Cercando , in un cd di backup, delle foto delle nostre piante , ho trovato anzi ritrovato questo intervento ( non ricordo se un associazione culturale o qualche intwervento sui quotidiani locali o sul giornale della diocesi ) . Lo reputo anche se di qualche anno fa ancora più attuale che mai . Non riuscendo a rintracciare gli autori per avere l'autorizzazione ( 'sto c... di legge sulla privacy ) lo riporto qui , ma sono pronto a rimuoverlo se essi me lo chiederanno
Siamo due artisti e insegnanti, di “Arte e immagine” Galluresi,
della scuola secondaria di primo grado; i quali si stanno chiedendo da qualche
tempo a questa parte per quale motivo i cittadini di Tempio Pausania, sono o
no! consapevoli, di avere nella propria città, un preziosissimo scrigno ( La
Stazione Ferroviaria ), contenente cinque
preziosi gioielli (cinque tele di grandi dimensioni di Giuseppe Biasi ) .
Se non salvaguardate, protette,
difese, restaurate; questi preziosi “gioielli” potrebbero essere “trafugati” o
nella migliore o peggiore delle ipotesi ( dipende dal punto di vista )
portati in altri luoghi, della Sardegna
o del Continente; perdendo così una opportunità di richiamo culturale e
turistico, da non trascurare o minimizzare, come del resto l’atteggiamento
degli organi preposti alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico
locale, hanno sino ad oggi “scandalosamente” fatto.
La stupenda stazione ferroviaria,
costruita in stile Liberty, al centro
del paese, si presterebbe ora più che mai, (se non vi sarà subito un intervento
di restauro e degli interventi mirati per far si che queste opere siano
acquisite dal Comune) ad essere adibita a centro culturale per dibattiti, per
riunioni, o a Pinacoteca – Museo.
Questi bellissimi capolavori
(l’architettura e le opere pittoriche) saranno inesorabilmente destinati ad
essere persi, se l’opinione pubblica non si mobiliterà per far schiodare dalle
loro poltrone chi di dovere, a prendere delle sagge decisioni.
Già da decine d’anni
nell’ingresso della Stazione ferroviaria, si trovano cinque tele di grandi
dimensioni di Giuseppe Biasi, letteralmente abbandonate alla polvere, alle
correnti d’aria, ai gas di scarico dei pulman ed automobili e dei ormai rari treni di passaggio,
ai vandali (tempo fa hanno cercato di rubarle), una è stata portata a Sassari
con la scusa che doveva essere restaurata, se ne sono perse le tracce.
Il critico d’arte Vittorio
Sgarbi, quando venne a Tempio, vedendo queste opere disse che qualsiasi museo avrebbe fatto carte
false per poterle avere.
Non a caso nel 2001 a Roma, nel Complesso
del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali) dal 2 ottobre al 4
novembre. La casa editrice: “Ilisso” ( 1 ) organizzava la mostra antologica
dell’artista Sardo ottenendo un enorme successo sia di critica che di pubblico.
I sottoscritti, già nell’ottobre
del 1998, sulla rivista “Beta”(2) denunciavano
questo scempio, all’opinione pubblica locale, senza però ottenere alcun risultato. E pensare che i Comuni
interni della Sardegna si stanno inventando qualunque cosa per attirare
i turisti dalle coste vacanziere.
Tempio ha un patrimonio culturale invidiabile da chiunque e non lo sa sfruttare? Perché?
Chi era Giuseppe Biasi?
Personaggio
di spicco nel panorama artistico sardo della prima metà del XX secolo, Giuseppe
Biasi riuscì a inserire la Sardegna nel quadro culturale della modernità
europea, emancipandosi dalle tendenze nazionali dominanti in quegli anni. La
grandezza dell’artista, scoperta peraltro non molti anni fa, risiede nella
capacità di rinnovare gli eleganti impulsi stilistici centroeuropei
(soprattutto l’arte secessionista di Klimt), piegandoli alla realtà arcaica
della sua terra natia. Biasi proviene da una famiglia della borghesia
intellettuale.
Nasce nel 1885 a Sassari e non frequenta scuole artistiche perché in Sardegna
non ci sono e, pertanto, si forma da solo, guardando all’illustrazione e alla
cartellonistica. Nel 1905 esordisce sull’Avanti della Domenica,
settimanale romano. Dal 1907 al 1910 lavora e si afferma come illustratore
nella raffinata rivista fiorentina Il giornalino della Domenica,
dedicata ai bambini e diretta da Wamba. Le copertine e le tavole, pubblicate
sul settimanale, hanno come tema principale la vita popolare sarda e si
connotano per un originale stile geometrizzante, asciutto e sintetico,
influenzato dalla Secessione Viennese.Queste sue illustrazioni – scriveva Grazia Deledda nel 1909 – mi fanno una grande impressione: più di ammirarle io le sento, e mi sembrano perfette, per l’animo, per il colore locale che le rende vive e palpitanti”. Il rapporto professionale con il Premio Nobel – testimoniato dalle illustrazioni realizzate per i suoi racconti e per i romanzi, dal 1909 al 1917 “ si allaccia a quello che l’artista di Sassari intrattenne con lo scultore Francesco Ciusa o con il pittore Filippo Figari, ovvero i protagonisti di quella stagione dell’arte sarda nella prima metà del ‘900, che hanno mostrato come sia possibile aderire al moderno scendendo nel profondo della (propria) cultura popolare.
Le strette collaborazioni con gli
intellettuali del tempo aprono al giovane Biasi le porte dei periodici a grande
diffusione, come La lettura e L’illustrazione italiana. Nel 1907 cominciano i primi viaggi dell’artista alla
scoperta della sua terra: la Sardegna. Il mondo rurale sardo viene visto da
Biasi come un miraggio primitivo. Nel 1916, congedato dopo una ferita riporta
al fronte, si trasferisce a Milano. Un anno più tardi organizza la Mostra
Sarda, presso il Palazzo Cova, che suscita grande attenzione da parte della
critica. Alla fine degli anni Dieci, Biasi appare influenzato da Velazquez e
Goya: in quadri come Processioni del Cristo e Teresita, la
tavolozza si fa infatti più calda e la stesura del colore è più densa. I temi
(matrimoni e feste campestri) rimangono gli stessi. La vita contadina continua
ad essere rappresentata, ma in maniera evocativa: Biasi, lontano dalla sua
Sardegna, la dipinge basandosi sulle immagini scaturite dai suoi ricordi. Il
periodo milanese di Biasi si conclude, nel 1919, con la decorazione del bar
nell’Hotel Villa Serbelloni a Bellagio: si tratta di quattro tele incentrate
sul tema “L’amore in Sardegna”.
Dopo la commissione del ciclo pittorico, la fortuna di Biasi comincia a declinare. Influenzato dal pittore Aroldo Bonzaghi, l’artista affronta nuovi temi: dipinge suonatori ambulanti, serenate notturne.
Nell’olio Quartetto, ad esempio,
si nota l’abbandono delle tinte smaglianti e la ricchezza decorativa; la
tavolozza abbandona le tinte calde e diventa cupa, quasi monocroma. Dal 1923 al
1927 Biasi vive nel Nord Africa, dividendosi tra la Tripolitania, la Cirenaica
e l’Egitto. La realtà africana, rappresentata attraverso piccole tempere,
disegni, studi dal vero, è per Biasi specchio di desideri e fantasie. Realizza
diversi nudi, in prevalenza femminili. Se la donna sarda era “diversa” sul
piano sessuale e sociale, la donna africana lo è anche su quello di razza. La
prima, simbolo dell’identità sarda, quasi sempre raffigurata da Biasi
adolescente e chiusa nel severo abito tradizionale, trasmette sensualità
attraverso i gesti e gli sguardi. La seconda, lontana dai preconcetti, esprime
maggiore erotismo.
La donna occupa una posizione preminente nell’arte di Biasi.
L’uomo, al contrario, riveste un ruolo secondario, e spesso appare di spalle. I
ritratti maschili sono rari e per lo più realizzati su commissione. Nel 1927
Biasi si stabilisce in Sardegna, ma ormai lontano dai ritmi decorativi del
liberty e tutto immerso in una nuova interpretazione della sua gente, tra un
nuovo naturalismo e un accentuato realismo espressionista. In netto contrasto
col classicismo novecentista, espone due nudi alla Biennale di Venezia del
1928, accolti freddamente dalla maggior parte: la critica ne condanna il
folklorismo e il decorativismo. Nel 1935, contro l’arte del regime, pubblica
violenti pamphlet contro la gestione delle Quadriennali romane. L’attività
artistica di Giuseppe Biasi si conclude con la sua morte ad Adorno Micca nel
1945. Le sue tele, al di là dei soggetti affrontati, dimostrano che si può
stare al centro dell’arte pur non rientrando nei grandi circuiti culturali o
delle avanguardie.
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cliccare sopra per ingrandirla non potevo metterla più grande mi si sballava il template |
Primo pittore
moderno in una Sardegna che all’inizio del Novecento lottava per liberarsi da
una lunga storia di soggezione coloniale o semicoloniale, Giuseppe Biasi
(Sassari 1885-Andorno Micca 1945) ha dedicato i tre quarti della sua opera a
rappresentare la propria terra. Questo non fa però di lui uno dei tanti pittori
regionalisti di cui abbonda l’arte italiana a cavallo di secolo.
Biasi non è uno sfruttatore
del folklore a buon mercato, ma l’inventore di una tradizione: se una
scrittrice come Grazia Deledda aveva raccontato la Sardegna, Biasi per
la prima volta ne ha costruito l’immagine. Quella che era agli occhi
dell’Italia un’isola arretrata e miserabile, infestata dalla malaria e dai
banditi, diventa un Eden primitivo,
immune dai guasti della civiltà e del progresso. Attraverso un vero e proprio
rovesciamento di valori, Biasi trova nella cultura popolare le radici di
un’identità sarda che gli intellettuali della sua generazione si sforzavano
affannosamente di definire.
Populista e
aristocratico, avvezzo alla mondanità più elegante e però perfettamente a suo
agio tra i pastori, nella solitudine degli stazzi; nutrito di aggiornata
cultura internazionale ma incrollabilmente fiero delle proprie radici; ironico,
disincantato, e insieme profondamente intriso di romanticismo; fortemente
individualista, ma pronto ad assumere con coraggio il peso di situazioni
collettive; scettico e disilluso, ma ugualmente impegnato a cercare nell'arte
"la buona volontà dell'illusione"; persuaso di non poter
"abbracciare alcun partito né arruolarsi in alcun esercito",
insofferente del clima della dittatura fascista, eppure capace di schierarsi -
quando niente lo richiedeva, e per motivi esclusivamente ideali - con il
fascismo nella sua ora estrema, quella della Repubblica Sociale: questo è
Biasi, pittore e uomo.
Irrazionalismo,
pessimismo, nichilismo, pensiero antiborghese, ma anche antidemocratico –
elementi su cui si fonda la sua cultura – ne fanno un singolare fascio di
contraddizioni e una personalità eccentrica e originale nel quadro dell’arte
italiana del primo Novecento.
In Sardegna esistono così poche
opere d’arte e quelle che ci sono vengono maltrattate, abbandonate snobbate .
Salviamo queste opere. Ci
rivolgiamo a tutti gli intellettuali, agli animi sensibili, a tutti coloro che
credono nelle belle cose, fermiamo con una firma questo ennesimo oltraggio alla
Nostra cultura.
Nuccio Leoni e Giorgina Fenu
Note
1) casa editrice sarda che organizza anche manifestazioni culturali ed artistiche
http://www.ilisso.it/ ( portale generale ) e qui per i libri
http://www.ilisso.it/series/
2) vecchia , ormai chiusa RIVISTA TRIMESTRALE del DISTRETTO SCOLASTICO N.3 di Tempio Pausania