27.1.11

oggi 27 gennaio

Oggi si conclude  (  ma indirettamente  continua  )  il mio speciale  su il 27   gennaio   chedo scusa  se  sono stato prolisso  e  lungo   ma visto  che    c'è gente  che  lo nega   

Nuove scritte antisemite"Il 27? Niente memoria" 

Apparse lungo via dei Fori Imperiali ancora una volta a firma dell'organizzazione di ultradestra Militia. Insulti anche sul palazzo del municipio di Rocca Priora

Nuove scritte anti-ebrei sono state trovate questa mattina nei pressi della fermata della metropolitana ai Fori Imperiali. La scritta - "27? Niente memoria" - porta la firma "Militia" ed è stata realizzata con vernice nera. Oggi è il giorno in cui in tutto il mondo si celebra il Giorno della Memoria, in ricordo dell'apertura dei cancelli di Auschwitz. Anche nei giorni scorsi, a firma della stessa associazione dell'ultradestra, erano apparse scritte che dileggiavano l'Olocausto.
E una decina di scritte antisemite, sempre a firma di Militia, sono apparse anche sui muri del palazzo del municipio di Rocca Priora che oggi ospita una mostra in occasione della Giornata della Memoria. "Non farti fregare. Olocausto = bugia" o "Israele non esiste" recitano. Altre invece insultano il sindaco di Rocca Priora e l'organizzatore della mostra. Sulla vicenda indagano i carabinieri della compagnia di Frascati.
 
 

Dopo la rappresentazione Ausmerzen di  ieri su la7 di Marco Paolini  lascio che a parlare  sia  la storia  che trovate  sotto 


Un cioccolatino per ricordare

Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, è l'anniversario della liberazione dei campi di sterminio Auschwitz-Birkenau. Il racconto di Ida Marcheria, sopravvissuta alla Shoah, grazie a una bugia sull'età e alla promessa di una torta al cioccolato
 
Un cioccolatino per ricordare
Le piccole di casa
Fotografia di Alberto Novelli

Siamo nate a Trieste, in una famiglia ebrea come tante altre, ebree o cristiane, in un appartamento in piazza della Borsa, vicina a piazza Grande, quella che oggi si chiama piazza dell'Unità. Mio padre, che si chiamava Ernesto, era commerciante di prodotti kasher, prodotti di vario tipo come carne, azzime, e tanti altri. Vendeva e commerciava in un bel negozio, frequentato dai membri della nostra Comunità, ma anche da tanti triestini non ebrei. Mia madre, Anna Nacson, era invece una casalinga e come la maggior parte delle donne allora  -  ma anche oggi tocca sempre a loro  -  si occupava di noi figli. Il maggiore di noi si chiama Giacomo ed era nato nel 1926. C'era poi Raffaele, che era del 1927. Poi io e Stella, da tutti chiamata Stellina anche per distinguerla dalla nonna che aveva lo stesso nome. Noi eravamo le bambine, le piccole di casa.

 
Prima dell'arresto

 Fotografia archivio personale di Ida Marcheria (Nella foto: da sinistra, Hanna Schwartz, Ida e Stellina Marcheria, Trieste, ottobre 1943, pochi giorni prima dell'arresto )


La nostra fu un’infanzia piuttosto felice, non avevamo grossi problemi e potevamo vivere tranquillamente. Il nostro era il tempo dello studio, dei giochi e i nostri genitori, con molta attenzione e tatto, lasciavano che ci raggiungesse solo ciò che non poteva arrecarci turbamenti. Anche in questo eravamo bambini come tutti gli altri.
Trieste, una gran bella città, era, come si direbbe oggi, multiculturale, multietnica: c'erano ebrei, anche originari della Grecia  -  molti come il nonno provenivano da Corfù  -  austriaci, ungheresi, sloveni, italiani ovviamente, insomma Trieste era una gradevole Babele di lingue, dialetti, di gusti, di profumi, di sapori. Una città di confine e di conseguenza di ricchezze culturali composite e magnifiche. Purtroppo, anche in un tessuto sociale così ricco e articolato, non mancavano i veleni per gli scontri, a volte molto violenti, fomentati, per lo più, dai fascisti nei confronti degli slavi. Ma noi, piccoli di casa, anche da queste violenze, eravamo protetti.

 

Le leggi razziali
Foto archivio personale di Ida Marcheria
(Nella foto, Ida nel 1943)

Improvvisamente, tutto cambiò. Nel 1938, in novembre, il fascismo emanò le leggi razziali. Allora avevo nove anni... Giorno per giorno ci trovavamo senza più punti di riferimento, non avevamo più alcun luogo ove sentirci protetti e al sicuro. Fu un processo molto lungo e parecchio umiliante. Qualcuno sostiene, oggi, che fu poca cosa. Non è assolutamente vero! Fu mortificante e doloroso. I genitori persero il posto di lavoro, scontrandosi
con la dura realtà di dover portare avanti, tra enormi difficoltà, la famiglia. Nutrirla, vestirla, accudirla in tutte le elementari necessità. Non c'era più niente di decoroso nella vita quotidiana. Professionisti di valore, stimati da tutta la città, si videro cacciare dalle scuole, si impedì loro di svolgere una attività, spesso per tutti, ebrei e non, importante e necessaria. I bambini furono cacciati dalle scuole pubbliche, costretti a dividersi dai loro compagni, tra vergogna, rabbia e pianti. Difficoltà continue, proibizioni sempre più numerose, sempre più avvilenti. Tanti si videro costretti a lasciare la città, a lasciare l'Italia. Perdemmo così molti amici, tra i più cari. Ai commercianti, oltre al ritiro della licenza, vennero più volte sfasciate le vetrine dei loro negozi. Si proibì, anche con la violenza, che i non ebrei li frequentassero. Fu anche per questo che mio padre perse molti suoi clienti. No. Non direi proprio, non si può con onestà affermare che le leggi razziali furono ben poca cosa.


 
 L'arresto
Foto archivio personale di Ida Marcheria (Nella foto Stellina nel 1943)

Era mattina presto, ci eravamo appena alzati quando sentimmo prima suonare con insistenza e poi bussare con violenza alla porta. Quando mio padre, come tutti noi sorpreso, ha aperto, questi uomini sono entrati subito in casa, nel nostro appartamento senza neanche chiedere il permesso, senza proferire parola. Si sentivano padroni, pieni di autorità, signori della nostra quotidianità. Colpirono le nostre vite, le sconvolsero per sempre.
Uno di loro aveva un foglio in mano, sembrava essere una lista di nomi. Erano infatti i nostri nomi. Ebbi l'impressione che ci conoscessero già tutti, che sapessero tutto della mia famiglia. Sapevano quanti eravamo, perché nella lista compariva il nome di mio padre, quello di mia madre, comparivano quelli dei nostri fratelli e il mio con quello di Stellina. ....
La fretta, la paura, l'incertezza, la tremenda tensione che si era impadronita di noi, tutto ci mise in uno stato di indicibile tensione. Non potevamo certo sapere che ciò che stavamo, in quel momento, vivendo era ben poca cosa rispetto a quanto ci sarebbe accaduto nei giorni a venire. Era veramente impossibile il solo immaginarlo. Anche lontanamente.
... Un tedesco mi avvicinò e io, senza pensarci più di tanto, mi sfilai i braccialetti, di poco valore se non affettivo, cose da ragazzina insomma, e glieli porsi. Lui continuò a guardarmi, alzando la voce, sbraitando mi disse qualcosa che io non potevo capire. Non conoscevo il tedesco, la sua lingua mi suonava strana, assurda, cattiva e in ogni modo incomprensibile. Improvvisamente, con una aggressività che non riuscirò mai a dimenticare, allungò le sue mani, pesantemente sul mio viso, sulle mie orecchie. Cercava di strapparmi qualcosa, con rabbia e con violenza. Spaventata, totalmente sconvolta, cercai di fare un passo indietro. Solo in quel momento mi vennero in mente gli orecchini che indossavo. Cercava di strapparmeli, con quelle sue mani grosse e ruvide. Provai come una scossa. Capii che erano quelli che lui rabbiosamente voleva. Con le mani tremanti, me li sfilai e glieli allungai. Da allora, io non porto più orecchini.
Guardai la mamma per trovare qualche conforto, ma lei non si era accorta di quello che mi era capitato. Incontrai, invece, gli occhi della signora Cesana. Mi si avvicinò e, stringendomi a sé, mi disse: "Non aver paura, presto torneremo a casa e io ti preparerò una bella torta alla cioccolata, tutta per te". Pur in quel momento, così drammatico, si era ricordata della mia passione per la cioccolata!
Terminata la razzia dei nostri beni, dopo averci depredato di tutto, i tedeschi c'informarono che il mattino successivo dovevamo farci trovare pronti per il trasferimento. Senza rivelarci di che trasferimento si trattasse e per quale luogo. Imparammo dopo che questa era la loro norma.

Aushwitz, la Judendrampe


Fotografia per gentile concessione dell'archivio del museo Yad Vashem di Gerusalemme (Nella foto, Auschwitz-Birkenau, selezione alla Judenrampe)

La Judenrampe! Il caos, il terrore, l'anticamera dell'inferno. Credo che non ci saranno mai parole sufficienti e tali da poterci fare capire, e da parte mia da rendere benché minimamente comprensibile, ciò che accadeva su quel binario. Si potrà mai capire cosa e con quale violenza scuotesse l'animo dei deportati al loro arrivo sulla Rampa degli Ebrei? No, non bastano tutte le parole che conosciamo, tutte le parole del mondo. Scese, anzi meglio, saltate dal carro bestiame, ci trovammo in un girone allucinante di suoni, di grida, di urla. In una lingua dura, feroce, incomprensibile. I tedeschi, le SS urlavano ordini che nessuno capiva, su tutti grandinavano botte e bastonate, i cani, tanti cani abbaiavano, latravano eccitati e infuriati. Digrignando i denti, cercando di aggredire noi poveretti in preda al panico. Un po' le SS li trattenevano, un po' li aizzavano. Tutti, e noi tra loro, cercavamo con occhi smarriti di trovare i nostri cari, il padre, la madre, i fratelli.
Sempre tra urli e bastonate ci fecero lasciare sulla rampa i nostri fagotti, le nostre valigie. Guai cercare di tenere con sé qualcosa, anche la più piccola cosa. A botte e spintoni, senza alcun riguardo per niente e per nessuno, ci fecero disporre in due file. Ci prepararono per la selezione. In una colonna gli uomini, nell'altra le donne con i bambini. Stellina e io eravamo con la mamma. Lentamente le due file avanzavano verso un ufficiale tedesco, una SS glaciale nella sua indifferenza che, a volte quasi con aria annoiata, indicava con un frustino a ciascuno se andare alla sua destra o alla sua sinistra. Il suo sguardo non pareva nemmeno vederci. Era Mengele, il medico selezionatore, l'angelo della morte.

selezione
Fotografia per gentile concessione dell'archivio del museo Yad Vashem di Gerusalemme
(Nella foto, Birkenau, donne e ragazzi già destinati alle camere a gas)


 
Un cioccolatino per ricordare La

Mentre la selezione era in corso ci si avvicinò un uomo, neanche poi così male in arnese, vestito con uno strano abito a righe grigie e blu. Ci guardò solo per un attimo, facendo scivolare lo sguardo frettolosamente, poi guardando altrove; fingendo attenzione per altro da noi, con molta circospezione, parlando italiano mi chiese quanti anni avessi. "Quattordici" risposi. "No, tu ne hai sedici". Pensai fosse matto. D'altro canto tutto ciò che vedevo intorno a me non poteva che farmi credere di essere arrivata nel mondo dei matti, nel mondo della follia. Ma come, ho quattordici anni e questo strano essere pretende di sapere meglio di me la mia età! Se ho quattordici anni perché mai devo dire sedici? Ma che ne sa, se nemmeno mi conosce. Poi fece la stessa domanda a Stellina. "Tredici anni da pochi giorni" disse mia sorella. "No, tu ne hai quindici, capito! Ne hai quindici". Allontanandosi ancor più circospetto, come se temesse che le SS avessero potuto vederlo nel rivolgerci la parola, ci ripeté ancora una volta: "Tu ne hai sedici e tu quindici. Ricordatevelo! ". Ma prima di rivolgersi ad altri prigionieri e con ben poco garbo ci spintonò verso la nostra fila. Toccò a noi arrivare davanti alle SS. Senza una parola, con un gesto secco venimmo indirizzate nella fila meno numerosa.

 Nostra madre aveva capito
Fotografia per gentile concessione dell'archivio del museo Yad Vashem di Gerusalemme (Nella foto, Birkenau, donna con bambini)

 
Un cioccolatino per ricordare


Nostra madre andò nell'altra. Ma questo non ci interessò, non era quello che in quel momento per noi era importante. Da una parte o dall'altra per noi nulla significava. Avevamo già perso di vista mio padre e i nostri fratelli Giacomo e Raffaele, anche se erano nella nostra colonna. Cercavamo la mamma. Ci guardammo intorno per individuarla. I nostri occhi, seppur stanchi e sbarrati dal terrore, la cercarono nella fila che s'ingrossava sempre più di donne e bambini. Non la trovammo. Poi la vedemmo su di un camion. Volevamo andare con lei, ma non ci fu possibile. Qualcuno ci disse che l'avremmo ritrovata nel campo. Gli anziani, i meno forti ci avrebbero preceduto. Che tragica bugia! Mamma non piangeva. Lei aveva capito. "Bambine mie" ci disse "cercate di stare sempre insieme". Poi i camion, non pochi e tutti strapieni di donne e bambini ammassati come bestie, si avviarono. Verso dove nessuno di noi sapeva e poteva immaginare. Vedemmo mamma allontanarsi, senza una lacrima. Non l'abbiamo più vista.


Kanada Kommando
Fotografia per gentile concessione dell'archivio del museo Yad Vashem di Gerusalemme

 
Un cioccolatino per ricordare


Quando arrivammo [al Kanada Kommando], quello che ebbi modo di vedere mi lasciò di stucco. Le baracche erano piene fino al soffitto di vestiti, di valigie, di coperte, di scarpe... di tutto! Da non poter immaginare, incredibile. Era tutta la nostra roba, i beni di tutti i deportati, quelli ancora vivi ma soprattutto di quelli ridotti in fumo. Delle nostre madri, dei fratelli, dei figli. Il frutto di una inimmaginabile, criminale rapina.
Io sono nata lì, al Kanada ho aperto gli occhi su un mondo di dolore, di offesa, di crudeltà. Al Kanada è finita la mia infanzia, è finita anche quella di Stellina. Lì abbiamo imparato a odiare, abbiamo imparato a non perdonare, abbiamo capito che ciò non sarebbe mai stato possibile. Le SS, i nazisti ci avevano rubato tutto e noi non potevamo nemmeno toccare. Tutto era verboten, proibito, tutto era esclusiva proprietà del Reich. Noi pure, noi per primi. Ci insegnarono il lavoro, ci insegnarono rudemente a scegliere tra quanto continuamente, senza sosta ci arrivava, in grande quantità, ogni giorno, e a dividere il meglio dal peggio. Gli stracci, i Lumpen, da una parte, le cose migliori e utilizzabili da inviare ai buoni cittadini del Reich da un’altra. A noi una copertaccia nera e un paio di ruvidi, scomodi zoccoli, a loro calde coperte, piumini, comode scarpe di pelle, orologi, tappeti... Oro, gioielli, brillanti, beni preziosi, medicine – così necessarie nel campo – soldi dovevano essere consegnati agli ufficiali delle SS che ci controllavano minuto per minuto, dalla mattina alla sera. Se un ufficiale vedeva che una di noi tentava di “organizzare”, di rubare un gioiello, estraeva la rivoltella e, a bruciapelo, uccideva la ladra. Alla fine del turno, prima di tornare in baracca, venivamo perquisite. In fila, tutte nude, con la divisa in mano. Le SS, senza alcun riguardo, erano pronte a esplorare persino il nostro corpo anche nelle parti più intime.
Ogni giorno toccava a noi selezionare, accoppiare, fare grossi pacchi che, una volta riportati sulla rampa ferroviaria, prendevano strade per noi allora sconosciute. Poi abbiamo saputo che erano quelle non solo per la Germania ma anche per la Svizzera, per il Brasile, per l'Argentina. Anche l'oro dei denti dei nostri morti è finito lì. Noi non potevamo prendere nulla, ma gli ufficiali delle SS si servivano in abbondanza. Per se stessi e per le loro mogli. Quando arrivava un trasporto "ricco", non dai ghetti ma come quelli degli ebrei ungheresi, dovevi vedere come si precipitavano. Come falchi. Anche le ragazze del Kanada rubavano, sfidando la morte, per sé e per le loro compagne del campo.
(Nella foto, Birkenau, donne addette alla selezione degli oggetti provenienti dai vari trasporti. Sullo sfondo, in alto, è possibile vedere le cime dei camini)


La camera a gas

Fotografia per gentile concessione dell'archivio del museo Yad Vashem di Gerusalemme

Anch'io finii davanti all'entrata della camera a gas. Con altre compagne avevo gettato del pane a persone di un trasporto appena arrivato. In attesa del loro ignoto appuntamento con l'inferno delle SS. Le kapò ci avevano scoperte e alcune di noi, forse quelle che già da prima venivano tenute sotto un più attento controllo, furono subito portate con la forza nel cortile del crematorio. Mentre eravamo sul piazzale in attesa che la camera a gas si rendesse disponibile, arrivò con la sua motocicletta una hauserka, una delle guardiane SS, le più cattive e perverse. Erano sempre rabbiose, violente, giravano per il campo in motocicletta e sempre accompagnate da un cane persino più rabbioso di loro. Mi guardò, pensò forse che mi avevano mandato al crematorio perché non più idonea al lavoro. Ma evidentemente il mio aspetto non era tale da giustificare questa decisione. Mi urlò, quindi: "Augenfressen, zu arbeiten", tu stai bene, vai a lavorare. "Zu arbeiten". Non me lo feci ripetere un'altra volta e tornai, e di corsa, al lavoro. Forse non furono nemmeno le sue parole a salvarmi, anche se furono determinanti in quel momento. Mi salvò ancor prima il fatto che la camera a gas era troppo affollata, che era già impegnata nella sua quotidiana opera di sterminio. In ogni modo se l'hauserka fosse passata mezz'ora più tardi, anch'io sarei diventata fumo. 



Il ritorno
Fotografia di Alberto Novelli


Ero rientrata a Trieste con un paio di scarpette da ciclista che mi aveva regalato un soldato italiano. Ero tornata dall’inferno di Auschwitz nuda e cruda, tenendo per mano mia sorella. Ed era come se nulla fosse accaduto. Trovammo che casa nostra era stata occupata da un fascista con la sua famiglia. Era stata data a lui, per chissà quali alti meriti, così come l’avevamo lasciata. Con ancora le posate sul tavolo, con le nostre provviste, con il pranzo già preparato sui fornelli, con la biancheria pulita pronta a sostituire quella da lavare. Con i nostri giochi di ragazzi e con i nostri libri.
La vita di una persona è fatta anche di tanti oggetti, piccoli o grandi, spesso di nessun valore o apparentemente insignificanti per gli altri. Ma per quella persona e solo per lei hanno valore inestimabile. Sono legati a un ricordo, a una amicizia: una penna, una spazzola, un nastrino, una fotografia. Io non sono riuscita a recuperare neanche un oggetto, una piccola cosa della mia vita passata. Come volevano i nazisti, nel loro lucido piano criminale. Niente oggetti, niente ricordi, niente vita. Il fascista che aveva occupato la nostra casa non aveva alcuna intenzione di ridarcela. Fummo perciò costrette a chiedere ospitalità, almeno un letto dove dormire, a qualche conoscente.

Ritorno a Birkenau


Poi abbiamo cercato di ricostruirci una vita. Abbiamo frugato nelle case dei nostri parenti, che erano sopravvissuti alla Shoah, per cercare qualcosa della nostra famiglia. Anche solo una fotografia che potesse alimentare i nostri ricordi di un tempo felice. Che potesse ridarci il volto dei nostri famigliari scomparsi nel cielo polacco... Abbiamo elemosinato i nostri ricordi.
Poi mi sono sposata, povera, senza un soldo. Anche Stellina si è sposata. Poi i ricordi, le notti d'angoscia, l'incubo continuo di nome Birkenau l'hanno sopraffatta. Ci ha lasciati. Io ho avuto un figlio e il regalo di due nipoti. Anche Giacomo si è sposato e ha avuto quattro figli e quattro nipoti. ... Mio marito aveva un laboratorio di cioccolata, una cioccolateria  -  che ancora oggi gestisco con mio figlio.
Oggi mi chiedono più volte se ho mai pensato di tornare ad Auschwitz, di tornare a camminare, da persona libera, tra le baracche di Birkenau. Non sarei mai voluta tornarci. Poi alcuni superstiti, e tra questi Shlomo Venezia, che abita a Roma e con il quale mi incontro continuamente, e il sindaco della mia città mi hanno convinto a fare con loro un viaggio-studio al quale avrebbero partecipato numerosi studenti e professori.
Sono tornata ma, devo dire la verità, soprattutto per ricordare i miei, per portare alcuni sassi sulla Judenrampe! Perché sentissero che io sono sempre, in ogni momento della mia vita, il giorno come la notte, nel dolore e nella felicità, con loro.
Perché ogni notte io torno a Birkenau.C'è anche chi afferma che è giunto il momento di perdonare.Io non posso perdonare. Non perdonerò mai.
 
Il libro

Il racconto di Ida Marcheria e le immagini di archivio sono tratte dal libro Non perdonerò mai di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi, ed. Nuova dimensione e riprodotte per gentile concessione dell'editore.
 

26.1.11

replica a chi mi dice che si parla troppo di olocausto e che si sà già cosa è


Lo so che molti di voi diranno basta con news sull'olocausto . lo sappiamo cos'è stato , ecc . Ed infatti che  nel post  d'oggi non metterò post   se  non uno solo  . E  lascerò che a parlare  siano  storici  e scittori  di cui trovate  sotto le interviste e le  foto . 
Ma fin quando registi, scrittori italiani,perchè le arti sono ste e sono risorse   fondamentali per non dimenticare e non ripetere e lottare contro tali nefandezze come dice Umberto Eco   e altri  ( vedere  sotto ) non muoiono mai ,e  programmi i storia  ad  orari decenti e visibili a tutti   e  non in orari assurdi  , faranno  si che tale  cosa e le nostre colpe   nella collaborazione  e poi  nel coprire e far  fugguire  a  guerra finista  criminali nazisti nelle Americhe    rimanga indelebile  nel paese  , io continuero' a parlarne  fino a farne  come in francia   dove sul periodo più brutto dela  sua storia  , il regime colaborazionista  di Petain noto anche    come Repubblica d Vichy  è stato fatto un film

fonte televideo rai speciale giorno della memoria 

 "Tutto è stato ricostruito secondo i   
 documenti e i racconti dei testimoni.  
 Ho mostrato la verità e non l'ho fatto 
 per fare piangere". Così Rose Bosh, la 
 regista di "Vento di primavera", che   
 sarà nelle sale italiane il 27 gennaio.
 Il film racconta una delle pagine più  
 nere della Francia collaborazionista,  
 il rastrellamento da parte della poli- 
 zia francese di 13 mila ebrei, al "Vel 
 d'hiv", periferia di Parigi, il 16 lu- 
 glio 1942, destinati ai lager tedeschi.
 Quell'orrore per lungo tempo rimosso ci
 viene riproposto,una denuncia delle re-
 sponsabilità della Francia di Pétain,  
 nell'omicidio politico degli ebrei.  
  

Umberto Eco a Televideo: il razzismo non muore mai  intervista all'autore del "  cimitero di Praga  "ero di Praga'

di Carla Toffoletti


E’ evidenza storica che lo stereotipo antisemita ha avuto e ha vita più lunga degli altri. Perché gli altri gruppi di diversi cambiano col tempo, o scompaiono, mentre le minoranze ebraiche sono sempre rimaste presenti, con una forte identità

Le manie, i pregiudizi, i luoghi comuni sugli ebrei, che coraggiosamente lei ha descritto nel "Cimitero di Praga",( attribuendo a Simonino Simonini tutte le caratteristiche che un antisemita usa per connotare gli ebrei) ci sono familiari e hanno pervaso la mentalità corrente. Simonino Simonini è ancora tra noi? E’ ancora tra noi perché il razzismo, come incapacità di accettare l’Altro, non muore mai, anche se nel corso della storia assume forme diverse. Il leghismo selvaggio è certo una nuova forma di razzismo. Quanto all’antisemitismo oggi è virulento nei paesi arabi ma in quelli occidentali è fenomeno abbastanza marginale, limitato o alle frange neonazi o a degenerazioni di una solidarietà terzomondista.
Cosa ha alimentato il mito dell'ebreo deicida, reietto, che si nutre del sangue dei bimbi cristiani, avido oltre misura, che giustifica la discriminazione che subisce da secoli? Bisogna distinguere un antisemitismo che chiameremo religioso, che va dalle origini alla rivoluzione francese, all’antisemitismo che chiamerei borghese, tipico del XIX secolo, e che poi sfocia nelle tecniche di sterminio hitleriane. L'antisemitismo religioso e popolare, che si basa da un lato sull’idea del popolo deicida e dall’altro sulla presenza dell’ebreo del ghetto, che parla un’altra lingua, è spinto a praticare solo attività commerciali o addirittura l’usura, ed è un diverso malvisto specie dagli umili. Ma dopo la rivoluzione francese, quando gli ebrei in vari paesi acquistano diritti di cittadino normale o quasi normale, nasce un antisemitismo che direi economico, in cui l’ebreo viene identificato con il capitalista. Sorge pertanto anche un antisemitismo socialista, e ed è appena uscito su questo fenomeno il libro di Battini, Il socialismo degli imbecilli. Oppure non si riesce a sopportare che l’assimilazione sia così completa da portare molti ebrei a diventare ufficiali dell’esercito; e di lì il caso Dreyfus. E’ con questo antisemitismo “borghese” che nasce il mito del complotto ebraico per la conquista del mondo, popolarizzato poi dai falsi Protocolli dei savi anziani di Sion.. L’ebreo fatto segno al’antisemitismo popolare e religioso poteva magari essere accusato di uccidere i bambini ma non lo si vedeva come pericolo mondiale.
Quando lo stereotipo può essere attraente?Come si è visto, gli stereotipi sono stati due, ma sempre basati sulla diffidenza per il diverso. L’odio per il diverso non è “attraente”: è spesso necessario, specie se opportunamente suscitato e manipolato, per conferire identità a un gruppo e per scaricare su qualcun altro l’insoddisfazione per i disagi dei membri di quel gruppo. Ha a che fare con l’invenzione del nemico da parte di ogni dittatura, per dirottare altrove la violenza del corpo sociale.
L'ossessione rivolta agli ebrei in quanto "diversi", è ancora attuale. Magari rivolta ad altre minoranze,(immigrati, islamici....). Gli stereotipi antisemiti sono simili a tutti gli altri stereotipi razzisti? E’ evidenza storica che lo stereotipo antisemita ha avuto e ha vita più lunga degli altri. Perché gli altri gruppi di diversi cambiano col tempo, o scompaiono, mentre le minoranze ebraiche sono sempre rimaste presenti, con una forte identità; inoltre gli altri oggetti di odio razziale sono sempre stati di solito dei reietti culturalmente inferiori (zingari, immigrati analfabeti, schiavi dalla pelle nera), mentre l’ebreo nasce da una cultura del Libro, rappresenta una diversità colta e quindi capace di suscitare invidia o avversione presso le masse diseredate. Tipico il caso degli ebrei russi, che sapevano leggere e scrivere rispetto a una popolazione di mugiki analfabeti. Di lì il pogrom. Infine c’è un carattere specifico dell’antisemitismo, oltre alla sua resistenza nel corso dei secoli: che è la sola forma di razzismo che è sfociata in un genocidio “scientifico”, tecnologicamente organizzato, e così massiccio come l’Olocausto.
Quali sono le nuove forme di antisemitismo e i meccanismi dell'antisemitismo moderno?Qui la storia si fa complessa perché oggi spesso l’antisemitismo assume le forme dell’antisionismo, e talora si confonde con la critica alla politica israeliana. Sono tre cose diverse (tanto diverse che si può essere persino ebreo e non essere d’accordo con la politica del governo israeliano o non condividere l’idea sionista) ma per moltissimi l’avversione a Israele si trasforma in avversione per l’ebreo tout court, ed ecco che abbiamo un ritorno dell’antisemitismo, anche se mascherato e anche se, ripeto, limitato ad alcune frange politicamente molto connotate ma estraneo, mi pare, alla maggioranza della popolazione. Però, a scoprire tanti siti antisemiti su Internet, non si può evitare un brivido.

                



                                                   L'antisemitismo corre in rete
 Intervista ad Anna Foa   docente di storia  moderna  all'università  la sapienza di Roma



La storica ci mette in guardia dal pericolo dell’ipertrofia della memoria che rischia di far perdere l’indispensabile nesso fra funzione conoscitiva (sapere perché non accada più) e funzione etica (cittadini consapevoli dei valori universali e, dunque, migliori). La sfida è rendere più complesso il linguaggio e stimolare alla responsabilità
L’ultimo rapporto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano indica la rete come principale vettore del nuovo antisemitismo.  IL pregiudizio anti ebraico oggi passa per internet?
Sostanzialmente sì, ci sono anche altri canali, ma quello principale è internet. Del resto basta navigare un po’ per rendersi conto di questo. Ci sono siti antisemiti ovunque, di ogni tipo, di cui alcuni sono espressione di un tradizionalismo cattolico, lefebvriano, addirittura sedevacantista, cioè quelli che sostengono che dopo il Concilio non c’è più un Papa e una Santa Sede, altri invece più legati ai movimenti neonazisti , altri mettono insieme il sostegno a palestinesi e in particolare ad Hamas con formule neo naziste, insomma c’è un po’ di tutto e in forma molto virulenta e molto pervasiva.
Qual è la pericolosità di questo nuovo canale di trasmissione dell’antisemitismo?
Innanzitutto il mezzo. E’ un mezzo che i giovani usano e con cui si confrontano spesso. Basta vedere i commenti e gli interventi che nascono in questi blog per rendersi conto della presa che hanno queste affermazioni. Tutte o quasi crescono su un unico terreno comune che è quello di un’enorme “teoria del complotto” che è molto pervasiva nella società, e in cui tutti più o meno credono. Basta parlare con le persone per sentirsi dire : “E già, ma cosa c’è dietro”, o affermazioni di questo tipo, che trovano nella rete ( c’è una sorta di affinità col mezzo),un canale privilegiato in cui tutto è complotto. La teoria del complotto sembra naturale. Uno dei cavalli di battaglia di queste forme di complottismo e di negazionismo vero e proprio lo si ritrova nei tanti siti sulle Torri Gemelle, dove si dice che il crollo non sia mai esistito oppure che sia opera degli ebrei. Tutto questo porta a formulare una gigantesca “teoria del complotto”, che è solo un modo molto facile di uscire dalle contraddizioni della nostra società. Se esiste un complotto la responsabilità di ognuno è limitata e in qualche modo addirittura abolita. C’è poi un linguaggio che fa molta presa sui giovani, estremamente semplificato. E per la prima volta dal dopoguerra ci troviamo davanti ad un effettiva presa di questa ideologia, che punta su una lingua semplificata, su questo complottismo, estremamente basso come livello ma che proprio per questo è efficace, e su un mezzo che arriva ovunque.
Come contrastare questo?
E’ molto difficile. Con una punta di illuminismo io penso ancora che l’insegnamento, il coinvolgimento diretto degli studenti, delle persone con cui si parla, abbia grandi possibilità. Resta il fatto che noi arriviamo a pochissime persone rispetto a quelle a cui arriva la Rete. E’ una questione numerica. Ogni anno io posso riuscire a stimolare l’interesse, la curiosità, la spinta alla complessità,alla non semplificazione, di 30, 40 studenti, ma al di là di questo ci troviamo di fronte a numeri molto ampi. Ci vorrebbe un controllo sui contenuti di questi blog. L’ultima black list pubblicata sul sito americano Stormfront dal titolo ” Il dovere di ogni nazionalsocialista è quello di scovare l'ebreo camuffato", è un attacco neonazista molto virulento. Sul sito si trova l’esaltazione della razza ariana e tutto l’armamentario di un incitamento al razzismo che è proibito dalle nostre leggi. Un controllo maggiore è molto difficile da ottenere, anche se si lavora tanto in questo senso, anche perché molti di questi siti sono localizzati negli Stati Uniti o altrove, ed è complesso riuscire a bloccarli. Credo molto invece in un lavoro di insegnamento, non tanto sui contenuti, ma sul fatto di rendere più complesso il linguaggio, stimolare la responsabilità, le letture, e questo va fatto in modo massiccio da tutti gli intellettuali, gli insegnanti e coloro che operano nel sociale.
A parte la Rete, quali sono le nuove forme di antisemitismo?
L’antisionismo, che ha una forte presa e che punta su contraddizioni e problemi reali per snaturali e trasformali in un terreno di odio verso gli ebrei, in cui anche l’appoggio ai palestinesi è del tutto strumentale, e comunque punta sull’appoggio ai terroristi, ad Hamas, e non certo sul dialogo tra israeliani e palestinesi. Poi è ancora molto forte il terreno lefebvriano, ai margini del lefebvrismo, interno al mondo cattolico, il cattolicesimo tradizionalista. Esiste un sito dedicato all’ abate Barruel, che durante la rivoluzione francese aveva scritto uno dei primi libri sulla “Teoria del complotto”. Alcuni anni fa questo non sarebbe stato possibile. In realtà questi stereotipi negativi sulll’ebreo sono molto persistenti, si perpetrano, e man mano viene aggiunto qualche elemento. L’elemento essenziale aggiunto negli ultimi due decenni è l’antisionismo, la crescita del lefebvrismo e delle forme più anticonciliari di cattolicesimo, e questa idea del complotto, che a mio avviso è molto pericolosa.
Dunque tutti i luoghi comuni e i pregiudizi sugli ebrei, deicidi, avidi oltre misura, reietti, sono ancora vivi?
Un po’ meno. E’ il linguaggio attraverso cui si filtrano . C’è un’ insistenza sull’ebreo ricco, sull’ebreo potente, sull’ebreo che complotta contro gli altri, più che sul deicidio. Invece nei siti tradizionalisti c’è una polemica contro il Concilio che ha fatto degli ebrei degli “uguali”, e che ha eliminato la tradizione antigiudaica della Chiesa.
Il Giorno della Memoria. Come far sì che non sia solo commemorazione ma qualcosa in più?
Forse domandarsi a cosa serve la memoria, non una memoria fine a se stessa ma una memoria che si allarghi il più possibile. Parafrasando la frase degli ebrei “Ricordati che sei stato schiavo in Egitto”, tramutarla in “ricordati che questa memoria sia volta a ricordare non solo per te ma per tutti”. Va anche detto che certi meccanismi civici sono molto importanti perché servono a creare coesione, basta che siano fatti con garbo in modo da non suscitare una reazione negativa. A volte nelle scuole se sono imposti e non sentiti diventa un meccanismo del tutto rituale. E’ un meccanismo con una doppia faccia, in cui i rischi sono pari ai vantaggi.




Le radici dell'antisemitismo,

Intervista a David Meghnagi


Prima di Auschwitz l’antisemitismo aveva nella cultura europea una sua presunta “rispettabilità”. Chi era antisemita non se ne vergognava. Lo gridava ai quattro venti e ne faceva un programma. Lo sterminio nazista ha costituito una cesura profonda. Dopo Auschwitz l’antisemitismo ha perduto la sua presunta “rispettabilità”. Chi è antisemita non lo può più affermare apertamente
Cosa ha alimentato il mito del'ebreo deicida, reietto, che si nutre del sangue dei bimbi cristiani, avido oltre misura, che giustifica la discriminazione che subisce da secoli? Questa forma di antisemitismo è ancora tra noi?
Gli stereotipi antiebraici hanno avuto una lunga gestazione. Sono presenti sin dall’antichità e si sono trasformati nel corso del tempo. L’antisemitismo presenta molte facce. C’è stato un antisemitismo di matrice pagana, un antisemitismo di matrice cristiana, un antisemitismo di matrice araba e islamica, un antisemitismo moderno e razzista, un antisemitismo dopo Auschwitz. L’antisemitismo non è solo di destra. Non è stato così nel passato. Proudhon per esempio aveva un odio contro gli ebrei uguagliato solo per l’odio nutrito contro le donne. C’è stato un antisemitismo sovietico, c’è un antisemitismo di sinistra e terzomondista. Non sempre è facile distinguere. Nella realtà le forme si intrecciano fra loro alimentandosi a vicenda. 
Gli stereotipi di matrice cristiana sono una parte integrante dell’antisemitismo razzista, gli hanno strada fornendo l’humus. La definizione “razziale” degli ebrei utilizzava come strumento l’appartenenza religiosa per la semplice ragione che le razze sono un’invenzione del razzismo. 
La stessa parola antisemitismo è un’invenzione del razzismo che arbitrariamente unifica nello stesso registro concetti diversi di lingua, cultura e “razza”. 
Dire come fanno alcuni che gli arabi non possono essere antisemiti perché sono essi stessi semiti, è un esempio concreto di questa deriva del linguaggio che unifica in uno stesso registro la lingua, la cultura, la religione, la nazione, l’”etnia” e le “razze”. Gli stereotipi sono radicati nel linguaggio. La prima cosa da fare è curare le parole. Se le parole sono malate bisogna curare le parole come si fa con le persone. 
I pagani rimproveravano agli ebrei il loro monoteismo. Il rifiuto dell’idolatria era considerato una colpa. L’adorazione di un Dio invisibile e onnipresente, madre e padre di ogni vivente metteva in discussione radicalmente ogni potere costituito. Per questa ragione gli ebrei erano posti ai margini della vita sociale, accusati di “ostilità” verso gli altri popoli con cui non volevano “mescolarsi” e “assimilarsi”. 
Con l’avvento del cristianesimo alle vecchie accuse se ne aggiungono delle nuove che sono in consonanza con la volontà della Chiesa di sostituire la “Vecchia Alleanza” con la “Nuova Alleanza”. 
Il punto di intersezione fra l’antisemitismo pagano e quello cristiano è ben rappresentato dalla posizione di Agostino di Ippona che odiava gli ebrei prima di farsi cristiano e che nella storia biblica di Caino e Abele vedeva una rappresentazione simbolica della successiva “caduta” ebraica. In questa nuova dialettica gli ebrei diventano ontologicamente colpevoli per il loro rifiuto a convertirsi. Sono il simbolo di Caino, o meglio caino li simboleggia col suo eterno girovagare con il segno di colpa cucito addosso sino alla fine dei tempi. Con la loro esistenza umiliata ed esiliata devono testimoniare il trionfo della nuova religione. A differenza dei pagani che se non si convertivano, venivano sterminati, lo spazio simbolico degli ebrei era di un’esistenza umiliata, simbolo di un’alterità assoluta su cui proiettare immagini interne negative insopportabili. 
Nell'universo simbolico del cristianesimo preconciliare, gli ebrei hanno una via di uscita alla loro condizione umiliata se si convertono. Convertendosi possono “ritrovare” la loro umanità. La colpa trasmessa da padre in figlio (una vera e propria mostruosità) può essere fermata attraverso il battesimo. Col battesimo si è “salvi”. Nella Spagna dell’Inquisizione la conversione al cattolicesimo da sola non basta. La colpa si trasmette anche dopo la conversione per generazioni. Il mito della limpieza de sangre che si afferma in Spagna sullo sfondo della Reconquista trasforma la vita dei conversos in un incubo. La Spagna impazzita è ben rappresentata dal Cervantes nel combattimento contro i mulini al vento. Il mito della purezza del sangue rappresenta l’anello di congiunzione con l’antisemitismo moderno e razziale che si afferma nell’Europa moderna contro la cultura della libertà e dell’uguaglianza. 
Nella civiltà islamica gli ebrei condividevano con le altre minoranze religiose tollerate, cristiani e zoroastriani, la condizione di dhimmi. I dhimmi erano oggetto di disprezzo e asservimento. In cambio della sottomissione assoluta al potere potevano ottenere protezione. Una protezione che era però precaria soggetta ai cambiamenti nella sfera del potere, perennemente esposta a ricatti e rappresaglie. I cristiani un tempo maggioritari nell’Oriente arabo si sono assottigliati sino a diventare esigue minoranze. Gli ebrei sono fuggiti prima. Il loro è stato un esodo silenzioso che la stampa non ha registrato. Hanno trovato in larga parte rifugio in Israele. La progressiva scomparsa delle diversità del mondo arabo, ha finito per polarizzare su Israele l’ostilità che un tempo si scaricava sulle minoranze. 
Quando lo stereotipo può essere attraente?
Lo stereotipo è una facile scappatoia che scarica su altri colpe proprie. Trasformando gli ebrei in un capro espiatorio si evita di affrontare i problemi veri. Il dispositivo antisemita è talmente collaudato che può essere utilizzato anche in assenza di ebrei. 
L'ossessione rivolta agli ebrei in quanto "diversi", è ancora attuale. Magari rivolta ad altre minoranze,(immigrati, islamici....). Gli stereotipi antisemiti sono simili a tutti gli altri stereotipi razzisti? L’antisemitismo non va confuso con le altre forme di razzismo o con la xenofobia. Le analogie non colmano le differenze. Nell’antisemitismo c’è un che di unico per la continuità che ha avuto nel tempo, per i simboli a cui attinge, i fantasmi di cui si alimenta. Per fare un esempio che riguarda il nostro paese nel 1938 da un giorno all’altro fu colpita una popolazione pari all’uno per mille che era profondamente integrata e identificata con la realtà del paese. Il dieci per cento dei docenti universitari erano ebrei. Cacciandoli dall’Università l’Italia si è culturalmente suicidata, l’università è stata distrutta. Molti dei problemi attuali dell’Università hanno lì la loro origine più profonda. Se da un giorno all’altro, i portaborse prendono il posto degli scienziati veri, non ci può meravigliare della deriva successiva. Ad essere colpiti insieme agli ebrei, sono stati anche i loro allievi non ebrei. Nel’esercito c’erano ebrei fedelissimi. Furono cacciati come se fossero estranei danneggiando la struttura militare. A Roma c’erano ebrei che vendevano stracci per sopravvivere. Amavano la loro città come nessun altro. Furono trattati come alieni. Metà della popolazione ebraica italiana era imparentata con non ebrei, il che spiega perché fu più facile nascondersi che altrove. 
Quali sono le nuove forme di antisemitismo e i meccanismi dell'antisemitismo moderno?
Prima di Auschwitz l’antisemitismo aveva nella cultura europea una sua presunta “rispettabilità”. Chi era antisemita non se ne vergognava. Lo gridava ai quattro venti e ne faceva un programma. Lo sterminio nazista ha costituito una cesura profonda. Dopo Auschwitz l’antisemitismo ha perduto la sua presunta “rispettabilità”. Chi è antisemita non lo può più affermare apertamente. Deve declinare il suo odio in altre forme: relativizzando la tragedia della Shoah, dirottando su Israele l’accusa che un tempo era rivolta contro gli ebrei, accusando gli ebrei di alimentare il senso di colpa degli europei per alimentare una “rendita di posizione” contro gli altri popoli. In questa perversa logica lo “stato degli ebrei” diventa “l’ebreo degli stati”, giudicato secondo criteri che non si applicherebbero a nessun altro stato. L’aspetto caricaturale di questa nuova dialettica è che si possa fare dell’antisemitismo in nome dell’”antirazzismo” trasformando le vittime di ieri “nei carnefici di oggi”. 

Scheda dell’autore
Psicoanalista, professore di psicologia clinica Roma Tre dove dirige il Master internazionale di II livello in didattica della Shoah. Studioso dell'opera di Freud e della psicodinamica del pregiudizio. Tre dei suoi libri affrontano nello specifico queste tematiche: “Il padre e la legge (Freud e l'ebraismo)”, Marsilio terza edizione 2004.“Ricomporre l'infranto. L'esperienza dei sopravvissuti alla Shoah”,Marsilio 2005. “Le sfide di Israele”, Marsilio, 2010.


non sempre gli errorio gaffe sono negativi ''Vuoi sposarmi?'' ma sbaglia numero: soldato sconosciuto commuove il mondo

EdHa lasciato un messaggio in segreteria credendo di parlare con la sua fidanzata incinta e chiedendole di sposarlo, ma il numero telefonico digitato era sbagliato e la commovente proposta è finita nella segreteria telefonica di una donna di 44 anni con tre figli



"Ti volevo chiedere, ma non rispondere subito, anche se ovviamente non puoi rispondere ora, mi vuoi sposare? Ti amo", così il misterioso uomo si propone a una donna chiamata Samantha. E' successo nel Regno Unito e ora, dopo la pubblicazione dell'audio della telefonata, è caccia al "mystery soldier" Dalle informazioni fornite durante la chiamata si pensa infatti che sia un soldato inglese in missione in Afghanistan. "Dovrei tornare tra mesi - spiega l'uomo - così potremo stare insieme. Sai sono molto triste, uno dei miei uomini è appena saltato in aria. Sono triste, molto triste, non vedo l'ora che nasca nostro figlio, il mio piccolo soldato..."

 Ed Sempre  online, che cercando foto da mettere  a tale articolo trovo  su  http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo  maggiori dettagli    della  vicenda

Diane Potts
GATESHEAD (GRAN BRETAGNA) – La più romantica delle proposte di matrimonio, ricevuta però dalla persona sbagliata: un soldato britannico in servizio con molta probabilità in Afghanistan ha lasciato un messaggio in una segreteria telefonica che credeva fosse della sua ragazza dicendole di amarla e di volerla sposare appena tornerà dal fronte.A ricevere il messaggio è stata però un’altra donna che ora si è affidata alla stampa del Regno per dare un nome al misterioso soldato e far pervenire il messaggio alla sua amata. Di lui si sa soltanto che ha un accento del Sunderland, che un suo compagno d’armi è appena stato ucciso e che la sua ragazza di nome Samantha aspetta un bambino. Nel messaggio lasciato nella segreteria telefonica di Diana Potts, una 44enne di Gateshead, il soldato si scusa per non essere riuscito a chiamare la sua donna il mese precedente e dice che tornerà a casa tra tre mesi e di non vedere l’ora di riabbracciarla.”Uno dei miei uomini è stato da poco ucciso da una bomba e sono molto, molto triste”, afferma il soldato che poi aggiunge: ”Ti amo con tutto il cuore. Non so cosa dire. Non vedo l’ora che tua dia alla luce il nostro bambino, il mio piccolo soldato. Faro’ tutto quello che posso e combattero’ per proteggervi”.L’uomo si fa infine coraggio e dice: ”Non ti dimenticare che ti amo, ti amo con tutto il cuore e volevo chiederti, non mi rispondere ora, ovviamente non mi puoi rispondere, ma mi vuoi sposare?”.”Sembrava così giovane”, ha detto la Potts al Daily Mail, aggiungendo: ”Mi sentivo in colpa ad ascoltare perché il messaggio era chiaramente indirizzato ad un’altra. La sua ragazza è in procinto di avere un bambino e spero davvero che si metta in contatto con me”.

emergenza scuola e vecchi metodi

 

"Professoressa, tu che vuoi?"
Sospeso, avrà il 5 in condotta

La vicenda all'istituto tecnico milanese Moreschi, dove il collegio dei docenti ha scelto la linea
dura adottata anche al Manzoni e al Galilei. Un preside: "In tivù si insultino, ma da noi è diverso" di TIZIANA DE GIORGIO e FRANCO VANNI
 
"Professoressa, tu che vuoi?" Sospeso, avrà il 5 in condotta Sospeso, con tanto di 5 in condotta, per avere risposto male a un’insegnante dandole del “tu”. È successo a uno studente dell’istituto tecnico Moreschi che stava chiacchierando durante la lezione. La professoressa l’ha ripreso e lui ha ribattuto deciso: «Ma tu cosa vuoi?». Nessuna parolaccia, nessuno scatto d’ira: un gesto di insubordinazione che la scuola ha ritenuto di punire con la più severa delle sanzioni. «Tutti i docenti sono stati concordi nel decidere la sospensione per un giorno e il 5 di condotta in pagella  dice la preside Carola Feltrinelli  a fine anno questo significa bocciatura, nel primo quadrimestre vuole essere invece un segnale molto forte. Questi comportamenti, anche se possono sembrare di non eccessiva gravità, a scuola non possono essere ammessi».
Scena simile all’istituto tecnico Galileo Galilei, dove uno studente è stato sospeso per avere risposto a un insegnante: «Può dirmi quello che vuole, ma per me lei non esiste, non la considero proprio». Anche per lui, insufficienza in condotta sulla pagella di metà anno su proposta dell’intero consiglio di classe. Identica punizione rischia un ragazzo del liceo linguistico Manzoni, e la ragione è simile. All’insegnante di spagnolo che lo aveva ripreso, il sedicenne ha risposto: «Non mi interessa quello che lei dice». Oggi pomeriggio si riunirà il consiglio di classe, una seconda, in seduta straordinaria per stabilire la punizione: fra i professori c’è, anche in questo caso, chi propone la sospensione e relativo 5 in condotta. «Quello che si vuole far passare è un messaggio chiaro  dice il preside del Manzoni, Pino Polistena  gli adulti, e gli insegnanti in particolare, vanno rispettati. Sappiamo tutti che in televisione ogni giorno c’è chi dice assai di peggio, ma proprio per questo bisogna tornare alle buone vecchie regole».
I primi a rimanere stupiti dalla linea dura dei docenti sono i genitori stessi. «Mia figlia mi manda a quel paese regolarmente - racconta Giada Marchesini, madre di una studentessa al primo anno - se decidessi, per questo, di toglierle la paghetta settimanale penso reagirebbe ridendo». Per Marco, invece, padre di uno studente all’ultimo anno del liceo linguistico comunale, «l’idea di punire uno studente con il 5 in condotta per il semplice fatto che risponde male può sembrare anacronistica ma è sacrosanta». Elisabetta Scala, coordinatrice nazionale dell’organizzazione di genitori Moige: «La speranza è che la punizione recuperi lo studente a quel minimo di educazione che è giusto pretendere a scuola. L’augurio è che ora i due istituti coinvolgano i genitori in un ampio progetto educativo».
Per dare una risposta forte al problema della mancanza di disciplina, al tecnico Feltrinelli la preside ha scelto di abbinare alla sospensione un periodo di volontariato in un’associazione no profit: «È un aspetto educativo fondamentale su cui devono lavorare intensamente scuola e famiglia  spiega la dirigente Annamaria Indinimeo  i ragazzi ultimamente tendono a prendersi libertà che non sono ammissibili». In caso di sospensioni lunghe quindi, se c’è l’accordo, i ragazzi vengono mandati ad aiutare gli operatori del centro di accoglienza Cardinal Ferrari. Non solo: più di uno studente con il cinque in condotta in pagella si è ritrovato a fare giardinaggio nelle aree verdi della scuola anche durante le vacanze. «Le famiglie finiscono sempre per ringraziarci, i figli tornano a casa cambiati» assicura la preside.

Condivido in parte questo commento : << Le relazioni sociali tra adulti e ragazzi sono, purtroppo, cambiate da quando i genitori hanno invaso la scuola, ammorbidendo deridendo togliendo autorevolezza al corpo docente e in generale alla scuola. In generale un genitore dovrebbe preparare i propri figli a 'vivere'...se poi riesce ad essergli amico..tanto meglio. Assisto invece a genitori succubi dei loro figli incapaci d'imporre loro delle regole. Il rispetto dei ruoli è una di quelle cose a cui da tempo un buon numero di genitori ha omesso di insegnare alla loro prole e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti....Ci sono diritti e doveri, molti diritti si conquistano con il rispetto, la disciplina il coraggio l'altruismo.. e la rettitudine. forse alcuni genitori abdicando al loro ruolo educativo si sono 'dimenticati' che l'educazione e il rispetto delle regole sono alla base di un sistema meritrocatico ...quindi nessun dramma se un giovane prende un cinque o viene bocciato si diventa uomini anche con le sconfitte!! >>


Perchè 
Io disprezzo chiunque pretenda rispetto "a prescindere". Il rispetto è una cosa che si merita, nessuno ne ha diritto, e non lo si guadagna certo con i metodi terroristici e punitivi se  non inseriti  in un corso  per  genitori  e  figli  e  corsi  di non violenza  e rispetto   che purtroppo visto  la riduzione   se (  se no  l'abolizione  ) del  tempo prolungato    voluta  per  pagare le cambiali  elettorali  alle scuole  private  . Qualcuno confonde la paura con il rispetto. Io mi ricordo che alle elementari avevamo terrore della maestra, alle medie si saltava in piedi all'entrata del professore ("buongiorno prof!"), al liceo si stava seduti e si prestava attenzione, in università ci si facevano i fatti propri se si voleva, e durante il dottorato ho sempre chiamato il mio professore per nome e gli ho dato del tu (e non perché nella lingua locale il "lei" non esista). Più l'insegnante vale, meno gliene importa dei formalismi, perché viene rispettato in modo ben più sostanziale che con qualche formula di cortesia. Una professoressa degna di rispetto, per esempio, sa gestire una situazione del genere senza isterie collettive sulla disciplina, come se l'obbedienza fosse una virtù.
Ecco cosa  dice  sula chat  di fb : << Giusto che si insegni il rispetto, ma è ovvio che i ragazzi che crescono con quel cialtrone del nano e la destra che "si pulisce il culo con la bandiera" che rutta e canta canzoni contro i napoletani, che fa il dito medio in tv, che lascia le trasmissioni andandosene e berciando come i cani, con gente che da dell'abbronzato al presidente degli stati uniti, che bestemmia (contestualizzando....) che riempe regioni e governo di mignotte, mafiosi, collusi, ladri, corruttori, analfabeti..cosa volete che imparino i ragazzi?? E qualche pirla su sta notizia ha il coraggio di dire "il buonismo della sinistra?? O è scemo o è mentalmente disonesto...spero sia scemo...RAGAZZI scioperate, andate contro a sto governo di criminali buzzurri, ma cercate di farlo con intelligenza che non vi manca al contrario degli altri..>>.

"Professoressa, tu che vuoi?"
Sospeso, avrà il 5 in condotta

La vicenda all'istituto tecnico milanese Moreschi, dove il collegio dei docenti ha scelto la linea
dura adottata anche al Manzoni e al Galilei. Un preside: "In tivù si insultino, ma da noi è diverso" di TIZIANA DE GIORGIO e FRANCO VANNI
 
"Professoressa, tu che vuoi?" Sospeso, avrà il 5 in condotta Sospeso, con tanto di 5 in condotta, per avere risposto male a un’insegnante dandole del “tu”. È successo a uno studente dell’istituto tecnico Moreschi che stava chiacchierando durante la lezione. La professoressa l’ha ripreso e lui ha ribattuto deciso: «Ma tu cosa vuoi?». Nessuna parolaccia, nessuno scatto d’ira: un gesto di insubordinazione che la scuola ha ritenuto di punire con la più severa delle sanzioni. «Tutti i docenti sono stati concordi nel decidere la sospensione per un giorno e il 5 di condotta in pagella  dice la preside Carola Feltrinelli  a fine anno questo significa bocciatura, nel primo quadrimestre vuole essere invece un segnale molto forte. Questi comportamenti, anche se possono sembrare di non eccessiva gravità, a scuola non possono essere ammessi».
Scena simile all’istituto tecnico Galileo Galilei, dove uno studente è stato sospeso per avere risposto a un insegnante: «Può dirmi quello che vuole, ma per me lei non esiste, non la considero proprio». Anche per lui, insufficienza in condotta sulla pagella di metà anno su proposta dell’intero consiglio di classe. Identica punizione rischia un ragazzo del liceo linguistico Manzoni, e la ragione è simile. All’insegnante di spagnolo che lo aveva ripreso, il sedicenne ha risposto: «Non mi interessa quello che lei dice». Oggi pomeriggio si riunirà il consiglio di classe, una seconda, in seduta straordinaria per stabilire la punizione: fra i professori c’è, anche in questo caso, chi propone la sospensione e relativo 5 in condotta. «Quello che si vuole far passare è un messaggio chiaro  dice il preside del Manzoni, Pino Polistena  gli adulti, e gli insegnanti in particolare, vanno rispettati. Sappiamo tutti che in televisione ogni giorno c’è chi dice assai di peggio, ma proprio per questo bisogna tornare alle buone vecchie regole».
I primi a rimanere stupiti dalla linea dura dei docenti sono i genitori stessi. «Mia figlia mi manda a quel paese regolarmente - racconta Giada Marchesini, madre di una studentessa al primo anno - se decidessi, per questo, di toglierle la paghetta settimanale penso reagirebbe ridendo». Per Marco, invece, padre di uno studente all’ultimo anno del liceo linguistico comunale, «l’idea di punire uno studente con il 5 in condotta per il semplice fatto che risponde male può sembrare anacronistica ma è sacrosanta». Elisabetta Scala, coordinatrice nazionale dell’organizzazione di genitori Moige: «La speranza è che la punizione recuperi lo studente a quel minimo di educazione che è giusto pretendere a scuola. L’augurio è che ora i due istituti coinvolgano i genitori in un ampio progetto educativo».

Ora  , Per dare una risposta forte al problema della mancanza di disciplina,  bisognerebbe  fare  come  al tecnico Feltrinelli  dove  la preside ha scelto di abbinare alla sospensione un periodo di volontariato in un’associazione no profit: «È un aspetto educativo fondamentale su cui devono lavorare intensamente scuola e famiglia  spiega la dirigente Annamaria Indinimeo  i ragazzi ultimamente tendono a prendersi libertà che non sono ammissibili». In caso di sospensioni lunghe quindi, se c’è l’accordo, i ragazzi vengono mandati ad aiutare gli operatori del centro di accoglienza Cardinal Ferrari. Non solo: più di uno studente con il cinque in condotta in pagella si è ritrovato a fare giardinaggio nelle aree verdi della scuola anche durante le vacanze. «Le famiglie finiscono sempre per ringraziarci, i figli tornano a casa cambiati» assicura la preside.

un " lodo " anche per il ruby gate ? vogliono portare la maggiore età a 16per salvare Premier

da http://www.italymedia.it                                                                         Maggiore età a 16 anni per salvare Premier, De Pierro contro “Lodo Ruby "







Scritto da Redazione   
Martedì 25 Gennaio 2011 01:17


Il presidente dell’Italia dei Diritti: “Noi ci opponiamo per inoppugnabile logica e buon senso ad un provvedimento di questo tipo, il quale  non fa altro che aggravare e rendere ancora più vergognoso il repertorio di leggi ad hoc sfornate da quella che riteniamo la peggiore gestione di governo dell’Italia repubblicana”


Roma –   “Quando ieri mi hanno riferito, prima ancora che uscisse, la notizia che c’erano delle manovre nella Maggioranza per varare l’ennesima legge ad personam che addirittura abbassasse il limite della maggiore età pur di salvare il Premier da un’accusa di reato per i presunti rapporti intrattenuti con Ruby, non volevo crederci, pensavo fosse uno scherzo. Quando invece ho capito che non lo era e ho scoperto una triste verità ho provato un senso di forte rabbia e impotenza, ho pensato di  trovarmi di fronte ad un esecutivo colmo di profonda incoscienza sociale prima che politica e istituzionale”.
Commenta con amarezza Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti, la notizia trapelata nelle ultime ore che annuncia manovre governative per portare la maggiore età al compimento dei 16 anni. La premura di agire, la proposta di retroattività e soprattutto la coincidenza con le recenti vicende giudiziarie nelle quali è coinvolto Silvio Berlusconi, destano non poche perplessità e reazioni.
“Una cosa molto grave quella che si accingerebbero a fare – prosegue De Pierro -  senza rendersi conto delle conseguenze disastrose che tale provvedimento potrebbe generare. Certo siamo abituati a vederli legiferare in favore del Premier senza mai pensare alla gente, ai cittadini, al popolo, è una loro caratteristica. Prima devono salvare Berlusconi dai guai giudiziari, che alla luce dei fatti sembrerebbe si vada a cercare, e poi se c’è tempo, dopo aver soddisfatto i propri interessi, qualcosina a favore della popolazione si può anche decidere di farla. Noi ci opponiamo per inoppugnabile logica e buon senso ad un provvedimento di questo tipo, il quale  non fa altro che aggravare e rendere ancora più vergognoso il repertorio di leggi ad hoc sfornate da quella che riteniamo la peggiore gestione di governo dell’Italia repubblicana. Mi domando se questi signori abbiano provato soltanto per un istante ad immaginare tutto quello che provocherebbero solo per salvare, scusatemi l’espressione,  ‘le terga del premier’. Si profila uno scenario che non esiterei a definire catastrofico, ma purtroppo costoro che campeggiano sul proscenio istituzionale, con il loro spessore politico molto opinabile, probabilmente non riescono a guardare oltre il loro obbiettivo primario, ossia salvare Berlusconi fregandosene dell’Italia intera”.
Un’affrettata soluzione a vantaggio di uno solo che coinvolgerebbe immediatamente, e senza adeguata preparazione tutti gli italiani, genera un’attenta riflessione del presidente dell’Italia dei Diritti : “Mi chiedo se abbiano provato solamente a immaginare – sottolinea sgomento De Pierro - ciò che potrebbe succedere in un tessuto sociale dove sarebbe più opportuno elevarla la maggiore età,  vista la situazione odierna dei giovani. Provino a pensare che ragazzi incoscienti spesso dediti all’alcool e alle droghe in questo caso potrebbero guidare l’autovettura con 2 anni di anticipo. Senza parlare poi del diritto di voto, che verrebbe acquisito a 16 anni, età in cui è ancora più facile manipolare le coscienze, cosa tanto cara al centrodestra. Senza calcolare ancora il regalo perfetto fatto alla criminalità organizzata soprattutto  nel campo dello sfruttamento della prostituzione con le strade che verrebbero invase, come già purtroppo accade, da ragazze ‘ maggiorenni’ ex minorenni. Un’incoscienza che stride completamente con i proclami elettorali sbandierati sulla sicurezza e sulla prostituzione, con quella famosa legge Maroni- Carfagna, di cui però stranamente non si è più parlato e al cui motivo forse qualcuno ora può iniziare a dare delle risposte. Chiaramente non staremo a guardare – prosegue De Pierro richiamando alla partecipazione - , attiveremo tutti i mezzi a nostra disposizione, affinché un tale obbrobrio giuridico addirittura con l’applicazione della retroattività, istituto preferito da questo esecutivo, venga bloccato. Invitiamo anche coloro i quali preferiscono spesso esprimere le loro opinioni davanti ad un monitor e ad una tastiera  a scendere in piazza per mettere finalmente la parola fine ad un’egemonia berlusconiana che tanti danni ha fatto all’Italia, la cui colpa però ricade in forte misura anche su quella parte di una certa sinistra la quale  tutto ciò ha permesso nel corso di questo lungo periodo”.
Si unisce all’indignazione per il lodo- Ruby, così chiamato per via del soprannome di Karima El Mahroug  la ragazza coinvolta nello scandalo, minorenne all’epoca dei fatti, il responsabile per la Giustizia dell’Italia dei Diritti Giuliano Girlando : “Si tratta dell’ennesima legge ad hoc per cercare un’immunità nei confronti del Presidente del Consiglio.  Attualmente – commenta - abbassare la maggiore età a 16 anni è una scelta irresponsabile per due motivi,  sarebbe fatto ad arte per coprire quelle che sono le questioni giudiziarie del Premier  e peggio, perché trattasi di un’ammissione di colpa, in quanto Berlusconi ha sempre negato i rapporti con una minorenne.  Si fa una legge ad personam ammettendo una colpa per tentare soprattutto di far venir meno la contestazione dei due reati principali ovvero la prostituzione minorile  e la concussione. Decadrebbe ovviamente soltanto il primo, ma sarebbe un andar contro le scelte fatte dallo stesso esecutivo nel ddl Carfagna, il Governo contraddice se stesso. Ritengo inqualificabile il comportamento legislativo perché si interviene soltanto per le esigenze del  Premier, senza aprire un dibattito reale sulla questione dei diritti dei minorenni tantomeno sui diritti della donna. La legge è uguale per tutti in questo paese, attualmente se ci si imbatte nella prostituzione da strada si viene perseguiti legalmente, mentre il Presidente del Consiglio gode di una sorta di immunità. Bisogna aprire un dibattuto serio sulle funzione legislative – conclude Girlando - che devono servire esclusivamente alla collettività, non ad uso e consumo di Berlusconi. Vengono meno i principi liberali della storia e della Costituzione sulla separazione dei poteri. Il lodo - Ruby è l’ennesima porcata”.