Ascoltando l'ultimo disco , uno dei regali dei mio 30 compleanno, di Ivano Fossati in particolare cara democrazia , l'argancelo ( quella che poi da il titolo al disco ) e il battito è sono arrivato a concludere ( processo già iniziato con la canzone popolare ) che l'apparenza inganna e molto spesso è menzognera .Infatti inizialmente ascoltando , poi anch'essa rivalutata e contestualizzata , quella che una delle delel canzoni della mia infanzia , la mia banda suona il rock credevo fosse un cantante da ragazzini cioè commerciale , poi ascoltando e poi ascoltando senza doverla contestualizzare , in quanto risale alle mie prime esperienze culturali \ politiche ( da intendersi politica e non politika vedere i miei scritti precedenti o leggere " speranze "di Mario Capanna o si guardi il film Sostiene Pereira con Marcello mastroianni tratto dall'omonimo romanzo di Tabucchi per capire quello che intendo ) , la canzone popolare , e andami a ad ascoltare in file mp3 da un amico tutta la sua discografia comprese anche le canzoni ch ha scritto pero con altri e in particolare la Mamannoia e de Andrè e rileggendomi i i testi dal suo sito ufficilae ( www.ivanofossati.it ) , ho capito che , nonostante la voce ( almeno secondo me , poi posso sbagliarmi dato che non sono nè un tecnico musicale nè ho un ottimo udito in tale campo dovuto anche ai problemi uditivi che ho avuto in 28 anni e che in parte mi trascino tutt'ora ) poco armonica , scrive delle bellissime canzoni e riesce ad esprimere pensieri profondi . Un disco molto bello
un album carico di riflessioni sulla politica, sui sogni e sull’amore. passando da ritmi rockeggianti ad una dimensione musicale più classica, azzardando strade nuove senza però abbandonare le atmosfere che lo caratterizzano da sempre e che lo hanno reso ddi difficile ascolto a chi non ha un orecchio musicale e chi s'accontenta di ciò che passa il convento ( leggi le radio o mtv e le tv musicali ) che non approfondiscono o se lo fanno lo fanno raramente . Condivido quanto dice lla sezione musicale del Leonardo : << [....] è diviso in due momenti fondamentali. Il primo, più duro, parla di ciò che è diventato il mondo, il secondoinvece risulta più ironico e spensierato, come se l’autore volesse regalare all’ascoltatore uno spiraglio di ottimismo. [...] >> . Nei nuovi brani Ivano Fossati riprende i temi a lui più cari, come ad esempio la guerra, in particolare quella del petrolio. In Ho sognato una strada l’autore racconta la storia di un uomo che ormai solo e sganciato da ogni legame di comunità tenta di salvare almeno se stesso, aspettando un angelo e una parola. Il singolo Cara democrazia è invece una chiara esortazione civile a pensare che nel nostro occidente termini come libertà e democrazia sono sempre più abusati e svuotati del loro significato originario, proprio da chi promette una democrazia e una libertà che sono sempre più di "mercato". Un altro tema ricorrente è quello dell’immigrazione e della paura del diverso , dove un occhio attento alla situazione italiana vede una sferzante critica all'incivile Bossi fini L’Arcangelo, infatti, porta all’uomo di oggi il messaggio che i tempi sono cambiati e che la realtà non è più quella di prima. Anche nel brano La Cinese ( uno dei meno belli ) l’autore tratta la tematica della diversità, in questo caso attraverso la storia di uomo dell’alta finanza che teme il sistema economico dell’imprenditoria orientale, rappresentato simbolicamente da una donna che incarna proprio la Cina. Nell’album sono inoltre presenti diverse tracce dedicate all’amore, come ad esempio L’amore fa, una vera e propria ode all’amore, o la più intrigante Danny, dedicata all’amore omosessuale, una storia raccontata senza i toni del rapporto del diverso , come la morale dominante buonista definisce l'omossessualità ma narrata come se fosse una delle tante canzoni sul rapporto di coppia. Di particolare interesse è il brano Il Battito, attraverso il quale il cantautore genovese riflette su come la velocità odierna dei pensieri e delle parole possa danneggiare la profondità dei pensieri stessi e in cui si sente nello spirito un rimando alla canzone Lavorare con lentezza di Enzo del Re da cui hanno tratto l'omonimo film di Guido chiesa Infine, se nell'accattivante "Reunion" fanno la loro ricomparsa chitarre elettriche e batterie percussive, il finale è tutto all'insegna di sonorità più morbide e rilassate: dalla suggestiva "Baci e saluti" ("ho mille posti ancora dove andare/come i pesci qualunque/e se passa l'ombra dell'amore/posso nascondermi aspettando che ritorni") alla sfinita "Aspettare stanca" ("parto leggero come un autobus vuoto/per una campagna, un mare, una montagna qualunque/dove gelino perfino le ore") sino alla dolce, conclusiva "Pianissimo" ("una parola/sola/brevissima /scritta per amore /e mai nessuna/nostalgia/mai più nessuna /nostalgia"), Fossati smorza i toni, parla di sentimenti con la grazia e la tenerezza che gli sono proprie, incanta come sempre .
Concludo questo post invitandovi a non fermarvi all'apparenza , ma di approfondire le cose e non di accontentsarvi solo di quello ( molto spesso robaccia che non dura che un istante ) che passa il convento Questo avviso non vale solo per il campo muscicale \ culturale , ma anche in quello dell'informazione e della vita .Concludo con la canzone ( trovate sotto il testo ) Salmodia degli Africa Unite che in questo momento è in canna nello stereo
Madre nostra ascoltaci
Appesa nel tuo androne
Fredda luce dei cortili
Color televisione
Agito la giungla
Dei miei capelli e poi
Cerco un po’ più in alto
Verso un sole che arriva e che batta per noi
Strade di giudea
Miliziani santi e cowboy
Cielo di Damasco
Che folgora illumina incanta converte
Orchestre tropicali
Ghettoblaster di Trenchtown
Armi nella casbah
Frammenti di guerra ma santa è la guerra
Miracolo da salmodia la contrapposizione
Che libera tutti i giusti da ogni merda di prigione
Dal dio dagli eserciti alla privatizzazione
Liberaci da tutti i mali
Miracolo da salmodia la controinformazione
Che recita la merce in fondo è distruzione
Il verme di partito il trafficante e il suo padrone
Non avranno assoluzione
Madonna di gitani
Roulotte e campi nomadi
Nel cancro di un’Europa di razza
Preserva il cuore puro a chi non ne vuol sapere
Di mura di nazioni e confini
Guarda “differenza” parola bandita
Ormai
Mentre
La periferia del mondo aspetta ancora
Ricchi e baraccopoli
Esplosioni a Bogotà
Orchestre arroventate
Tamburi e popoli oscuri sorridono
Uomini e cappucci
Fratellanze e traffici
Veleno a Mogadisho
E pioggia di piombo sul cuore d’Europa
Miracolo da salmodia la contaminazione
Il mondo e la preghiera hanno una sola direzione
Non è l’ipocrisia di casta o religione
Che libera da tutti i mali
Miracolo da salmodia la rivendicazione
Tra polvere e macerie
Lamiere e distruzione
Gli artigli della patria la divisa ed il bastone
Non avranno assoluzione
Miracolo da salmodia la controimposizione
Che libera tutti i giusti da ogni merda di prigione
Dal dio dagli eserciti alla privatizzazione
Liberaci da tutti i mali
Miracolo da salmodia la controinformazione
Che recita la merce
In fondo è distruzione
Il verme di partito il trafficante e il suo padrone
Non avranno assoluzione
Miracolo da salmodia la contaminazione
Il mondo e la preghiera hanno una sola direzione
Non è l’ipocrisia di casta o religione
Che libera da tutti i mali
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Con questo è tutto al prossimo disco
In questi giorni di scontri di piazza, di noiosi duelli televisivi, di giornalismo da quattro soldi e di tante altre questioni che si aprono senza essere richiuse, io ho un moto inquieto. O meglio, sono proprio incazzata con gli eventi, con i soggetti di questa storia a passo di gambero, sempre per citare Umberto Eco. Mi chiedo come si fa a proporre ancora una volta in Europa, questa grande multinazionale della finanza e della banche, questa bandiera stellata che ancora non ci illumina, ma al massimo ci oscura ponendo l’Europa un passo indietro, verso lo stato liberale ottocentesco, questa politica neoliberista della flessibilità, che dal mio punto di vista ha solo un nome: precariato. Già il solito precariato ottocentesco alla base del rapporto servo-padrone che fa del lavoro un ricatto. Questo secondo il neoliberismo è il futuro ed invece è il passato più nero della nostra storia. Io non posso non indignarmi di fronte alla distruzione dello Stato Sociale, che avrà tanti difetti per carità, ma rappresenta nella spirale della Storia un punto d’arrivo, una concezione dello Stato che può essere migliorata, ma non abbattuta a colpi di antiche, obsolete randellate liberali. La verità è rivoluzionaria diceva Gramsci: sì, e allora vi sbatto in faccia la mia verità! La flessibilità va bene, ma solo per noi formiche, parenti ed amici si sistemano nel più sicuro angolo dell’amministrazione pubblica, dando sfogo ai clientelismi più nauseabondi della nostra classe politica. Ci chiedono di diventare imprenditori di noi stessi, ma infine il lavoro non è che quello che avremmo trovato addirittura prima della rivoluzione industriale ed oltre, quello a cottimo, quello senza sicurezze, per cui ho sentito dire ad un imprenditore noto che ci vogliono meno sicurezze e più flessibilità. Ma che mondo stiamo costruendo? Il movimento operaio lottò con tutta la veemenza della disperazione per costruire questo Stato Sociale di sanità pubblica, di istruzione di pubblica, di sicurezza sul lavoro e di un futuro pensionistico che garantisse ai suoi figli di non finire in mezzo ad una strada e di avere anche da anziani, una vita dignitosa. Dignità, ecco la parola chiave. E la nostra classe politica in piena crisi postfordista, chiuse le fabbriche, si beava delle piccole aziende del nord est, la più grande idiozia di questo secolo ormai alle spalle: oggi schiacciate dalla globalizzazione vanno nei paesi in via di sviluppo dove la manodopera è talmente a basso costo che non facciamo che creare nuove sacche di povertà e di sfruttamento, dove per anni nella civile, si fa per dire, Italia, i lavoratori erano lasciati alla mercè dei loro datori di lavoro perché trattasi di piccole imprese di massimo quindici operai dove le garanzie sindacali e legislative sono assenti. E tutti a brindare alla piccola impresa padana, ed io mi mangio le mani davanti a questo proletariato senza coscienza, a questo sindacato venduto agli interessi del partito. La contrattazione nazionale da fastidio, da fastidio cioè il potere, l’unico rimasto, della classe operaia e che se ne dica questa esiste ancora ed anzi, proprio in questo periodo di crisi quest’ultima s’allarga con la proletarizzazione dei ceti medi che deve contrastare un sottoproletariato allo sbando sempre più crescente che si butta sul primo partito che promette; spazi lasciati al notabilato, alla mafia, al clientelismo o direttamente non vota. Ritengo sia allucinante quello che oggi sta accadendo: paradossalmente sono le forze di sinistra, gli operai e tutti i lavoratori dipendenti a scendere in piazza per salvare le aziende dei propri datori di lavoro. La borghesia italiana ha dimostrato di non essere in grado nemmeno di creare ricchezza e lavoro, di fare gli investimenti che gli spetterebbero, secondo una visione liberale e capitalistica, altro che comunismo. E i comunisti? I comunisti vanno a fare i disegnini nelle tavole di contrattazione per spiegare come si gioca al “piccolo capitalista”: e dall’altra la sciagura del mondo imprenditoriale italiano, fermo agli anni ottanta, che perde denaro in borsa come al casinò. Qualcuno dovrà spiegare a questa gente che non è il monopoli. Io m’incazzo, perché anche noi formiche avremmo tanto da dire, noi che riusciamo a vedere solo l’angoscia del futuro. Il paradosso regna incontrastato: gli operai difendono il padronato dal processo di smantellamento dell’industria, per salvare posti di lavoro non certo per un atto di carità cristiana, la borghesia sperpera in borsa non investendo e non creando ricchezza se non quella delle loro ville multimiliardarie, i comunisti salvano il capitale perché la rendita è pure peggio. E gli studenti scendono in piazza per ricordare al mondo che loro sono il futuro e che questo futuro che si sta creando è precariato, povertà, un ritorno al passato spaventoso per cui, per me che mi sento europea perché vengo dalla questa storia di lotte per la dignità e per la vita davvero, non posso che schierarmi con i ragazzi francesi e dire al mondo intero “anche le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano!”.
Comunque sia, con l’Oca o senza, Francesco Del Casino, pittore e ceramista, da quell’anno è entrato a far parte della storia di Siena, dopo aver segnato in modo indelebile (o quasi, è il caso dire, perché non esiste dipinto che non abbia bisogno di restauro) quella recente di Orgosolo. Perché questo signore, classe 1945, che ancora sorride e si entusiasma come un ragazzo, è stato protagonista, proprio in Barbagia, di una stagione culturale che è ormai intessuta con il presente dell’ex paese del malessere per eccellenza: il muralismo. E’ sua infatti una larghissima parte delle centinaia di pitture che affrescano le facciate delle case di Orgosolo e che richiamano migliaia di visitatori (il paese vanta settanta-ottantamila presenze turistiche all’anno).
«L’inizio non fu proprio facile, anche per via della lingua. Allora tutti, anche molti ragazzi a scuola, parlavano in sardo. Ma non ci volle molto per ambientarmi. Devo dire che in questo mi aiutò la scelta di abitare a Orgosolo e non, chessò, a Nuoro, come facevano molti colleghi». Si trovò di fronte una comunità chiusa? «Quello era il luogo comune più diffuso su Orgosolo, che in effetti allora era un paese diciamo così un po’ difficile. C’era una certa diffidenza verso s’istranzu, verso chi veniva da fuori. Ma era giustificata dal fatto che, pur essendo frequenti le visite di studiosi o turisti interessati al lato politico e antropologico del paese, erano talmente pochi coloro che vi si stabilivano». E i ragazzi? «Trovai degli studenti curiosi, molto ricettivi. C’erano molte meno distrazioni di oggi. E non dimentichi - dice Francesco - che era la mia prima esperienza di insegnamento, sicché fu una scoperta per entrambi. Col tempo cominciai anche a capire il sardo».
Il problema non avrà la stessa portata del restauro della Cappella Sistina, ma se ne parla da qualche anno e intervenire è abbastanza urgente. I murales di Orgosolo, o almeno molti di essi, hanno necessità di un intervento che fermi il degrado degli anni e dell’esposizione alle intemperie. La maggior parte delle pitture lasciate dal Del Casino e compagni è ancora al suo posto, anche perché il pittore senese, quando d’estate torna a Orgosolo, prende pennello e colori e ritocca qua e là. «Ma finisce che ne faccio uno nuovo», dice lui. Il problema comunque se lo pone anche l’amministrazione comunale: non vuole che questo patrimonio, insieme con l’esperienza umana che rappresenta, vada perduto. «Da tempo è nostra intenzione metterci al lavoro - dice l’assessore alla Cultura, Luisa Muravera - Si tratta ora di stabilire il modo e il canale di finanziamento. Lo stesso Francesco Del Casino potrebbe essere coinvolto nel progetto, coordinando il lavoro di altri restauratori. Ma ciò che ci preme è che quella stagione di impegno culturale non vada perduta. Crediamo anzi che vada riproposta, stimolando l’avvio di una nuova che abbia gli stessi presupposti della precedente: l’impegno sociale, l’alto connotato civico che il muralismo ha avuto a Orgosolo. Non ci interessano rassegne estemporanee, ma creare un fermento che, come allora, coinvolga la popolazione su temi attuali. Penso alla Costituzione violata, alla guerra, al razzismo, alle nuove ingustizie sociali». (p.me.)





