23.6.13

Guerra agli enti che non pagano, padroni e operai uniti nella lotta



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dall'unione sarda del 23\6\2013



di GIORGIO PISANO  ( pisano@unionesarda.it  )
Parola di premier (Enrico Letta): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale. Parola di ex premier (Mario Monti): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale.Marco Ferrario,
da http://www.pianetaebook.com/2011/07/
che è un manager ottimista e perfino di sinistra, continua a crederci. E aspetta: anche da un anno aspetta. Nel frattempo la sua azienda si assottiglia, nel senso che ha un'emorragia di posti di lavoro. La pubblica amministrazione, che paga con ritardi stratosferici, l'ha messa in ginocchio. Lui, che non vuol buttarla sul pesante, dice d'essere «per il libero mercato e per un'etica sociale: peccato che ci sia un impoverimento di tutto questo». Sassarese, cinquantasei anni, due figli, Ferrario è amministratore di una srl (Elettronica professionale) che nelle stagioni migliori ha avuto 85 dipendenti. Ora è a quota 33 con qualche problema, visto che non è riuscito a garantire l'ultima busta paga.Per Confindustria, la vicenda di Elettronica professionale è il simbolo dello Stato cattivo pagatore, che annuncia la ripresa, garantisce occupazione a venire ma poi non rimette i debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Nata nel 1976, l'azienda è agli inizi della Statale che da Sassari porta verso l'aeroporto di Fertilia. Si occupa di manutenzione e assistenza tecnologica, lavora soprattutto con gli enti pubblici (fino a ieri, adesso sta tentando una brusca inversione di rotta). Che non pagano o lo fanno con un intollerabile ritardo.Elettronica professionale è nata sull'onda dell'entusiasmo, all'alba delle nuove tecnologie. È una srl (società a responsabilità limitata) che pareva avere il vento in poppa fin da subito. «Agli inizi eravamo tre amici che facevano tutto, massima flessibilità per far partire un'azienda che pareva vivere nel segno della fortuna». Senza farsi venire mal di pancia si è adeguata perfettamente al palcoscenico industriale accettandone tutte le regole: comprese quelle delle assunzioni su segnalazione del padrino di turno. «Quattro o cinque volte abbiamo detto sì e non ce ne siamo pentiti. Zavorre, mai. Anche perché con le dimensioni della nostra attività non potevamo permetterci pesi morti».Cresciuto all'interno di uno stabilimento industriale a Milano (il padre era un dirigente della Sir), Ferrario - che pare un clone giovanile di Luciano Benetton - non ha nessuna voglia di alzare bandiera bianca ma la sua è la storia di un'Italia che affonda.
Quanto vi deve la pubblica amministrazione?
«Due milioni di euro».
Da quanto tempo?
«La media del ritardo nei pagamenti varia fra gli otto e i dodici mesi. Considerate che sto parlando di ritardi a lavoro concluso. Tutto comincia con la nostra proposta (o la richiesta di un servizio da parte del cliente), poi c'è l'apertura di una pratica che deve essere approvata dall'ente con tanto di delibera. L'iter preventivo si conclude con l'affidamento ufficiale dell'incarico».
Facciamo un esempio.
«A gennaio parte la proposta, a marzo riceviamo l'affidamento dell'incarico. Al termine, emettiamo fattura con pagamento a novanta giorni. Che vengono abbondantemente e serenamente ignorati. Diciamo che dall'inizio del lavoro al saldo, mentre noi continuiamo a pagare i dipendenti, passano altri cinque-sei mesi».
I ritardi prevedono il versamento di interessi?
«In teoria, sì, In pratica, mai. Questo avviene regolarmente nonostante noi paghiamo mediamente alle banche 150mila euro l'anno di interessi per le anticipazioni che riceviamo in attesa che le fatture vengano onorate. Morale: non sono le banche a supportare le imprese ma esattamente il contrario».
Definirebbe il sistema bancario un'associazione a delinquere legalizzata?
«Mi viene da ridere e penso a quante querele mi cadrebbero addosso se dicessi che condivido questo concetto. Dunque facciamo che preferisco non rispondere. Comunque, la legge dice che dobbiamo conteggiare gli interessi agli enti che pagano in ritardo».
Non lo fate?
«Certo che lo facciamo. Ma si deve arrivare a transazioni, minacce di azioni legali oppure citazioni in Tribunale. In genere coi piccoli clienti riusciamo a chiudere la trattativa con uno sconto sul totale da pagare. Con i grandi enti, penso alle Asl, il discorso diventa invece più complicato».
Facciamo un esempio?
«Con un'azienda che ci deve cinquecentomila euro siamo dovuti andare in causa. E adesso aspettiamo i tempi della Giustizia».
A chi chiede aiuto quando non vi pagano?
«A chiunque possa darci una mano. Da ottobre dell'anno scorso, cioè da quando sono stato nominato amministratore di Elettronica professionale, ho chiesto appuntamenti ai direttori degli enti con cui vantiamo crediti. Finora non sono riuscito a vederne uno».
Mai andato a parlare faccia a faccia col manager di una Asl?
«Lo farei volentieri se mi ricevesse. Ma fino a questo momento le mie richieste di incontro non hanno avuto risposta».
In otto mesi non è riuscito a farsi ricevere?
«Esatto. E siccome non si può pietire qualcosa che ci è dovuto, abbiamo deciso di abbandonare la strada della mediazione e girare la pratica ad uno studio legale. Ma questo non ci rende contenti».
Perché?
«Perché preferiremmo chiarire le cose, trovare un'intesa anziché ricorrere alla magistratura. Così non si va da nessuna parte».
Entro quanto tempo dovete pagare i fornitori?
«Di solito fra i 30 e i 90 giorni. Però finiamo giocoforza per stressarli. Debbo dire a questo proposito che i nostri si sono mostrati tra l'altro pazienti. Capiscono la situazione, capiscono che i ritardi non sono dovuti a cattiva volontà».
Nel frattempo dovete pagare anche gli stipendi ai dipendenti.
«Naturalmente. Per via di quel buco da due milioni, siamo in ritardo di un mese».
Record di velocità?
«Non esistono, salvo rarissime eccezioni. L'università di Sassari, a cui abbiamo erogato un servizio a dicembre 2012, ci ha pagato a marzo 2013. Praticamente dopo i novanta giorni istituzionali».
Sostegno da parte dei lavoratori?
«C'è, sono assolutamente consapevoli della situazione. Operiamo nella massima trasparenza e quindi sono partecipi, sanno in che mare stiamo navigando. Ma questo, per ovvie ragioni, non impedisce che ci sia tensione, nervosismo. Chi ha potuto è scappato in cerca di un altro lavoro. E io, francamente, non me la sento di criticarlo. Anche se le fughe danneggiano la nostra filosofia di squadra».
I sindacati?
«Abbiamo Cgil e Cisl. Sono con noi, dalla nostra parte. Hanno capito che stiamo giocando la stessa partita. Hanno un atteggiamento preciso: a fianco dei lavoratori ma anche a fianco degli imprenditori. Se penso agli anni '70 mi viene da sorridere».
Scontri di un passato remoto.
«Tanto per cominciare gli imprenditori, allora, si chiamavano padroni. Oggi sappiamo che se vogliamo andare avanti dobbiamo operare insieme».
Chi l'avrebbe detto: padroni e operai uniti nella lotta.
«Siamo arrivati a questo».
Ce la farete a reggere?
«Ce la stiamo mettendo tutta. Nel frattempo abbiamo intensificato il rapporto con la clientela privata e migliorato la qualità delle nostre tecnologie. Ma la situazione finanziaria resta tutt'altro che felice».
Però ora potete tranquillizzarvi: il premier ha detto d'avere sbloccato i pagamenti.
«Sì, l'ha detto qualche settimana fa. Anche Mario Monti, predecessore di Enrico Letta, aveva annunciato la stessa cosa. Per il momento, però, non è accaduto nulla. Un cliente di buona volontà ci ha comunicato che sta tentando di capire le nuove disposizioni di legge sui pagamenti».
Il governo ha un'attenuante: vi considera evasori fiscali e quindi qualche risparmio segreto l'avete.
«Elettronica professionale lavora soprattutto con gli enti pubblici. La nostra clientela privata è fatta di aziende come E.on, Saras, Moretti (quelli della birra). Nessuno di loro ti regala un centesimo senza emissione di fattura. Dunque non saprei davvero come ottenere un introito al di fuori dei binari imposti dalla legge. Forse ho un limite di fantasia».
Siete sul serio in angolo?
«Per essere pagate, ditte come la nostra devono dimostrare - certificati alla mano - di versare regolarmente le tasse. Non solo: a suo tempo bisognava anche aggiungere di non avere guai con Equitalia».
Una sorta di certificato antimafia.
«L'unica differenza è che noi dobbiamo dimostrare di essere in regola con contributi e imposte».
La politica ha invaso tutto?
«Noi ci salviamo, tanto è vero che quando chiediamo un appuntamento nemmeno ci rispondono. La politica è presente in quelli che si chiamano clienti finali. E mi spiego: secondo me, certe scelte delle Asl non rispondono a criteri, come dire?, imprenditoriali».
Quanto conta la politica per vincere un appalto?
«Molto. Ce ne siamo resi conto nei tempi precedenti la crisi: i clienti finali hanno cominciato a bandire appalti sempre più consistenti e questo ha attirato l'interesse di grossi gruppi che operano nella penisola».
Risultato?
«Dobbiamo competere con aziende che hanno fatturati infinitamente maggiori del nostro. Dietro di loro c'è la politica? Anche a questa domanda preferisco non rispondere».
Vi hanno chiesto tangenti per accelerare i pagamenti?
«Parecchio tempo fa un mio collega ha ascoltato uno strano discorso. Ma ha finto di non capire. Credo che su questo terreno la Sardegna sia un'isola felice».
Scontri interni fra soci?
«Inevitabile per via della crisi: diciamo che la nostra è un'azienda vivace. Ma diciamo anche che queste discussioni sono sempre rimaste sul binario della civiltà e, alla fin fine, si sono rivelate proficue».
Quali sono i limiti della Sardegna per una crescita imprenditoriale?
«I trasporti, innanzitutto. Siamo riusciti ad avere un aiuto da Ryanair e abbiamo rischiato di perdere tutto perché qualcuno voleva avviare la procedura di infrazione: Alitalia non l'aveva digerita».
Ma come, gli imprenditori non sono per il libero mercato?
«Certo. A patto che il libero mercato non dia fastidio a personaggi molto potenti».
In Sardegna quanti imprenditori e quanti solo prenditori?
«Non sono in grado di fare una valutazione. Il nodo è la crisi della produzione. Abbiamo tentato di far venire imprenditori lombardi: c'era disponibilità da parte loro ma quando si sono accorti che tutt'attorno non avrebbero trovato le figure professionali di cui avevano bisogno, ci hanno detto no grazie, arrivederci».
Torniamo ai saccheggiatori di fondi pubblici.
«Di sicuro diversi finanziamenti pubblici non rispondono a criteri imprenditoriali ma a interessi di politica clientelare. Il resto lo potete immaginare».
Cosa vi serve per riproporre occupazione?, basterebbero pagamenti puntuali?
«Se si allunga la pensione a 67 anni, l'azienda è costretta a mantenere lavoratori stanchi, che pesano economicamente, e non può assumere giovani. Per far ripartire il sistema, occorrerebbero regole certe e procedure snelle».
Nel frattempo la vostra strategia è galleggiare, sopravvivere?
«Al contrario, stiamo reagendo: guardiamo per la prima volta al mercato estero e intanto ci affiniamo tecnologicamente».

Il parigino che divenne Gristolu di Gavoi

conoscevo già in parte questa storia in quanto  la persona  in questione insegna   francese  ala facoltà di lingue  di Sassari   e ne  avevo sentito parlare in una  trasmissione rai  ( non ricordo se meditteraneo  o pass partout  )




dall'unione sarda  del 23\6\2013
Cambiare nome a qualcuno non è una cosa piccola: significa riconoscere un'essenza della sua personalità che non era compresa nel battesimo originario. Per questo mettere a qualcuno un nomignolo affettuoso o un malevolo soprannome è una confidenza che si possono permettere solo gli amici e i nemici, facce contrapposte della stessa intimità. Questo rapporto con i nomi è un retaggio di antiche civiltà convinte che nei nomi risiedesse l'essenza dell'anima delle persone e che il nome vero dovesse essere svelato agli amici e nascosto agli avversari. Avere due nomi, uno segreto e uno pubblico, era una cosa comune.Oggi di questa sacralità rimane poco, ma Christophe Thibaudeau quel poco sa cos'è. Il suo è un nome difficile da pronunciare per chi francese non è, infatti a Gavoi e a Siniscola, dove vive da trentacinque anni, nessuno lo chiama così: nel cuore dell'isola questo parigino dalla risata sismica è conosciuto semplicemente come Gristolu. La sua vicenda infrange il falso storico della costante resistenziale, quella dell'impenetrabilità culturale barbaricina, e ci racconta che siamo una nazione dall'identità aperta, dove un uomo di Parigi può ricevere il dono nobile di un nuovo battesimo e diventare persino assessore alla Cultura.

fncl a chi non vuole i cani in spiaggia . Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia Costiera MAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE Previsioni meteo Sardegna comune per comune Guarda l'Agenda Tutto su trasporti e appuntamenti Guida Spiagge La guida alle spiagge della Sardegna La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya. Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.

unione sarda
Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia CostieraMAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE

La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya.Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.

Un brigadiere sardo: «Moro, la verità» Caso riaperto. Il racconto: «Stavamo per liberarlo, una telefonata ci fermò e poi lo uccisero»


  Questo articoli    che costituiscono il post  d'oggi  .  tratti  dalla  nuova  sardegna  del  23\6\2013 , costituiscono una sorta di  mia  rivincita     verso chi mi dice  : <<  sei complottista .,  leggi  troppi siti   , letteratura  e fumetti  noir  \  gialli .,  lavori troppo di fantasia  , vedi misteri  ovunque , oppure   mi dicono  sei un  po'  matto , ecc  o mi fanno  delle parodie  come  questa la  lunga notte dell'ispettore scaneau  >>
Ma  io me ne  frego  perchè  il matto : 

(...) 

Di cause perse
E di buoni motivi
Il matto arriva con le pezze al culo
E se ti vede ti tende la mano
Il matto parla con lo sguardo perso
Sogna forte
E vede lontano
Il matto parla e grida e scherza
E ti guarda, poi ride di gusto



Ma  ora   bado alle  ciancie   ed  eccovi   gli articoli in questione  buona lettura  



Finanziere sardo: una telefonata fermò il blitz per liberare Moro
La palazzina di via Montalcini era controllata dai servizi segreti dalla metà di aprile del 1978
Le teste di cuoio dovevano entrare in azione l’8 maggio, 24 ore dopo le Br uccisero il presidente dc


di Piero Mannironi
 ROMA



Le clamorose rivelazioni di un ex finanziere sardo e di un gladiatore che faceva l’istruttore a Poglina
riaprono il “caso Moro”. I due hanno raccontato  che la prigione del presidente della Dc in via  Montalcini era stata identificata e messasotto  controllo. Ma l’8 maggio 1978 il blitz per liberare Moro fu bloccato da una telefonata arrivata dal Viminale. Il giorno dopo le Brigate Rosse assassinarono
lo statista dc. L’ex magistrato Ferdinando Imposimato, che aveva istruito le inchieste sul rapimento
Moro e che ha raccolto queste testimonianze,ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Roma che ha riaperto il caso.
Le sentenze non scrivono la storia e tanto meno le storie possono chiudersi con una sentenza. Perché ci sono verità che restano nascoste in fondo a bui abissi, protette dalla paura di chi sa e dal cinismo di poteri che non vogliono farle emergere. Così è per il sequestro e la morte del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, avvenuta il 9 maggio del 1978. Vicenda scritta dalla ferocia delle Brigate Rosse, ma forse anche da oscuri burattinai che sono rimasti finora nell'ombra. Dunque, una storia che ancora nasconde nelle sue pieghe torbide presenze e regie occulte che inchieste e processi non sono riusciti a svelare. Ma il tempo corrompe le complicità, modifica gli scenari e affranca le coscienze.Così,dopo 35 anni, è possibile che la storia della morte di Moro possa essere riscritta, liberata dalle catene del silenzio e dei depistaggi.Nei giorni scorsi la procura della Repubblica di Roma ha infatti riaperto il caso, in seguito alla presentazione di una denuncia che propone una sconvolgente ipotesi: la prigione di Moro, in via Montalcini 8  ( foto sottoa  destra  )  ,  a Roma, era stata individuata dai servizi segreti e da Gladio e controllata per settimane.
 Non solo: l'8 maggio del 1978 lo statista Dc che sognava di cambiare la politica italiana doveva essere liberato con un blitz delle teste di cuoio dei carabinieri e della polizia, ma una telefonata dal Viminale bloccò tutto.La Renault rossa. E il giorno dopo Moro fu ucciso. Il suo cadavere fu fatto ritrovare nel portabagagli di una Renault rossa in via Caetani. In quel momento la storia italiana deragliò da un percorso progettato da Moro e dal suo amico-nemico Berlinguer,tornando nello schema ortodosso della politica dei blocchi e incamminandosi poi verso un tragico declino morale. Per la procura romana impossibile sottovalutare quell' esposto. Perché a redigerlo e depositarlo è stato Ferdinando Imposimato, oggi avvocato,ma soprattutto presidente onorario aggiunto della suprema corte di Cassazione e in passato magistrato che ha seguito alcune
tra le più complesse e importanti inchieste della storia del Paese. Come quelle sul sequestro-omicidio di Aldo Moro.
A fornire a Imposimato la chiave che ha consentito di aprire questa nuova porta sul caso Moro è stato un sardo,Giovanni Ladu che ha oggi 54 anni.Un brigadiere della guardia di finanza in servizio a Novara che, nel 1978, era militare di leva nel corpo dei bersaglieri e fu testimone della decisione che condannò a morte Moro. Imposimato conobbe Ladu nell'ottobre del 2008. Si presentò nel suo studio all'Eur insieme a due colleghi, autorizzato  dal suo comandante. Aveva scritto un breve memoriale nel
quale sosteneva di essere stato,con altri militari a Roma, in via Montalcini per sorvegliare l'appartamento-prigione in cui era tenuto il presidente della Democrazia cristiana. Un appostamento cominciato il 24 aprile 1978 e conclusosi l'8 maggio, alla vigilia dell'omicidio di Moro.
Perché Ladu aveva atteso ben 30 anni prima di parlare? «Avevo avuto la consegna del silenzio e il vincolo al segreto - disse -, ma soprattutto avevo paura per la mia incolumità e per quella di mia moglie. La decisione di parlare mi costa molto,ma oggi spero che anche altri,tra quelli che parteciparono con me all'operazione trovino il coraggio di parlare per ricostruire la verità sul caso Moro ».


Nome in codice: Archimede. Ladu raccontò così che il 20 aprile del 1978 era partito dalla Sardegna
per il servizio militare.Destinazione: 231° battaglione bersaglieri Valbella di Avellino. Dopo tre giorni, lui e altri 39 militari di leva, furono fatti salire su un autobus, trasportati a Roma e alloggiati nella caserma dei carabinieri sulla via Aurelia,vicino all'Hotel Ergife. Furono divisi in quattro squadre e istruiti sulla loro missione:sorveglianza e controllo di uno stabile. A tutti i militari fu attribuito uno pseudonimo: Ladu diventò “Archimede”. Lui e la sua squadra presero possesso di un appartamento in via Montalcini che si trovava a poche  decine di metri dalla casa dove, dissero gli ufficiali che coordinavano l'operazione,«era tenuto prigioniero un uomo politico che era stato rapito ». Il nome di Moro non venne fatto, ma tutti capirono. Il racconto di Ladu era ricco di dettagli: controllo visivo 24 ore su 24, microtelecamere nascoste nei lampioni, controllo della spazzatura nei cassonetti.
Per mimetizzarsi indossavano tute dell'Enel o del servizio di nettezza urbana. Così controllarono gli spostamenti di "Baffo" (poi riconosciuto come Mario Moretti) che entrava e usciva sempre con una valigetta o  della "Miss" (Barbara Balzerani). Un giorno Ladu fu inviato con un commilitone a verificare l'impianto delle telecamere all'interno della palazzina dove era detenuto Moro. Era vestito
da operaio. Invece di premere l'interruttore della luce, il brigadiere sardo suonò il campanello. Aprì la "Miss" e Ladu improvvisò con prontezza di spirito, chiedendo se era possibile avere dell'acqua.
Il piano di evacuazione. Il racconto era agghiacciante nella sua precisione. Nell'appartamento sopra la prigione di Moro,poi, erano stati piazzati dei microfoni che captavano le conversazioni. La cosa che stupì Ladu era che il personale addetto alle intercettazioni parlava inglese. «Scoprimmo in seguito
- ricordò - che si trattava di agenti segreti di altre nazioni, anchese erano i nostri 007 a sovrintendere a tutte le operazioni ». Altri particolari: era stato predisposto un piano di evacuazione molto discreto per gli abitanti della palazzina ed era stata montana una grande tenda in un canalone vicino, dove era stata approntata un'infermeria nel caso ci fossero stati dei feriti nel blitz delle teste di cuoio.
«L'8 maggio tutto era pronto - disse ancora Ladu - , ma accadde l'impensabile. Quello stesso giorno, alla vigilia dell'irruzione,ci comunicarono che dovevamo preparare i nostri bagagli perché abbandonavamo la missione. Andammo via tutti, compresi i corpi speciali pronti per il blitz e gli agenti segreti.
Rimanemmo tutti interdetti perché non capivamo il motivo di questo abbandono.La nostra impressione fu che Moro doveva morire».
Nella caserma dei carabinieri sull'Aurelia Ladu raccontò di aver sentito dire da alcuni militari dei corpi speciali che tutto era stato bloccato da una telefonata arrivata dal ministero dell'Interno. Mentre smobilitavano,un capitano intimò al brigadiere sardo: «Dimenticati di tutto quello che hai fatto in questi ultimi 15 giorni».
“Brillantina Linetti”. Successivamente, seguendo una trasmissione in tv, Ladu riconobbe uno degli ufficiali che coordinavano l'operazione: era il generale Gianadelio Maletti (ex capo del controspionaggio del Sid ) che i militari avevano soprannominato, per la sua pettinatura, "Brillantina Linetti".Imposimato rimase inizialmenteolto perplesso e diffidente.Il racconto di Ladu sconvolgeva
tutte le esperienze investigative precedenti, ne annullava tutte le certezze e, soprattutto,poneva un problema terribile: bloccando il blitz,qualcuno aveva decretato la morte di Aldo Moro. Per quattro
anni, così, quel racconto rimase sospeso, in attesa di conferme e riscontri. Fino a quando non comparve il gladiatore Oscar Puddu. Con lui il quadro di quei giorni drammatici del 1978 sembrò completarsi e trovare una nuova credibilità. Nel mentre, Imposimato aveva conosciuto i gladiatori sardi Arconte e Cancedda e sentito i loro sconvolgenti racconti sul caso Moro. Confermavano che nel mondo dei servizi segreti si sapeva dell’imminente sequestro di Moro.
Giovanni Ladu, poi, non aveva e non ha alcun interesse a risvegliare i fantasmi che popolano uno dei fatti più oscuri della vita della Repubblica. Lui, soldato di leva in quel 1978, venne proiettato in un
universo sconosciuto del quale sapeva poco o nulla. La scelta del Sismi di utilizzare questo manipolo di ragazzi era originata dal fatto che, vista l’età, erano meno visibili, meno sospettabili da parte dei terroristi. Ladu, dopo aver parlato con Imposimato, fu poi interrogato il 9 settembre 2010 dal pm romano Pietro Saviotti.Lo stop a Dalla Chiesa. Resta da capire, a questo punto, chi fece quella telefonata che condannò a morte Aldo Moro. Chi poteva ordinare al generale Musumeci,coordinatore dell’operazione Moro, di fermare tutto?L’unica risposta possibile è:Cossiga e Andreotti. Uno ministro
dell’Interno e l’altro presidente del Consiglio. D’altra parte, la fatidica telefonata arrivò dal Viminale. Poi, sempre secondo quanto ha raccontato il gladiatore Oscar Puddu, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa insisteva per il blitz, ma fu bloccato da Andreotti e da Cossiga. Lo convocarono
a Forte Braschi, la sede del Sismi, e lo redarguirono duramente.


  e sempre  dallo stesso  giornale parlano  : il  giudice  imposimato  ,  e   due  gladiatori  (   Oscar Puddu era istruttore di elettronica nella base di Gladio a Poglina Lavorò nella centrale di intercettazione e allestita sopra l’appartamento-prigione   e   l’agente Antonino Arconte noto  G-71  ) 

 Ferdinando Imposimato: «Quei sardi
così leali con le istituzioni vanno premiati» 
Il vecchio vizio non lo ha mai abbandonato. Lui, Fernando Imposimato (nella foto),oggi avvocato penalista, non ha mai tradito la sua vera natura di investigatore acuto e di talento. Come magistrato ha cercato di penetrare in alcuni dei più oscuri misteri italiani: dall'attentato al Papa Giovanni Paolo II al sequestro-omicidio Moro. Della morte dello statista democristiano pensava di sapere tutto quello che era possibile sapere, dopo aver scandagliato i meandri del terrorismo e studiato lo scenario internazionale dove erano tanti i nemici di Aldo Moro. Come il potentissimo Henry Kissinger, ma anche il Kgb sovietico che gli aveva messo alle costole il capitano Feodor Sergey Sokolov. Imposimato, nel suo straordinario libro "I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia", ricorda così la terribile confessione del braccio destro di Kissinger, Steve Pieczenik, che faceva parte del comitato di crisi parallelo, organizzato dall'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga: «Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro. Allo scopo dì stabilizzare la situazione italiana. Le Brigate rosse avrebbero potuto rilasciare Aldo Moro e così avrebbero senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità. Al contrario, io sono riuscito con la mia strategia, a creare una un'anime repulsione contro questo gruppo di terroristi e allo stesso tempo un rifiuto verso i comunisti. Il prezzo da pagare è stata la vita di Moro.». Imposimato ha così condotto una nuova inchiesta e le conclusioni sono diventate lo scheletro dell'esposto che ha presentato alla procura della Repubblica di Roma. Giovanni Ladu, Oscar Puddu, Nino Arconte, Pier Francesco Cancedda. Tutti sardi. Hanno avuto un ruolo fondamentale nella riapertura del caso. Di loro Imposimato dice: «Questi sardi, così leali alle istituzioni, mi hanno riconciliato con la speranza. Hanno affrontato rischi gravissimi per onorare la loro fedeltà allo Stato. Proporrò che venga concesso loro il premio Emanuela Loi».

 Oscar Puddu era istruttore di elettronica nella base di Gladio a Poglina
Lavorò nella centrale di intercettazione allestita sopra l’appartamento-prigione 
Microfoni e microcamere
per spiare i terroristi
ROMA La svolta arrivò alle 15,35 del 13 settembre 2012 con una e-mail firmata con il nome fittizio Oscar Puddu. Il misterioso personaggio aveva appena letto il libro-inchiesta di Imposimato "Doveva morire" e proponeva all'ex magistrato notizie sul caso Moro, che aveva appreso per esperienza diretta. Questo l'identikit che Puddu fece di se: ufficiale dell'Esercito, nato a Gorizia, istruttore per quattro anni nella base segreta di Gladio a Poglina, vicino ad Alghero. Esperto di elettronica. Imposimato mostrò inizialmente una grande diffidenza verso questo personaggio senza volto che, «per motivi di sicurezza», preferiva restare nascosto dietro uno pseudonimo. Poi, sentendo il suo racconto che coincideva in modo incredibile con quello fattogli 4 anni prima dal brigadiere Giovanni Ladu, sospettò perfino che si trattasse della stessa persona. Ecco, in estrema sintesi, cosa disse Puddu. Quattro giorni dopo l'agguato di via Fani fu spostato da Poglina a Roma, prima nella caserma di forte Boccea, poi a Forte Braschi, sede del servizio segreto militare. Il suo corpo di appartenenza era il Sismi, ma faceva parte anche della struttura supersegreta Gladio. Per le sue conoscenze di elettronica, Puddu veniva chiamato in codice "Sapienza". Il racconto di Ladu veniva drammaticamente confermato in ogni dettaglio. Il covo delle Br in via Montalcini era circondato e controllato. A capo delle operazioni c'erano il direttore del Sismi Giuseppe Santovito, il suo braccio destro Pietro Musumeci e il generale Gianadelio Maletti. Nell'appartamento sopra la prigione di Moro le apparecchiature elettroniche di intercettazione e le microcamere erano gestite da uomini delle Sas inglesi e del Bnd tedesco, ma anche gli uomini di Gladio si alternavano all'ascolto. Il giorno prima del blitz programmato, che doveva essere attuato da otto uomini del Gis dei carabinieri, arrivò l'ordine di smobilitazione. «Sconcerto» è la parola che il gladiatore usò per definire lo stato d'animo degli 007 italiani e stranieri coinvolti nell'operazione. Alla domanda di Imposimato su chi fosse andato nella sede del Sismi a Forte Braschi durante il periodo di controllo in via Montalcini, il gladiatore Puddu rispose: Andreotti e Zaccagnini. Cossiga no, ma, aggiunse, che era sempre presente un uomo di fiducia dell'ex presidente della Repubblica, nome in codice “Aquila”. Si tratterebbe del sottosegretario all’Interno Nicola Lettieri. I pezzi del mosaico andavano così tutti al loro posto. I racconti di Ladu e di Puddu si completavano a vicenda. Ma, incredibilmente, c'erano anche altre tessere prima non capite che trovavano finalmente un posto e una congruenza. Come l'incontro tra Imposimato e un ex carabiniere, tale Alfonso Ferrara, che il 3 settembre 2009 lo avvicinò durante la presentazione di un libro. Ferrara raccontò che nel maggio 1978 era giunto da Milano a Roma con altri commilitoni per liberare il presidente della Dc. «Arrivammo quasi nell'androne delle scale dove era la prigione di Moro - disse - quando ricevemmo l'ordine di tornare indietro. Moro era ancora vivo. Il giorno dopo l'hanno ucciso». Ferrara faceva parte dei reparti speciali creati dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Che quindi sapeva tutto, visto che i suoi uomini erano coinvolti nel blitz in via Montalcini. Imposimato riferisce poi una quarta storia, parallela a quelle di Ladu, Puddu e Ferrara, secondo la quale dell'operazione facevano parte anche i Nocs della polizia. L'apprese dal giornalista Pino Nicotri che gli parlò del racconto fattogli nell'agosto 1993 da un docente gesuita. Un suo allievo si era arruolato in polizia e poi era entrato nelle teste di cuoio dei Nocs. Al suo ex professore e padre spirituale aveva raccontato che erano arrivati alla casa vicina a quella dove stava Moro. Erano ad appena 20 metri quando ricevettero l'ordine di fermarsi. Il poliziotto era rimasto tanto schifato che si era dimesso dalla polizia. In conclusione, il mosaico ricomposto da Imposimato pone interrogativi inquietanti e rilancia la tesi del complotto. E cioè che Moro poteva essere salvato. Anzi, stava per essere liberato, ma qualcuno decise di fermare tutto, condannando a morte il presidente della Dc. Il lavoro della procura di Roma riprende da qui. (p.m.)


Ordine al colonnello Giovannone: chiedere ai palestinesi di far pressione sulle Br 
Il viaggio a Beirut dell’agente G-71
SASSARI In alcuni ambienti dei servizi segreti si sapeva che il presidente della Dc Aldo Moro sarebbe stato sequestrato dalle Brigate rosse. Sicuramente la notizia era arrivata alla struttura super segreta Gladio, che si attivò subito per affrontare e gestire la crisi. La prova è nel racconto del super agente
Antonino Arconte, oggi 59enne, sardo di Cabras, nome in codice G-71  (  foto  a  sinistra  )  . «Partii dal porto della Spezia il 6 marzo 1978, a bordo del mercantile Jumbo Emme. Sulla carta era una missione molto semplice: avrei dovuto ricevere da un nostro uomo a Beirut dei passaporti che avrei poi dovuto consegnare ad Alessandria d'Egitto. Dovevo poi aiutare alcune persone a fuggire dal Libano in fiamme, nascondendole a bordo della nave. Ma c'era un livello più delicato e più segreto in quella missione. Dovevo infatti consegnare un plico a un nostro uomo a Beirut. In quella busta c'era l'ordine di contattare i terroristi palestinesi per aprire un canale con le Br, con l'obiettivo di favorire la liberazione di Aldo Moro». E qui, ecco il mistero: il documento è del 2 marzo '78 e viene consegnato a Beirut il 13. Moro verrà rapito dalle Br il 16. Cioè, nel mondo sotterraneo degli 007 qualcuno si mosse per liberare il presidente della Dc, prima del rapimento. Quindi, si sapeva che Moro sarebbe stato sequestrato. Arconte non conosce i retroscena. «Per me è un mistero. Io dovevo solo effettuare la consegna. D'altra parte, il mio lavoro era quello di fare da istruttore militare. Addestravo "ribelli" e profughi in zone calde. Soprattutto in Africa». Arconte consegnò a Beirut il 13 marzo 1978 il documento “a distruzione immediata” al gladiatore G-219. Il destinatario finale del plico era il gladiatore G-216. Il primo era il colonnello Mario Ferraro, passato poi al Sismi, che venne trovato impiccato a un portasciugamani nella sua abitazione romana, nel 1995. Una morte molto strana, archiviata come suicidio, ma che non ha mai convinto i familiari dello 007. G-216, invece, è il colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei servizi segreti militari italiani in Medio Oriente. Giovannone, conosciuto tra le "barbe finte" come “Stefano D'Arabia” o come “Il Maestro”, era, guarda caso, un uomo fidatissimo di Aldo Moro, del quale condivideva la linea filopalestinese. E dalla prigione delle Br Moro chiese l'aiuto di Giovannone. Scrivendo a Flaminio Piccoli (allora presidente dei deputati Dc), infatti, aveva chiesto di far «intervenire il colonnello Giovannone, che Cossiga stima». Prima di morire, nel 1995, Ferraro affidò ad Arconte il messaggio originale che G-71 gli aveva consegnato a Beirut. Aveva evidentemente paura di essere ucciso. Un messaggio che prova inequivocabilmente che negli apparati dello Stato c’era chi sapeva che si stava preparando il sequestro di Moro. Agghiacciante il fatto che il presidente della Dc non venne avvertito e protetto. Partì allora una velenosa campagna di delegittimazione contro Arconte, naufragata però tra sentenze e perizie che gli hanno dato ragione. Perfino Cossiga e Andreotti provarono a minarne la credibilità. Inutilmente. C’è infine un altro gladiatore sardo nel “caso Moro”. È Piero Francesco Cancedda, nome in codice “Franz . Era infiltrato in Cecoslovacchia. Fu lui a far uscire dalla cortina di ferro la notizia del covo Br in via Gradoli. Notizia che il capitano Labruna passò alla polizia e alla moglie di Moro. Ma qualcuno non volle capire l’informazione. (p.m.) 

22.6.13

topolino e dylan dog due fumetti a confronto


Questo è il caso  in cui  una previsione  è  azzeccata  dopo  aver  recensito nel post precedente  (  non  ho saputo aspettare   di solito odiando i  giudizi  a priori  aspetto  il seguito    quando si tratta  di opere  a  puntate  o  in più parti  o di vederle \leggerle  personalmente  non seguendo  ler osservazioni degli altri  )   la  storia  " Moby Dick Francesco Artibani -Paolo  Mottura   leggendo  solo la  I parte 
La lettura è travolgente, intesa  . Ho provato  le stesse  emozioni  di Valentina  de Poli  direttore  di topolino nel suo editoriale  sul numero ( trovate sotto al centro  la copertina  )  in edicola   : <<  così sono ripetutamente precipitata a testa in giù dalla coffa con Paperino-Ismaele rimanendo intrappolata nelle sartie e sono rimasta in apnea per almeno un minuto davanti all'emergere feroce di Moby Dick dagli abissi, dimenticandomi che ero di fronte a un disegno. Alla quarta rilettura ho alzato gli occhi verso il video del computer incorniciato da tanti post-it azzurri, quelli con gli appunti delle cose-da-fare, che sono lì per una sorta di scaramanzia organizzativa visto che poi non li riguardo mai.>>Scrivere le cose, per me è un po' come averle fatte. ed  proprio come me  <<  E su uno di questi foglietti ho scritto: TUTTI CERCHIAMO QUALCOSA, ISMAELE... Allora ho capito che il passaggio di Moby Dick che ha toccato il mio cuore, tanto da aver sentito il bisogno di "fermarlo" su un post-it, lo avevo già trovato una settimana prima, mentre correggevo le bozze. Ma scriverlo non è bastato. >> Sono ripartito subito alla ricerca di quell'emozione tra le pagine della storia. Spero di non arrivare mai a destinazione...Una  di quelle  storie  filosofiche   e  letterarie  che  ti  fanno  viaggiare  con la  fantasia   ed  immedesimare   con i personaggi  . Una  storia  bella  e struggente  , pur  nel suo riadattamento ad  un pubblico  di adolescenti e   pre  adolescenti  , non ne  viene  stravolta  (  o  almeno  non troppo  ) . Un esempio  ( come  dice  anche il tag  creato appositamente  )  in cui   la letteratura  incontra  il fumetto  e  ti stimola  a leggere o rileggere  il romanzo   da  cui  è tratta  .
Ora   se  topolino  dal n 3000  sembra avviato  a   rinascere  e riacquistare  nuova linfa   adattandosi ai tempi   senza  svendesi   cioè  è riuscito   e sta riuscendo     a  fare  quel processo  che   bisogna  fare  quando : <<   una  barca  affonda   bisogna  essere  rapidi  nel  decidere   cos'è che va  salvato  >> da  

Dylan Dog ( uno dei miei fumetti preferiti insieme a Topolino e Martrin Mystere fin da quando come come la prima terzina del primo canto della Divina Commedia di Dante Alighieri : << Nel mezzo del cammin di nostra vita\mi ritrovai per una selva oscura,\ché la diritta via era smarrita. >> ) dovrebbe iniziare a farlo a  breve    :  


Come sapete, è in corso un lavoro di revisione e rinnovamento che investirà tutte le testate legate al mondo di Dylan Dog.
Molte cose non possono essere ancora rivelate ma, alcune, sì.
Prima di tutto, possiamo dire che questo rilancio di Dylan passa attraverso due fasi.
La Fase Uno, quella che inizierà questo settembre e dovrebbe, se tutto fila liscio, concludersi nel settembre 2014, si articolerà attraverso tutta una serie di piccole novità, aggiustamenti e revisioni.
A partire dal numero di settembre 2013, infatti, vedrete un nuovo Horror Club, un nuovo approccio alle copertine di Angelo Stano e la prima delle storie riviste nell'ottica del nuovo corso.
Nei mesi successivi, continueremo a cercare di offrirvi il meglio delle storie a nostra disposizione, riviste (all'occorrenza e a seconda della necessità) da Tiziano Sclavi, Roberto Recchioni, Paola Barbato e Mauro Marcheselli.
Nel frattempo, procedono i lavori per quella che chiamiamo la Fase Due, che rappresenterà il nuovo inizio di Dylan e che porterà con sé alcune sostanziali novità, sia nella struttura delle storie sia nell'aspetto delle stesse. La fase due investirà tutte le testate dylaniante, cambiando la natura di alcune di esse.
E dovrebbe prendere avvio a ottobre 2014, magari con un bell'evento alla manifestazione di Lucca Comics & Games.
Ma, come dicevo, è troppo presto per parlarne. Per il momento, a noi non resta altro da fare che lavorare sodo. E a voi, se vi va, di seguirci con la passione di sempre.

Molte cose non possono essere ancora rivelate ma, alcune, sì.Prima di tutto, possiamo dire che questo rilancio di Dylan passa attraverso due fasi. La Fase Uno, quella che inizierà questo settembre e dovrebbe, se tutto fila liscio, concludersi nel settembre 2014, si articolerà attraverso tutta una serie di piccole novità, aggiustamenti e revisioni.A partire dal numero di settembre 2013, infatti, vedrete un nuovo Horror Club, un nuovo approccio alle copertine di Angelo Stano e la prima delle storie riviste nell'ottica del nuovo corso.
Nei mesi successivi, continueremo a cercare di offrirvi il meglio delle storie a nostra disposizione, riviste (all'occorrenza e a seconda della necessità) da Tiziano Sclavi, Roberto Recchioni, Paola Barbato e Mauro Marcheselli.
Nel frattempo, procedono i lavori per quella che chiamiamo la Fase Due, che rappresenterà il nuovo inizio di Dylan e che porterà con sé alcune sostanziali novità, sia nella struttura delle storie sia nell'aspetto delle stesse. La fase due investirà tutte le testate dylaniante, cambiando la natura di alcune di esse. E dovrebbe prendere avvio a ottobre 2014, magari con un bell'evento alla manifestazione di Lucca Comics & Games.Ma, come dicevo, è troppo presto per parlarne. Per il momento, a noi non resta altro da fare che lavorare sodo. E a voi, se vi va, di seguirci con la passione di sempre.
                             DYLAN DOG: UMMAREL!      comunicato del 17\6\2013  sulla
                            pagina  ufficiale  di facebook   di  Dylan Dog

Ora speriamo   che  

da' in sardo l'esame di terza media

                                                  da la nuova sardegna  del  22\6\2013

20.6.13

compromesso fra auto critica ed elucubrazioni \ seghe mentali

Non è importante   trovare  sempre  la risposta  giusta   è più utile  farsi le domande  giuste  . A  volte però  quando   ci poniamo  una  ( o più domande  ) la  risposta  non arriva  immediatamente   e per  questo non dobbiamo  smettere  di  farci le domande

Cani( io lo applico anche ai gatti e a gli altri animali ) lo spot della campagna contro l'abbandono

Uno spot televisivo e una campagna web per sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema dell'abbandono degli animali domestici, in particolare nel periodo estivo. 'Non tradire un'amicizia' è la nuova campagna realizzata dalla Provincia di Milano con la collaborazione di Mediafriends e della Federazione italiana associazione diritti degli animali e ambiente, di cui è presidente Michela Vittoria Brambilla. Due i canali di comunicazione dedicati al tema dell'abbandono degli animali domestici

19.6.13

un arma per combattrere i pregiudizi è l'ironia . camapgna sardegna pride 2013


l video spot per il prossimo Sardegna Pride 2013 impazza sul web. Ai Giardini Pubblici di Cagliari va di scena l'ironia per combattere l'omofobia. 

Bellissimo!! Così si deve sdrammatizzare, esorcizzare, metabolizzare ed accettare l'amore gay e smetterla di chiamare "diversi" coloro che scelgono di vivere le loro storie con una persona dello stesso sesso. Anche questa è libertà .


La campagna pubblicitaria per il Sardegna Pride è iniziata e sul web gira in maniera virale un video spot 

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  ispirato dalla campagna anti omofobia Ilga Portogallo.
Nel video compaiono due vecchiette, la cantante Rossella Faa, madrina del Pride Sardegna, e "signora Lidia", che sedute a sferruzzare ai giardini pubblici, incontrano due ragazzi che camminano mano nella mano. Pronto il commento delle due signore: "Ta dannu... no pari berusu... ita dàra nai sa mamma?". Seguito poi da una seconda esclamazione: "a maniche corte con il freddo che fa".Insomma l'ironia per combattere i pregiudizi.
UN FERMO IMMAGINE DEL VIDEO


Ora molti nei commenti  ( hegalamaysight   )  al video su youtube si sono meravigliati perchè : << peccato per l'assenza dei sottotitoli in sardo; scrivere il sardo lo nobilita; senza sottotitoli sembra solo un dialetto.>> ai più quando invece il sardo è una lingua a tutti gli effetti e qui si usa il cagliaritano una delle tanti varianti ( il logudorese ,il nuorese \ barbaricino il gallurese \ sardo corso , il sassarese ) << Per chi fosse curioso di sapere come va scritta la parte in sardo, ecco qui (ometto le vocali paragogiche e il raddoppiamento sintattico):


--ta dannu, castia a custu' dus.
--no parit berus, ta dannu!
--it at a a nai sa mama? in maniga crutza cun su frius ki nc'est.
--po caridadi!
--ta làstima!

>>

Ma sempre nei commenti c'è lapidaria la risposta degli autori del canale e del video ( CastedduVideo ) << in realtà abbiamo scelto di non sottotitolare in Sardo proprio per dargli più importanza. Se guardi un film in italiano e sei italiano non metti i sottotitoli, cosi come nel caso di un francese che guarda uno spot in francese e via dicendo...un Sardo che ascolta uno spot in lingua sarda non dovrebbe avere bisogno di sottotitoli..ma visto che a scuola non insegnano la nostra lingua >> ( o la insegnano a ......   sarebbe troppo lungo  e  da piegare  qui  , ma mi prometto  di farlo  in un prossimo post  ) << forse hai ragione anche tu. grazie ancora . a si biri >>

18.6.13

Margherita Pinna: «Svelo l’anima araba della nostra isola»Ha analizzato l’influsso della civiltà islamica sulla Sardegna Nei suoi libri uno sguardo libero da ogni pregiudizio

leggendo sia il post della nostra  utente  Daniela   sia  quello  del  morto italiano nello schieramento  dei ribelli   nella guerra  civile  in siria    mi  sono ricordato  di questo asrticolo interessante  uscito  sulla   nuova sardegna del 17\6\2013

Ha analizzato l’influsso della civiltà islamica sulla Sardegna  Nei suoi libri uno sguardo libero da ogni pregiudizio Margherita Pinna  (  foto al centro  )  


:«Svelo l’anima araba della nostra isola»Figlia di Gonario Pinna, deputato e principe del foro di Nuoro, si laurea a Roma con Natalino Sapegno e con Ungaretti come controrelatore

Dice: "Ho capito che l'Europa non era il centro del mondo. Tantomeno lo erano Nuoro dov'ero nata né
Roma dove abitavo. Mi hanno rapito gli interessi per la grande cultura egiziana, le civiltà asiatiche, il panarabismo, il panafricanesimo, Leopold Senghor con l'altro vate della negritudine Aimé Césaire. E poi l'America latina, quella Cuba dove convenivano i geni di mezzo mondo attirati da Fidel Castro, da Gabriel Garcia Marquez, da miti di epopee lontane. Ma noi sempre e solo a parlare di Europa e impero romano. O della Barbagia indomita. C'erano altri mondi ricchi di fascino, da conoscere, da studiare". Parla così Margherita Pinna nella sua casa romana in mezzo al verde dei Colli Portuensi, "una casa - precisa subito - acquistata da mio padre quando faceva il parlamentare per il Psi. E tra queste mura continuo a vivere. Da sposata ho passato alcuni anni in Egitto, al Cairo. Un'esperienza che mi ha cambiato la testa, il modo di ragionare e di rapportarmi con le altre persone. Erano gli anni dominati dagli interessi militari e politici dei supercolossi Usa e Urss ma c'erano anche Pandit Nehru, Tito e Gamal 'Abd el-Nasser che volevano creare una Terza Via allo strapotere ideologico Capitalismo-Comunismo. Sono ripartita dal Cairo dopo la guerra del '67 con i miei due figli. Avevamo attraversato il Mediterraneo sulla nave Ausonia". Il padre era Gonario Pinna, penalista di primo livello, casa attaccata alla nuova chiesa delle Grazie. Una casa ricca di storia e di ricordi, anche tragici. Il padre di Gonario ucciso da un killer dopo un processo. La moglie, Gavinangela Serra, con la terza elementare era "la più moderna della famiglia, avevo una nonna davvero eccezionale, sapeva di Mao e di femminismo, diceva a mio padre che era antico perché geloso delle figlie femmine". La mamma di Margherita è Teresa Ruju sassarese, quattro figlie viventi. Lucia, poetessa, docente di Lettere al classico di Nuoro dove vive, Maria Teresa (abita a Nuoro, casa in piazza san Giovanni, docente di Lingue, scrittrice, autrice di libri sulla lingua sarda), Laura vive a Cagliari, impegnata in attività sociali. Penultima, Margherita. La romana. Sarda e cosmopolita. Dall'interesse di una "nugoresa"per tutte le culture del mondo, si capisce perché tutti la ricordino per una sua opera monumentale, pubblicata nel 1996 dall'Isre (Istituto superiore regionale etnografico) quando era presieduto dall'accademico dei Lincei Giovanni Lilliu. Anche per l'accuratezza della veste grafica, sembra di avere tra le mani una Bibbia. Originale per le ricerche. Stupefacente per la documentazione. Due volumi. Titolo: "Il Mediterraneo e la Sardegna nella cartografia musulmana". Lilliu sottolinea che in quest'opera "si sposano rigore filologico, spirito di osservazione e anche gusto di bello scrivere". Auspica che "il mondo musulmano in Sardegna venga studiato senza spirito di parte con la consapevolezza del grande contributo che la civiltà islamica ha dato alla storia del Mediterraneo e alla nostra isola". Sono 485 pagine dove i comuni mortali imparano dalla prima all'ultima pagina. È proprio l'umiltà di un grande studioso come Lilliu a svelarci ("estraneo come sono alla materia cartografica") quelli che vengono definiti "i momenti di storia sarda che conobbero rapporti e contatti con gli Arabi, anche se non così frequenti, intensi, duraturi e significativi come quelli con altre regioni dell'Occidente Mediterraneo". Si viene a sapere ovviamente che "le relazioni furono, per lo più, tutt'altro che pacifiche: aggressioni musulmane all'isola, partivano dalla Tunisia e dalla Spagna e si risolvevano in saccheggi, bottino di preziosi e altri beni, cattura di sardi a partire dal 704 Dopo Cristo". Questo monumentale libro di Margherita Pinna documenta come nel 752 Abd ar-Rahman ibn Habib Ubaydah al Fihrì (Il Coreicista) menò grande strage di isolani. Ultimo atto di aggressione fu la temporanea conquista della Sardegna nel 1015-1016 con l'occupazione di molti centri costieri e di parte dell'interno". Nascono, soprattutto nel Cagliaritano, i villaggi di Nuscedda o Nuscella, Arbatàx, sono presenti steli funerarie cufiche ad Assemini e a Cagliari. Un marmo con iscrizioni arabe è ad Olbia, un disegno a carboncino a San Salvatore nel Sinis, altri reperti a Serramanna, Santa Maria Navarrese dove viene trovato "un reliquario d'argento niellato cavo e dorato internamente". Dopo Lilliu, parlano dei due volumi Francesco Gabrieli ("un'opera di seria indagine e straordinaria esperienza filologica") e Roberto Rubinacci, rettore dell'Orientale di Napoli. Rubinacci rimarca "la precisione, l'accurata informazione bibliografica e la lena instancabile della studiosa brillantemente distintasi nel campo della geografia araba con la tesi di laurea, nel 1983, alla scuola di Studi islamici intitolata: la Siria e le isole dl Mediterraneo orientale nel Kutab al-Masalik wa' l-mamalik di Abu Ubayd al Bakri". Internazionale ma nuorese. E in nuorese parla. "Ma parlo correttamente logudorese e gallurese". Di Sardegna parlano le pareti della casa. Nel salone la foto del padre col classico cappello a falde larghe. Quadri di Maria Lai, Biasi e Ballero. E poi il ricordo di una vita che sboccia il 17 settembre del 1935. Le elementari al Podda "chin sa mastra Gaias" della quale dice: "Se non avessi avuto lei non avrei scritto, è stata lei a farmi interessare alla lettura e alla scrittura". All'esame di ammissione alle medie le dànno il tema: "Nuoro di notte". Ricorda: "Michele Columbu me lo ripeteva perché lo conosceva a memoria". Alle scuole medie ha come presidi Columbu e poi Elena Melis. Liceo al "Giorgio Asproni". E l'università? "Non mi interessavano né Cagliari né Sassari, sarebbero state due città-prigione come lo era Nuoro. Opto per Roma e - io che non andavo in chiesa - finisco dalle suore. Mi iscrivo in Lettere con indirizzo artistico. La laurea con Natalino Sapegno con tesi sugli influssi di Luigi Pirandello su Eduardo De Filippo. Sapegno sosteneva che Eduardo era uno scimmiottatore del commediografo siciliano. Non era d'accordo il contro-relatore, Giuseppe Ungaretti. Il voto di laurea fu 105. Ungaretti era per il 110 e lode. Quei cinque punti in meno hanno marcato tutta la vita. Volevo laurearmi magna cum laude". Vita che cambia ancora. Il matrimonio e destinazione Il Cairo, la città del marito ("un matrimonio che mio padre aveva dovuto accettare ma non aveva approvato"). Il marito era un regista teatrale, aveva lavorato con Bertold Brecht e Madaleine Renaud, un'esperienza importante ("mi ha segnato in modo definitivo"). Va a Parigi. "Seguivo le prove dietro le quinte. Mi succede lo stesso a Milano con Giorgio Strehlher. E poi l'Egitto. La guerra. Gli hangar dell'aviazione israeliana erano tutt'attorno al Cairo, i bombardamenti incessanti. Mi prendono per eroina perché parto con i figli proprio sotto i bombardamenti". Nel 1967 l'approdo è Nuoro. "Riabbraccio mio padre. Si rende conto che Nuoro mi stava davvero stretta. La destinazione è di nuovo Roma dove insegno italiano, latino e storia alle medie. Poi scelgo gli istituti tecnici, mi interessava fare sperimentazione con i ragazzi. Ma resto delusa. Mi ritrovo senza cattedra. Insegno a Rebibbia. In carcere si impara a conoscere la profondità dell'animo umano come non ti dà alcun'altra esperienza. A questo punto nuova svolta. Conosco l'arabo. Perché non usarlo? Mi iscrivo ai corsi estivi di Tunisi, Ecole Bourghiba, stringo molte amicizie con norvegesi, asiatici, africani, dormo in camera con due coreane. Mi iscrivo alla Scuola di specializzazione in studi islamici, corso triennale all'Orientale di Napoli. Tanta onestà attorno, dirittura morale. La mia tesi è su un geografo arabo andaluso, 110 e lode finalmente. E pubblicazione". Altre esperienze, non solo letterarie. Scrive per il cinema, segnalazione al Premio Solinas nel 1994. Pubblica su Ibiscos "Canzoni di terra e di mare" e "Ballate". Nel 2009 vince il primo premio al concorso letterario Antonio Gramsci per "Passi nel tempo, Una vita controcorrente". Qui "alcuni racconti narrano episodi dell'esperienza di insegnamento in scuole di borgata e nelle carceri, altri dei lunghi viaggi nell'Africa Nera e nell'America del Nord e del Sud". Nel risvolto di copertina si legge: "Si tratta di tutta una esistenza in gocce essenziali cadenzata dai passi sulla terra, dal calore degli incontri, dalla voce grave e segreta dei colloqui, dal silenzio dell'anima in recezione e riflessione". Nel libro di poesie "Ballate" si legge ancora di Margherita Pinna: "In ogni tempo si è interessata a ritrarre l'universo femminile nella storia, dapprima con il romanzo, ancora inedito, O Palestina, quindi con le ballate Storie di donne di storia e infine con gli atti unici Donne d'esilio". Nel 2011 esce il romanzo "Dimore perdute". Racconta ancora la questione palestinese "che gronda sempre sangue, non trova soluzione". Può bastare l'avvio del libro per capire qual è lo spessore di questa nuorese errante che vive a Roma e ama il mondo, soprattutto quello arabo: "Don Milani morì, lui figlio di un'ebrea, sussurrando ai suoi ragazzi, durante la Guerra dei Sei giorni: - Badate che i poveri da difendere sono gli altri, i Palestinesi". 

Genovese morto in Siria, Imam Pallavicini: ''Spirale ideologica in aumento''

Adesso dopo la morte  di Giuliano D inizierà , m'auguro  di no , la caccia all'islamico  e  nel considerarli tutti  estremisti  quando  invece  è  vero il contrario  .Infatti  "Il fenomeno è in crescita ma cerchiamo di fare prevenzione perché alcuni ingenui idealisti possono essere oggetto del lavaggio del cervello di falsi maestri". come  dice  qua sotto l'inam  Wahid di Milano, Yahya Sergio Yahe Pallavicini.




speriamo che non sia il primo   visto  che  dall'italia  ne  sono partiti    secondo  questo articolo di  repubblica.  Quindi  prima di parlare  o scrivere  .... informatevi  grazie  eviterete odio e proliferazione ulteriore  di catti maestri  

17.6.13

Saviano insulta i sardi ? no solita campagna di fango contro di lui e dichiarazioni estrapolate \ decontestualizzate


leggo sulla  bacheca  di facebook della mia  nuova  utente    Stefania Calvisi questo articolo  

Ora  nonostante  io non sprizzi di simpatia  per  Saviano  : 1)  per la sua  antimafia  da  salotto  (  anche  se  molto preciso  e puntuale     negli articoli  e  nelle analisi  )  2)  per  come  si  comportato   con la  famiglia  di Peppino  impastato  



di Riccardo Ghezzi © 2013 www.qelsi.it

Saviano diceva di sentirsi con la madre di Impastato, ma era una bugia. Ora chieda scusa 14 maggio, 2013 | Permalink | Archiviato in: Cultura e Informazione 
Saviano (super piccola)
Stiamo cominciando a perdere il conto delle figuracce di Roberto Saviano.L’ultima, in ordine di tempo, è probabilmente la peggiore: l’autore di Gomorra millantava rapporti cordiali e telefonate intercorse con la madre di Peppino Impastato, ma non era vero niente. E’ stato smentito prima dal Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, poi da un giornalista di Liberazione ed infine pure da un giudice. Dovrà avere il buon gusto di chiedere scusa e rettificare, ma difficilmente lo farà. Oltre alla indebita strumentalizzazione di un vero martire dell’antimafia come Peppino Impastato, ucciso il 9 maggio 1978, Saviano ha dimostrato poco rispetto per chi non c’è più: al momento in cui ha diffuso la falsa notizia, infatti, anche la madre di Peppino Impastato non poteva smentire, essendo scomparsa da 5 anni. Al suo posto l’hanno fatto il fratello di Peppino, Giovanni Impastato, e Paolo Persichetti, giornalista di Liberazione. Quest’ultimo è stato querelato da Saviano, il quale però ha perso la causa. Il gip di Roma, nell’ordinanza che ha dato torto all’autore di Gomorra, ha infatti scritto: “Persichetti si è limitato a riferire una diversa ricostruzione della vicenda fondata su fonti attendibili, ovvero le dichiarazioni rese dalla nuora di Felicia Impastato, anch’essa di nome Felicia, e da Giovanni Impastato, fratello di Peppino, documentate in atti”.Saviano ha raccontato balle, detto senza mezzi termini.L’ha fatto nel suo libro “La bellezza e l’inferno” pubblicato nel 2009, cinque anni dopo la scomparsa di Felicia Impastato, madre di Peppino. “Inviavo a Felicia gli articoli sulla camorra che scrivevo, così, come per una sorta di filo che sentivo da lontano legarmi alla battaglia di Peppino Impastato. Un pomeriggio, in pieno agosto, mi arrivò una telefonata: ‘Roberto? Sono la signora Impastato’” ha scritto Saviano. Peccato che non c’era alcun filo che “lo legava alle battaglia di Peppino Impastato”. La menzogna è stata subito smentita dal cronista Persichetti, da Giovanni Impastato e da Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato. Non è servito a nulla provare a difendersi attaccando, ossia querelando Persichetti. Ora c’è anche una verità giudiziaria, chiara: a mentire è stato Saviano, che con scarsa dignità ha voluto appropriarsi di un simbolo della lotta alla mafia. Un mitomane, più che un giornalista anti-camorra.
di Riccardo Ghezzi © 2013 Qelsi


 Libero  e il caro Ladu   sono  in malafede o leggono poco io  giornali locali o non v partecipano agli incontri  con l'autore  . Infatti  dalla   discussione (  qui  il resto  )   sulla  bacheca di Stefania  Calvisi 

  • Giuseppe Sanna Io ero presente. Ha detto che la Sardegna costituisce uno dei tanti luoghi di stockaggio del traffico di droga internazionale e che la droga viene tenuta in luoghi nascosti e impervi come ovili, grotte, tuppe ecc. La macchina del fango si è messa in moto... Evidentemente Saviano aveva ragione! Meditate gente, meditate. Preciso che Non ha insultato tutti i Sardi ma solo i Sardi che "spacciano" droga. È quelli li insulto anche io!
    13 giugno alle ore 16.16 tramite cellulare · Mi piace 4
    Stefania Calvisi ah bè...se è così...la questione prende un aspetto totalmente diverso....dall articolo che ho postato nn si evingeva sto...in sti termini almeno..grazie giusè per la precisazione. Ovviamente anche io la penso a tuo modo


  Io   da  sardo metà barbaricino  ( parte di madre  )  e  gallurese  ( parte  di padre  )   che non mi sento offeso . E  dico    che  Saviano  ha  ragione  sulla  sardegna anche  se   come  giustamente  dicono    nella  discussione  prima  citata    1)  Enzo Cumpostu Il problema è che Saviano è uno che dice verità per fini poco nobili: vendere i suoi libri, aver consenso, popolarità: io queste cose da gente delle forze dell'ordine le so da anni ma se le dice Saviano hanno un opeso se le dice x,y,z non fanno testo.
Ajo', ma devono venire sempre gli "importatori culturali" che noi vediamo quasi come degli Apostoli della Verità a dirci come stanno le cose?
Ok, Mesina fa parte di quella schiera di persone che fa il gioco sporco, la parte logistica e operativa della organizzazione criminale dedita a questi traffici, legata a doppio nodo con le organizazioni criminali peninsulari ed europee.
Il problema VERO è che dietro questi "signori" si potrebbe delineare anche una velata complicità di colletti bianchi sardi anzi sardissimi. 2) Romina Floris porca miseria quanto si generalizza, tutti a scandalizzarsi perchè Saviano ha detto che la droga si trova ANCHE negli ovili, negli anfratti, in posti impensabili e lontani anni luce dalla tradizione pastorale sarda. c'era veramente bisogno di Saviano per sapere che la droga arriva nei pascoli come nelle chiese, nelle scuole, nelle caserme; e tutti a pubblicare link ... ajooooooooo sardi svegliamoci ., 3) Katiuscia Musu Ha detto una grande verità......invece il tentativo di calunniare Saviano mi sembra un tentativo di distrarre l'attenzione pubblica dal problema....concordo in pieno con Giuseppe Sanna.... Gli spacciatori li schifo anch'io, squallidi venditori di morte....
  Ed   aggiungo alla  discussione  sopra  riportata   d'andare  a  leggere o rileggere      questa intervista , da me  riportata  in un post  precedente,rilasciata  alla nuova  sardegna  . E  che le dichiarazioni  di Ladu mi ricordano tanto  gli attacchi  alle prime indagini  di  Falcone  e Borsellino poi confermate  sia  dal punto  di  vista giudiziario  che storico    e  l'attacco  alla  fiction  degli anni  1984\2003  la  piovra 

Laicità


Tante immagini, e tutte significative, stanno contrappuntando la ribellione in Turchia. Tante da scegliere, da conservare, qualunque sia l'esito della protesta. Perché la storia cammina, non si può fermare. E al tempo stesso s'incunea nel nostro occhio mentale e si riaffaccia, statuaria e insieme attiva, che par di udirne il suono, persino l'odore. La storia, si dice, è realtà. Il fatto per eccellenza. No, la storia è soprattutto immaginazione e profezia.

L'arte prevede. Senza arte non esiste quindi futuro. Prevede, spesso, inconsapevolmente. La giovane e disinvolta ragazza turca con bandiera scarlatta e mezzaluna non sa di star inverando un sogno, un'epopea di tre secoli fa. Ha i piedi scalzi, come si addice a un'immagine eroica. Come la Libertà dipinta da Delacroix tanti anni addietro. Con alcune differenze sostanziali. Quella di Delacroix era una donna fittizia, un'effigie astratta. Una cariatide atemporale in mezzo a protagonisti autentici, tutti maschi e giovani, addirittura ex schiavi, ma sempre uomini, a guidare le magnifiche sorti e progressive incarnate dalla Francia moderna. La studentessa turca ha una sua bellezza quotidiana, il suo eroismo, o intraprendenza, ha tutta la sicurezza di una gioventù vera, entusiasta e fiduciosa. Spicca, risalta, e tuttavia non guida: unisce, semmai. Se Delacroix aveva raffigurato, attraverso la Francia, il futuro dell'Europa, la ragazza di Istanbul è l'Europa nuova, ma, anche se restasse Asia, poco importerebbe.
È segno di laicità. Perché la donna è sempre laica, l'hanno costretta a esserlo ma questo è oggi il suo punto di forza. È laica cioè del popolo, non recinto chiuso, ma unione di vite e di mondi. Non esiste più, in lei, il distacco tra sacro e profano, non più società agoniche e gerarchiche. Delacroix aveva bisogno d'inventarsi una femmina ideale in questa sua fratellanza coniugata solo al maschile. La realtà l'ha trasceso e superato, come sempre avviene, facendo spuntare una donna in quel luogo, naturale e ardita senza retorica alcuna, faticosa sulle macerie eppur senza dolore, sola e affiancata da giovani uomini in una sorta di patriottica poliandria, senza simboli, perché il simbolo si è inverato, e marcia tra noi.

16.6.13

Dall'ombrellone a ore alla cabina in condominio l'Italia scopre la balneazione low cost

mentre leggo l'articolo riportato sotto  mi   viene da  canticchiare   , non so spiegarmi il perchè  , questa  vecchia  canzone





Merito o colpa della crisi, gli stabilimenti del litorale affinano tecniche e strategie attira-clienti. Dagli sconti per chi arriva all'alba agli ingressi a tempo. E si risparmia fino al 50 per cento di IRENE MARIA SCALI


Sarà ricordata come l'estate dello "stabilimento creativo". Il lungomare del 2013 si presenta come un girone di offerte fantasiose. Tutto pur di far risparmiare i turisti e distrarli dalla tentazione, a costo zero, della spiaggia libera. Benvenuta, allora, alla stagione democratica. I prezzi non solo non salgono, ma scendono ovunque anche se di poco. E le offerte si moltiplicano. C'è chi offre ombrelloni "part time" da condividere nelle diverse ore della giornata. Chi punta sulla cabina in condominio divisa tra più famiglie. Chi ricompensa gli insonni che arrivano all'alba con un forte sconto. Chi rispolvera la formula tre lettini al prezzo di due. 

Non manca l'ingresso a tempo: dieci ore da spalmare lungo un'intera settimana (in fondo troppo sole fa male alla pelle). Taglia di qua e di là, Federeconsumatori stima un risparmio medio che si aggira intorno al 5 per cento per le sdraio, all'un per cento per la cabina e al 2 per cento per l'ombrellone. Per i temerari che decidono di sfidare il meteo, e abbonarsi per tutta la stagione, si paga a rate.
Nonostante una politica low cost da far invidia a Ryanair, i circa 900 chilometri di costa occupati dagli stabilimenti balneari, nei primi giorni dell'estate hanno offerto uno spettacolo sconfortante. Ombrelloni
chiusi, sdraio ripiegate, facce dei gestori scure e cielo ancora più nero. A Padova, tanto per dirne una, saranno solo 6 su 10 ad andare in vacanza. Mentre al bagno San Rocco di Trieste tutto sembra in salita: " Una catastrofe, mai partiti così male. Gli incassi sono diminuiti del 90%". Spiega Riccardo Borgo, presidente del Sindacato Italiano Balneari: "Con il mese di maggio piovoso la situazione si è aggravata ma un freno generale era già tirato da anni. Anche perché nei momenti difficili la giornata al mare è una delle prime spese che si può tagliare". E così, chi lo scorso anno aveva rivisto le tariffe, quest'anno persevera con l'offerta low cost. È il caso del bagno Nettuno di Viareggio: "Da noi chi prenota il venerdì e il sabato ha la domenica gratis, mentre la tariffa per l'ombrellone con tre sdraio è di tre euro a testa. Le persone non hanno più soldi e non resta che adeguarsi ". 
Pensano alla terza età sul litorale pisano. "Proponiamo ombrelloni gratis dal lunedì al venerdì per gli over 65", spiega Fabrizio Fontani del Bagno Meloria, "si tratta del progetto "Estate per tutti" realizzato dalla Società per la salute, insieme al Sindacato Balneari. Così agevoliamo tutti quelli gli anziani con un reddito inferiore ai 20 mila euro l'anno".
Viaggiare informati? Si, ma soprattutto sui nuvoloni. Ecco, per chi frequenta gli stabilimenti abbruzzesi associati alla Fab, un sms con tutte le informazioni relative al meteo. In alcuni casi c'è persino il rimborso del costo di ombrellone e lettino, se la pioggia arriva improvvisa. Ad esultare per le iniziative è soprattutto il Codacons. "Si tratta di una sorpresa positiva per i consumatori dopo anni in cui i listini degli stabilimenti hanno subito continui rialzi", spiega il presidente del Codacons Carlo Rienzi, "si tratta di offerte in grado di far risparmiare ai bagnanti sino al 50 per cento. Le tariffe restano stabili mentre a far cambiare le cose sono gli sconti e le promozioni". L'importante, precisa ancora Borgo, è la correttezza delle informazioni: "C'è l'obbligo di mettere bene in evidenza le tariffe. Nessuno deve avere sorprese indesiderate ".