Inizialemte credevo che tali articolo fossero frutto di astio e di faziosità . Ma articoli copme il faszioso ma , sic attento e ben informato http://comixarchive.blogspot.it/2015/01/bonelli-editore-problemi-di.html
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In generale, ciò che alla Bonelli manca in questo periodo è una politica moderata di adeguamento ai tempi. Una massiccia americanizzazione, anzi una marvelizzazione, perché molte idee sembrano tipiche delle strategie commerciali della casa editrice dell'Uomo Ragno e soci, che non piace ai lettori tradizionali. E sembra che ogni trovata sia orchestrata più per attirare l'attenzione sulle polemiche che sui reali contenuti delle storie che continuano a non piacere. Pochi giorni fa è stata diffusa una vignetta proveniente da un futuro numero di Orfani, la prima serie Bonelli realizzata interamente a colori, che ha fatto molto discutere perché mostrava tre adolescenti che dormivano con le gambe attorcigliate, denotando atteggiamenti morbosi e malcelatamente sessuali. Molti fan si sono indignati anche perché far vedere una vignetta di un numero che uscirà tra circa tre mesi implica, per conseguenza, che i personaggi in questioni non moriranno fino a quel numero. Orfani rappresenta un futuro apocalittico in cui la violenza e la morte dei protagonisti è dietro ogni pagina. Tra l'altro questa serie è stata giudicata un flop a fronte dei circa 3 milioni di euro stanziati per la realizzazione delle prime due stagioni. Secondo i dati ufficiosi che sono circolati in rete in queste ultime settimane, le vendite della serie sarebbero di circa 25.000 copie, un risultato molto lontano dalle 50.000 copie che gli autori si auguravano in interviste pubbliche rilasciate poco prima della sua uscita. Poi i tentativi di lanciare la nuova serie di Adam Wild, che non sembrano essere stati coronati dal successo: tranne qualche commento sparso ogni tanto, l'ennesima serie storica della Bonelli non sembra avere bucato lo schermo, come si suol dire. Troppo lontana dai gusti dei giovani d'oggi, che in fatto di storia sono a digiuno a differenza di quelli delle passate generazioni che quelle avventure ricordano per i tanti sceneggiati storici che trasmetteva la Rai dei tempi d'oro. Sempre in questi ultimi mesi, sono stati fatti tentativi di esportare negli Usa alcune serie della Bonelli come Magico Vento e Zagor. In entrambi i casi, la testa di ponte è rappresentata dalla Epicenter Comics, una casa editrice indipendente con sede a San Diego sotto la presidenza di un certo Igor Maricic, ma non è da escludere che dietro ci sia la Panini, che gestisce e rappresenta all'estero la Sergio Bonelli! E qui verrebbe da domandarsi se la casa editrice milanese e quella modenese siano realisticamente concorrenti, visto che quando l'accordo venne raggiunto nel 2010, Marco Lupoi dichiarava: Siamo orgogliosi di avere stretto questo accordo con Sergio Bonelli Editore e di diventare gli ambasciatori nel mondo di una delle più grandi scuderie di eroi mai creati! Perché una casa formalmente concorrente della Bonelli dovrebbe agire come sua ambasciatrice nel resto del mondo? Alla fine, non è stata spiegata la ragione di questi problemi di distribuzione, né da chi siano stati provocati, né se vi sono garanzie che non si riproporranno in futuro, ma sta di fatto che per i lettori delle regioni citate, i numeri suindicati possono considerarsi persi. Difficilmente, infatti, le edicole si preoccuperanno di salvaguardare ciò che considerano dei giornaletti. Molto più semplice comprarli tra qualche mese nell'usato a 0,50 € al pezzo.
Ora tralasciando ogni giudizio su tale spazzatura e tale faziosità ( qui un altro esempio http://comixarchive.blogspot.it/2014/11/il-nuovo-ciclo-di-dylan-dog-vale.html ) tralasciando ogni giudizio su tale spazzattura devo riconoscere che in esso c'è un fondo di verità . Tale fenomeno dell'americanzizzazione non è solo vista da nostalgici come
Nikolaj Stavrogin su http://www.cravenroad7.it/forum
Dylan Dog non ha bisogno di una yankeezzazione virulenta, di un'americanizzazione globale, di Sherlock H. Block [...], di Abel Cedric Jenkins [.....], di Carpenter, Rania, John Ghost o Irma.
Tutti orpelli superficiali.
Ha bisogno di ritrovare il sangue, il sudore, lo sperma, lo schifo, il disgusto, l'orrore, la solitudine, il disagio, la prostituzione, la merda, il mostro deforme, per restituirgli dignità poetica.Dylan Dog ha bisogno di se stesso.
E di un Groucho che risponde al telefono per sparare cazzate, non per tramare complotti.
Vero , anche se un po' discutibile in quanto dettato da una punta di nostalgia , perchè il fumetto di Sclavi aveva bisogno di una messa a punto per rialzarsi e uscire dalla monotonia in cui era caduto . Ma qui si sta iniziando , almeno dalle storie lette fin ora , a perdere perdendo il suo fascino ed i suoi punti di forza e che i remarque e le ristampe con inditi delle vecchie storie oltre ed essere un biscottino per i nostalgici posso anche nascondere che questo rinnovamento non sta andando come dovrebbe e che siti spazzatura come quiello citato prima non hanno tutti i tori . Quindi recchioni e company dovrebbe cercare si di rinnovare , rimettere in discussione i vecchi canoni di Dylan ma allo stesso tempo di non buttare alle ortiche le sue caratteristiche .
Ora va bene rifarsi ( è inevitabile perchè sia che si voglia innovare \ svecchiare o imitare pedissequamente \ passivamente ) ad un modello , in questo caso quello Americano . Ma nel fumetto italiano sta prendendo piede ,nel fumetto italiano ( questa è l'idea che mi sono fatto leggendo direttamente : topolino , Martin Mystere , Orfani , Dylan Dog . Ed indirettamente d'amici altri fumetti ) un'americanizzazione passiva ed acritica non tanto nelle storie e nell'impostazione delle tavole ma anche nei metodi copertine variant , due album al prezzo di uno , ecc .
Adesso molti dei fans , mi diranno sicuramente che sono un retrogrado o un comunista anti globalizzazione e che la globalizzazione , insomma un utopista , ma chi se ne frega . Preferisco essere etichettato cosi che essere omologato e passivo . Ora va bene aprirsi a modelli esterni per svecchiare ed aprirsi ad un nuovo pubblico , ma un conto è farlo acriticamente \ passivamente come sta avvenendo ora per Dylan dog , un altro è farlo criticamente come sta avvenendo magistralmente in Orfani . Ai vecchi nostalgici di Dylan dico : << Se Dylan Dog non rappresenta più i suoi lettori, allora cambiamoli 'sti benedetti lettori, soprattutto quelli più refrattari ed ostili al cambiamento . >> e mi chiedo ma come non si sono accorti , anche se in maniera originale e critica a limite della parodia DD si rifaceva per la maggior parte ed in maniera sublime e non passicva , anche se senza scadere come sta avvenendo negli speciali ed in parte nella serie regolare , ai modelli ed tematiche Americane ( zombi , licantropi , ecc ) . Comunque sull'ultimo numero uno dei più beli di questa nuova frase confermo quanto dice LORENZO BARBERIS. di http://ermetical.blogspot.it/
sull'ultimo n di Dylan Dog ( n 351 In fondo al male )
Spoiler Alert, as usual. Leggere prima l'albo.
Superato lo spartiacque del 350 con un (non)celebrativo a colori di Ambrosini, il 351 rilancia con l'esordio su Dylan di Ratigher alla sceneggiatura. L'impatto, come vedremo subito, è molto potente, e ci trascina davvero nelle profondità del gorgo abissale in cui Dylan è caduto in questa fase, a volte in modo più palese, a volte dissimulato (ma sempre presente): mai così cupo e radicale come qui.
Fin dalla cover di Stano, perfetta per l'albo, emerge la citazione del seminale maelstrom di Edgar Allan Poe, uno dei suoi orrori più inquietanti. Il titolo, data l'ambientazione marinaresca (altissimamente simbolica), gioca anche sull'ambivalenza male/mare che ricorda anche Sirenette disneyane, ma è una suggestione rassicurante come le filastrocche infantili in Nightmare.
Ratigher, a mio avviso il più interessante nuovo nome del fumetto italiano autoriale dell'ultima generazione, costituisce indubbiamente una rottura, se non in Bonelli, almeno su Dylan Dog. Si tratta del primo nome radicalmente estraneo al fumetto "popolare" e bonelliano, e in generale alla letteratura di genere.
Significativa quindi la scelta di affiancarlo ad Alessandro Baggi, al suo esordio sulla serie regolare anch'egli (ma che già si era confrontato con Dylan sul gigante e, nel nuovo corso, su Old Boy). Autore molto bravo: ma da un segno ostentatamente classico, quasi retrò, anni '50 in alcuni punti. Ratigher infatti è associato a un segno underground, molto curato ma disturbante, nelle sue opere: qui invece si trova a padroneggiare un segno diametralmente opposto, giocando profondamente su questo contrasto e sui paradossi del formato del "fumetto popolare".
Si comincia con due tavole mute, molto belle, dal taglio rigoroso e asimmetrico, la cui importanza fondante sul piano simbolico si schiuderà nel finale. Abbiamo infatti il naufragio della "Eternal Hope" che lascia solo più un salvagente (ma con solo scritto "Hope", con la perdita della prospettiva d'eternità). Viene in mente Verga, e il naufragio della Provvidenza che dichiara il rifiuto del realismo provvidenziale manzoniano.
Le tavole 7-10 rovesciano volutamente tale prospettiva, offrendoci un esordio illusoriamente classico. Ma già il finale di pagina 10 apre (letteralmente...) al disturbante. La solita dinamica erotica tra Dylan e la cliente è subito violata nel suo ritualismo rassicurante, evolvendolo in un eccesso, uno squilibrio che ce lo rende fastidioso (e getta una luce cupa anche all'indietro, su tanto facile dongiovannismo dell'eroe). La spiegazione psicologica del lutto per l'amica scomparsa è fin rassicurante: nell'avanzare della storia prevarrà il trionfo del non-senso assoluto.
A parte l'uso magistrale di "tavole mute" dall'ottimo montaggio (15,18), tutta la scena del funerale continua a giocare coi piani: accetta la classica finalità didascalica di presentazione rapida del villaggio maledetto, ma la svuota dall'interno in un agire frammentario, scoordinato, tra voluti stereotipi e salti irrazionali, esagerati.
Continua anche un sottile gioco sul religioso che riprende certa libertà espressiva del primo Sclavi (la vignetta 21,v) senza più scene eclatanti, ma con singole immagini significative nella storia (già avvenuto ne "Il Calvario" di Gualdoni, e di recente nel 350).
Il dolore di Fiona è drammatizzato in modo efficace, antiretorico, ma in fondo realistico, credibile. Il disordine della sua casa riflesso angoscioso di un disordine esistenziale che, la scena chiarisce, è antecedente e parallelo alla morte di Molly. Insistita la "camera" su Peppa Pig, in 25 e 34: forse in mera connessione al gusto per il dettaglio di queste tavole, ricche di focalizzazioni sul particolare, forse qualche più forte simmetria nascosta che ora sfugge (anche solo, banalmente, Molly come "scrofa", stando alle beghine del paese, 21).
La splash page a 32 (seconda dopo l'incipit, e prima del turbinio del finale) introduce il tema dei Led Zeppelin e di Houses of the Holy, cui è potentemente ispirato l'albo. Di nuovo, Ratigher non rifiuta affatto il didascalismo del popolare (formalmente, la sequenza 34-35 è quasi da Martin Mystere) ma lo piega ai suoi scopi, facendone uno strumento di straniamento. Non viene esplicato oltre qui, ma il gigante Finn (35,ii) è identico al "vecchio saggio pescatore" che è la coscienza di Port Frost.
Ovviamente, la "scala dei giganti" è anche una rovesciata "Stairway to Heaven", e dato il nome del luogo, forse parla rimanda anche a Robert Frost, alla scelta della "strada meno battuta".
Ad esempio, dopo l'apparente poesia di 37 e un Dylan "in parte" ("sei strano... sei buono"... addirittura sdolcinato il confronto in un minimo dettaglio di 37,iii / 37,vi), notiamo un salto all'anaffettività (38-39) tipico del nuovo "Dylan della decadenza" (cioè, quello del Rinascimento Dylaniato: la decadenza intradiegetica è per un paradosso - credo voluto - il segno della rinascenza a livello extradiegetico).
Ma poi, di nuovo, il "vecchio saggio", la violenza gratuita che dilaga (bellissima ed emblematica pagina 50, lo spartiacque dell'albo - dato il luogo, Molly's Lips è più probabilmente citazione della canzone degli scozzesi Vaselines che dei Nirvana), perfino il personaggio comico-inquietante del Sindaco, sono riprese - ad alti livelli - di classici della narrazione dylaniata, e orrorifica in generale.
Ma oramai il rientrare della narrazione "nei ranghi" non ci rassicura più, perché siamo consapevoli di quanto sia sottile questa apparente patina di normalità dylaniana. Per contro, soluzioni eleganti e inquiete come le prime due vignette di p. 59 passano quasi come usuali.
La potentissima sequenza che inizia a pagina 66 (bene anticipata dalla tavola precedente) e ci conduce a 70, palesando il rapporto tra il gorgo e il tempo, a più livelli, prelude al drammatico finale.
La splash marginata a 76 prepara la smarginatura a tutto campo di p.77, dove l'irrompere di un segno d'avanguardia dopo uno stile controllatissimo dosa alla perfezione la potenza esplosiva dell'immagine. Il livello metaletterario, importante nel rinascimento dylaniato, ha qui il suo spazio (che è comunque una nota a margine nell'orrore esistenziale generale della storia) nella terrificante didascalia della tavola.
La "discesa agli inferi" finale è di nuovo calibrata con una precisa crudeltà di grande potenza. La sequenza 82-84, con la sua icastica chiusura, è quella che ho trovato più struggente. Appare qui tra l'altro la citazione dei Rolling Stones, pietra angolare che sovrasta quella triade infera (Black Sabbath - Deep Purple - Led Zeppelin) evocata da Recchioni in apertura. Pietre rotolanti, come quelle che generano questa scala dell'inferno abissale marino.
La sequenza del padre di Molly (benché indubbiamente sia orrore, e orrore difficilissimo da maneggiare) è meno potente, forse proprio per la pericolosità del materiale usato che induce a una certa cautela. Vi è però di nuovo, tra le righe, il tema del sacro in 86,i, e le due immagini qui accostate non sono probabilmente casuali.
Ovviamente, oltre che a Nietzche, la discesa abissale fa pensare al Lovecraft del suo esordio in "Dagon" (1917), dove l'orrore del fondo del mare nudo riflette col senno di poi (lui negava) gli orrori europei appena avvenuti (anche Houellebecq, del resto, ha recentemente avvicinato il nichilismo dei due autori). L'Europa lago di sangue del sogno di Jung è in fondo simile alla distesa asciutta di Ratigher e HPL.
La sequenza finale, con la condanna della Speranza come illusione (ambigua, per carità, e sempre "comprimibile" nel suo significato filosofico col "contesto" del personaggio, della storia, del delirio onirico e quant'altre cornici rassicuranti possibili - qui però non evocate) si accompagna a una lunga sequenza unica di splash pages smarginate, un'unica lunga teoria da p.92 a 98, fine albo (superando in innovatività la pur bella "doppia splash" con margini di Pontrelli, in Halloween Express, sull'ultimo Old Boy).
Innovazione nei contenuti e nella forma (se mai si potessero distinguere) camminano di pari passo, intersecate. La chiusura è circolare, nella forma del salvagente (evocato anche in copertina) che porta dalla prima pagina a qui, e volendo viceversa.
Ratigher ha davvero squarciato la maschera dylaniata, come prometteva nel suo primo omaggio al personaggio, all'inizio della rivoluzione editoriale. Vediamo quanto ora i segni incideranno in profondità nel prosieguo di questa discesa agli inferi, e se vi sarà una rinascita, e come. Ma nell'oscurità assoluta di questa storia è segnata anche la forza del personaggio, quella che trova non alla fine dell'abisso, ma nel momento in cui decide di scendervi in ogni caso, come un viandante friedrichiano su un mare di tenebra (78).
Quando guardi dentro l'abisso, l'abisso guarda dentro di te, è l'ovvia chiosa per quest'albo.
Ma, nonostante la profondità interminabile del Male, e pur nell'assenza di speranza, non è dato per scontato che sia l'abisso a vincere.
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