto, un’offesa per Pasolini e per tutto quanto ha rappresentato. Tanto più ora che il grande friuliano è diventato un’icona di questa sinistra veltroniano-renziana,l’alfiere, cioè, d’un nuovo conformismo,il conformismo dell’anticonformismo, buono per qualsiasi salotto televisivo alla Fabio Fazio. Tra parentesi: credo che farebbe assai bene a Pasolini, e anche a tutti noi, se smettessimodi leggerlo perunpo’. Ogni retorica anti moderna, di destra  o di sinistra che sia, passa
ormai per qualche citazione da lui ricavata. E sempre la più  banale.

2.2.15

Su un ponte in Iraq i 'lucchetti dell'amore', così si sfida l'oscurantismo dell'Is. Un simbolo del macchino occidentale diventata in oriente sombolo di resistenza culturale al fondamentalismo islamico del'Iss



leggendo  repubblica  d'oggi    nbo letto unnarticilointeresanre    ma essendo   ndlla versione a pagamento   ed essendo http://avaxhm.com/newspapers/rpbblc20150202.html  intasato e  lento da  
da dove sono riuscito a   copiarlo solo con il  sistema  png   .

scaricare   ,  ho  cercato in rete   ed  l'ho trovato sulla  rasegna stampa di    www.zeroviolenza.it  .  Ecco che allora    cercando l'articolo   da altere parti   , ho trovato  la notizia    dalla pagina facebook degli amici del UAAR ( unione atei agnostici  razionalisti  ) .Tale fatto   che  costituisce  il post  \  articolo d'oggi  . Per me  è  si  una bella notizia  , ma  mi fa cadere le braccia  e  mi sconforta  nel vedere  come un simbolo del consumismo  e   del " macchino " occidentale   sia  diventato  anche un  simbolo di  resistenza cuylturale  ai  fondamentalismi  .Ma  il mio spirito di  guerriero culturale  e  antifondamentalista   fa  sdi che   io  che odio i libri di Moccia e  tuttto quello  d'esso derivato.( non mi soffermo  perchè ne ho parlato  abbastanza  in questi   11   di blog   ed  altrove nella rete   ) , racconto   questa  storia   che pur  immersa  nella  globalizzazione culturale  occidentale  è sintomi di resistenza  al fondamentalismo  e  ad uan visione   radicale  e  folle  della   religione   \ cultura islamica. Ma  ora  basta perdersi in chiaccherare  e vediamo all'articolo in se  .

dalla  pagina  Fb di UAAR

Prove di resistenza all'oscurantismo da Bassora, in Iraq. Il giovane Ayman Kharim ha chiesto e ottenuto dal comune di poter restaurare un ponte, quindi ha lanciato l'iniziativa di posizionare dei lucchetti "dell'amore" (per il partner o i parenti) su una rete metallica, che ha ottenuto un certo successo. Ma ad Ayman sono addirittura arrivate minacce di morte e un gruppo di uomini ha gettato la rete nel fiume. Lui non si scoraggia e rilancia per San Valentino: "C'è bisogno di lanciare il messaggio che anche nella situazione in cui si trova oggi l'Iraq, c'è amore e c'è gentilezza". Alla faccia degli integralisti.



  che    riporta   un articolo di http://www.adnkronos.com/aki-it/cultura-e-media/2015/01/31/
Articolo pubblicato il: 31/01/2015

Anche nell'Iraq scosso da una scia interminabile di violenza e brutalità c'è spazio per l'amore. I jihadisti dello Stato islamico impongono la loro morale oscurantista in gran parte del nord del paese e bussano alle porte del Kurdistan e della capitale Baghdad. L'eco delle violenze arriva fino al sud, ma a Bassora c'è chi non si scoraggia e non ha paura di importare dalle capitali europee la moda dei 'lucchetti dell'amore'.
Ayman Kharim è un ingegnere di 26 anni e la scorsa estate si è innamorato di una ragazza conosciuta su Facebook. "Ero felice - racconta - e volevo condividere il mio amore con tutti". Così si è ricordato di aver letto della moda diffusa in Italia, a Ponte Milvio, o a Parigi, sul Pont des Arts, dove gli innamorati fissano un lucchetto sulle balaustre e gettano la chiave nel Tevere o nella Senna, giurandosi amore eterno.
Non è stato facile replicare l'iniziativa a Bassora, dove è presente una componente sciita molto
conservatrice e dove spadroneggia una milizia sciita chiamata Asaib Ahl al-Haq. Ma Ayman non si è scoraggiato. Insieme ad alcuni amici, ha chiesto e ottenuto dal comune di poter riparare e restaurare un ponte sul fiume Shatt al-Arab, affluente del Tigri e dell'Eufrate.
Il gruppo ha applicato una rete di metallo su un lato del ponte e a settembre scorso ha organizzato una festa a base di musica e poesia, lanciando l'iniziativa dei lucchetti. Il successo è stato enorme. Centinaia di 'lucchetti dell'amore' sono stati applicati alla rete in poco tempo.
La notizia si è diffusa in tutto il paese e la gente ha cominciato ad arrivare da Baghdad, da Amarah, da Nassiriya, da Najaf per giurare amore eterno sul ponte. I lucchetti non erano affissi solo per il fidanzato o la fidanzata, ma anche per un genitore, per un fratello o per una sorella.
Ma l'iniziativa non è piaciuta a qualcuno e un giorno Ayman ha ricevuto una minaccia di morte. Una lettera firmata dal "popolo di Bassora" recitava: "Ti avvisiamo di stare lontano dal ponte, per te può essere molto pericoloso". Nella busta c'era anche un proiettile. I genitori di Ayman hanno cercato di convincerlo a rinunciare alla sua iniziativa e la madre, una politica locale, lo ha fatto controllare dalle sue guardie del corpo.
Poi un giorno un amico gli ha telefonato dicendogli di correre a quello che era ormai stato ribattezzato 'Ponte dell'amore'. Ayman ha appena fatto in tempo a vedere un gruppo di uomini a volto coperto che abbattevano la rete e la gettavano nel fiume.
La fama del ponte tuttavia non si è spenta. Da Baghdad ancora in tanti continuano a venire a Bassora per cercarlo. "Avevo visto le foto su Facebook ed ero venuto a mettere un lucchetto, fotografarlo e inviare la foto alla mia ragazza - dice il 25enne Haider Fadl, arrivato apposta dalla capitale - e ora vedo che tutto è stato abbattuto".
Ma Ayman non si scoraggia. E' intenzionato a rimontare la rete in tempo per San Valentino. "C'è bisogno - dice - di lanciare il messaggio che anche nella situazione in cui si trova oggi l'Iraq, c'è amore e c'è gentilezza". 

una mela al giorno , specie se senza pesticidi , toglie il medico di torno . il caso di Malles ( bolzano ): il primo Comune italiano libero dai pesticidi


  canzone  consigliata  \  in sottofondo    AltrItalia - Modena City Ramblers

http://www.italiachecambia.org/2014/09/malles-venosta-primo-comune-no-pesticidi/ 

Lo so che  la notizia  e  vecchia  ( settembre  \ ottobre  2014  )   ma    i media ufficiali \ maistream  l'hanno subito  fatto  scomparire   quello  che  è successo a  Malles Venosta 


da https://www.facebook.com/tzetze.politica
 : <<  un comune italiano di 5.123 abitanti dell'alta Val Venosta della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige. da Wikipedia >>
  da  https://www.google.it/
Ora   Speriamo che tale  esito del referendum   non sia  reso vano  e ritardato  da  garbugli  burocratici leggislativi  e forti pressioni   dei  grupi di potere   e  di politicanti lobbistici nel caso di quello sull'acqua e  sul caso  della fecondazione assistita   fatto fallire    ipocrtiti  \ opportunisti  falsamente  cattolici  e ligi   quand  gli conviene  ale gerarchie ecclesiastiche  che non solo lo  hanno fatto fallire  ma poi  cercano scuse  per  fare  i decreti attuativi  e nonapplicare le leggi e le sentenze     che    hanno smantelllato  la legge incivile    .  Speroamo cjhe tale fatto   sia  seguito anche  da  altri  comuni  , soprattutto del sud   che hanno  caratteristiche  produzioni  e  artiginali  
  da  

 Come è successo che un paese di cinquemila persone, prossimo al confine austriaco e svizzero, sia diventato un faro per il futuro dell'agricoltura ecologica in Europa? Semplice: i residenti non potevano più tollerare di vedere spargere pesticidi, stagione dopo stagione, intorno alle loro case, ai loro orti e campi. Alla fine, il comune ha ceduto alla crescente pressione sul problema e ha indetto un referendum: il 75% dei cittadini votanti ha scelto il bando di tutti i pesticidi dall'intero territorio comunale!

Non è sorpreso dell'esito del referendum Claudio Porrini, entomologo dell'Università di Bologna, esperto che lavora nella zona e conosce la situazione: "Gli apicoltori sono disperati per le morie che hanno falcidiato le arnie e che sono legate a un uso molto intenso dei pesticidi. E poi quelle sono valli strette, con i frutteti che si alternano a scuole, impianti sportivi, boschi".
"Per poter convivere bisogna ridurre progressivamente l'uso di fitofarmaci. Il trattamento con i pesticidi frena l'aggressione dei parassiti ma apre altri problemi. I fitofarmaci vengono distribuiti con botti: ne esce uno spray che solo in minima parte va a colpire il bersaglio, il resto si diffonde nell'ambiente. È chiaro che, se i frutteti stanno vicino alle case, l'opposizione cresce". - ha detto
 da greenpeace
 Porrini recentemente intervistato da La Repubblica. È facile quindi capire perché gli abitanti di Malles preferiscano rafforzare la produzione biologica piuttosto che continuare ad utilizzare pesticidi. Una decisione di così vasta portata incoraggia e incrementa il turismo sostenibile, permette di creare percorsi ciclistici ed escursionistici nella valle e le visite alle aziende agricole, facendo crescere i benefici per gli abitanti nella vallata.
E ancora più importante è l'esempio dato ad agricoltori europei che ancora usano pesticidi: applicare le pratiche dell'agricoltura ecologica per coltivare cibo sano in armonia con la natura è possibile.
Il Consiglio comunale di Malles dovrà ora valutare i necessari cambiamenti del regolamento municipale in seguito al referendum. Non sarà semplice, dato che come sempre arriveranno le pressioni - a colpi di diffide e diatribe legali - promosse da chi non vuole cambiare lo stato di fatto, ma è chiaro che la consultazione popolare potrebbe avere, in ogni caso, un effetto domino sull'intero distretto delle mele nel nord Italia. Ci congratuliamo quindi con la popolazione di Malles che ha
https://www.google.it/
promosso e vinto il referendum e speriamo che questa iniziativa sia solo la prima di molte altre in Italia e nel resto dell'Europa. Per il territorio di Malles questo significa mele sane e un ambiente privo di residui di pesticidi, per il beneficio delle persone, delle api, dell'agricoltura e del nostro ambiente. (Fonte)
Infatti secondo  Greeenpeace ( la  finte  dell'artiolo precedente  ) 
(...) 
È facile quindi capire perché gli abitanti di Malles preferiscano rafforzare la produzione biologica piuttosto che continuare ad utilizzare pesticidi. Una decisione di così vasta portata incoraggia e incrementa il turismo sostenibile, permette di creare percorsi ciclistici ed escursionistici nella valle e le visite alle aziende agricole, facendo crescere i benefici per gli abitanti nella vallata.
E ancora più importante è l’esempio dato ad agricoltori europei che ancora usano pesticidi: applicare le pratiche dell’agricoltura ecologica per coltivare cibo sano in armonia con la natura è possibile.
Il Consiglio comunale di Malles dovrà ora valutare i necessari cambiamenti del regolamento municipale in seguito al referendum. Non sarà semplice, dato che come sempre arriveranno le pressioni - a colpi di diffide e diatribe legali – promosse da chi non vuole cambiare lo stato di fatto, ma è chiaro che la consultazione popolare potrebbe avere, in ogni caso, un effetto domino sull’intero distretto delle mele nel nord Italia.
Ci congratuliamo quindi con la popolazione di Malles che ha promosso e vinto il referendum e speriamo che questa iniziativa sia solo la prima di molte altre in Italia e nel resto dell’Europa. Per il territorio di Malles questo significa mele sane e un ambiente privo di residui di pesticidi, per il beneficio delle persone, delle api, dell’agricoltura e del nostro ambienteChi sarà il prossimo?

                   Federica Ferrario, Responsabile Campagna Agricoltura Sostenibile

 

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...