22.4.22

QUANDO LA FINIRANNO DI DIRE E SCRIVERE AD OGNI FEMMINICIDIO CHE SI TRATTA DI RAPTUS ?

Di cosa stiamo parlando
Lei era Romina Vento, quarantacinque anni, mamma di due ragazzi di dieci e quindici anni. Lavorava in un pastificio nel Bergamasco, con suo marito le cose non andavano un po’, ma non se ne era fatta un dramma. Romina era una donna concreta, concentrata sul lavoro e sui figli e non si sarebbe lasciata scoraggiare da una separazione. ..... il  resto lo  sapete   è un ennesimo caso di femminicidio  .  Unica  differenza   che stavolta  non  c'è sangue  o deturpamento\ scempio  di  cadavere perchè l'ha annegata  . 






Leggendo la  cronaca pensavo di no, che sia  fosse  finita con l'accanimento  e  le storpiature mediatiche    tipiche  dei  casi  di femminicidio \ violenze  di genere   e invece poi mi sbaglio ...  mi  sono illuso .


 Infatti oggi ho dato un'occhiata ai pezzi sulla morte di Romina Vento, annegata nel fiume mentre il suo compagno si salvava a nuoto, dopo aver lanciato l'auto nell'Adda, e sapete cosa ho trovato? Ho trovato ancora una volta la parola RAPTUS associata alle accuse di omicidio di cui deve rispondere Carlo Fumagalli. Ma insomma, dopo tutti i 25 novembre e i 'mai più' e i 'non è normale', le  panchine  e  le  scarpe  rosse  , ecc chi è che ha ancora il coraggio di trovare attenuanti per un crimine che la procura, nelle sue ipotesi di indagine, ha classificato come omicidio VOLONTARIO aggravato? 
No signori, no, << [ ... ]   il dolore per un'imminente separazione non è una nebbia che avvolge obnubilando la ragione. Uccidere è una scelta, infliggere dolore è una scelta, condannare al lutto perenne una famiglia e i propri figli è una scelta. Non si uccide per troppo amore, si uccide per distruggere. E quanto all'accusato, Carlo Fumagalli, che ha già parlato di patologia psichiatrica non curata, saranno dei tecnici, ove mai lo decidesse un giudice, a stabilire se quel giorno fosse o no temporaneamente infermo. Ma quello è il mestiere di altri. Chi racconta deve restare a distanza, non disegnare cornici melodrammatiche per gesti che andrebbero respinti e stigmatizzati. >> (  da  Angela Marino )

 

le curiosità e le domande stupide a Samantha Cristoforetti ed al sua risposta sorprendente che gli spiazza

 Accade che, a distanza di sette anni dall’ultima volta, Samantha Cristoforetti si prepari a tornare nello Spazio.Con qualunque astronauta uomo quei pochi che ancora non hanno mandatoil cervello all'ammasso e non si sono defilippilizzati e si basano sul gossip si sarebbero concentrati unicamente sui dettagli della missione.A lei, la prima donna negli equipaggi dell’Agenzia spaziale europea, il giornalista del “Messaggero”
decide di rivolgere questa domanda surreale per essere educati . << Quanti post-it ha messo sul frigorifero, visto che starà assente cinque mesi e comunque qualcuno a casa la famiglia la manda avanti? >> . La risposta di Cristoforetti è da incorniciare. << Ho un partner, il papà dei miei figli, che si occuperà sia di mandare avanti la casa che i nostri bambini. Lo fa già, da sempre. È sempre stato lui la figura di riferimento principale sia per la cura dei figli che per tutte le cose domestiche. Non è un cambiamento così radicale.>> Una risposta --- come fa notare Lorenzo Tosa --- perfetta nella sua normalità a una domanda semplicemente imbarazzante, mentre in tanti (e tante) tra i commenti addirittura la insultano perché “non fa la mamma” e “non dedica abbastanza tempo ai figli”. Questo Paese retrogrado e oscenamente sessista ., anche se con delle poche resistenze una eccellenza assoluta come Samantha Cristoforetti davvero non se la merita. . Nella forma cartacea dell’intervista questa parte è stata edulcorata, ma nel VIDEO pubblicato dalla stessa testata romana il virgolettato letterale è quello riportato ( dal minuto 8.55).
Video


 Infatti l'amico     ed  il  compagno  di strada    Francesco Trento , ed  è  questo   è uno dei  casi in  cui  qualcuni  dei tuoi contatti non solo  social   ti  tolgono le parole  di bocca   ed  arrivano   a pensarla  come  te  a perfettamente   ragione   anche   se pessimista  . Ma  purtroppo    in casi   come  questo    il pessimismo  corrisponde  alla   realtà  . Ecco  cos'ha  scriitto in merito 

Ecco  cos'ha  scriitto in merito 

Quand'ero piccolo mio zio, che è un fisico, partiva per delle missioni lunghissime in Antartide, e se qualcuno lo intervistava gli chiedeva come si resisteva al freddo, cosa si mangiava, com'era stare sei mesi lontano da tutto, se era pericoloso, che animali potevano incontrare, ma soprattutto gli facevano delle domande sulla spedizione: sul buco nell'ozono, sulla criosfera, i ghiacciai, i cambiamenti climatici, insomma su quel che andavano a studiare. A nessuno veniva in mente di dire: ehi, ma come, stai mesi lontano da casa? E chi pensa alla prole ? Adesso abbiamo un'astronauta che va nello spazio, non proprio una che esce a comprare una pizza, e tra le migliaia di domande possibili, di curiosità profondissime che si possono avere su un mondo straordinario a cui noi non avremo mai accesso, la prima cosa che viene in mente a chi la intervista è: ma chi pensa ai tuoi figli ? "'sto cazzo" sarebbe già stata una risposta fin troppo diplomatica, a mio avviso. Comunque, ricordo che mio zio una volta era tornato giusto per Natale. Ci siamo seduti a tavola e dopo un po' di convenevoli qualcuno ha iniziato a parlare del capitone e di come si cucinava. Allora zio è sbottato: "Cristo, sono stato sei mesi in un posto in cui nessuno di voi andrà mai e state parlando del capitone? Ma non siete curiosi?". E lui era andato in Antartide. Pensa una che esplora lo spazio per noi e in cambio si becca 'ste domande. P.S.: ho cercato "Samantha Cristoforetti" su Google per scegliere una foto per il post.Nella zona "ricerche correlate" è uscito:"le persone hanno chiesto anche:chi è il fidanzato della Cristoforetti?quanto guadagna la Cristoforetti?"Non ce la possiamo fare, mai.



 Ecco quibìndi che   invece di andare avanti stiamo regredendo come società e  << [....] quando ero piccola non l'avrei mai immaginato possibile. Cavoli, siamo nel 2022 non nel medioevo. È una donna straordinaria e da ammirare, che fa un lavoro importante, nonché da sogno, e non è da tutti. Per i suoi figli sarà un esempio, come dovrebbero essere tutte le mamme che lavorano oggi e spesso sono assenti, ma non per questo meno mamme e donne.>> ( Emina Ristovic) .

la Preside, e il maturando la brutta commedia . I MEDIA I NUOVI ALVARO VITALI DAVANTI AL BUCO DELLA SERRATURA (SE NON È QUELLA DI UN POTENTE)

  canzone  suggerita  
NON ERANO STREGHE - MARCO CHIAVISTRELLI

 Finalmente  un articolo serio   e non sessista  all'Alvaro  vitali  sulla preside  Sabrina  Quaresima  del liceo   Montale di Roma  . Uno dei  pochi articoli   su  tale  vicenda    che : <<  rasenta  il  femminicidio   come dicevo precedentemente   su queste pagine  >>. Un articolo   che    , come  dicevo nel  titolo che  non è   come   Alvaro  vitali davanti  al buco  della serratura   .  

Il 29 marzo abbiamo appreso da Repubblica che al liceo Montale di Roma la dirigente scolastica cinquantenne se la faceva con un alunno (“La preside ci sta col maturando”, l’ennesima, pessima commedia scollacciata andata in onda a quotidiani e reti unificati per tre settimane). Non c’era il nome di lei, ma il nome della scuola sì (quante presidi 49enni ci saranno al liceo Montale?). Il nome di lui invece non lo abbiamo saputo allora, ancorché il giovane fosse (anche all’epoca dei fatti) maggiorenne e continuiamo a non saperlo ora: la privacy a generi alterni. Cosa era successo? Una segnalazione era arrivata all’ufficio scolastico regionale, che aveva subito disposto un’indagine. Tutto, stando al racconto del sedotto, era iniziato a dicembre, durante l’occupazione del liceo. I due avevano iniziato a scambiarsi email e messaggi, poi a frequentarsi. La foto che illustrava il primo articolo era un muro della scuola con una scritta - “La laurea in pedagogia l’hai presa troppo seriamente” - e già il giorno successivo c’era una foto della procace preside. In queste tre settimane abbiamo saputo un po’ di tutto della signora e letto pensosi editoriali sul “patto d’aula violato”, mentre con grande coraggio lei negava per ogni dove di aver avuto una storia con l’alunno, dovendo rendere conto perfino delle sue scelte in fatto di abbigliamento. È un attimo e sono subito gli anni Cinquanta: perché un conto è se sei

Brigitte Macron, un altro è se sei una sconosciuta che insegna sull’appia. INTANTO,gli studenti hanno preso le distanze con un comunicato contro la “gogna mediatica” dalla quale volevano discostarsi: “Non riconosciamo come nostre le critiche che le vengono poste in quanto donna, perché rifiutiamo la concezione maschilista che giudica le donne per la loro vita sessuale”. Il 2 aprile erano uscite presunte chat e registrazioni audio che Repubblica avrebbe visionato e udito. Lo stesso giorno il Garante della Privacy era intervenuto per disporre il blocco della diffusione delle chat. Ma i buoi erano già evidentemente scappati. Insomma, i segnali che la vicenda forse non era così chiara c’erano tutti. Il sexgate però continua a essere ritenuto rilevante da buona parte della stampa. Anzi rilevantissimo perché non può essere trattato come una storia tra due persone adulte e consenzienti. Guai a voi: “E’ una lettura superficiale e persino pericolosa dei fatti che dimentica il contesto in cui la storia si è svolta, e cioè tra le mura di un liceo, all’interno di un sistema di valori e di poteri ben delineato e regolamentato, nel quale, per fare un esempio, è vietato persino dare ripetizioni pomeridiane agli allievi, indipendentemente se maggiorenni o minorenni, figurarsi intrattenere relazioni sentimentali. Non a caso è stata aperta un’inchiesta ministeriale”. Ecco, due giorni fa abbiamo saputo che l’ispezione ministeriale si è conclusa e che la preside non solo non è stata licenziata, ma non è stata sottoposta ad alcun procedimento o provvedimento disciplinare. Come mai? Ieri, sempre su Repubblica, abbiamo letto che è accaduto perché lo studente non ha voluto consegnare le chat e gli audio che “provano” la relazione. Ma noi tendiamo a non sottovalutare il lavoro degli ispettori e a pensare che probabilmente non è accaduto nulla di rilevante. A parte lo sputtanamento (sostantivo illuminante, eh?) di una donna che, come ha giustamente scritto Michele Serra ieri, è stata sottoposta a un’esposizione mediatica “molto greve, ovviamente sospinta dal cicaleccio pettegolo dei social, che è identico al cicaleccio pettegolo di sempre, ma moltiplicato per un miliardo”. Diciamo che anche i media hanno avuto la loro parte. Con l’aggravante che se i social sono il bar dello sport, l’informazione in teoria è fatta da professionisti che peraltro, mentre sputtanano la preside, invocano la privacy per i casi di qualche personaggio pubblico (meglio se eletto in Toscana).


MAESTRO MANZI DOVE SEI . a 80 anni esclusi dalla tecnocrazia



É  vero    che    bisogna  aggiornarsi  ed  rimanere  al passo con i  tempi per  non rimanere  isolati  Le cose nuove che non si conoscono e fanno sempre paura e noi esseri umani tendiamo ad attaccarle, sminuirle o ignorarle. Ma solo se siamo aperti al nuovo possiamo evolvere  ed   rimanere  isolati 


ma   dobbiamo  evitare  che   gli anziani  subiscano    anziano   di noi  subiscano discriminazioni   ed  darwismo sociale  come riportato qui a  sinistra  da  questa lettera     presa  dal FQ  d'oggi  22\4\2022  . 
Per  evitare  o  ridurre  questo   si dovrebbero fare   dei corsi  di alfabetizzazione  digitale per  gli over  60   ancora   si è ( almeno  mi sembra  in tempo )   fare ,come  si  fece  con il maestro manzi (  qui  il titolo ) nel  secondo dopo guerra .Se   siamo arrivati  a  tale situazione (  vedere   il  video riportato nelle  righe precedenti )  E che  la  burocrazia  , per parafrasare Nanni Moretti , ed  lo stato    non  hanno   voluto farlo prima   man mano  che  la  tecnologia    ed  l'informatizzazione prendesse  corpo  e  si  radicalizzasse     ,  e  se  proponevi una  cosa  del genere   ti ridevano  dietro e ti  davano del matto 


la demagogica proposta della meloni sulla gestazione per altri \ maternità surrogata . come eliminarla senza reprimere

Pur  essendo   per  principi etici  contrario a tale   pratica   la proposta  della Meloni     (ed  degli eventuali  seguaci di destra   e di sinistra  )  che vogliono fare della maternità surrogata un reato universale oltre demagogica è errata . Infatti do  ragione a  Elio vito   pur  essendo lontano    da  lui  anni  luce 


 

va  regolamentata  anche se   non è  semplice  ( almeno  da quel poco  che  capisco di  cose    femminili )   La gravidanza 


implica una tale complessità  di scelte  ed aspetti che non si possono normare o   è difficile  farlo  perchè :  proibendola    si porta  chi  vuole  farne  uso   etero o gay   all'estero oltre  a criminalizzare   chi   ne  fa uso      dove  questa  è legale   ( alti  costi  )  o  illegale  (  bassi costi  )  o   nella  clandestinità creando  situazioni  bruttissime    come quella che   è  successa  mesi fa  in cui una  coppia   ha  abbandonato una  bambina  fatta nascere  con la maternità  surrogata .
Mentre    revisionavo il post    leggo     quantoi  dichiarato da    fassina in una  lettera   di Stefano Fassina   al quotidiano  Avvenire.it   in queststi    giorni  


Caro direttore,
la maternità surrogata, detta “gestazione per altri” (Gpa) o «utero in affitto», vietata in Italia dalla Legge 40 del 2004, ma praticata in diversi Stati, è la messa a disposizione del corpo
delle donne per far nascere bambini da consegnare ai loro committenti. Lungi dall’essere un atto individuale, un dono, è una pratica realizzata su scala industriale da imprese di riproduzione umana, in un sistema organizzato di cliniche, medici, avvocati e agenzie di marketing e di intermediazione. In tale sistema, le donne sono mezzi di produzione: la gravidanza e il parto diventano procedure dotate di un valore d’uso e di un valore di scambio in un mercato globalizzato
Nella tragedia della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, abbiamo assistito – e le cronache di “Avvenire” lo hanno testimoniato – a una tragedia ancora più disumana: decine di neonati, frutto di maternità surrogata, lasciati in uno scantinato, accuditi con amore da poche coraggiose assistenti rimaste con loro. Altre decine nascono ogni giorno, nonostante l’impossibilità di essere consegnati come previsto da contratto (l’Ucraina è leader mondiale nell’export di tale “prodotto”). Sono le agghiaccianti conseguenze della mercificazione della vita. Non possiamo rimanere a guardare i video e le foto. Dobbiamo moltiplicare il nostro impegno per l’abolizione universale della maternità surrogata. [...]  segue   qui  sul portale msn.com/it-it/oppure nell'articolo  : <<   Sì all'abolizione universale della maternità surrogata  >>  di  avvenire  

 resto del parere che : non è punendo chi sceglie di farla all'estero soprattutto se fatta in strutture ed in paesi dove essa è legale che si elina . Ma tale risultato si può ottenere in altri modi . Come ? 1) rendendo meno faranginosa l e snele le leggi sull'adozione nazionale , magari riducend il periodo d'affido . Potenziando quelle dei bambini abbandonati o non riconosciuti alla nascita ., 2) permettendo l'adozione ai singoli ed ai Gay .


21.4.22

Michele Campanella sfatò un tabù: fu il primo comunista della Liberazione a entrare nelle forze dell'ordine. L'omaggio di Genova ai 100 anni del "comandante Gino"

 per  approfondire  

https://it.wikipedia.org/wiki/Polizia_partigiana


da https://www.ilsecoloxix.it/genova/2012/06/04/

Genova - Quella sporca dozzina. Dodici furono all’inizio i volontari, tutti di provata esperienza, cui il comando partigiano, nel settembre 1944, affidò un compito di particolare audacia: portare la guerriglia in città. Così nacque la squadra volante Severino, che in collaborazione con le Sap, le Squadre di azione patriottica attive dall’estate in ambito urbano, avrebbe dovuto costituire una pressante minaccia per tedeschi e fascisti con improvvise puntate in val Bisagno e nei quartieri periferici genovesi. Alla testa di quegli uomini vi era Michele Campanella, nome di battaglia “Gino”, destinato a divenire una delle figure di maggior rilievo della Resistenza nella VI Zona operativa, corrispondente a grandi linee con il territorio dell’attuale provincia genovese, e che nel dopoguerra sarà insignito della medaglia d’argento al valor militare e della Bronze Star Usa. Il comandante Gino è morto ieri a Monzuno, nel Bolognese, dove era andato a vivere i suoi ultimi anni. Le sue ceneri, come ha disposto nelle ultime volontà, saranno disperse nelle montagne dell’entroterra di Genova, teatro delle sue leggendarie imprese.


Nato a Genova il primo maggio 1922 in una famiglia antifascista, sin da giovane Michele Campanella era stato oggetto delle attenzioni della polizia politica fascista, che lo sospettava, non a torto, di attività antifasciste. Chiamato alle armi e arruolato in Marina, fu a Spalato che Michele Campanella si trovò l’8 settembre 1943 quando, al pari di milioni di italiani e dei combattenti sui vari teatri di guerra, venne a sapere dell’avvenuto armistizio con gli anglo-americani. In assenza di chiari ordini e lasciata colpevolmente in balia degli eventi dalla monarchia e dalle supreme autorità civili e militari, la nazione si trovava allo sbando. Che fare? In quale Italia identificarsi, in quella rappresentata dal sovrano e dal governo Badoglio, firmatario dell’armistizio, o nella Rsi di Mussolini, Stato-fantoccio al servizio del Terzo Reich? Nessun dubbio attraversò la mente di Campanella che, riuscito a rientrare in patria, tornò a Genova, riprendendo i contatti con l’ambiente antifascista.


 e  da  REPUBBLICA 




in un periodo quello della guerra fredda soprattuttto in una delle fasi più acute cioè quella fra il 1945\50 i ruoli dele forze dell'ordine erano in mano agli ex fascisti o a i non comunisti ecco perchè la storia di Michele Campanella sfatò un tabù: fu il primo comunista della Liberazione a entrare nelle forze dell'ordine. L'omaggio di Genova ai 100 anni del "comandante Gino"

La pubblicità degli hamburger con le foto di Maddie bambina scomparsa nel 2007: "Con panini così buoni, lascerai i tuoi bambini a casa"

Noi  tutti sottoscritto compreso  agiscono d'impulsi \  istinto    e   fanno azioni   di cui poi  si vergognano e porteranno  il rimorso , ma    almeno    si scusano  più  o  meno  sinceramente  privatamente o pubblicamente  quando glielo si  fa  fa  notare  ma   qui non è avvenuto 



La pubblicità degli hamburger con le foto di Maddie: "Con panini così buoni, lascerai i tuoi bambini a casa"
Il proprietario di una ditta di panini da asporto di Leeds ha pubblicato spot usando le foto della bambina scomparsa nel 2007

Affamato di (troppo) denaro. Per vendere i suoi hamburger un uomo Joe Scholey, un 29enne proprietario di una ditta di panini da asporto di Leeds, la Otley Burger Company, ha pubblicato una vergognosa pubblicità senza alcuna autorizzazione (e senza il senso del limite). Ha utilizzato l’immagine della mamma di Maddie MacCann - la bambina rapita in Portogallo nel 2007 - in uno studio televisivo e la foto della figlia con una frase raccapricciante testo: "Con gli hamburger così buoni, lascerai i tuoi bambini a casa. Qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere. Buona festa della mamma a tutte le mamme là fuori”.

 

Le prime immagini pubblicitarie sono di marzo: hamburger e bambina rapita, cosa potrebbe mai andare male? Per giorni la questione era rimasta nel silenzio. Poi improvvisamente qualcuno ha capito quanto fosse inquietante l'abbinamento, ignobile lo slogan, insostenibile l'uso della foto della bambina più tristemente famosa d'Inghilterra. Maddie è stata la protagonista di una campagna mediatica senza precedenti in Inghilterra. La vicenda ha riempito tabloid e tv e talk show per anni. La bambina è stata segnalata in decine di posti. Il nome di Maddie si trova in milioni di pagine internet. Per la prima volta, però, abbinata a un pezzo di carne, due fettine di pane e un po' di formaggio fuso. Joe Scholey ha provato a sfruttare un nome e un viso famoso fino a quando l'Asa (l'Advertising Standards Authority) non ha ricevuto migliaia di denunce e reclami e ha quindi intimato alle piattaforme social coinvolte di rimuovere quei contenuti. Il proprietario della ditta aveva già avuto trovate censurabili: aveva pubblicato un'immagine di una mamma che fingeva che sua figlia fosse stata rapita, aveva condiviso post con le immagini di assassini nel giorno della festa del papà. E non ha neanche chiesto scusa o fatto marcia indietro: al Leeds Live ha detto di pensare solo i soldi e che non importa "se le persone si sentono offese". Non era nemmeno sazio.

IDIOZIE DEL POLITICAMENTE CORRETTO O BUONISMO d'accatto VERSO GLI ALTRI ed PORTATORI DI DEMOCRAZIA MA NON DEMOCRATICI IN CASA LORO

     ecco  le  due   mie  riflessioni dìoggi 

   IDIOZIE  DEL POLITICAMENTE  CORRETTO O BUONISMO

 Una  risata    ci  seppellirà  o almeno cosi  dovrebbe  . IL  fatto  segnalato     nell'articolo   sotto   è come   quello mdi noi italiani (  almeno la maggior  parte  )   vanno all'estero per le  vacanze   o per  lavoro   ed anziché provare  la cucina   del luogo    chiedono la  nostra  .  


Ideona del Miur: “Ai profughi gare di zuppe ucraine”

ACCOGLIENZA LO STRAMPALATO VADEMECUM DEL MINISTERO PER INTEGRARE GLI STUDENTI UCRAINI

Attenzione italiani, ché la solidarietà non basta. Dove non arriva l’accoglienza, arrivano le zuppe. Per non far sentire a disagio gli ucraini nel nostro paese, mettiamoli ai fornelli.

Attenzione italiani, ché la solidarietà non basta. Dove non arriva con l’accoglienza, possono arrivare con le zuppe. Per non far sentire a disagio gli ucraini rifugiati nel nostro paese, bisogna metterli ai fornelli, farli sfogare con una bella spadellata, lasciarli esprimere con un borsch o con un altro manicaretto tipico; una dolce madeleine della loro vita dilaniata.

A elaborare questa teoria, indubbiamente suggestiva, è l’autorevole Ministero dell’istruzione di Patrizio

Bianchi, che si sforza di regalare sorrisi, sebbene involontari, in questo periodo cupo. Il dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione ha elaborato un sofisticato vademecum per indirizzare le scuole nell’accoglienza degli “studenti profughi dall’ucraina”. Si intitola “Spunti per la riflessione didattica e pedagogica delle scuole” ed è già online, ma in continuo aggiornamento, dallo scorso 24 marzo. IL PREZIOSO  documento è articolato in una serie di capitoletti dai titoli intriganti: “I tempi convulsi dell’emergenza e il ‘tempo lento’ dell’educazione”; “Apprendere serve, servire insegna”, “La pedagogia della scala”; “Non fuggire il dolore dei bambini e... attenti al lupo”. Ma le riflessioni più avveniristiche sono quelle che danno sostanza al tema: “Ricchi di doni, non mendicanti”. Ora, l’argomento è serissimo, drammatico, ci sarebbe poco da scherzare. Proprio per questo, forse avrebbe fatto bene un po’ di cautela, prima di rendere pubbliche talune fantasie. “Nell’accoglienza, per sovrappiù, per eccesso di attenzione, può accadere di ‘dare’, senza chiedere nulla – si legge nel testo del Miur –. Sono situazioni da evitare, perché chi arriva deve sentirsi a sua volta portatore di doni, ricco di cose da dare agli altri. Non mendicante alle nostre porte”. Insomma, a questi poveri cristi di ragazzi che si trovano rifugiati e stranieri nelle nostre scuole, non ci si può limitare a dare una mano, sarebbe offensivo: bisogna anche chiedere. Chiedere cosa? “Ad esempio, l’ucraina ha un corpus di canzoni popolari tra i più ricchi al mondo. Con l’aiuto di adulti profughi o residenti potrebbero essere da loro ‘donati’ canti tradizionali”. Una schitarrata tra amici. Ma non basta, c’è una proposta ancora più sostanziosa: “Oppure, questo popolo ha infinite varianti di zuppe (il famoso borsch) che stanno al passo con le tante varianti italiane. Una bella gara di zuppe con le ricette delle nonne potrebbe essere una proficua attività, in collaborazione con il centro anziani del quartiere”. Una gara di zuppe. Agli studenti ucraini si propone una gara di zuppe: una specie di Masterchef del disagio, in cui bambini e adolescenti segnati da un trauma terrificante si sfidano ai fornelli con gli anziani del quartiere (!). “E non pensiamo di poter capire quello che provano – insiste il ministero –. Noi siamo qui, al caldo, al sicuro (auspicabilmente); soltanto pochi grandi vecchi che hanno vissuto la Seconda guerra mondiale possono capire davvero quello che questi bambini e ragazzi hanno subito e subiscono”.

Nessuno può capirli. Sicuramente non li ha capiti il Miur, che vuole fargli cucinare zuppe e cantare canzoni, così capiscono subito che sono capitati in una gabbia di matti. Una risata ci seppellirà.

         PORTATORI  DI  DEMOCRAZIA  MA  NON DEMOCRATICI IN CASA  LORO 

Leggi   prima 

 Cari\e  Americani   o  filo Usa    senza  se  e  senza  Ma  
Qui non è   problema  d'essere Americani o Anti Americani   ma  essere   critici verso coloro     che si  dicono  e   giustificano le  loro  guerre(  o  sostegno a  regimi \  governi dittatoriali  )    dirette  o  per  procura   come democratiche  o per  poter portare  la  democrazia   quando   poi sono  carenti   e  non l'applicano   a casa  loro  . 


20.4.22

sul discorso di Damiano dei Maneskin

sono  d'accordo con 
Leggo dei Maneskin e del discorso del leader, preso in prestito da Charlie Chaplin e dalla sua interpretazione cinematografica " Il dittatore ". Forse i Maneskin non sanno che in Amerika Chaplin fu inquisito dalla Commissione per le attività anti-americane, accusato di filo-comunismo. Periodo
storico-politico americano conosciuto come " caccia alle streghe", in particolare con democratico zelo, cacciavano i comunisti. Chaplin scappò in Gran Bretagna, rifugiandosi poi successivamente (1962) in un tranquillo angolo della Svizzera. La condanna decisiva nei suoi confronti era arrivata infatti il 19 settembre del 1952.Il punto é che prima di citare qualcuno, per difendere l'indifendibile, bisognerebbe approfondire la storia di quel qualcuno, in questo specifico caso Chaplin, diversamente si rischia di schierarsi con la "democrazia" sbagliata.

Silenzio totale o quasi dei sindacati su le parole di Alessandro Borghese e a Flavio Briatore

Nel silenzio dei sindacati orami diventati salvo poche eccezioni mercè dei padroni La migliore risposta ad Alessandro Borghese e a Flavio Briatore, alla fine, l'ha data lui.

 
 Il suo nome è Emanuele, un uomo di 32 anni originario di Scampia. Un uomo che non ha mai avuto la fortuna di avere, al contrario di chi fa prediche, una famiglia agiata. Anzi, perse suo padre dopo aver compiuto 18 anni."Sono Emanuele, un ragazzo di 32 anni, nato e cresciuto a Scampia. Ho perso mio padre poco dopo aver compiuto 18 anni, ma avevo una passione, quella del caffè, che poi a Napoli è una vera e propria cultura. Pur di non delinquere, visto il quartiere problematico e viste le tante responsabilità che mi hanno praticamente rubato l'adolescenza, ho deciso di voler imparare il mestiere di barista.Lavoravo in un bar di Napoli, iniziavo alle 6.30 e se tutto andava bene finivo alle 17.00. Durante il periodo estivo iniziavo alle 6.00 e se tutto andava bene finivo alle 23.00.Ho iniziato guadagnando 120 euro a settimana, che moltiplicati per 4 settimane totalizzano 480 euro. Vivevo con mia mamma ma senza mio padre e con i miei soldi riuscivamo a fare ben poco: una piccola pensione di reversibilità e la fortuna di una casa popolare aiutavano a poterci permettere un piatto di pasta al giorno. Dopo quasi 8 anni, la mia paga è salita a 180 euro a settimana che moltiplicati per 4 totalizzavano 730 euro al mese. Nessun contratto, se mi ammalavo era un mio problema, le ferie erano solo 7 giorni in estate, contributi mai versati, forse solo 2 anni.Dopo 8 anni di sangue versato per imparare, di psicologia applicata per relazionarti al pubblico, di pianti fatti di nascosto perché ero stanco ma non potevo mollare, ero arrivato a guadagnare 200 euro in più rispetto all'inizio senza nessun riconoscimento, nemmeno morale, anzi dovevo ringraziare del lavoro, se così lo vogliamo chiamare, che mi era stato concesso.Sai cosa è successo poi? È successo che avevo un sogno, quello di aprire un bar tutto mio e ci ho provato in tutti i modi, Dio solo sa quanto volte ci ho provato, quante notti non ho dormito per i progetti i disegni l'arredamento. Morale della favola: dopo 12 anni, ho preso il mio bel sogno e l'ho chiuso in un cassetto, mi sono diplomato, ho lasciato Napoli e ora sono un tecnico che lavora sulla fibra ottica a Bologna e tutte le volte che entro in un bar a prendere un caffè provo odio e tanto rancore verso chi mi ha spezzato il cuore non permettendomi di inseguire il mio sogno, solo mio. Vedi, caro chef (Borghese), per poter vivere occorrono i soldi, eh sì, occorrono proprio i soldi. Occorrono soldi quando devi mangiare, perché nessuno ti regala nulla e in virtù di questo nessun giovane deve regalare il suo tempo perché non gli tornerà mai più indietro. Ti do un consiglio, sfrutta la tua popolarità insieme al tuo sapere per ottenere altri tipi di obiettivi".


L'iniziativa di Coneria Italiana, a Lamezia Terme: per un giorno valela lira la vecchia valuta. ., Buon compleanno Nutella: tutti i segreti della crema spalmabile più amata al mondo



E nella gelateria che si ispira agli anni '60 si paga in lire




Tornano le vecchie lire per un solo giorno, basterà portarle in cassa a Lamezia Terme e si avrà in cambio un gelato. È la trovata di Valentino Pileggi, ideatore di Coneria Italiana: “Il 21 aprile saremo la prima attività commerciale in Italia a permettere l’utilizzo delle vecchie lire”. Un’idea per riportare fra le mani e nel borsellino la vecchia moneta italiana, un gioco in realtà che vuole rendere omaggio alla memoria degli anni in cui il boom economico metteva il sorriso sui volti degli italiani e tutto sembrava
possibile. “Dato che il nostro format è ispirato agli anni ’60, dagli arredi con la radio d’epoca, la musica, le gonne a ruota delle ragazze e le fasce a pois per i capelli, ci è sembrato simpatico festeggiare così il primo anno dall’apertura”. Non volendo semplicemente regalare il prodotto, “vogliamo far tornare i nostri clienti agli anni in cui i loro genitori e nonni con le lire andavano a comperare il gelato”. Una caccia al tesoro fra le tasche di vecchi cappotti o in fondo ai cassetti, alla ricerca delle vecchie monete o delle banconote che per decenni hanno circolato in Italia e che ancora oggi sono indicate sul prezziario della gelateria: “In realtà è un modo diverso, e simpatico, per regalarlo. Basterà mostrare in cassa le lire”.

Un progetto che trae ispirazione dai ricordi in modo non effimero, ma con la concretezza del sapore della memoria: “Coneria Italiana nasce quasi per caso - racconta Pileggi, imprenditore lametino insieme al maestro gelatiere Gianfranco Buccafurni, noto per il gelato di Jacurso, e al socio di capitali Fabio Borrello - Parlando con mia madre Angela mi raccontava del cannoncino mantovano. Lei in Calabria è venuta per amore di mio padre, ma ricorda bene quel sapore dell’antica ricetta di Mantova che spopolava negli anni ’60”. Cialda come quella del cono riempita con budino e sormontata da panna montata, servita in orizzontale come una cornucopia, non freddo come il gelato e comodo visto che non sciogliendosi evita di sgocciolare. Una tradizione che ingolosisce ancora oggi i mantovani, “come in quegli anni il budino è solo di due gusti, vaniglia e cioccolato, mentre per il gelato i gusti spaziano”. Storicità e un pizzico di innovazione retrò, che non si trova solo negli arredi: “Sembra una novità vista con gli occhi di un calabrese, di un meridionale, ma il cannoncino da Mantova in giù non si conosce. Lo abbiamo rivisitato con la cialda fatta al momento e la panna montata in planetaria, senza estrusori”.

Proprio da questa particolare lavorazione artigianale ed estemporanea della cialda prende il nome Coneria Italiana, per sottolineare già nel nome l’intenzione di porre l’accento sul pregio di un prodotto che raccoglie nella sua croccante friabilità: la cialda che sa di biscotto, realizzata in maniera artigianale ed esattamente con gli stessi ingredienti del tempo: “Per i coni usiamo farina biologica di tipo 1, burro, latte fresco e solo uova fresche di galline allevate all’aperto”. Anche per i budini gli ingredienti ripercorrono quelli della memoria, come quando si facevano in casa con latte, panna, zucchero, vaniglia o cacao e amido di mais; stessa filosofia per i gelati che portano la firma di Buccafurni e il sapore della sua abilità, riconosciuta così tanto da aver fatto assurgere il piccolo paese calabrese di Jacurso alla notorietà. “Nel laboratorio a vista lavoriamo anche frutta locale per i sorbetti e i cremolati, composti da polpa di frutta e pochissimo zucchero aggiunto. Il tasso zuccherino è tarato in base all’acidità naturale della frutta e al grado di maturazione, per esempio in estate con pesca e malvasia non ne usiamo, mentre arriviamo al 15% in peso per il sorbetto di agrumi”. Un solo anno dall’apertura e già il riconoscimento, recentemente ricevuto al Sigep di Rimini, con il primo posto per il gusto al cioccolato di Francesco Buccafurni, figlio d’arte: un solo anno ma anni di lavoro al fianco del padre che ha saputo trasmettere passione e competenze, e da un tale maestro c’è tanto da imparare.

Già nell’impostazione del progetto, nonché dalla sua apertura, “Coneria Italiana nasce con l’intenzione di avere impatto zero sull’ambiente. Carta riciclata e fibra vegetale per tovaglioli e palette, barattolo per il gelato da asporto in carta e di forma cilindrica come quello che andava in quegli anni, coppette gelato senza pla (acido poli lattico) quindi biodegradabili”. Un solo contenitore della spazzatura per rifiuti compostabili a disposizione dei clienti, “nella consumazione non produciamo rifiuti che non siano compostabili. Li abbiamo in produzione ma sono i packaging che derivano dai nostri fornitori”. Un’attenzione all’ambiente che si riflette anche, e soprattutto, nella scelta di spronare i clienti al riutilizzo delle vaschette da asporto, quelle in simil polistirolo per intendersi ma accuratamente scelto da fonti rinnovabili. “Alcuni mesi fa Dina Calagiuri, presidentessa di ‘Lamezia Zero Rifiuti’, mi propose di essere la prima gelateria a permettere l’asporto del gelato in contenitori portati da casa, vetro o plastica - prosegue Pileggi - Oppure si può comperare una nostra vaschetta e, terminato il consumo casalingo, lavarla e portarla per la volta successiva”.

Seguendo uno scrupoloso criterio sulle linee guida in materia igienico-sanitaria, i contenitori vengono posizionati su una tovaglietta lavabile per evitare il contatto con la superficie di lavoro, “dentro vi facciamo cadere il gelato a cascata, con una paletta preleviamo il gelato dalla carapina e con una seconda lo spatoliamo in modo che cada, facendo in modo che non entrino in contatto con il contenitore stesso. Una volta riempito di tutti i gusto scelti, con una terza paletta sistemiamo il gelato e quest’ultima - unica in contatto con il contenitore riutilizzato - viene subito messa in lavastoviglie.” Questo incoraggiamento al consumo consapevole del packaging viene spronato, non solo a parole, ma anche nei fatti: ai clienti che portano il recipiente da casa, o ne riutilizzano uno, viene riservato uno sconto sul prezzo del gelato. “Lo sconto equivale a quello che paghiamo noi per la vaschetta, essere vicini all’ambiente non ha un costo per l’attività, ma è una forma mentale".

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Spente 58 candeline. Il "Nutellificio" di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di dolcezza, pari a 550mila vasetti, a cui si aggiungono undici stabilimenti Ferrero in tutto il globo: un totale di 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie



Buon compleanno Nutella. Era una piovosa mattina del 20 aprile 1964, quando dalla fabbrica Ferrero di Alba usciva il primo vasetto di quella che sarebbe diventata la crema da spalmare più famosa nel mondo. Oggi, dopo 58 anni, più che una crema di nocciole e cacao, la Nutella è una categoria dello spirito. Più che un dolce spuntino, è una passione travolgente. Più che un alimento, è un simbolo transgenerazionale. Non per nulla è entrata nell’immaginario collettivo come metafora del piacere e del desiderio, stregando artisti, scrittori e personaggi di successo, oltre a milioni e milioni di semplici consumatori. È così che la Nutella si è fatta strada non solo nelle dispense delle nostre case, ma anche nella letteratura, nella musica, su internet, nell’arte e al cinema.

(foto sito @ferrero)
(foto sito @ferrero) 

Il primo vasetto in etichetta aveva una grande fetta di pane, due nocciole e un nome morbido, intrigante, positivo. A ideare il prodotto fu Michele Ferrero, che a 39 anni riuscì a migliorare gli antesignani Giandujot e Supercrema, creati da suo padre nel dopoguerra, e tirò fuori dal cilindro quel marchio in grado di aprire la strada alle vendite internazionali, fino a farla diventare un vero e proprio fenomeno capace di accomunare i «baby boomers» ai sessantottini, gli «yuppies» degli anni Ottanta ai «Millennials» fino a raggiungere con immutato appeal le nuove generazioni. Infantile e innocente quanto affascinante e ossessionante, la Nutella è un prodotto per le famiglie con un retrogusto quasi peccaminoso, è un marchio socializzante in grado di mettere d’accordo tutti, una crema che vanta più imitazioni della Settimana Enigmistica ma resta inimitabile, grazie a una ricetta segretissima conservata ad Alba esattamente come avviene per la Coca-Cola ad Atlanta. Un esempio azzeccato di globalizzazione golosa, come certificato dai ricercatori dell’Ocse già un decennio fa.

Lo stabilimento di Alba
Lo stabilimento di Alba 



Insomma, citando un fortunato slogan: che mondo sarebbe senza Nutella? Il grande «Nutellificio» di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di crema, pari a 550mila vasetti. Un dolce fiume impressionante, ma che ovviamente non basta a soddisfare la richiesta internazionale. La Nutella, infatti, è prodotta in undici stabilimenti Ferrero in tutto il mondo, con maestranze di 97 nazioni. Ed è commercializzata in circa 160 paesi dei cinque continenti, raggiungendo un totale di oltre 400.000 tonnellate, pari a 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie. Tanto per dare l’idea, se si mettessero in fila i vasetti di Nutella prodotti in 12 mesi si arriverebbe a una lunghezza pari ad 1,7 volte la circonferenza terrestre e a un peso pari all’Empire State Building. Senza scordare i prodotti Ferrero nati sulla scia della crema da spalmare, dai B-ready ai Nutella Biscuits, diventati i biscotti più amati in Italia.
Dunque, potremmo dire che da sempre c’è un po’ di Nutella nella nostra vita e un po’ della nostra vita in Nutella. Lo sa bene Nanni Moretti, che nel film «Bianca» affoga l’ansia in un enorme barattolo alto un metro. E lo sanno bene anche gli strateghi del marketing, che nel 2013 hanno convinto la Ferrero a dare a ognuno la possibilità di sostituire il famoso logo sul vasetto con il proprio nome di battesimo, facendolo diventare un oggetto cult da consumare, da esibire o da conservare come una preziosa opera d’arte pop e personalizzata. Oggi è sulla rete e sui social network che si può cogliere tutta la forza aggregatrice di Nutella: ogni giorno decine di migliaia di persone in tutto il mondo le rivolgono un pensiero appassionato, pubblicando una foto su Instagram o uno status update su Twitter. È una passione globale, che unisce persone comuni e celebrità: la pagina di Facebook dedicata a Nutella in Italia conta circa 6 milioni di fan, quella mondiale supera i 35 milioni di follower. Cifre da capogiro, ma che hanno radici ben lontane, con l’esordio pubblicitario sul palcoscenico di Carosello nel 1967. Chi ricorda, all’inizio degli anni Settanta, le avventure di Jo Condor, l’intramontabile pennuto che fa dispetti agli abitanti della Valle Felice, salvati dal Gigante Amico, depositario della bontà del prodotto?

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