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2.7.25

“Prima viene la salute, poi il servizio”: il discorso agli allievi, costato l’incarico al generale Oresta -. criminalità organizzata è il primo obiettivo del protocollo d'intesa siglatocon TikTok contro contenuti che esaltano criminalità

Quest’uomo si chiama Pietro Oresta, è un generale dei carabinieri. Poco fa è stato rimosso senza tante spiegazioni dal suo incarico di comandante della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Firenze. La sua “colpa”? Un discorso meraviglioso, commovente rivolto agli allievi che tutti dovrebbero ascoltare e per cui, in un Paese normale, avrebbero dovuto premiarlo



"Dovete curare prima voi stessi. Attenti alla salute, poi al servizio". Sarebbero state queste le parole, pronunciate venerdì scorso nella cerimonia di saluto ai marescialli del 12° corso, che avrebbero portato alla rimozione del generale Pietro Oresta dal comando della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Firenze. Frasi che non sarebbero state gradite ai piani alti del Comando generale dell’Arma, che poi ha deciso di rimuoverlo domenica."Sappiate che è impossibile che vi venga chiesto qualcosa che non si possa fare" e "ricordatevi, come peraltro detto a una cerimonia, che il vostro benessere, e quello dei vostri familiari, la nostra vita è superiore a qualunque istruzione o procedura".
Il discorso è stato pronunciato dal generale davanti agli allievi, e dopo appena 72 ore è stato esautorato. Dal diretto interessato non c'è stato ancora alcun commento, ma stando ad alcune testimonianze, riportate dalle agenzie sembra sia rimasto molto scosso per l'accaduto. Fino ad ora non ci sono state comunicazioni ufficiali da parte del Comando generale, e non c'è certezza che vi sia una correlazione tra la sua rimozione e le parole pronunciate agli allievi che si congedavano dopo l'ultimo corso che forma i nuovi sottufficiali, ma di sicuro la tempistica è sospetta.
A denunciare l’accaduto, come riportato anche da Qn, è il sindacato dei Carabinieri Unarma. “Una frase talmente scandalosa che, a quanto pare, è bastata per determinare il suo esautoramento dall’incarico dalla Scuola”, dice il segretario generale Antonio Nicolosi. “Una riflessione sulla salute e sul benessere psicofisico dei militari è oggi considerata forse troppo pericolosa? – si domanda il sindacalista -. Quando un generale parla ai suoi uomini come un padre, e non come un algoritmo, scatta subito la reazione: via". Unarma domanda dunque provocatoriamente "se non fosse più comodo per tutti un comandante che parli solo di ‘sacrificio”’, ‘onorate la divisa’, e ‘prima il dovere, poi (forse) il vostro cuore’. Ma chi conosce davvero la realtà dei reparti, sa che oggi i problemi di burnout, stress, suicidi e disagio psicologico tra i militari non sono un’invenzione sindacale: sono una ferita aperta". Il sindacato attacca poi in comandante generale accusato di volere “ufficiali-soldatino, che tacciano, obbediscano e non si preoccupino troppo del benessere del personale".
"Unarma – conclude il segretario – difende chi ha il coraggio di dire la verità. E la verità è che servire lo Stato non può voler dire annullarsi, ammalarsi, spegnersi. Chi prova a cambiare le cose dall’interno viene allontanato. È una lezione chiara, ma non accettiamo che diventi la regola".




Come dicevamo, il timing lascia pochi dubbi sulla vicenda. È molto difficile che possa essere stato un normale avvicendamento, anche perché non è stato indicato il suo successore. Un indizio dell'irritazione dei superiori del generale, può essere rintracciato nelle parole pronunciate dal Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Salvatore Luongo, nel discorso fatto lunedì scorso a Padova durante la cerimonia di avvicendamento al vertice del comando interregionale Vittorio Veneto: "Per me, sostanzialmente, la disciplina è il collante di una organizzazione complessa, specialmente se gerarchicamente strutturata". E ancora: "Essa non è mera osservanza di regole, ma è consapevole condivisione di un ideale superiore, che guida il comportamento di ogni carabiniere anche oltre l’orizzonte della convenienza personale". Difficile non interpretare queste affermazioni come collegate, anche se indirettamente, all'episodio di Firenze.
Chi è e che cosa ha detto il generale Oresta
Il generale Pietro Oresta si era insediato alla Scuola nel 2023. L'anno successivo aveva dovuto gestire la delicata vicenda del suicidio di una allieva carabiniera di 25 anni, dopo il quale la procura di Firenze aveva aperto anche un’inchiesta, archiviata pochi giorni fa.
Quel caso ha sollevato inevitabilmente il tema della salute mentale tra i giovani che intraprendono la carriera militare. Probabilmente Oresta pensava a quell'allieva e a quella tragedia, mentre venerdì scorso pronunciava il suo discorso, davanti ai neo marescialli e alle loro famiglie. "Batman, Robin, Rambo, non ce ne frega niente, bisogna fare le nostre cose, quando arriverete al reparto, la prima cosa da fare è vedere dove sta la palestra, dove sta il centro estetico, dove sta il distributore con la benzina più economica, dove sta l’agenzia di viaggio, poi faremo le nostre cose, le faremo bene, faremo quello che è possibile, ma la vita e la famiglia sovrastano a ogni costo qualunque procedura o indicazioni". Il suo discorso è circolato in rete, ricevendo commenti di apprezzamento, anche da parte di appartenenti alla forze di polizia.Parole stupende, attualissime, necessarie, che rovesciano la narrazione tossica della divisa e della patria come unica missione, in un mondo in cui burnout, suicidi, disagio psicologico sono un problema enorme nei reparti - come ha denunciato il sindacato Unarma. Eppure oggi, in questo Paese al contrario, queste parole sono considerate ufficialmente scandalose, così tanto da meritare l’espulsione. Voglio esprimere la più sincera e totale stima e solidarietà al generale Oresta per quello che ha detto e quello che gli è costato in questo Paese irrecuperabile.
Le reazioni
"Non riesco a credere, spero non sia vero che il generale Oresta sarebbe stato rimosso per avere esortato gli allievi carabinieri a curare la salute mentale prima del servizio. Cresce la consapevolezza, nascono iniziative come quella sul Diritto a stare bene, e stiamo ancora così?", è il commento sui social del senatore del Pd Filippo Sensi.

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Una foto o un video che esalta un boss, un hashtag o un brano musicale che ammicca alla criminalità organizzata, contenuti che denigrano chi ha combattuto o lotta contro le mafie: contro la diffusione di questo tipo di messaggi scendono in campo la Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, e TikTok con un protocollo d’intesa per rafforzare l’impegno congiunto nella promozione della cultura della legalità e nel contrasto ai contenuti che esaltano, o sostengono, la criminalità organizzata sulle piattaforme digitali.




La lotta alla mafia passa per i social network, dove le organizzazioni criminali si "raccontano" e cercano proseliti tra i ragazzi più giovani, senza mediazioni. Tanto che la commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha deciso di stringere un'alleanza con una delle piattaforme più usate dai giovanissimi per contrastare queste forme di proselitismo.
Di mafia non si parla mai abbastanza, la guerra sotterranea tra magistratura vecchia e nuova a caccia dei veri responsabili della stagione stragista dei primi anni Novanta non aiuta la chiarezza, né certe battaglie di retroguardia a difesa di chi ha indagato a lungo piste affascinanti ma nate morte solo a scopi politici.
In questo caos i boss ci sguazzano, anzi giocano a sfidare lo Stato e a promuovere la propria identità criminale, denigrando chi è morto per combatterla. L'altro giorno a Palazzo San Macuto è stato firmato un Protocollo di intesa con TikTok Italia, che ha 23 milioni di iscritti, e l'Antimafia. "Mentre si racconta di una mafia che non spara più e che si occupa sempre piu' di affari, la reazione emotiva alle stragi degli anni passati si va affievolendo e i ragazzi non solo non restano lontani da certi fenomeni ma sembrano addirittura subire una sorta di fascinazione del male, alimentata dalla retorica dei soldi facili, denuncia la Colosimo. L'obiettivo del protocollo da un lato è sostenere TikTok nella limitazione delle immagini che vengono divulgate e dall'altro invitare i ragazzi a fare la propria parte", sottolinea Colosimo che a sua volta ha ora deciso di sbarcare su TikTok dove "segnalerò i contenuti che a mia volta mi verranno segnalati".

Che i social siano il nuovo ufficio di collocamento delle mafie lo sostiene anche un recente report - Le mafie nell’era digitale, che Marcello Ravveduto, professore di public and digital history dell’Università di Salerno - il mafioso diventa un personaggio che racconta la sua vita come in un reality costruito sull’estetica del potere. I nuovi adepti sono "mafiofili", affascinati dalle dinamiche spregiudicate, vere o verosimili tipo Gomorra, in cui soldi, donne e potere arrivano senza studiare e senza lavorare, come denuncia da tempo anche il mass mediologo antimafia Klaus Davi. È una post-verità che mescola miti e algoritimi, leggende e personaggi veri, in cui la mafia viene esibita come un marchio. Come Emanuele Sibillo, il capo della “paranza dei bambini”, ucciso nel 2015 a 20 anni, diventato una sigla, Es17.
Secondo Ravveduto tra i video che inneggiano alla vita da mafioso ci sono le scarcerazioni, le riprese live degli arresti, la vita delle persone ai domiciliari, i reel delle mogli che vanno a trovare i mariti in carcere, l’utilizzo nei post di specifici hashtag, brani musicali o emoji come la catena (rappresenta il legame con il clan), il leone (il capo), la siringa (la vendetta), il ninja (la lotta armata) e il cuore azzurro (il sangue blu della nobiltà), ma anche i video accompagnati da canzoni con testi che parlano di bambini pronti a morire e di polizia da combattere, oggi affollano i social network quasi indisturbati.
TikTok fa sapere di rimuovere "proattivamente il 97,1% dei contenuti che violano le policy relative a comportamenti violenti o criminali, con l'81,2% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni. Per quanto riguarda le organizzazioni violente e che incitano all'odio, TikTok rimuove proattivamente il 99,1% dei contenuti che violano le policy, con il 70,6% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni". Ma questo non basta: dopo aver inquinato l'economia legale la mafia sta conquistando anche i social network.

DIARIO DI BORDO N 133 ANNO III . il seno di una donna non è solo pornografia ., La morte di una donna vale per la giustizia italiana tre anni di carcere. Probabilmente neanche quelli. ., ginnastisca ritmica uno sport solo femminile ? il caso di ,Samuele Poletto

 qualche tempo   fa  fb  mi rimosso una  foto di  una  donna  a senso nudo .  L'aslgoritmo   o colui   chelo  aggiorna    non  capisce      che  Il seno non è solo un qualcosa di volgare esso è anche lo strumento con il quale le nonne e le madri hanno ( e continuano ) a nutritrei propri figli . Per la donna è sinonimo di femmilita', bellezza, amore. Per noi uomini una delle forma d'attrazione . Infatti

da cronache dellla sardegna di Maria Vittoria Dettoto

Ieri ho incontrato una mia coetanea.Una donna che ho sempre considerato una donna molto in gamba. Ad un certo punto mi rivela con estrema naturalezza, di aver subito l'amputazione di entrambi i seni per un tumore. Mi mostra le cicatrici. Resto scioccata, perché non avrei mai immaginato che le fosse successo nulla di simile.
La vita però le ha permesso comunque di allattare suo figlio, avendo riscontrato il tumore pochi anni dopo.Ora ovviamente non potrà più farlo.E non potrà magari esibire il suo seno, senza vergogna. O forse si?Mi sono occupata di donne che hanno subito una mastectomia anche ad entrambi i seni, le quali con orgoglio si sono fatte fotografare per contest fotografici completamente nude.Fa più effetto un seno nudo con o senza cicatrici? Io dico con. Perché dietro quelle cicatrici c'è tanto dolore.L'amputazione di parte della femmilita' di una donna, che per fortuna non si esplica solo attraverso un seno ma è molto, molto di più. Colgo l'occasione per salutare tutte e tutti coloro che soffrono di questa patologia, che colpisce anche gli uomini. Siete un esempio per tutti.E colgo anche l'occasione per ribadire un concetto: non aspettiamo il presentarsi del problema per fare un controllo. Prevenire è meglio che curare. Sempre.

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niente d'aggiungere al titolo ed articolo , anch'esso di del sito \ pagina facebook cronache della sardegna , se non il fatto che a prescindere che la vittimas sia uomo o donna la pena per l'omicidio stradale e no solo è troppo bassa
La morte di una donna vale per la giustizia italiana tre anni di carcere. Probabilmente neanche quelli.
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La donna che vedete in foto si chiamava Ambra De Dionigi. Aveva 29 anni. Era solare, buona, eccentrica. Amava gli animali, in primis il suo cane ed i viaggi. Il 22 dicembre 2024 dopo aver trascorso una serata con gli amici, era uscita a fare una passeggiata a Nibionno in provincia di Lecco. Camminava sul ciglio della strada, illuminata dai lampioni. Un furgone bianco guidato da un 50enne della provincia di Monza l'ha investita e l'ha uccisa, senza neanche fermarsi a soccorrerla. Lasciata li sola al freddo dell'antivigilia di Natale, quando poi è stata ritrovata esanime.Quando l'investitore è arrivato con il furgone nella ditta per la quale lavorava, non ha saputo giustificare come mai fosse ammaccato.
Le telecamere di sorveglianza della zona dell'investimento, l'hanno però ripreso chiaramente mentre investiva Ambra

I rilievi degli inquirenti sul furgone non hanno lasciato dubbi, anche perché il ciondolo della donna era rimasto incastrato nel parabrezza del furgone. L'uomo che ha sempre dichiarato di non essersi accorto di nulla a febbraio è stato arrestato e messo ai domiciliari. Ha patteggiato la pena e ieri è stato condannato a tre anni di reclusione. Tre anni che probabilmente neanche si farà avendo presentato istanza di revoca della misura cautelare, sulla quale il giudice che sta seguendo il caso si è riservato di decidere. Questa è la giustizia italiana. La morte di una donna vale meno di niente.
Foto: Ambra De Dionigi



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Capisco che fra uomini e donne ci siano come i tutte le cose delle differenze fisiche e psicologiche . Ma qui si va oltre si sconfina nella disparità e perchè no nella disegualglianza . Qui , come da tag , tale separazione la si può considerare tabù . Infatti se gi uomini e le donne sono uguali pur nella loro diversità perchè un ragazzo ( o viceversa ) puà fare certi sport ed altri no ? Perchè si parlòa tanto di eguaglianza tra uomo e donna , ma un ragazzo no può fare ginastica ritmica , metre una ragazza si ? Il caso di Samuele: talento fuori dal comune, ma la sua disciplina in Italia non è per i maschi: «Ma non ci fermeremo»Il 12enne talento scaligero costretto a emigrare in Spagna per gareggiare: «Da noi la disciplina è chiusa ai maschi: cambiamo rotta»


da https://www.larena.it/argomenti/sport/altri-sport/ del 24 giugno 2025   tramiter google news 

                              Francesca Castagna





Ha dodici anni, un talento fuori dal comune e un sogno: gareggiare ai massimi livelli nella ginnastica ritmica.
Non è solo questione di preparazione, allenamenti e disciplina, però. Perché Samuele Poletto è un maschio, e la disciplina in Italia non prevede competizioni maschili. Comincia tutto da qui.
Dalla volontà di cambiare le cose, che diventa un obiettivo anche per mamma Giulia e per l’allenatrice Silvana Laborde, che al fianco di Samuele vogliono far sentire la loro voce. Alla Libertas Lupatotina, società in cui è tesserato, ha cominciato a otto anni, sotto la guida di Giulia Signorini, e con tenacia è arrivato al livello agonistico. «Stavo cercando uno sport nel periodo di pandemia, ho trovato su YouTube un video di ginnastica ritmica e ho detto a mia mamma “voglio fare questo”. Non mi sono chiesto, all’inizio, se potevo gareggiare», racconta lui.
Che reclama il sacrosanto diritto di poter competere e che di fatto ha già iniziato a farlo. Prima attraverso gare organizzate dagli enti di promozione, rientrando nei ranking femminili, poi approdando in Spagna.



«Serve tempo e che le persone si ribellino. Basta pensare al caso del nuoto sincronizzato. Per me non ci sono limiti, e le sue compagne lo accettano pienamente. Ringrazio la nostra splendida società, e una mamma che nemmeno si è domandata se la ginnastica fosse... per maschi oppure no» continua Silvana Laborde, l’agguerrita allenatrice di Samuele, nonché giudice federale.
La Federginnastica, seguendo la linea internazionale, resta ferma sulle gare femminili. «Abbiamo scritto una lettera al precedente presidente federale Gherardo Tecchi ma ci è stato risposto che non sono interessati a far gareggiare Samuele perché non è previsto dalla federazione internazionale. Ma non ci fermiamo, scriveremo anche al neo presidente Andrea Facci».
Nel frattempo si sono creati i ponti con la Spagna, dove invece le gare maschili sono riconosciute da una decina d’anni. Samuele viene tesserato con la società iberica Club Purpurjna, con cui disputa una prima prova regionale, e in seguito partecipa all’Almerigym, gara internazionale con più di cento ginnasti maschi provenienti da Francia, Spagna, Grecia, Andorra. Si apre un mondo di possibilità ma anche una corsa contro il tempo. «Il punto è che Samuele è ancora piccolo, per essere così bravo. Dobbiamo poter sfruttare la sua età, bisogna intanto andare a farsi vedere e raccogliere premi. Dobbiamo partire da quello che abbiamo, cioè un ginnasta bravo».
Con un programma di livello assoluti, che corrisponde a una Serie C italiana e un mese e mezzo di preparazione serrata, Samuele conquista un primo e due secondi posti con fune, palla e nastro. Nemmeno i suoi attrezzi preferiti. «In più ha potuto allenarsi con Ivàn Fernàndez, diamante della Purpurjna. E abbiamo portato a casa una consapevolezza diversa».
In Spagna si è svolta anche una tavola rotonda da cui è nato un gruppo con l’obiettivo di cambiare le cose. Attraverso il sostegno di sponsor si vuole arrivare a livello internazionale, attraverso istanze legali, per chiedere il rispetto dei diritti umani in termine di partecipazione sportiva. «Noi stessi cerchiamo sponsor per sostenere le spese dei viaggi, in questo momento a carico nostro»

1.7.25

paparazzi un mestiere al capolinea << Addio scoop ha vinto Istangram >> i maestri dell'obbiettivo frezza e la fata commentano l'evoluzione

 come  cambia   il giornalismo  soprattutto quello che   un tempo  si chiamava   cronaca  rosa o meglio Gossip  

LA  nuova  SARDEGNA  29\6\2025


 
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Una galleria d’arte per cambiare vita., La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura

  fonti unione  sarda  e  nuova  sardega  del 1\7\2


C’è una nuova luce tra le pietre secolari di Villasalto: è quella che filtra dal grande portone di Su Crociu e accende le sale dell’ex falegnameria diventata “Sa Buttega”, galleria d’arte contemporanea nata dall’iniziativa di Angelica Manca e del marito Paul Frank Wagner, una coppia che si è trasferita in paese dagli Stati Uniti. Un progetto di vita prima ancora che culturale, cominciato con l’acquisto dell’immobile nel gennaio 2023, un anno di restauro meticoloso e il t
rasferimento definitivo nel febbraio 2024
La scelta
«Desideravamo un paese raccolto e autentico, ricco di tradizioni, un luogo da poter chiamare casa e dove dare radici a nostro figlio Kai, di 11 anni», dice Angelica Manca. L’incontro con Villasalto è stato un colpo di fulmine: l’edificio, incastonato fra le strade acciottolate a pochi passi da piazza Italia, custodiva ancora i segni del suo passato artigiano. «Attraverso il grande portone si accede a un cortile rigoglioso, ogni pietra porta i segni del tempo come se custodisse storie dimenticate». Da qui l’idea di un restauro rispettoso — pietra locale e làderis di terra cruda — che conservasse la memoria del luogo trasformandolo in spazio culturale aperto. “Sa Buttega” oggi vuole essere «un punto di riferimento, prima per Villasalto e poi per il Sud Sardegna, dedicato alla condivisione, alla creatività e alla valorizzazione delle identità locali». Mostre, laboratori e residenze d’artista si intrecceranno con le feste del paese: la sagra di Santa Barbara, Su Sinnadroxiu dove il latte diventa formaggio, Is Animeddas coi suoi scambi di dolci. L’obiettivo è «usare il linguaggio universale dell’arte per raccontare l’autenticità».
La comunità
«Siamo stati accolti dalla popolazione e dalla pubblica amministrazione, entrambe entusiaste delle nostre idee» raccontano, aggiungendo di sentirsi «specchi e finestre»: specchi che riflettono la bellezza già presente, finestre che la collegano al mondo esterno. Uno dei momenti più significativi è quando il figlio Kai, dieci anni all’arrivo, ha colto l’essenza del progetto: «Mamma, ora capisco perché siamo venuti a vivere qui. Se non ricordiamo la bellezza di questo luogo, rischia di essere dimenticata per sempre». Guardando avanti, la posizione strategica di Villasalto — porta del Gerrei a mezz’ora da Cagliari — può attrarre viaggiatori in cerca di esperienze genuine. «Oggi, più che mai, abbiamo bisogno dell’autentico». Radicati in un paese «ricco delle cose essenziali: tradizioni, cultura, amicizia, ospitalità e solidarietà », i Manca non pensano ad altri traslochi: «Villasalto è diventata la nostra casa ».

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La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato



Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità

Chiaramonti Ha riscosso un notevole successo venerdì mattina la prima giornata dell’iniziativa “La biblioteca al mercato”, svolta nel mercato rionale in piazza Costituzione nell’ambito del progetto “Impronte leggere – Un passo alla volta per cambiare il mondo” promosso dalla biblioteca comunale in collaborazione con lo Sbangl (Sistema bibliotecario dei Comuni dell’Anglona e della Bassa Valle del Coghinas), la Comes (Cooperativa mediateche sarde) e l’Unione dei Comuni dell’Anglona.
Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità. Un’occasione anche per divulgare le attività della biblioteca e coinvolgere il maggior numero di persone. «All’inizio ero un po’ scettica _ ha detto la responsabile Caterina Marrone _, invece le persone hanno risposto benissimo. Nonostante il caldo, in tante si sono avvicinate al nostro banchetto, chiedendo informazioni e suggerimenti di lettura per l’estate. Molte hanno preso libri in prestito e abbiamo addirittura fatto nuove iscrizioni». L’iniziativa della biblioteca al mercato, che in diversi luoghi è già una consuetudine consolidata e si accompagna ad altre iniziative delle biblioteche appartenenti allo Sbangl per il progetto “Impronte leggere” (dai laboratori eco di Laerru a quelli di Bulzi e Tergu), è stata anche occasione per distribuire la “Guida ai servizi” con una breve storia della biblioteca, ora al numero 16 di via Vittorio Emanuele, e una descrizione di tutte le attività adatte a qualsiasi tipo di lettore, da quello tradizionale a quello più social e interattivo. Per info: tel. 079 568025; e mail chiaramonti@sbangl.it - o  bibliochiaramonti@tiscali.it, su Facebook e Instagram. 


Dolci e narcotiche gocce ---- mario domina blog la bottedidiogene

“Marx and Heine on a Walk” painting by Alisa Poret, USSR, 1960

 «La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore» – Marx scrive questa frase nel 1843, in un articolo di critica alla filosofia del diritto di Hegel; la frase, quantomai evocativa, si conclude con la celeberrima metafora della religione come oppio del popolo. Quel che molti non sanno, è che l’immagine non è farina del sacco di Marx, ma dell’amico poeta Heine, che in quel periodo frequentava a Parigi, da esule. Non solo: l’intenzione di Heine appare quasi opposta a quella di Marx (o, per la precisione,
all’interpretazione che se ne è per lo più data).Basti leggere il testo di Heine, che risale al 1840: «Il cielo fu inventato per uomini ai quali la terra non offre più nulla… Viva quest’invenzione! Viva una religione che all’umanità sofferente versò nell’amaro calice alcune dolci e narcotiche gocce, oppio spirituale, alcune gocce di amore, speranza e fede!».Ovviamente Marx, con afflato meno poetico, è più interessato ad una analisi socio-antropologica della religione, ad indagarne la funzione sociale ed, eventualmente, il suo farsi ostacolo dell’emancipazione. Appare cioè chiaro che a Marx – già qui incline al materialismo – interessi poco brandire la bandiera dell’ateismo, e molto di più fare analisi in vista di un’eventuale prassi (che non significa che Marx non fosse ateo, ma lo era a modo suo, per posizione più che per negazione).La domanda che possiamo farci oggi, in un’epoca in cui la religione (e il cielo esaltato da Heine) hanno perduto del tutto la loro funzione consolatoria, e d’altra parte non esiste più, almeno nell’immediato, alcuna fede o speranza più mondana di radicale trasformazione della società, così come fu il comunismo per oltre un secolo – è la seguente: quali altre costruzioni immaginarie o fedi hanno preso il loro posto, quali dèi o miti offrono ciò che la terra non sa più offrire?Non posso pensare che sia solo il denaro.

30.6.25

Lamborghini nel posto disabili: lo criticano sui social, lui risponde e zittisce tutti


L'articolo Lamborghini nel posto disabili: lo criticano sui social, lui risponde e zittisce tutti preso dal portale  msn.it   proviene da Autoappassionati.it




Un post indignato contro un’auto di lusso parcheggiata in uno stallo per disabili ha acceso il web. Ma la risposta del proprietario ha capovolto la storia, dando a tutti una lezione di civiltà.
Una Lamborghini Huracan parcheggiata in un posto riservato ai disabili, in un parcheggio pubblico nel Regno Unito, ha scatenato una bufera di commenti indignati sui social. “Chi ha una supercar si sente autorizzato a fare ciò che vuole”, scriveva un utente su Facebook. Ma la verità, come spesso accade, era ben diversa da quanto si pensasse. E a ribaltare completamente la narrazione è stato proprio il proprietario della vettura.
Il post virale e il pregiudizio immediato
La foto della supercar – vistosa, nera, ribassata, con cerchi scuri e pinze freno rosse – è apparsa nel gruppo locale Spotted Torquay, accompagnata da una didascalia sarcastica:
“Hai una Lamborghini? Allora puoi parcheggiare dove ti pare, anche se togli un posto a chi ne ha davvero bisogno.”
La reazione è stata immediata: oltre mille commenti, la maggior parte accusatori. Qualcuno suggeriva che una multa non avrebbe comunque inciso su chi può permettersi un’auto da oltre 200.000 euro. Altri insinuavano che il parcheggio fosse stato scelto solo per evitare graffi o sportellate.
Una risposta silenziosa, ma potente
A rimettere ordine ci ha pensato lo stesso proprietario, che ha risposto con un’immagine che vale più di mille parole: una foto in posa accanto alla sua Lamborghini, con il contrassegno disabili ben visibile e – soprattutto – le sue due gambe prostetiche.
Il commento? Ironico ma elegante:



Lamborghini-Huracan-Disabled-Parking-Space-2

“Una foto per tutti i miei fan.” La reazione del gruppo non si è fatta attendere: l’amministratore si è pubblicamente scusato per il pregiudizio, spiegando anche che, su molte supercar, i contrassegni disabili tendono a scivolare o restare nascosti sul cruscotto inclinato.
Disabilità invisibili e giudizi affrettati
L’episodio ha aperto un dibattito molto più ampio: tanti altri utenti, anch’essi disabili, hanno raccontato esperienze simili, in cui sono stati ingiustamente accusati di usare impropriamente posti riservati.
Perché la disabilità non è sempre visibile. E proprio chi ne soffre – anche se guida una citycar o una hypercar – spesso deve affrontare lo stigma e il sospetto solo perché non corrisponde allo stereotipo del “disabile tipo”.
Il rispetto parte dallo sguardo
In fondo, questa vicenda insegna qualcosa che va oltre un parcheggio: non si può giudicare una persona dal veicolo che guida. Né si dovrebbe dare per scontato che chi vive con una disabilità debba rinunciare a bellezza, performance o piacere di guida.
Sulla strada e nella vita, serve rispetto, prima ancora del diritto. Anche (e soprattutto) quando ciò che vediamo non corrisponde a ciò che ci aspettiamo.

Ciclismo, professionisti battuti dall'amatore senza sponsor

Una  storia   di  fortuna e di grande sacrificio.  quella  di Filippo Conca un ciclista  " amatoriale " che
 è riuscito a vincere    una  gara di professionisti  .  E'  una  storia    particolare   in quanto agli sponsor   come  si sa    ci sono in ballo tanti soldi raccomandazioni che scelgono chi vogliono loro quindi si tenga la sua meritata vittoria e se ne ha voglia continui come ha fatto fino adesso se  sceglie     di entrare  in una squadra deve fare da gregario e deve seguire certe regole che a volte fanno male  .   E'sucesso  
a Gorizia   dove   a  vincere  tra lo stupore generale Filippo Conca, 26 anni, ex corridore
professionista con Lotto e Q'36.5 e oggi in maglia bianca, senza sponsor e con una sola scritta: Swatt Club, club amatoriale nato da un blog. Conca vince il campionato italiano professionisti a Gorizia battendo nettamente nella volata a cinque Alessandro Covi (Uae Emirates), Thomas Pesenti (formazione sviluppo della Soudal-Quick Step), Giovanni Aleotti (Red Bull-Bora) e l'altro compagno di squadra Mattia Gaffuri. A 10 Baroncini e a 11 Milan, protagonista di un grande forcing nel finale. Lo Swatt Club è un team lombardo e inizialmente era un semplice blog (solowattaggio). Nasce nel 2017 come formazione amatoriale con l'idea di dare una seconda possibilità a tutti i corridori over 23 anni scartati dalle grandi squadre e rimasti a piedi. Il regolamento lo prevede: il tricolore è aperto a tutti i corridori élite, cioè oltre 23 anni, per i quali esiste una speciale corsa vinta ieri da Alessandro Borgo. Siamo quindi alle comiche: sabato parte il Tour de France, con i nostri Jonathan Milan e Filippo Ganna alla ricerca di qualche acuto in terra francese che ci manca da 106 tappe (Vincenzo Nibali, Val Thorens, 27 luglio 2019), e ieri abbiamo vissuto una delle pagine ciclistiche nostrane più imbarazzanti di sempre. Un amatore che vince la maglia tricolore dei professionisti. L'uomo senza maglia, Filippo Conca, si veste di tricolore.
La sua maglia pulita, bianca e pura come la Swatt Club, formazione composta da atleti che il ciclismo ha accantonato, la coprirà con quella tricolore, che forse non mostrerà mai in nessuna corsa, perché attualmente il suo team professionistico non è. Una squadra fatta di isolati, che ieri ha mostrato in diretta tivù la sua forza e la forza di un movimento quello italiano - che non c'è più.

 come   dice 
 ROBERTO ZANOTTI
3 ore fa
Sì, ma evitiamo di raccontare frottole: ha vinto la gara battendo dei professionisti, su questo non ci piove! Definirlo semplicemente un "ciclista amatoriale", però, è estremamente riduttivo — e no, non stiamo parlando del classico amatore della domenica che intasa le statali in gruppo con la maglia della squadra del bar. Parliamo di un atleta vero, di alto livello, che semplicemente non fa parte di una squadra professionistica. E allora dov’è la notizia? Il punto non è che non sia un professionista, ma che non corre in nessuna squadra WorldTour o Professional italiana, eppure ha indossato la maglia bianca e ha vinto la gara. Questo dimostra che il suo livello non è affatto inferiore a quello di molti professionisti.




L’hip hop italiano ha ingranato la marcia indietro? Il rap italiano sta diventando nostalgico?

da https://www.rollingstone.it/musica/  27 Giugno 2025 10:30

Il rap italiano sta diventando nostalgico?

Neffa che torna a rappare, Fabri Fibra che rifà un brano degli Uomini di Mare, DJ Shocca che pubblica ‘60 Hz II’. L’hip hop italiano ha ingranato la marcia indietro?

Sanremo 2025

Shablo, Guè, Tormento, Joshua e Neffa  Foto: Instagram

Che il rap sia, per antonomasia, un genere che si parla addosso è qualcosa di cui siamo apertamente al corrente. “Fare rap che parla di rap e parlare alla gente che ascolta rap è un controsenso, come se i libri parlassero di libri, e d’ogni foto stampassimo i negativi”, rappava Ghemon prima di una delle sue fughe dal genere in Niente può fermarmi, Anno Domini 2006. Nell’ultimo anno e mezzo, ovvero dalla reunion dei Club Dogo di inizio 2024, al parlarsi addosso si è però aggiunta una nuova (e altrettanto preoccupante) attitudine nella comunità hip hop: la nostalgia.Gli ultimi mesi sono stati piuttosto intensi per i nostalgici del primo rap italiano. L’anno ha difatti inaugurato con un cortocircuito importante: Sanremo. Sul palco dell’Ariston – che storicamente non ha buon feeling con il mondo hip hop – si è presentato Shablo accompagnato da due figure storiche del genere come Guè e Tormento, il primo di ritorno dopo precedenti apparizioni nelle serate cover, il secondo alla terza presenza dopo quella a nome Sottotono nel 2019 come ospite di Livio Cori e Nino D’Angelo e l’esordio nel 2001 diventato celebre per il violento alterco con Valerio Staffelli di Striscia la Notizia che portò poi inesorabilmente allo scioglimento del duo.Proprio nella serata cover di quest’anno, però, il cortocircuito: sul palco si ritrovano i due grandi rivali degli anni ’90, Neffa e Tormento, l’underground e il pop, a celebrare la storia dell’hip hop made in Italy con due pietre miliari di quegli anni, Aspettando il sole e Amor de mi vida. Quello che sembrava un semplice omaggio alla storia, però, si è presto rivelato essere una premonizione.

Neffa - Hype (nuoveindagini) (Visual Video) ft. Fabri Fibra, M¥SS KETA

Proprio Neffa, post-Sanremo, è tornato a pubblicare un disco rap dopo un’attesa lunga 25 anni e «dieci anni di cancro alla felicità», come ci ha raccontato nella cover story a lui dedicata. Il primo avvicendamento era avvenuto qualche mese prima nel 2024, in Fogliemorte con Fabri Fibra, ma è proprio dopo Sanremo che il cantante è uscito allo scoperto annunciando Canerandagio Pt.1, il vero ritorno del guaglione sulla traccia dai tempi dell’EP Chicopisco del 1999. E poteva questo disco non rifarsi in qualche modo alla nostalgia? Eccoci allora servito Hype (nuoveindagini) con Fabri Fibra, che chiude un cerchio aperto nel 2002 con Turbe giovanili, il primo album solista del Fibroga. Backstory: Neffa dopo Chicopisco decide di chiudere la sua parentesi con l’hip hop, lasciando in omaggio a Tarducci i beat che daranno forma alla sua prima avventura solista. Turbe giovanili apre Scattano le indagini, il cui sample è riutilizzato da Neffa proprio per la produzione di Hype (nuoveindagini), come parentesi vuole sottolineare.Passano meno di due mesi e questa volta è proprio Fibra a ripescare dal proprio passato. Per il suo ultimo disco, Mentre Los Angeles brucia, il rapper decide di affidare la chiusura – la oramai celebre traccia n. 17 – al remake di uno dei suoi più grandi successi periodo Uomini di Mare, Verso altri lidi. Già re-inserita nella scaletta live da qualche anno, Fibra porta sulle piattaforme di streaming una versione riarrangiata del brano che, nella sua versione originale – costruita attorno al sample di Is There Anybody Out There? dei Pink Floyd – non potrà mai vedere la luce per problemi di copyright. «Mi andava di rifarla perché alla fine il pezzo è mio e lo rifaccio come cazzo voglio» ci raccontava qualche giorno fa nella nostra cover story appena prima della release. È dovuto arrivare a quasi 50 anni Fibra per decidere di ritrovarsi con questo successo dell’underground uscito nel lontano 1999: e pensare che ai tempi di Mr. Simpatia, nel 2004, rappava “ho avuto pure un figlio ma l’ho fatto ammazzare / perché sperava che facessi un altro Uomini di Mare”. Dopo l’abbandono della scena di pessimi massimi come Neffa, Fede e Fritz Da Cat di inizio millennio, nel rap italiano del 2006 non c’è tempo di guardare al passato: bisogna avere coraggio, e riconquistare il mercato da un punto morto. Il rap, in quel momento storico, deve inventarsi il proprio futuro.

Fabri Fibra - Verso Altri Lidi (Official Visual Video)

Non c’è Fabri Fibra, ma c’è Neffa, e pure Ghemon e Tormento, nel team di rapper che DJ Shocca ha voluto per 60 Hz II, il seguito del suo storico album del 2004, un faro che ha tenuto in vita l’hip hop italiano in un’epoca storica definita dallo stesso Fibra «il vuoto totale dopo la golden age». Già dal titolo, 60 Hz II è un’operazione nostalgia. Sfogliando la tracklist si percepisce infatti la volontà sfaccia di RocBeats di riportare in auge un proprio passato. Il disco, infatti, è colmo di parti due, ovvero di brani che ripartono dal beat originale dell’epoca per darne una nuova versione contemporanea. Per i fan della doppia H sentire titoli come 60 Hz II, Rendez vous col delirio II (coi Club Dogo), Notte blu II (nell’originale del solo Frank Siciliano, qui con Gemitaiz e Ernia), Ghettoblaster II (con Stokka e Madbuddy oggi raggiunti da Jake La Furia e Izi) e Sempre grezzo II (del compianto Primo, rivisitata qua da Tormento e Egreen) farà scorrere un brivido lunghissimo a metà tra il dolce ricordo giovanile e il terrore adulto di veder disonorata la storia.
L’esercizio stilistico di Shocca è riplasmare il (suo) passato del rap italiano creando un dialogo diretto con ciò che fu, trasformando vecchie strofe in scratch (come nel finale di Rendez vous col delirio II e Notte blu II), interludi in pezzi veri e propri pezzi (“Roc ti giuro ti ringrazio / rappo su sto interludio dal 2004 / 20 anni dopo sono in studio per firmarti un classico” come fa notare Ensi in How We Roc, facendo riferimento a Quattro, interludio strumentale nel primo episodio di 60 Hz) e portando i rapper a boxare con l’ombra del proprio passato tra strofe e ritornelli ripresi alla lettera dalle versioni originali (accade in tutte le versioni II). E fa strano in apertura del disco sentire Madbuddy lanciarsi in “Odio i rapper bloccati nel passato perché i ricordi sono come un sentiero di vetri rotti”.
Simon Reynolds ha spiegato molto bene questa tendenza contemporanea coniando il termine retromania, ovvero l’idea che la cultura pop – tramite remix, ristampe, sampling e revival – sia ossessionata dal proprio passato al punto da diventare incapace di produrre qualcosa di davvero nuovo. «Viviamo in un’epoca pop impazzita per il rétro e ossessionata dalla commemorazione. […] Il pericolo è che potremmo esaurire il passato stesso», scrive nel suo celebre saggio Retromania del 2011, in cui la nostalgia diventa qualcosa che paralizza e la retromania è il sintomo della difficoltà della modernità nel pensare il futuro. Se per gli Uomini di Mare nel 1999 Il domani è oggi, per il rap italiano il passato è oggi.


DJ Shocca, Club Dogo - Rendez Vous Col Delirio II

E se anche le nuove generazioni – vedi Santana Money Gang di Sfera Ebbasta e Shiva con le continue citazioni a Club Dogo (Guè inoltre ha di recente pubblicato KG Anthem con Rasty Kilo, una riedizione di Zona Uno Anthem del 2010) e Marracash – iniziano a ripescare dal passato perdendo il furente approccio iconoclasta, rifacendosi direttamente ai padri (vedi che anche la volontà di Salmo di avere una figura storica come Kaos come unico featuring nel suo ultimo disco Ranch), forse l’idea di futuro portata avanti dal rap si è inceppata. Non è un caso che oggi molti della next gen – Ele A, Nerissima Serpe, Kid Yugi – abbiamo lasciato da parte la trap per tornare proprio a rappare, come si faceva una volta, rima su rima, barra dopo barra.Se questa nostalgia sarà solamente una fase ciclica, una moda che ritorna a 20 anni dagli originali, o qualcosa che si è inserito in modo metastatico nello strato sottocutaneo del rap italiano lo scopriremo ben presto. Nel primo caso parleremo di un omaggio ai sopravvissuti alla storia gloriosa della golden age. Nel secondo della fine della spinta propulsoria di quella che sempre Fibra ha definito «l’unica rivoluzione musica italiana». La sensazione, se dovessimo scommettere i celebri due centesimi, è che anche il suono della strada è stato inghiottito dal suo stesso passato.

l'essenza della guerra dibattito con Mario domina https://mariodomina.wordpress.com/

 Sono d’accordo con chi raccomanda di controllare il linguaggio e di cercare di fare analisi piuttosto che sfogarsi tramite invettive morali ed inconcludenti: ritenere Netanyahu o Trump degli psicopatici, o Merz uno schifoso ipocrita, non aiuta a fare chiarezza (del resto era il gioco della propaganda occidentale nei confronti di Putin).
In realtà c’è una precisa strategia economica e geopolitica – corposissimi interessi – sottesa a quel che sta accadendo. Basta guardare i flussi dei commerci e delle finanze, le “vie economiche” tra Asia e Occidente, la dislocazione di energia e materie prime, ecc.
Tutto è complicato però da interessi contrapposti nel campo occidentale (la sopravvivenza economica degli Stati Uniti indebitati, il problema energetico e la mancanza di un soggetto politico unico sul fronte europeo, ecc.). Ma anche da divergenze nei Brics: il mondo, si dice sempre più spesso, è complesso.
Mi pare che la posta in gioco – un mondo realmente multipolare dopo la parentesi monopolare di quest’ultimo trentennio, che qualcuno aveva immaginato, illudendosi, come “la fine della storia” e il trionfo della globalizzazione neoliberista – sia piuttosto chiara.
Ciò non toglie che quando subentra la logica bellica – o meglio, quando la guerra si rivela per ciò che è nella sua essenza, ovvero la struttura profonda e l’intelaiatura dei rapporti internazionali e tra potenze, e non il puro fenomeno delle guerre guerreggiate – si manifestano accanto alla “razionalità” degli interessi, anche elementi irrazionali e nichilisti di cui occorre tener conto. Altrimenti sarebbe impossibile spiegare quel che è successo durante le due guerre mondiali, specie nel corso della seconda.
La guerra è portatrice ad un tempo di elementi materiali, di interessi, di “razionalità”, e però insieme di ideologie distruttive e nichiliste. Le due forze vanno insieme, e le si vedono interagire anche nel linguaggio, negli attori collettivi e nei soggetti individuali (basti pensare ai fanatismi nazionalisti sempre pronti a risorgere).
Economia e psicopatologia all’unisono, al servizio di un crescente delirio di onnipotenza. Ragion per cui le guerre si cominciano spesso al buio, senza sapere a quali terre ignote condurranno.

  E' vero   .  pero l'essenza    della  guerra  è  << in quell’intreccio ambiguo tra calcolo e delirio, tra logica di potenza e pulsione nichilista, sta il cuore tragico della storia umana. Se la guerra è struttura profonda — come giustamente osservi — essa resta però anche uno spettacolo abissale della psiche collettiva, che nessun grafico commerciale può spiegare del tutto.>>(   da https://upsidedown.wordpress.com/  )  .  Avete entrambi ragione . Infatti “La politica è l’intelligenza della guerra”Carl Von Clausewitz da (Gian Enrico Rusconi, “Clausewitz, il prussiano“, Einaudi, Torino, 1999, pag. 16).Nel suo scritto più famoso, il “Della Guerra” (“Vom Kriege”), Von Clausewitz scrive esplicitamente: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (ibid.). ….da  Guerra e politica  di  https://www.ultimavoce.it/

L'incredibile storia dell'italiano e del santuario che ha addomesticato un orso .,Bufera sulla bandiera nazista al museo della guerra di Orsogna: mozione per rimuoverla. Lo storico Marco Patricelli, esperto dell'Europa del Novecento e della Seconda guerra mondiale,: «Richiesta ridicola»



L’Italia è ricca di sorprese, naturali e non. Questa è sicuramente una di quelle: nel nord del Paese, esiste infatti un suggestivo santuario nato in onore di un eremita, che si dice abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita con un orso “addomesticato”. Il santuario in questione è composto da cinque chiese, costruite nell'arco di 1.000 anni a ridosso di una ripida parete rocciosa e unite tra loro da una scalinata di 130 gradini. Magari sconosciuto ai più, questo luogo è comunque visitato annualmente da circa 200 000 pellegrini, ed è custodito da due frati dell'Ordine di San Francesco d'Assisi.
Il santuario dove un eremita “addomesticò” un orso
Il luogo sacro in questione è il santuario di San Romedio, che sorge su uno sperone di roccia nella Val di Non, nei pressi di Sanzeno, a poco più di due ora da Verona. È dedicato - com'è facile intuire - a San Romedio, un nobile bavarese vissuto tra il IV e il V secolo, che dopo un pellegrinaggio a Roma rinunciò a tutti i suoi beni per ritirarsi in eremitaggio con due discepoli in una grotta della valle. La leggenda racconta che, pronto a partire per far visita al Vescovo di Trento, Romedio chiese al suo discepolo di sellargli il cavallo. Quando il giovane tornò con la notizia che l’animale era stato sbranato da un orso, l’eremita, senza esitazione, gli ordinò di sellare l’orso, che docilmente si lasciò cavalcare. Da allora, la figura del santo è inseparabile da quella dell’animale. Quest'episodio è ricordato da una statua lignea posta accanto ad un arco trionfale all'ingresso del Santuario.



                            Santuario di San Romedio© Alberto Masnovo - Getty Images

Il legame con l’orso, tuttavia, non è solo leggendario. Negli anni Cinquanta, grazie a Padre Marino Donini, fu creato un recinto adiacente al santuario per accogliere esemplari che non potevano più vivere liberi. Il primo ospite fu un orso siberiano di cinque anni, ex animale da circo. Quando, nel 1958, il circo decise di abbatterlo perché divenuto cieco da un occhio, il conte Gian Giacomo Gallarati Scotti si mobilitò per salvarlo e trasferirlo al santuario. Gli fu dato il nome Charlie, in onore del ciclista Charly Gaul, vincitore del Tour de France di quell’anno. Da allora, altri orsi si sono succeduti: un secondo Charlie, poi Chicco, Chicca, Jurka, e infine Bruno, un esemplare dei Carpazi arrivato nel 2013, che ha trovato in quel luogo una nuova vita.

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sono antifascista e contro le dittature . Ma questa polemica mi pare stupida ed iunutile . Infatti
<< non so se è più il caso di sorridere per un'iniziativa politica fuori dal tempo e dalla ragione, oppure esprimere sconcerto sulla richiesta censoria, che è comunque ridicola - espressione della moda del
'cancel culture' - di rimuovere la bandiera del Terzo Reich da un museo di storia in cui si rievocano le pagine dolorose della battaglia di Orsogna del 1943">> Così lo storico Marco Patricelli, esperto dell'Europa del Novecento e della Seconda guerra mondiale, interpellato sulla richiesta contenuta in una mozione del gruppo di opposizione consiliare del piccolo Comune.
<<in tanta raffazzonata retorica - spiega sempre all'ANSA - non si comprendono né la logica né la motivazione di togliere ciò che esprime esattamente e immediatamente il concetto e la storicizzazione dei fatti. Quella bandiera esprime compiutamente la feroce dittatura hitleriana, l'oppressione e l'occupazione nazista, e tutto ciò che ha rappresentato per Orsogna, per l'Abruzzo e per il mondo. Ed è la bandiera tedesca di allora, dello Stato di allora, che non si può né si deve né censurare né omettere né edulcorare. Non deve farlo certamente un museo, che per sua missione deve rispettare la verità storica, e non può farlo la politica per una distorta percezione del passato e del presente .Sono passati ben 22 anni (correva il 2003) - sottolinea sempre lo storico - da quando Orsogna ricordò, con una solenne e toccante cerimonia alla presenza degli ambasciatori di Germania e Nuova Zelanda, i giorni amari della guerra. Poi più nulla. Per il bene di Orsogna e della storia, amministratori davvero attenti dovrebbero riflettere e interrogarsi su queste omissioni della memoria, invece di coltivare e diffondere modaiole bagatelle da 'cancel culture' . Infatti essa è storia, è un museo ! Tutti hanno diritto di sapere e conoscere, nel bene e nel male. La conoscenza non va mai negata ! qui a differenza delle celebrazioni di Accalarentia e di Sergio ramelli on si tratta di un uso ideologico di tali effigi e simboli . L'ìideologia ormai ha offuscato i cervelli. Robe da non credere. Perchè non cancellare anche sui libri scolastici quel periodo e tutti i libri che descrivono l'ascesa e la rovina di quel regime e suoi alleati ? che richieste assurde , fa parte della storia e se esposto in um museo cosa c'e' di male . Limportante e che non sia usata per esaltare e strumentalizzare tali vecchie ideologie condannate dalla storia .

29.6.25

Il negozio-museo compie un secolo .,La caduta dal ponteggio, 45 minuti a terra prima dei soccorsi: «Sono un miracolato» Gianluca Deiana, 55 anni, nel febbraio 2024 è stato coinvolto in un grave incidente sul lavoro a Cagliari. Il suo racconto

  fonte  unione  sarda 

Il negozio-museo compie un secolo «Abbiamo ancora una clientela fedele, qui si vendono lampadine e si parla del Cagliari»

Ci sono i grandi megastore dell’elettronica, quelli con le smart tv sempre più grandi e mille oggetti dei desideri di cui tanti sembrano non poter fare a meno. E poi c’è questo piccolo negozio con gli scaffali in legno, che odora di antico, con le abat jour vintage esposte a fianco ai ventilatori di ultima generazione, i lampadari che pendono sopra il bancone e, qua e là nelle vetrine, vecchi contatori, misuratori di corrente di varie epoche, una vecchia cassaforte, tracce della storia dell’ultimo secolo.
Un secolo di vita
In effetti quello dei fratelli Roberto, in viale Regina Margherita, è un po’ negozio di elettricità e un po’ museo. E infatti Piero Roberto, 57 anni, che rappresenta orgogliosamente la terza generazione della famiglia, al museo ci sta pensando davvero ora che l’attività ha compiuto un secolo e può vantarsi di essere il più vecchio della città
L’iscrizione al “registro delle ditte”, esposta in una vetrina accanto a tanti pezzi storici, porta la data del
15 giugno 1925. Ad aprire l’attività fu Giovanni Roberto, perito elettrotecnico, secondo di sette fratelli originari del Monferrato, che iniziò a vendere materiale elettrico nell’orologeria aperta in via Barcellona dal padre Domenico, che si era trasferito a Cagliari a fine ‘800 dal Monferrato e nel 1884 aveva realizzato in città una delle prime stazioni telefoniche del Genio militare.Quando  dal Pirmonte arrivarono anche Marco , Antonio e  Pietro    si miseri  in proprio e aprirono il negozio in via Napoli, dove oltre a commerciare materiale elettrico riparavano in esclusiva le radio Philips, una delle marche di cui erano depositari per tutta la Sardegna. L’attività era fiorente tanto che l’azienda arrivò ad avere oltre dieci dipendenti. Negli anni ‘40 si trasferirono in via Sant’Eulalia, dove costruivano impianti elettrici per numerose imprese edili, riparavano motori e facevano manutenzione agli impianti militari tra cui le sirene d’allarme che si attivavano durante le incursioni aeree
Riferimento sicuro
Erano uno dei riferimenti sicuri della città, uno di quei negozi dove si trovava tutto, ma proprio tutto ciò che serviva. Il 4 dicembre del 1942 un aereo cadde sul palazzo dove aveva sede l’attività distruggendo i due piani superiori ma non quello dove aveva sede l’attività. Ma fu solo un segno premonitore perché nel maggio del ‘43 una bomba rase al suolo l’edificio, distruggendolo. La famiglia fu costretta a lasciare tutto e sfollare a Villanovafranca. Quando rientrarono a Cagliari, agli inizi del ‘45, dell’attività non restava più nulla. «Qui non c’è da piangere né da lamentarsi», disse il padre ai figli, «ricordate che i piagnistei e le lamentele non hanno mai risolto niente»
Viale Regina Margherita
Così fu: il negozio fu riaperto in viale Regina Margherita 24, dove ha sede ancora oggi e dove ogni angolo racconta un pezzo di una storia lunga. Piero Roberto lavora dietro quel banco da quando aveva 19 anni e aveva appena finito l’istituto professionale, al Meucci. Assieme a lui ci sono i figli Federica, 29 anni, e Filippo, 23. Resistono, nonostante tutto, forti della loro storia e di un nome che in cento anni non si è mai sporcato. «La grande distribuzione e Amazon ci hanno portato via parte del lavoro ma a penalizzarci di più sono i parcheggi a pagamento», spiega Piero che, fedele all’insegnamento del padre e del nonno, non si lamenta. «Abbiamo una clientela fedele».In questo spazio di fronte a Sa Manifattura c’è una tradizione che si rispetta, qualsiasi cosa accada, e che prescinde da prese elettriche, batterie e applique. «Il lunedì si commenta il risultato del Cagliari. Lo facciamo prima io e Filippo (che mostra orgoglioso un tatuaggio con lo stemma dei rossoblù), poi con i clienti, molti dei quali sono anche amici». Del resto ciò che da un secolo tiene in piedi questa attività è la competenza, certo, ma anche i valori, quelli sani, che trasudano da queste pareti antiche



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La caduta dal ponteggio, 45 minuti a terra prima dei soccorsi: «Sono un miracolato»

Gianluca Deiana, 55 anni, nel febbraio 2024 è stato coinvolto in un grave incidente sul lavoro a Cagliari. Il suo racconto
Gianluca Deiana ed Elisabetta Spano
Gianluca Deiana ed Elisabetta Spano



«Lavoravo come muratore, in un cantiere a Cagliari - racconta - era febbraio del 2024. Il ponteggio lo avevamo già montato da tempo e stavamo sistemando la facciata». Sennonché «in quel momento, mancava poco alle 13, ero solo e ricordo che ho saltato un piccolo gradino, dal balconcino alla pedana per prendere l’attrezzatura e andare via». Dopo è il buio, «non ricordo niente se non che verso le 13.45, dopo avere perso i sensi, ho ripreso conoscenza. Sono rimasto buttato in terra sull’asfalto per 45 minuti. In quell’arco di tempo in strada non è passato nessuno, nemmeno persone a passeggio con il cane. Forse perché era l’ora di pranzo, forse è stata una fatalità, non so». Quando si risveglia arrivano il titolare dell’impresa e un suo collega. «La mia situazione non gli era sembrata grave, non hanno chiamato l’ambulanza ma mi hanno caricato in macchina e mi hanno portato in ospedale al Policlinico. Io c’ero e non c’ero. Ricordo che avevo dolori lancinanti ovunque, avevo capito di essere fratturato».
Le emorragie cerebrali
Prima di entrare in ospedale Deiana resta in auto a lungo. «Fino a quando sono arrivata io», interviene la moglie Elisabetta Spano, «sono entrata di corsa a cercare un medico e ho detto: “Venite perché mio marito sembra Gesù tolto dalla Croce”. Era in condizioni pietose, il volto tumefatto, non riusciva a muoversi. Sono corsi ed erano allibiti che non fosse arrivato in ambulanza. L’hanno portato dentro e sono rimasti con lui otto ore di fila».Le condizioni sono critiche: due emorragie cerebrali frontali, lesioni a entrambe le rotule, frattura del perone, del malleolo e quella del polso «che non potrà recuperare». Da lì il calvario: tre operazioni, la fisioterapia. «Dovrei operare anche la mandibola ma sono in attesa». La fisioterapia l’ha fatta a pagamento: «Mi dovevo rimettere in piedi subito e c’erano liste d’attesa lunghissime». Piano piano la rinascita, «ho capito che mi dovevo rimettere in piedi e ci sono riuscito. Sono un miracolato. E pensare che quella mattina avrei dovuto accompagnare io il titolare a prendere del materiale, invece poi era andato il mio collega».
L’epilogo
E a marzo Elisabetta Spano e Luca Deiana, che fino a sabato scorso era obriere della cappella di via Porcu, si sono sposati. «Quando ero lì in ospedale, nonostante dieci anni di convivenza con Luca io in pratica non ero nessuno - dice Spano - Non mi davano notizie, non potevo decidere niente. Così abbiamo deciso che dovevamo regolarizzare tutto». E ricominciare a vivere.

CANE ABBANDONATO IN SPIAGGIA DIVENTA CUSTODE DELLE TARTARUGHE

 È notte a Miramar, in Messico. Un’auto accosta vicino alla spiaggia. La portiera si apre. Un cane viene spinto fuori a forza. Abbaia, guaisce. I suoi lamenti si perdono nel buio, mentre l’auto riparte. Fredda, dura. Il cane le corre dietro per un tratto. Poi si ferma smarrito, si guarda intorno, annusa l’aria. Un profumo, un rumore, qualcosa lo riporta verso spiaggia. Si accuccia nella sabbia e si addormenta.
Quando il sole sorge il cane è ancora lì. Circondato però da alcune tartarughe. Le annusa, prova a giocare colpendole con le zampe. Le tartarughe battono in ritirata nel guscio. Di tanto in tanto allungano la testolina, danno una sbirciata, qualcuna si fa coraggio e avanza verso l’acqua. Il cane le segue. Non abbaia, non le disturba. Le guarda immergersi fino a scomparire.
Intanto la spiaggia inizia ad animarsi. I bambini accarezzano quel cane sbucato dal nulla, gli danno qualcosa da mangiare. Dei volontari provano a portarlo via, in un posto sicuro. Ma il cane torna sempre su quella spiaggia. Dalle tartarughe. Allontana chi dà loro fastidio. Le difende dai predatori. Resta accucciato, in disparte e in allerta, mentre le uova si schiudono e le piccole tartarughine iniziano la loro corsa verso l’oceano. Il cane le scorta lungo tutto il percorso. E guai a chi osa avvicinarsi. Si assicura che i piccoli animaletti arrivino sani e salvi tra le onde. Di giorno in giorno, le persone che frequentano il posto assistono incredule al nascere di quell’insolita amicizia. Chiamano il cane Solovino, fanno in modo che abbia cibo, acqua, coccole. Il necessario per vivere, senza allontanarsi dalla sua nuova casa. Oggi Solovino ha una famiglia che si prende cura di lui. Proprio come lui continua a custodire le tartarughe della spiaggia di Miramar. Per tutti gli abitanti è un simbolo di rinascita, un paladino dell’ambiente. Il cane abbandonato, protettore dei più deboli. Un’altra meraviglia della natura.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...