cercando dei vecchi giornali da mettere sopra le talee di erba barona cioè il Thymus herba-barona Loisel ., Famiglia: Labiatae qui ulteriori dettagli
ho trovato , questo articolo della nuova sardegna ( non ricordo la data precisa , cmq ultimi giorni di marzo ) in cui si commentava l'episodio avvenuto qualche giorno fa
Bomba in auto nel centro di Lanusei: il bilancio è di un morto e diversi feriti
Nell'attentato è rimasto ucciso un 49enne ai domiciliari per una truffa
qui e nel video di tgcom24 maggiori dettagli
l procuratore Fiordalisi: «La criminalità si sta strutturando»
I segnali inquietanti
di una deriva mafiosa
di Piero Mannironi
Se il metodo può essere associato a un sintomo, allora il ricorso a un'autobomba per uccidere rappresenta molto di più di un indizio per certificare la diagnosi di un nuovo morbo criminale. Perché nella sintassi della malavita i modi sono la rappresentazione di un'identità, la dimostrazione di una sanguinosa efficienza e perfino la spettacolare affermazione di una potenza. Che deve intimorire socialmente, esprimere una volontà di terrorizzante dominio. L’autobomba di ieri mattina a Lanusei è dunque questo. È il linguaggio nuovo di un incubo nuovo. La discriminante che segna un'evoluzione criminale temuta e in qualche modo già percepita. Nel giugno del 2006 l'allora procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, calabrese e profondo conoscitore di una realtà labirintica come la 'ndrangheta, parlò di alcuni segnali che portavano a non trascurare possibili degenerazioni della malavita ogliastrina. E cioè la formazione di un clima nel quale si possono leggere alcune analogie con aree ad alta concentrazione mafiosa. Qualcuno, semplificando, aveva interpretato le parole del magistrato come l'affermazione della nascita di una mafia autoctona. Ma il ragionamento era molto più articolato e sottile. I timori del procuratore. Diceva Fiordalisi: «Proliferano reati come l'estorsione e l'usura e la gente subisce senza reagire, senza parlare. E' l'omertà che nasce dal grande potere di intimidazione di alcuni gruppi criminali. E noi, nelle nostre indagini, percepiamo nelle persone offese e nei testimoni, il terrore per questi gruppi. Realtà che stanno arrivando a una loro strutturazione e che meritano di essere investigate e analizzate con maggiore attenzione». E proprio il riferimento ai gruppi in «fase di strutturazione», ai quali fece riferimento Fiordalisi, può essere un punto di partenza per cercare di capire cosa si nasconde dietro lo spettacolare omicidio di Lanusei o l'analogo tentativo messo a segno a Ilbono lo scorso anno. Ma per arrivare a questi ambienti che si muovono seguendo tecniche mafiose è necessario riprendere il filo dell'evoluzione criminale ogliastrina, partendo da un panorama umano e culturale caratterizzato da una eccezionale capacità di modificarsi. Dolce e disperata, aspra e generosa, l'Ogliastra è una terra di luci e di ombre, di sentimenti trasparenti, ma anche capace di contenere nella sua anima più profonda gli abissi più cupi e roventi della violenza. Nelle pieghe segrete delle sue contraddizioni c'è l'enigma di questa regione, storicamente marginale, nella quale si perpetua uno scollamento fisiologico tra cultura legale e un vissuto comunitario rabbioso e, a volte, perfino feroce. Laboratorio della malavita. Terra vulnerabile, quindi. Fragile. Perché capace di metabolizzare naturalmente il nuovo e capace di adattarsi ai cambiamenti. Anche quelli che segnano derive criminali profondamente diverse da quelle della tradizione. Per esempio: l'aristocrazia criminale segnata da uomini come Piero Piras, Pasquale Stochino, Adolfo Cavia e, Attilio Cubeddu è una dimensione ormai perduta. Legata intimamente al mondo dei sequestri di persona, si è dissolta. Ma l'Ogliastra era e resta un calderone ribollente, un laboratorio di alchimie possibili della violenza. E così ecco subito le sperimentazioni di nuovi know-how criminali. Prima i sequestri-lampo, con i rapimenti di un direttore di banca di Tortolì nel novembre 1999 e di una direttrice delle poste di Villagrande, nel dicembre dello stesso anno. Strada quasi subito abbandonata perché resa impraticabile dalle contromisure attuate dagli istituti di credito e dagli uffici postali. E allora ecco moltiplicarsi le rapine. Soprattutto quelle ai furgoni portavalori. L’ascesa di Arzu e di Ladu. Le tattiche vengono subito affinate e diventano quasi una sapienza. Tanto da essere addirittura esportate nella penisola. Gli uomini emergenti di questo periodo sono Raffaele Arzu di Talana e Marcello Ladu di Villagrande Strisaili. Proprio l’avventura violenta di quest’ultimo, diventa la prova di un teorema fino ad allora indimostrato. E cioè di quel fenomeno che sociologicamente viene definito di contaminazione culturale. Ma contaminazione è una parola inadeguata. Perché il dialogo tra mondi criminali lontani, come quello ogliastrino e quello strutturato delle mafie, è l’incontro tra due corpi malati. I canali d’incontro sono come bui cunicoli nascosti dove si scambiano favori, si stabiliscono patti e solidarietà e si organizzano traffici lucrosi. Più che di contaminazione è quindi più corretto parlare di sinergie. Certo, la risultante è che questi scambi criminali portano a un’evoluzione, alla semina di spore velenose che trasformano progressivamente il Dna rurale della criminalità ogliastrina. Le rapine ai portavalori. Marcello Ladu, allevatore di Villagrande Strisaili, emigra nel Salento alla fine degli anni Novanta. Qui conosce Vito Di Emidio, detto "Bullone", boss selvaggio e spietato della Sacra Corona Unita. Un rapporto dal quale nascono imprese violente, come la sanguinosa rapina a un furgone portavalori il 6 dicembre del 1999 a Copertino, vicino a Lecce, nella quale vengono massacrati a colpi di kalashnikov tre vigilantes. È la tecnica ogliastrina degli assalti che qui diventa addirittura un’operazione di guerra. Di Emidio, dopo la sua cattura drammatica, diventa collaboratore di giustizia e rivela il ruolo importante di alcuni banditi ogliastrini nel traffico internazionale di droga. Più esattamente in quello che ha originato l'inchiesta denominata "Operazione Aurora", conclusasi nell’aprile del 2001 con una valanga di anni di carcere. La droga in quel periodo diventa centrale nel business criminale. Si crea un vero e proprio sistema di coltivazioni di marijuana. L’Ogliastra diventa una sorta di Rif sardo.Nel 2002, intanto, il processo per le bombe di Barisardo si chiude con una sentenza di condanna che certifica l’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso. La pista dei kalashnikov. Sempre in quegli anni compaiono in Ogliastra i micidiali fucili mitragliatori kalashnikov. Secondo alcuni pentiti e confidenti pugliesi arrivano dalle mafie kosovara e montenegrina, grazie alla mediazione della Sacra Corona Unita. Ma c’è anche un traffico di armi, sempre kalashnikov, sul quale hanno indagato i carabinieri, che porta alla Calabria e alla ’ndrangheta. Che la mafia calabrese avesse programmato uno sbarco in Ogliastra era emerso nel 1993. Un sindacalista aveva presentato una denuncia alle procure di Roma, Cagliari, Palmi e Milano contro la Finam, la Finanziaria agricola per il Mezzogiorno. Secondo il sindacalista, le ’ndrine controllavano la Finam, che volevano usare come cavallo di Troia per espandere la propria influenza in altre regioni, usando il grimaldello della forestazione produttiva. In quegli anni di Tangentopoli l’esposto però si perse e non ebbe sviluppi d’inchiesta. I piani della ’ndrangheta. Un particolare curioso: nella denuncia si sosteneva che la ' ndrangheta, oltre a voler controllare la forestazione nell’isola, voleva far chiudere la Cartiera di Arbatax per utilizzare quegli 80 ettari sul mare per un colossale investimento di edilizia residenziale turistica. C’è dunque una lunghissima serie di tracce, che sembra portare ai santuari delle mafie. Quanto questi contatti hanno influenzato la malavita ogliastrina? Quanto l’hanno cambiata? L’auto-bomba di Lanusei può essere una prima risposta.
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