8.10.22

Figli di guerra e di madre ucraina: Emma ed Elia intrappolati a Tblisi . APOLIDI I GEMELLINI DELLA MATERNITA' SURROGATA NON HANNO DIRITTI IN GEORGIA

 


Premetto  che  pur  essendo   contro la matrernità  surrogata  ( utero  in affitto  come  la  chamano   molti dettratori   ed  oppositori di tale pratica  ) soprattutto  quando  essa sconfina   nel lucro e nella mercificazione  \  sfruttamento  ,  sono del parere  che  vada   , parlo soprattutto del nostro paese,regolamentata  come  lo  è stato per  l'aborto negli anni   70 , per  evitare     d'aggiungere  sofferenza   a  sofferenza   ed  si abbiano dei  casi dolorosi   come  quello  riportato  sotto  . Ma soprattutto   rendere   chiaro  cosa è permesso   e cosa  no in quanto  c'è  una ella  differenza tra  gravidanza  per altri   e maternità  surrogata \  utero  in affitto  , 


soprattutto  quando  essa sconfina   nel lucro e nella mercificazione  \  sfruttamento 
,  sono del parere  che  vada   , parlo soprattutto del nostro paese,regolamentata  come  lo  è stato per  l'aborto negli anni   70 , per  evitare     d'aggiungere  sofferenza   a  sofferenza   ed  si abbiano dei  casi dolorosi   come  quello  riportato  sotto  . Ma soprattutto   rendere   chiaro  cosa è permesso   e cosa  no in quanto  c'è  una ella  differenza tra  gravidanza  per altri   e maternità  surrogata \  utero  in affitto  , 

N.b
  Pongo sotto  questo post  dei link per tutti /e coloro  volessero farsi un idea o volessero ( o almeno provarci ) indiscussione la propria idea su tale argomento etico /morale


Figli di guerra e di madre ucraina: Emma ed Elia intrappolati a Tblisi

Elia ed Emma sono due gemellini nati a Tblisi, in Georgia, da una madre surrogata ucraina nel maggio scorso: oggi sono apolidi, senza diritti e “senza genitori”. Per una ragnatela di cavilli giudiziari, il tribunale georgiano si rifiuta di riconoscere la potestà dei due genitori italiani, Laura Z. ed Edoardo S., e
di rilasciare loro l’atto di nascita dei gemellini per farli rientrare in Italia. “Da maggio non sappiamo come lasciare questo Paese, ci sentiamo completamente abbandonati dalle autorità”. Quando racconta la sua storia – e la sua guerra – Laura, 35 anni, non cede mai alla disperazione: di battaglie ne ha combattute, fino a qui, già tante. Come in una matrioska dentro l’altra, si porta sulle spalle anni di lotte per diventare madre, a causa di una malattia invalidante. Per la procreazione assistita, le hanno detto che non c’era speranza. Per l’adozione, anche: per le sue condizioni di salute, “ha un’aspettativa di vita troppo bassa”. Invalida al 70%, insieme al marito Edoardo, 32 anni, decidono di ricorrere alla maternità surrogata in Ucraina. Nel 2020, durante la pandemia, si rivolgono alla società Gestlife – sede amministrativa in Spagna – che individua la madre naturale e la mette in contatto con loro. Costo: 80 mila euro. Circa un anno dopo, Marina, la ragazza ucraina, è incinta, ma quando scoppia la guerra è costretta a nascondersi nei bunker di Dnipro col suo figlio di 6 anni. “Per tutelarli abbiamo pagato per il loro trasferimento a Tblisi, l’agenzia ci aveva assicurato che la legislazione era identica a quella di Kiev”, racconta Laura. Ma non era vero: nell’approdo georgiano, i gemelli sono rimasti ingabbiati in un kafkiano processo che non riconosce ai minori di 4 mesi né patria, né genitori. “Kafkiano è pure l’atteggiamento delle autorità georgiane che non riconoscono il rapporto biologico tra i gemelli ed Edoardo, confermato dal test del Dna”, spiega l’avvocato della coppia, Giorgio Muccio. La maternità surrogata “è stata effettuata dai coniugi nel rispetto della legge ucraina, che prevede che la coppia sia sposata, che uno dei due fornisca materiale biologico, e che si faccia per ragioni sanitarie: la legge georgiana è identica, ma prevede che chi dona gli ovociti non sia anonimo, come invece accade in Ucraina”, continua Muccio.

Per colpa quindi di un codice – quello con cui è registrata la donatrice a Kiev, che invece per la Georgia deve essere identificata con nome e cognome – e per colpa della discrepanza tra sistemi legislativi, Tblisi non rilascia l’atto di nascita dei bambini. L’ambasciata italiana in Georgia “non ha potere sulle autorità georgiane” continua Muccio. I neonati, figli biologici di Edoardo, “per ius saguinis hanno diritto di rientrare in Italia. La Georgia sta violando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo” conclude l’avvocato.

Dal 23 maggio scorso, quando i gemelli sono venuti al mondo prematuri, l’unica prova della loro esistenza è il documento provvisorio rilasciato dall’ospedale di Tblisi. Quindi non hanno cittadinanza né ufficialmente dei genitori, ma i servizi sociali georgiani gli hanno dato – nonostante non esistano certificati – il cognome di Edoardo. A Laura poi sono stati affidati “sulla fiducia”. Da quel giorno le lancette sono state sospese e la partenza verso l’italia è stata rinviata in un perenne presente di sacrifici in un Paese straniero. Durante l’ultima udienza, il giudice è stato pilatesco: “Ha analizzato il caso solo per riferire che lui non è la figura giusta per occualtro parsene. E quindi, ora?” racconta sbigottito Edoardo. Il loro avvocato ha proposto ai due ragazzi di rientrare in Italia “per far riconoscere la paternità dagli ufficiali italiani, nell’interesse superiore del minore, come prevede l’articolo 3 della Convezione dei diritti del fanciullo”.

In uno dei faldoni di uno degli uffici dell’anagrafe georgiana rimane il destino di Elia ed Emma, ma anche quello dei genitori. Dentro la voce di Laura rimangono invece mesi di giochi a nascondino a cui l’hanno sottoposta i tribunali georgiani e la Gestlife. Presto si troverà davanti a un bivio crudele: “Scegliere tra abbandonare i miei figli qui e tornare a casa per curarmi”. In Italia, dove hanno lasciato le loro vite sospese, hanno entrambi un lavoro: lei in aspettativa, lui invece a rischio licenziamento perché è in Georgia. Relegati nel cono d’ombra come tutti gli apolidi, intanto i gemelli non hanno diritti. Una sera Elia ha avuto difficoltà respiratorie, ma l’ospedale di Tblisi ha blindato i suoi reparti. “Ci hanno detto che senza atto di nascita o un documento che certifichi che noi siamo genitori i dottori nemmeno potevano guardarlo”.

A Lodi, nella stanza dei gemelli, culle e seggioloni sono già pronti per accoglierli. Da perniciosa, la situazione potrebbe diventare irreparabile. Rimane poco tempo: “Tra due mesi i bambini verranno considerati georgiani, potranno portarceli via”, dice Edoardo. A Tblisi, racconta, il cielo è sempre più grigio ed è già arrivato il freddo, quello che spirerà presto fino a quaggiù, nella patria lontana di Emma ed Elia.


approfondimenti 

  • invitra.it Gestazione surrogata o Utero in affitto: Definizione, Tipi ed indicazioni 
  • GPA: cos‘è e come funziona davvero - Elzevirus
  • Utero in affitto o Maternità Surrogata? L´importanza delle parole 
  • https://www.vanityfair.it/news/italia/16/02/27/cosa-e-utero-in-affitto



  • 7.10.22

    Altro che Google Maps e Gps, a Torino le mappe si fanno ancora a mano: "Così disegniamo l'Italia"



    Al tempo di Google Maps e di tutte le altre app di navigazione Gps dove perfino il TomTom sembra già un oggetto relegato al passato, c'è ancora qualcuno che si avvale delle vetuste mappe geografiche? La risposta è sì, ma c'è di più: qualcuno le realizza ancora a mano. Parliamo dell'Istituto Geografico

    Centrale (IGC) di Torino, una piccola casa editrice ancora legato al metodo tradizionale di disegno e correzione delle carte. "Pensiamo che, nonostante le nuove tecnologie, la maniera classica sia ancora la migliore e la più apprezzata da chi fa uso delle mappe" racconta Giovanni Francesco Pavanello che con la moglie Erica si occupa del delicato processo di disegno e correzione. 



    "I nostri collaboratori - che sono perlopiù guardiaparchi, guide alpine, comuni e il Cai - ci forniscono le correzioni da apportare e noi in maniera minuziosa mettiamo mano alle pellicole che andranno poi a comporre la mappa finale".Gli aggiornamenti sono all'ordine del giorno tra nuove strade, modifiche agli spazi urbani e costruzione di edifici. Ma non è solo l'opera dell'uomo ad essere registrata dall'IGC: "Purtroppo dobbiamo spesso mettere mano alle pellicole blu che sono quelle che riguardano i fiumi, i laghi e,soprattutto, i ghiacciai - racconta Pavanello -. I nostri collaboratori ci mandano in continuazione le tracce di dove il ghiaccio si è ritirato e noi dobbiamo inserire sulla mappa le pietraie grigie al posto del bianco".

    La (non) scelta di Martina, “costretta” alla sepoltura dell’embrione dopo l’aborto spontaneo

     A  differenza  di   altri post     proverò ad non     di  introdurre   il  post   con miei   commenti  \ opinioni  , non   per autoncesura  ,  ma perchè su certi  argomenti  mi  sembra  più giusto ed  naturale  che  a  parlarne  siano  le dirette  interessate     che portano il peso   e  le  sofferenze  di  tale problema. L'unica cosa che mi sento di dire a quanto riportato da lei è tale scelta dev'essere libera e facoltativa  e non  forzata /imposta e quindi irrispettosa verso chi ha un lutto così grave e vuole interiorizzarlo in maniera diversa dalle convenzioni
    Visto  l'argomento  eticamente    delicato        consiglio questi  bellissimo  articolo      del  sito

    https://www.fanpage.it/ 6 OTTOBRE 2022 12:54

     A cura di Elia Cavarzan

    Martina è un’insegnante vicentina che è stata ricoverata in ospedale a causa di un aborto spontaneo. Una legge regionale a firma dell’assessore Elena Donazzan prevede la sepoltura in ogni caso del “prodotto abortivo”. Martina è una donna che avrebbe voluto fare una scelta: quella di non seppellire l'embrione che portava in grembo. Ma che invece si è vista costretta a farlo. Una legge in Veneto, infatti, prevede che il "prodotto abortivo" sotto le 28 settimane, sia sepolto in ogni caso. Martina ha deciso di raccontare la sua esperienza, di quella che come racconta a Fanpage.it ha vissuto come una "violenza".
      Martina è una donna che avrebbe voluto fare una scelta: quella di non seppellire l'embrione che portava in grembo. Ma che invece si è vista "costretta" a farlo. Una legge in Veneto, infatti, prevede che il "prodotto abortivo" sotto le 28 settimane, sia sepolto in ogni caso.


    La legge regionale dice che: "Nel caso in cui il genitore o i genitori non provvedano o non lo richiedano, l’inumazione, la tumulazione o la cremazione è disposta, a spese dell’azienda Ulss, in una specifica area cimiteriale dedicata o nel campo di sepoltura dei bambini del territorio comunale in cui è ubicata la struttura sanitaria".
    Martina ha avuto il coraggio di raccontare la sua esperienza a Fanpage.it: "Ho avuto un aborto spontaneo a luglio di quest'anno ed è successo che il materiale abortivo, per prassi legittimata da una legge regionale, sia finito in forma anonima nel Giardino degli Angeli predisposto all'interno del cimitero Maggiore di Vicenza".
    I medici della struttura ospedaliera dove la donna ha effettuato il raschiamento le hanno sottoposto un documento "per il consenso informato – racconta –  in cui appunto davo il mio consenso alla gestione postuma del materiale abortivo", spiega Martina dopo aver comunque ribadito la professionalità e la preparazione del personale sanitario che l'ha seguita in quei delicati momenti. "Mi è stato chiesto di firmare per aver letto per presa visione e poi fare una scelta – spiega a Fanpage.it – rispetto al seppellimento del materiale abortivo". La scelta consiste nel rivolgersi a un'agenzia funeraria a spese proprie, oppure delegare l'Ulss per lo smaltimento del "prodotto abortivo" che verrà poi tumulato in apposite aree cimiteriali.
    L'intera vicenda l'ha scossa fin da subito, portandola a rivolgersi alle realtà e alle associazioni del territorio per fare chiarezza e sensibilizzare sul tema affinché tutto questo possa cambiare: "Mi fa strano immaginare che una parte di me si trovi in un cimitero. Non avrei voluto questo. Penso che ogni donnaabbia il diritto di scegliere sul destino del materiale abortivo, cattolica, atea, musulmana che sia. Io sono una credente non praticante. Non mi permetterei mai di giudicare una cattolica che decide di seppellire un feto, ma neanche imporrei a una musulmana di veder tumulato il suo feto in un cimitero cristiano".
    Marta Lovato, dell'Assemblea Transfemminista di Vicenza Baba Jaga, ha sostenuto Martina in queste settimane: "La segnalazione di Martina è la segnalazione che ci hanno fatto tantissime altre ragazze che per aborto spontaneo o volontario si sono trovate a fare i conti con questa legge, che delegittima il diritto di scelta delle donne in tema di smaltimento del materiale abortivo. In questi casi, la donna può scegliere di tumulare a spese proprie il feto rivolgendosi a un'agenzia funeraria, oppure di delegare l'ospedale allo smaltimento che secondo il procedimento regionale dovrà tumulare il feto, o l'embrione, all'interno del giardino degli angeli.
     Le donne devono essere libere di scegliere".

    6.10.22

    La scelta di Andrea Pezzi e la normalità del maschio capace di tenerezza

    Questa è la storia di Cristiana Capotondi e Andrea Pezzi che, da personaggi pubblici, hanno deciso di raccontarla all'Ansa. Lei esprime "infinita gratitudine", lui "tutta la mia ammirazione e la mia stima". E vissero tutti separati e contenti. Non li conosciamo personalmente al di fuori dai media e della rete, dove al 90% de casi , la vita delle celebrità è filtrata attraverso potenti occhiali rosa che ci mostrano fulgidi contorni, celando la complessità della sostanza. Nell'ignoranza delle retrovie, plaudiamo a una condotta esemplare. "Wow, che uomo straordinario!" esclamiamo d'istinto, rassegnati e inchiodati alla figurina del maschio-mostro, l'inseminatore tronfio, possessivo e protervo, che divide le ex tra carogne e poco di
    buono, destinate all'oblio, se non all'eterno rancore.Ecco quindi che Storie come quella di andrea pezzi e della capotondi dovrebbero essere la normalità a cui dobbiamo rivolgerci e a cui dobbiamo abituarci. Non bisogna applaudirli quando fanno il loro dovere perché smetteranno di considerarlo tale ed si sentano obbligati a farlo .  Ci deve essere gratitudine per averci mostrato la strada dritta dell'amicizia e della correttezza  ed  essere  riuscitoa mettere  da parte   in  proprio orgoglio ferto  .
    Soprattutto in un periodo in cui ci sono ancora femminicidi e violenza genere \ domestica ( vdere ost precedente , il mondo si sta popolando di creature così. Uomini che hanno imparato l'alfabeto emotivo e la grammatica per usarla, che misurano il carico mentale femminile e lo condividono, che scelgono di fare un passo indietro, che si spogliano dell'armatura, che praticano la tenerezza senza vergognarsene, che hanno imparato a dirsi fragili, sbagliati, imperfetti, che sanno dare e chiedere aiuto. Non c'è eroismo in loro. C'è solo la liberatoria scoperta della propria fallibilità. Non compiono imprese eccezionali, nemmeno quando qualcuno tra la folla si confonde ed esclama "Wow! Che uomo straordinario".Infatti concordo con quanti dice i Silvia Fumarola su repubblica 05 Ottobre 2022  ( qui l'articolo completo


    voglio pensare che la normalità stia nella scelta non eroica né virile ma semplicemente umana di stare vicino alla propria ex compagna che chiede aiuto. La normalità deve stare nei quotidiani gesti di affetto, di amicizia e di rispetto, di cui gli uomini, come le donne, devono essere capaci.
    Voglio dare fiducia a una generazione di maschi capaci di assumersi le proprie responsabilità, di liberarsi da stereotipi tossici, di non somigliare a nessuno se non a se stessi.


    Comunque è un evento eccezionale visto che  come ricorda  anche   l'articolo prima citato Qualche giorno fa un altro lui, tale Mario Franchini, si è accanito a calci e pugni contro la figlia della sua compagna che era al lavoro. La bambina ha nove mesi. In effetti, se guardiamo dal lato dei Franchini, tra le fila degli uomini che scelgono ( perché la violenza è sempre una scelta, non un accidente o un'insopprimibile tara ) di vessare, intimidire, maltrattare, ammazzare le partner o i loro bambini, Andrea Pezzi è un'irreale, psichedelica eccezione. Se guardiamo dal lato delle donne, una ogni tre giorni, uccise da un maschio (può dirsi uomo chi lo fa?), senza dubbio una Cristiana Capotondi che attraversa la gravidanza per mano al suo ex, abita il mondo fantastico dei cartoni animati edificanti o  di certa  letteratura rosa  o feuilleton  d'appendice   . Non so, al suo posto, se ne sarei stato capace. Non lo so davvero. Bisogna trovarcisi in una situazione così per sapere, per capire.
    Di sicuro ci vuole una enorme maturità, consapevolezza ed empatia per dare una parte così grande di sé a un’altra persona senza chiedere nulla in cambio ma  soprattutto  a mettere  da  parte   il  proprio orgoglio  e  il ropri  . Si chiama anche amore, ma non è scontato, e non è per tutti.




    disparita di trattamento sulla gestione dei figli in caso di violenza di genere . i fatti di Roncadelle - di Patrizia Cadau

    COLONNA SONORA

     A Roncadelle, un bambino di quattro anni costretto dalla legge e dagli assistenti sociali ad incontrare il padre che aveva già aggredito la madre, è stato sequestrato ieri dal padre mostro, che si è barricato con lui in casa, dopo essere scappato alla fine di un incontro protetto.Quindi, viviamo in un paese dove la violenza domestica denunciata da una madre vale come una banconota del Monopoli, e un padre, legittimato da una legge oscena è "comunque" il padre padrone e a nulla vale l'interesse di un minore.È stato il bambino a telefonare alle forze dell'ordine per dire che al momento sta bene.Al momento: perché ancora è sequestrato dal padre e sono in corso le trattative per "liberarlo".Queste le conseguenze estreme dell'indifferenza con cui noi donne veniamo prese in considerazione, ma soprattutto le conseguenze di una legge che nega la violenza e consente agli uomini violenti l'impunità, la sfrontatezza di sentirsi al di sopra di tutto e tutti, la persuasione di poter disporre della gente di casa come si vuole.Se una donna denuncia violenza in famiglia, per quale ragione non viene mai creduta, nonostante l'evidenza (l'uomo in questo caso aveva aggredito anche l'avvocata dell'ex moglie), perché non si mettono in protezione almeno i bambini anzi, li si costringe a passare tempo con questi padri di merda, violenti ? Ma allora ditecelo che dobbiamo morire, ditecelo prima che tanto non abbiamo speranza, che è tutto inutile, perché avete deciso che questo sistema deve funzionare così.Nei secoli.



    Edit
    Il bambino è stato liberato pochi minuti fa

    5.10.22

    i ragazzi della Nazionale italiana di basket con sindrome di Down si sono laureati campioni del mondo.Per la terza volta consecutiva

    Una bellissima notizia, che fa onore ai ragazzi che hanno raggiunto questo importante traguardo. Siamo
    ORGOGLIOSI che ,per la terza volta, siano riusciti ad imporsi sugli altri partecipanti. 🏆💐💟

      di tre  giorni  fa  la  notizia     che  a Madeira (Portogallo), gli straordinari ragazzi della Nazionale di basket con sindrome di Down si sono laureati campioni del mondo.Per la terza volta consecutiva.E, in mezzo, già che c’erano, si sono laureati anche campioni d’Europa.Segnatevi i loro nomi, uno dopo l’altro, in rigoroso ordine alfabetico: Alex Cesca, Alessandro Greco, Francesco Leocata, Davide Paulis, Lorenzo Puliga, Fabio Tomao e l’unica ragazza, Chiara Vingione. Ct. Giuliano Bufacchi.Questo scatto è un’autentica meraviglia. Difficile trovare una definizione più semplice della parola bellezza.

    4.10.22

    quando la vita e la morte sono legate ad un messaggio automatico ed ad un algoritmo - il caso Sebastian Galassi, il rider fiorentino di 26 anni licenziato nonostante sia morto

    repubblica   

    Firenze, l'amarezza dei familiari del rider morto: "Lo hanno 'licenziato' dopo il decesso"






    "Non ci sono parole, lo hanno licenziato". C'è amarezza tra i familiari di Sebastian Galassi,
    il rider fiorentino di 26 anni morto per le conseguenze di un incidente durante il turno di consegne, sabato sera in zona Rovezzano, alla periferia di Firenze. Un'altra ferita, racconta la zia Mirella Bilenchi, si è aperta tra le persone più care di Sebastian. Tutto colpa di una paradossale mail inviata ieri mattina da Glovo sulla casella postale del giovane rider: un testo "standard", in cui si annuncia di fatto il licenziamento "per il mancato rispetto di termini e condizioni".

    In serata l'azienda ha contattato la donna, così come il padre di Sebastian, per fare le condoglianze e scusarsi, parlando di un testo "inviato per errore", dicono da Glovo: "Il suo account è stato sospeso per proteggere l'identità del suo profilo e quel messaggio è partito in automatico - viene spiegato - Siamo profondamente dispiaciuti e ci scusiamo per l'accaduto". Ai familiari resta forte l'amarezza per quel messaggio gelido, per quelle poche righe arrivate a poco più di ventiquattro ore dalla notizia della morte. "Si sono scusati e hanno promesso di inviare un contributo per le spese del funerale" spiega ancora Mirella Bilenchi.Il padre, Riccardo, tiene per prima cosa al ricordo del figlio, della sua figura gentile: "Un ragazzo serio, che amava tutto quello che faceva e che si voleva realizzare, anche lavorando - racconta - Ci mancherà tantissimo". Ci accoglie nella casa del fratello, a Coverciano. Ha gli occhi segnati dopo una notte a scalciare pensieri come pietre. E la voce bassa, appiattita dal dolore. "Il primo pensiero è per suo fratello gemello Jonathan, erano legatissimi, sarà molto dura per lui. Ora è in camera a riposare, è distrutto". Il telefono non smette di squillare. Riccardo, avvocato civilista in pensione, risponde con lo stesso tono ad amici e conoscenti. È stanco, stanchissimo, ma c'è tanto da fare. "Vogliamo capire che cosa è successo, se ci sono state responsabilità, vogliamo sapere", dice sull'incidente, su quel violentissimo scontro con il Suv sul lungarno De Nicola.Non c'è rancore nelle sue parole, neanche quando racconta del doppio lavoro del figlio, dei suoi viaggi in lungo e in largo per la città a consegnare cibo a domicilio, tutto per rendersi autonomo e non pesare sul bilancio familiare. "Non si sentiva oppresso, aveva iniziato un corso di design e quei soldi extra gli facevano comodo per la retta - racconta ancora - Ero contento che facesse quel lavoretto, alleggeriva anche me che sono pensionato".

    È il nipote, che siede davanti a lui e non lo perde di vista un secondo, a lanciare il sasso: "Lavorava la sera e durante i festivi per guadagnare di più, perché altrimenti la paga sarebbe stata da fame". "Seicento euro al massimo - aggiunge il padre - oltre quella soglia cambia il regime fiscale e si finisce per lavorare di più e guadagnare di meno".L'idea che Sebastian possa diventare simbolo delle ingiustizie subite dai "nuovi" lavoratori, e in particolare dai rider, non lo convice. "L'immagine del lavoratore sfruttato non lo rappresenta, era contento di rendersi autonomo e io approvavo quella scelta. Questo affetto però ci aiuta, non ci fa sentire soli".Sebastian, racconta, aveva il sogno di affermarsi come grafico e per questo, dopo aver rinunciato alla laurea, si era iscritto a un corso di grafich design. Le sue giornate trascorrevano tra qualche lavoro saltuario come grafico, le partite di calcetto, e le consegne per Glovo. "Era molto preso dalla fidanzata, Valentina, con gli amici di lei si era creata molta sintonia". L'ennesima telefonata interrompe i ricordi. Ci sono le tristi incombenze da sbrigare, e c'è da nominare un avvocato per fare i primi passi con la giustizia. "Non sappiamo molto - conclude - se c'è stata una manovra sbagliata o altro". Nessun contatto, fino a ieri mattina, con il conducente del Suv. "Ma ci aspettiamo una telefonata". 

    È proprio vero la pietà l'è morta

    Giovanni e Graziano si sposano nella struttura per malati terminali: "Insieme da trent'anni, anche l'hospice può essere un luogo d'amore"

    repubblica 
     Si sono uniti con rito civile nell’Hospice San Bartolomeo di Martina Franca, una struttura per cure palliative: davanti alla sofferenza della malattia, i due uomini hanno deciso di coronare il loro sogno

                                           di Raffaella Capriglia  04 OTTOBRE 2022 ALLE 12:45

    L’amore trova la sua strada sempre, anche nel dolore e nelle difficoltà. Come nella storia di Graziano, sessant’anni, e Giovanni, 73 anni: i due uomini si amano da tempo e hanno deciso, in questi giorni, di dare forma alla loro unione. Si sono uniti con rito civile nell’Hospice San Bartolomeo di Martina Franca, una struttura per cure palliative, in cui sono assistiti i malati con patologie che non si possono più guarire, come pazienti con neoplasie in stadio terminale, Sla e altre patologie cronico-degenerative.
    In questa struttura è ricoverato Giovanni. I nomi scelti sono di fantasia, per tutelare la privacy dei protagonisti, ma è vera la loro storia, iniziata da oltre trent’anni. Giovanni è stato in passato sposato, Graziano è celibe. I due hanno scoperto di nutrire presto un sentimento reciproco. Fino a quando, pur in un’età più matura e davanti alla sofferenza della malattia, i due uomini hanno deciso di coronare il loro sogno. E così, nella struttura in cui è ricoverato Giovanni per i suoi problemi di salute, si sono giurati fedeltà e sostegno reciproco.
    Il rito civile è stato officiato dall’ufficiale civile del Comune di Martina Franca Maria Rosaria Cicero, presente il segretario generale Eugenio De Carlo. L’amore è amore: un disegno con la scritta “Love is Love” ed un arcobaleno, palloncini bianchi ed un cuore hanno fatto da sfondo alla celebrazione. La giornata è stata anche un momento di gioia all’interno della struttura sanitaria, in cui Giovanni e Graziano hanno condiviso la loro felicità con gli altri pazienti ed il personale sanitario.
    Questi momenti, legati alla dimensione personale e familiare degli assistiti, non sono rari e rappresentano delle tappe importanti sia per l’attenzione verso il malato che per un miglioramento generale della qualità della vita della persona assistita. Lo sottolineano i responsabili dell’Hospice San Bartolomeo, i dottori Monica Lovecchio e Giuseppe Russo e la direttrice dottoressa Silvana Ausiello.
    “L’hospice è una realtà nata relativamente da poco, nel 2010, con la legge 38 - è stato spiegato - vogliamo dimostrare che anche nell’hospice ci sono le cose belle, come è accaduto in questo caso. Purtroppo viene solitamente pensato come un luogo di morte; è senz’altro un luogo di dolore, perché ci si occupa dell’assistenza ai malati terminali, che hanno delle patologie che non si possono più guarire, ma, con l’aiuto delle cure palliative e con la terapia del dolore, l’obiettivo è sempre migliorare la qualità di vita degli assistiti”.
    La finalità è garantire la migliore qualità della vita possibile. Ecco perché, oltre alle cure mediche, sono importanti il benessere psicologico e sociale della persona. Il malato ha il diritto di fare la propria vita e gioire nei momenti belli e, sicuramente, poter mantenere il contatto con i familiari e gli amici, con le persone significative della sua esistenza, giova alla sua dimensione psicofisica. “Nell’hospice - si rimarca - si mantiene la dimensione familiare. Qui abbiamo festeggiato matrimoni, compleanni, nascite. Si cerca di mantenere inoltre il legame tra gli assistiti e i loro affetti. È una residenza non solo sanitaria, ma una vera “casa” per il malato, in cui accadono anche tante cose belle, come questa dell’unione di Graziano e Giovanni, a cui rinnoviamo i nostri auguri”

    3.10.22

    Donne ai vertici AL CENTRO LE PERSONE NON IL GENERE di carla.bassu Ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università di Sassari

     la  nuova sardegna  2\10\2022

    E Questa settimana ha portato agli onori delle cronache una serie di esordi al femminile: la prima donna che arbitrerà oggi una partita di calcio di serie A; la prima europea comandante di una stazione aerospaziale; la prima (probabile) premier. Titoli che mettono il genere al centro della notizia, più della persona che ne è protagonista. Così ciò che conta e merita di essere raccontato non è il talento, la capacità, la storia di Maria Sole Ferrieri Caputi, Samantha Cristoforetti, Giorgia Meloni ma il fatto che si tratti di donne. Però non è l’essere donne che ha condotto queste tre persone a risultati eccellenti bensì, rispettivamente, una perfetta conoscenza delle regole del calcio e doti atletiche; un prestigioso curriculum da astronauta; una carriera politica pluridecennale. Piuttosto, a dire il vero, bisogna riconoscere che le tre sono riuscite a ottenere risultati nonostante siano donne. Se infatti fino a ora nessuna aveva occupato queste posizioni non è per carenza di competenze o passione, bensì per la resistenza di pregiudizi e ostacoli culturali ed effettivi che ne hanno impedito l’affermazione. Rendendo onore al merito delle donne che contando sulle proprie forze sono riuscite a ottenere grandi successi e senza sminuire il valore del primato di chi ha ottenuto risultati in settori storicamente dominati dagli uomini, occorre ammettere che così come una rondine non fa primavera non necessariamente una presenza femminile al vertice è sintomo di pari opportunità raggiunte. La parità si ottiene garantendo eque condizioni di partenza, che assicurino a donne e uomini di competere alla pari. Oggi non è così perché sulla parte femminile della società incombe ancora il gravame dell’attività domestica e dell’assistenza familiare. Le statistiche raccontano che nelle famiglie economicamente solide o che possono contare su aiuti esterni le donne lavorano e avanzano nella carriera, comunque spesso sacrificando la vita privata, mentre in realtà meno stabili la componente femminile è tendenzialmente più sacrificata dal punto di vista della occupazione e della realizzazione personale. I dati dimostrano che le ragazze primeggiano per risultati nei ranghi scolastici e accademici, salvo subire un blocco in un momento preciso identificato con l’età in cui si ha (o si suppone si possa avere) il primo figlio per rarefarsi, per quasi scomparire, con poche eccezioni, nei ruoli dirigenziali sia nel pubblico che nel privato. Questo perché le incombenze familiari formano un carico fisico e mentale che affatica le donne
    e le rallenta, facendo si che a un certo punto cedano il passo, per stanchezza. Due purosangue uguali ai ranghi di partenza hanno le stesse chance di vincere la corsa ma se uno dei due è sellato con una zavorra evidentemente la gara sarà falsata. La parità potrà dirsi raggiunta quando le donne, che rappresentano più o meno la metà della popolazione, saranno presenti in misura equilibrata in tutti i settori e a ogni livello, in modo da rispecchiare la composizione sociale, ma questo accadrà solo quando nel loro percorso non incontreranno i pregiudizi e gli impedimenti che le rendono meno competitive. Servizi di prossimità, asili e assistenza pubblica garantita per anziani e persone con disabilità, orari e spazi di lavoro compatibili con la gestione familiare, congedo obbligatorio per chi diventa genitore, non solo per le madri: così si promuovono le pari opportunità. Sembra una banalità ma la vera parità potrà dirsi raggiunta quando la presenza di una donna in posizione apicale non farà notizia ma sarà considerata normale, come già accade altrove nel mondo. In ogni caso non una donna purché sia ma una persona con nome, cognome e competenze, che si affermi per caratteristiche individuali che contraddistinguono e rendono unico ogni essere umano. 

    * Ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università di Sassari

    Bullismo dal talk show il caso di Marco bellavia di Mria Patanè con Ciro Pellegrino



    Lo ammetto, ho dovuto fare esercizio di memoria per ricordare chi fosse esattamente Marco Bellavia nel panorama televisivo italiano.
    Penso che questa foto tolga ogni dubbio a chi ha la mia età e ha potuto avere un telecomando in mano
    negli anni Novanta.
    Ora quest'uomo ha 57 anni, cioè è sotto i sessanta. E come scrivevo ieri ha partecipato al Grande Fratello Vip, punta di diamante delle trasmissioni Mediaset.
    Aveva chiaramente detto di essere depresso (la depressione è una condizione diagnosticata, a volte profondamente invalidante fisicamente e psichicamente e necessitante di cure spesso farmacologiche).
    Lo hanno accettato nello show.
    Nello show lui avrebbe voluto spiegare che significa essere depresso. Non è quello il posto, però glielo hanno concesso, magari fregandosi le mani e dicendo «vediamo che succede».
    È successo che Marco Bellavia ha continuato a piangere a disperarsi. È un uomo di quasi 60 anni, non è bello vedere un bambino piangere figuriamoci un uomo.
    Io avrei voluto fare un collage delle merdate che ho sentito dire da questi epifenomeni dello show delle tv private italiane berlusconiane senza controllo né conflitto d'interesse (uno speciale grazie a D'Alema).
    Ma sapete una cosa? Se pubblico mezza clip delle porcherie sentite in tv mi bannano vita natural durante dai social. Perché cose del genere sono considerate BULLISMO e ISTIGAZIONE ALL'ODIO.
    In tv invece vanno senza controllo, senza problema.
    Sapete come è finita? Marco Bellavia è andato via dal gfvip e diranno che è colpa sua. Che è una specie di invalido che non doveva permettersi di stare fra gli esseri umani ma relegarsi in un cantuccio chiuso a chiave. È disturbante vedere la malattia, men che meno nello show della tv privata italiana.
    Negli anni Novanta ebbe grande risalto un piccolo saggio sulla tv con riflessioni di Karl Popper e John Condry. Si chiama "Cattiva maestra televisione", definita «ladra di tempo, serva infedele».
    Vi suggerisco una cosa: evitate di mettere nel discorso anche i social network, non allargate il campo, concentratevi sulla tv italiana. La critica al sistema televisivo italiano non è compiuta, non è matura, non è nemmeno assestata. È stata bloccata dalla politica e dagli interessi dagli anni Ottanta a oggi.
    Guardate, i social avranno pure fatto danni.
    Ma i danni della tv in Italia sono ancora da vagliare.
                                         Ciro Pellegrino

    Scopre di essere incinta e di avere un tumore nello stesso giorno. Nasce la bimba, lei muore a 36 anni

     in sottofondo 
    wise  one -   gli anelli del potere  Stagione 1 

     dalla  èagi.na F acebook    La sensibilità dell'anima  appendice  di https://lasensibilitadellanima.blogspot.com/

    È una storia d’amore e di speranza quella di Elisabetta e di suo marito Matteo. Lei è morta di tumore lo scorso luglio a 36 anni, lui ha deciso di raccontare la loro storia per dire “a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi”. A raccogliere il racconto di Matteo Grotti è il quotidiano Ravenna Today.
    Matteo Grotti, 35enne originario di Rontagnano, nel Cesenate, vive a San Zaccaria. Il 31 luglio scorso ha vissuto il giorno più brutto della sua vita: sua moglie, la 36enne ravennate Elisabetta Socci, è morta a causa di un tumore che le era stato diagnosticato un anno e 5 mesi prima. Elisabetta muore lasciando sua figlia Cecilia, di soli 10 mesi. Elisabetta – Elisa per suo marito – e Matteo si erano conosciuti nel 2015 al matrimonio di un amico in comune: si innamorano e dopo un anno e mezzo vanno a vivere insieme. Poi, nel 2018, il matrimonio. La loro era una vita tranquilla: lei lavorava come architetto a Cervia, lui come magazziniere a Pievesestina. Provano ad avere un figlio, che inizialmente non arriva. Poi nel giorno del suo compleanno, nel 2021, Elisabetta si accorge di avere un nodulo al seno. È un tumore maligno. "Ci è caduto il mondo addosso – ha raccontato Matteo – In ospedale a Forlì le hanno prescritto alcuni esami e le hanno detto di fare prima un test di gravidanza per accertarsi che non fosse incinta. Figurati, ci avevamo provato per due anni…". E invece, quello stesso giorno in cui scopre di avere un tumore, la giovane donna fa il test di gravidanza che dà esito positivo. Elisabetta viene subito operata per cercare di rimuovere il tumore. "Non ha mai vacillato un attimo, era convinta che la gravidanza fosse la luce in questo periodo di tenebre e, nonostante tutto, ha scelto di portarla a termine e di curarsi, seppur parzialmente, con terapie che non danneggiassero una creatura così intensamente desiderata. Prima dell'operazione ci hanno fatto vedere la bambina, anche se essendo a una settimana di gravidanza era appena un puntino, perché ci hanno detto che c'era la possibilità di perderla. E invece così non è stato. I medici sono stati bravissimi a trovare una soluzione per operare mia moglie salvando al contempo nostra figlia”. Ma purtroppo l’intervento non basta, il tumore c’è ancora e lei, al terzo mese di gravidanza, inizia la chemioterapia. A otto mesi nasce la piccola e poco dopo subisce la mastectomia totale. “Ma al primo esame scopriamo che la malattia era migrata: il tumore si era esteso al fegato. Ogni volta che facevamo un esame e andava male lei diceva ‘Andrà meglio il prossimo, non può sempre andare male’. Quindi abbiamo sempre vissuto nella speranza, perché si può sperare e continuare a vivere anche se poi il finale è brutto. E lei ha fatto così, sempre godendosi il presente, tutti sapevano che era malata ma ci ha fatto vivere il periodo della sua malattia come se non fosse nulla, è stata una guerriera. Elisa ha continuato con le terapie, ma il cancro non si è mai fermato. Fino a quando il 31 luglio scorso, dopo un anno e 5 mesi dalla diagnosi, si è spenta”, il racconto del marito.

    Che ora si ritrova a crescere senza la sua compagna la loro bambina tanto desiderata. “A 35 anni non bisognerebbe mai vedere la morte della propria moglie, crescere una figlia da soli e sapere che non potrà mai davvero sentire l'affetto di sua madre”, le parole del giovane papà, che ha detto di voler crescere sua figlia ricordandole “sempre della madre fantastica che ha avuto e soprattutto dire al mondo intero quanto fosse speciale”.
    E se oggi Matteo ha deciso di raccontare la loro storia è perché spera di aiutare le persone che stanno vivendo una situazione simile. "Non voglio raccontare tutto questo per ricevere compassione o pietà, ma solo per dire a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi. Combattete come ha fatto Elisa. Si può vivere felici anche nella malattia, provando ogni tanto a dimenticarsela, a stare bene e a fare cose normali”.

    da repubblica online

    RAVENNA - Una storia d'amore e di morte, di malattia e coraggio. Di speranza, nonostante tutto. E' la storia di Elisabetta Socci, morta di tumore lo scorso luglio a 36 anni, e di suo marito Matteo Grotti che ha deciso di raccontarla. Non per ricevere compassione, non per muovere a pietà. "A 35 anni non bisognerebbe mai vedere la morte della propria moglie, crescere una figlia da soli e sapere che non potrà mai davvero sentire l'affetto di sua madre - dice - Ma voglio dire  a chi sta combattendo la stessa guerra di non arrendersi. Combattete come ha fatto Elisabetta. Si può vivere felici anche nella malattia, provando ogni tanto a dimenticarsela, a stare bene e a fare cose normali. Pensare: forse questa cosa non potrò farla domani, e allora facciamola oggi". 

    Elisabetta Socci e Matteo Grotti il giorno del matrimonio (da Facebook) 

    La storia è stata raccolta da Chiara Tadini di Ravenna Today. Lei architetto a Cervia, lui magazziniere originario di Rontagnano, nel Cesenate. Si conoscono a un matrimonio di un amico comune, si innamorano. Una volta sposati vanno a vivere San Zaccaria nel comune di Ravenna. Sono felici, hanno la vita davanti. Poi arriva il giorno nero: la diagnosi di tumore che Elisabetta riceve nello stesso giorno in cui scopre di essere incinta. Da lì comincia la sua battaglia che combatte facendo, lei, coraggio a tutti. Al terzo mese di gravidanza inizia la chemioterapia e a otto mesi dà alla luce una bellissima bambina. Racconta Matteo a Ravenna Today: "Non ha mai vaccilato un attimo, era convinta che la gravidanza fosse la luce in questo periodo di tenebre e, nonostante tutto, ha scelto di portarla a termine e di curarsi, seppur parzialmente, con terapie che non danneggiassero una creatura così intensamente desiderata".Dopo un anno e cinque mesi, quando la piccola ha 10 mesi, Elisabetta non ce la fa. E Matteo, a 35 anni, si ritrova a dover crescere sua figlia da solo. "La crescerò raccontandole quanto sua madre fosse speciale. Abbiamo sempre vissuto nella speranza, perchè si può sperare e continuare a vivere anche se poi il finale è brutto. E lei ha fatto così, sempre godendosi il presente, tutti sapevano che era malata ma ci ha fatto vivere il periodo della sua malattia come se non fosse nulla, è stata una guerriera". Il messaggio che ora Matteo vuole dare: non arrendersi.



    2.10.22

    cavalcando il fiulmine - ride the lightning

      conna  sonora  




    Considerando  il  tema  della mia  elucubrazione   filosofica   odierna stavolta  parto dai consigli musicali ed in questo  caso letterrarii  \  cinematografici  .  E' Inutile   dire  che  ,   fatta  eccezione   per  chi   
    decide   di  leggere il post  basandosi  sul   titolo e  rinunciando   addirittura   alle prime  righe   ,  che  i  riferimenti   da  cui  parte la  riflessione   d'oggi    sono     :

    1.  l'album  Ride The Lightning   dei Mettalica  soprattutto  l'omonima  canzone   sia  nella  versione    normale  sia  in  quella  Remastered .,  la  canzone  Riders On The Storm - The Doors

    2. il  racconto bellissimo romanzo   a puntate  ,  poi  diventato  libro  e  poi  film  IL  miglio  verde  di  Stephen King   

    Adesso eccovi  , quello che sicuramente   starete  aspettando ,  la  mia elucubrazione   che    s'inserisce  nella strada   intrapesa   nei post precedenti  in particolare   quelli  de  la  triologia :  anche   la  malinconia  può esssere  preziosa  e riferimenti  successivi    .

    N.b
    Leuco (  l'altro io  )   IO  ( io  ) 


    N.b
    Leuco (  l'altro io  )   I  ( io  ) 


    L  mi  piacerebbe tornare  indietro  

    I in che senso  ?

    L tornare indietro nel tempo  per  non commettere  certi errori  

    I ti  capisco  . ma  smettila   ti eprimi ancora  di  più di  pensare  continuamenbte   al passato   e  vai avanti . Prima  la  smetti  di pensarci continuamente  meglio stai e più concentrato  sul presente  

    L   vuol dire  che  devo rimuovere  il mio passato

    I  non ma neppure  farti  imprigionare   d'esso  

    L  Vero ha ragione    ci provo tutti i giorni  

    I E allora    vedrai  che prima  o poi    arriverà  e  neppure  te  ne  accorgi quel giorno  in cui  le  cose   cambierann  per  il meglio  ne  sono sicuro visto la tenacia   che  hai  sempre  avuto   nell'affrontare  gli  urti della  vita   . 

    L  già  andiamo a lavorare  che è  meglio 😏😀

    I già 😇





    1.10.22

    Sabato scorso si è chiusa a Roma l’ottava edizione del Disability Pride e i media assenti ed evento relegato in cronaca rispetto a quello lgbt









    “La bruttezza genera rifiuto e paura. Stiano attente le donne gravide… È il diavolo! Ci getta il malocchio dai camini… Oh, che brutta anima! Che orrore! Oh, maschera dell’Anticristo”.
    Per tutti, scriveva Victor Hugo in Notre Dame de Paris, Quasimodo rappresentava nient’altro che lo storpio di cui avere paura o, nella migliore delle ipotesi, di cui disinteressarsi. Troppo diverso per volerlo vedere, si era ritagliato la sua quotidianità nascosto fra le campane. “L’eccessiva deformità spaventa - scrive Maria Luisa Chiara in un saggio sul rapporto tra letteratura e disabilità - non consente approfondimenti, non permette di indagare spirito, carattere, intelligenza, risorse, sensibilità”.
    Secondo la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute, stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il termine “disabilità” indica un fenomeno che ha più dimensioni, la cui origine va fatta risalire all’interazione fra l’uomo e l’ambiente fisico e sociale. Per l’Omsle persone portatrici di disabilità possono essere distinte secondo le categorie di disabilità motoria, sensoriale, intellettiva e psichica.
    Sabato scorso si è chiusa a Roma l’ottava edizione del Disability Pride, una manifestazione nazionale che intende sostenere e promuovere l’autodeterminazione delle persone con disabilità, rispettandone dignità, autonomia e indipendenza.
    Parco Schuster, il luogo dove si è svolta parte della manifestazione, quel giorno era - probabilmente - lo spazio più libero da barriere di Roma e, forse, d’Italia. La richiesta principale dei promotori, infatti, è quella di rendere accessibili a tutti e a tutte i luoghi frequentati dai cittadini. Per questo, chiedono dal Pride, è necessario far approvare il Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (Peba), ovvero lo strumento che permette la conoscenza di tutti gli ostacoli concreti che impediscono o condizionano la mobilità sul territorio, al fine di rendere “realmente fruibile il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità”.
    Una grande iniziativa, dunque, quella del Disability Pride, largamente ignorata dal sistema dei media e, di conseguenza, dall’opinione pubblica. Peccato sia durata solo alcune ore.

    La battaglia per la libertà in Iran non è solo roba di done e solo per il velo il caso I calciatori della Nazionale iraniana di calcio hanno deciso di appoggiare la protesta delle donne del loro Paese


    La  battaglia in Iran non è solo roba  di donne   ed   solo per l'obbligatorietà  del velo  I calciatori della Nazionale iraniana di calcio hanno deciso di appoggiare la protesta delle donne del loro Paese con un gesto simbolico di grande impatto: prima dell'amichevole con il Senegal - giocata in Austria, a Maria Enzersdorf, subito a sud di Vienna - hanno coperto con dei giubbotti neri le proprie maglie durante l'esecuzione dell'inno. Un gesto di aperta solidarietà verso le donne che protestano dopo la morte di Mahsa Amini e Hadis Najafi. La partita è finita 1-1, con un gol di Sardar Azmoun, il più forte calciatore iraniano, che è stato il più esplicito nel prendere posizione con i post pubblicati sul suo profilo Instagram. L'attaccante del Bayer Leverkusen ha scritto: "Non posso più tacere. La punizione è l'espulsione dalla Nazionale? Cacciatemi. Se servirà a salvare anche una sola ciocca di capelli delle donne iraniane ne sarà valsa la pena".
     
     
    Questo è il modo in cui i calciatori iraniani si sono mostrati durante l’inno del loro Paese prima dell’amichevole col Senegal. Giaccone nero indosso, a coprire la maglia e i colori della Nazionale, per manifestare la loro vicinanza alle donne iraniane che in questi giorni stanno combattendo, e morendo, per Mahsa Amini. per la loro libertà, per i loro diritti. Un gesto simbolico potente e coraggioso che rompe la retorica del regime, dimostrando che quelle donne non marciano da sole. Un atto dimostrativo sintetizzato


    perfettamente dalle parole di Sardar Azmoun, considerato il Messi iraniano.


    Al suo fianco ci sono non soltanto i compagni di squadra, ma anche leggende come Ali Dei e Ali Karimi. Il mondo del calcio ha deciso di non restare in silenzio.

    Ora a dicembre si terrà Il campionato mondiale di calcio 2022 o Coppa del mondo FIFA Qatar 2022 (in arabo: 2022 كأس العالم الفيفا‎, Kas alʿaalam alfifa 2022, in inglese FIFA World Cup Qatar 2022) sarà la 22ª edizione del campionato mondiale di calcio per le rappresentative (comunemente chiamate "nazionali") maschili maggiori delle federazioni affiliate alla Fédération Internationale de Football Association che si svolgerà in Qatar più precisamente dal 20 novembre[1] al 18 dicembre 2022.. Che succederà  ? qualcosa     come  le  olimpiadi del Messico  1968  o    come  quelle  di Monaco 1972  ?   staremo a vedere  . Secondo  me   uno è  l'altro  ormai   le popolazioni    arabe   sono  stufe    di subire    e  d'angherie   di governi  ( eccetto l'Iran  )      fantoccio   o filo  occidentali e  filo Usa  

    29.9.22

    VINCENZO CONTICELLO La beffa dello statoi all’eroe antipizzo

  • Storie  come  quella     di Vincenzo   ti  fanno cadere le braccia  e sono   all'origine dell'astensionismo  diventato endemico   come dimostrano  le  ultime  elezioni   nazionali   . Essa mi   porta   come  tutte le storie    simili a questa  elucubrazione  sega  mentale  : <<    a  che  combattere   se poi    ....  >>  .  Ma   : 1)  riascotando  la  canzone citata   .,  2)  rilegendo  la storia di vincenzo  e  dopo  questa lettura


  • la mia   domanda   e spazzatra  via  dal vento   e la strada    che  faccio  è quella giusta  


  •     da Oggi 
  • di Giulio Cavalli



  • Questa  è  la    storia    del  proprietario  dell'antica  focacceria   citata     da Mr    nella    canzone     che funge   da  colonna  sonora  del post   



    Io sono pronto a pagare il giusto. Basterebbe solo che al Ministero qualcuno lo voglia. Mi trattano come un evasore mentre l’Agenzia delle entrate ha trovato accordi con famosi milionari
    La sua famiglia aveva una Focacceria storica a Palermo. Nel 2007 denunciò i suoi estorsori. Lui finì sottoscorta e lo Stato, per aiutarlo, gli sospese il pagamento delle tasse. Dopo sei anni, però, le ha richieste tutte insieme e con gli interessi. (P.S. Adesso ha perso sia la protezione sia l’attività)


    Denunciare la mafia costa, in questo Paese l’abbiamo imparato sulla carne viva di Libero Grassi e dei tanti imprenditori che si sono ribellati al racket. Talvolta però il conto lo presenta lo Stato. Vincenzo Conticello, imprenditore palermitano, è suo malgrado diventato uno dei simboli della lotta al racket nel capoluogo siciliano. Proprietario con il fratello della storica “Antica focacceria San Francesco”, riconobbe i suoi estorsori il 18 settembre del 2007, in un’aula di tribunale, indicando davanti al pubblico ministero Francesco Del Bene, l’uomo che gli chiedeva il pizzo. «È quel signore lì, quello seduto e che ha accanto le stampelle», disse dritto Conticello, puntando uno degli affiliati del clan della Kalsa. Da quel giorno Vincenzo Conticello è diventato testimone di giustizia, protetto dallo Stato e simbolo  Non mi sono pentito di aver denunciato, ma sono rammaricato perché tutte le promesse delle istituzioni si vanificano della lotta alla mafia. Ma le cose non sono andate come avrebbero dovuto. «Non mi sono pentito di avere denunciato, questo no – racconta Conticello – ma sono rammaricato perché la mia denuncia ha esposto me (e non solo) in una situazione complicata e perché tutte le promesse che mi sono state fatte dalle istituzioni si vanificano mentre cambiano gli assetti politici, cambiano i magistrati e gli interlocutori».




    Dopo la denuncia Conticello e i suoi cari finiscono sotto scorta e, come stabilisce la legge, la sua attività gode della sospensione del pagamento delle imposte. Dopo 6 anni però, racconta Conticello, «mi hanno chiesto di pagare tutto insieme. Con in più interessi, more e accessori». La cifra è di fatto raddoppiata. «Io ho iniziato a fare le mie contestazioni – spiega Conticello – e nel frattempo l’Agenzia delle entrate ha pensato bene di fare un pignoramento cautelativo su tutti i proventi della mia società, compresi l’affitto di rami d’azienda e gli immobili». È un nuovo calvario, solo che questa volta non ci sono guappi armati a minacciare la serenità di Vincenzo, sono documenti dello Stato. «Sono passati 9 anni. In quei 9 anni io ho avanzato una serie di proposte. Ovviamente ero prontissimo a pagare il capitale non pagato ma da parte dello Stato nessuna mia proposta è mai stata presa in considerazione».

    Alla fine il debito accumulato è enorme, oltre 3 milioni di euro da pagare, mentre ormai le entrate erano azzerate. Intanto Feltrinelli, socia dell’Antica focacceria, decide di ricapitalizzare e così lo storico proprietario “eroe” viene spazzato via: «Non sono più il proprietario della Focacceria», spiega , «la nostra partecipazione è stata azzerata».

    E ora? Ora Vincenzo Conticello è impiegato dello Stato «a 1.500 euro al mese e pieno di debiti, dopo avere avuto oltre 200 dipendenti e un’attività florida». Nel dicembre 2018 gli viene tolta anche la scorta. «Era il periodo in cui Salvini tuonava contro le scorte “inutili” e evidentemente Conticello rientrava tra coloro che non meritavano protezione, a differenza dei molti politici che l’hanno mantenuta. Mi chiama un colonnello emi dice: “La volevo avvisare che il 18 la lasciamo in aeroporto e lì finisce il servizio”. Evidentemente non esiste più la mafia», nota Conticello con un’amarezza che non riesce a trattenere.

    L’ex imprenditore però ci tiene a precisare che non si tratta di una battaglia solo “sua” ma anche di tutti coloro che hanno ricevuto il beneficio della sospensione dei termini («per terremoto o per Covid»): «Io sono pronto a pagare il giusto. Basterebbe solo che qualcuno al ministero lo voglia. Ma devo pagare il “giusto”. Il dolore è che mi trattano come un evasore mentre l’Agenzia delle entrate ha trovato accordi con famosi evasori milionari». Ritiene di essere stato «un pupazzo da esporre, un eroe da sventolare». «Non è corretto che lo Stato spinga persone comuni a esporsi così. Dopo una denuncia dovrebbero essere loro a fare tutto ciò che serve», riflette.

    Vincenzo sta bene. «A prescindere dalle situazioni economiche», sospira. Stanno bene anche le persone che ha denunciato: sono già uscite dal carcere. « Ma io non ho paura. Se lo Stato mi ha tolto la scorta io mi fido dello Stato».

    Una cosa è certa: l’attività è persa e la mafia ne sarà felice. E intanto i governi che si susseguono invitano a “denunciare”.