30.9.24

Cosa è il sionismo e perché essere critici? E poi quali sarebbero le idee di Segre e Crosetto da “odiare”?


A  volter  capita  , ed  è  questo uno dei casi   ,  che    un post  scritto  per    la  mia bacheca  di facebook   


  necessiti  di   un approfondimento .  Infatti  


Antonio Deiana
Cosa è il sionismo e perché essere critici?
E poi quali sarebbero le idee di Segre e Crosetto da “odiare”?
Proviamo  a    rispondere  

Il sionismo è un'ideologia politica il cui fine è l'affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico e il supporto a uno Stato ebraico in quella regione che, dal Tanakh e dalla Bibbia, è definita: "Terra di Israele".[Il sionismo emerse alla fine del XIX secolo nell'Europa centrale e orientale come effetto della Haskalah (illuminismo ebraico) e in reazione all'antisemitismo, inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno.IL movimento tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si sviluppò in varie forme, tra le quali il sionismo socialista, quello religioso, quello revisionista e quello di ispirazione liberale dei Sionisti Generali. Esso favorì a partire dalla fine del XIX secolo flussi migratori verso la Palestina, prima sotto l’impero ottomano e dopo la Prima guerra mondiale affidata all’amministrazione britannica dalla Società delle Nazioni, che rafforzarono la presenza ebraica nella regione e contribuirono a formare un Nuovo Yishuv. Il sostegno al sionismo crebbe in particolare nel secondo dopoguerra, successivamente all'Olocausto, e portò allo scadere del mandato britannico della Palestina, alla Dichiarazione d'indipendenza israeliana e alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. I conflitti con il mondo arabo e l'esodo palestinese del 1948 provocarono il rafforzamento dell'antisionismo.


Parlo per me . lo contesto perchè lo reputo una ideologia politico \ religiosa utopistica la cui applicazione ha fallito sul nascere . Se proprio gli ebrei volevano , uno stato avrebbero dovuto farlo : 1) con chi già ci abitava , cioè ebrei non sionisti e estranei alla diaspora , arabi , inglesi . ., 2) in una terra deserta e disabitata emigrando li ., 3) se si voleva fare sulla divisione avvenuta nel 1948 non invadendo o tenendo dopo le guerre territori non suoi perchè secondo te quello che sta facendo israele che non permette neppure l'accesso agli aiuti umanitari non è genocidio ? o rifiutare d cessare l fuoco per poter liberare gli ostaggi ? la penso come lui

Lia Pipitone figlia ribelle di un boss uccisa da Cosa nostra non è per lo stato italiano vittima della mafia.

La storia di Lia Pipitone è davvero tragica e complessa. Lia Pipitone fu uccisa nel 1983, e nonostante le circostanze del suo omicidio, lo Stato italiano non la riconosce come vittima innocente di mafia. Questo
perché suo padre Antonino Pipitone, era un noto boss mafioso dell’Arenella e consigliere di Badalamenti
Infatti Secondo alcune testimonianze, sarebbe stato proprio il padre a commissionare l’omicidio della figlia Questo caso mette in luce le difficoltà e le contraddizioni nel riconoscimento delle vittime di mafia in Italia.Quindi Per lo Stato italiano se hai un parente mafioso sarai per sempre uno di loro. Per questo motivo Lia Pipitone che venne uccisa nel 1983, non può essere considerata vittima innocente di mafia.



Per     chi  volesse  approfondire       la  sua  vicenda     oltre  il  video  della  trasmissione  delle  iene  riportato  sotto   

  puuò  leggere quest  articolo    di   palermo.repubblica.it/cronaca/2022/09/22/


Per lo Stato Lia Pipitone figlia ribelle di un boss uccisa da Cosa nostra non è vittima della mafia. La battaglia del figlio in un libro


Lia Pipitone con il figlio Alessio

 
Dieci anni fa, il racconto-inchiesta scritto con il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo ha fatto riaprire il caso, di recente due capimafia sono stati condannati definitivamente. "Ma mia madre resta una vittima di serie B", dice Alessio Cordaro
Per i giudici, Lia Pipitone, la figlia ribelle di un boss di Palermo uccisa a 25 anni nel 1983, è vittima della mafia. Per il ministero dell’Interno, invece no. Alessio Cordaro, il figlio di Lia, continua la sua battaglia con il libro “Se muoio sopravvivimi” che l’editore Zolfo ripubblica in una versione aggiornata: dieci anni fa, il racconto-inchiesta scritto insieme al giornalista Salvo Palazzolo fece riaprire l’inchiesta giudiziaria, che era stata archiviata subito dopo il delitto avvenuto al culmine di una falsa rapina, domani saranno passati 39 anni. Di recente, la Cassazione ha confermato le condanne a 30 anni per due boss di Cosa nostra, Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo, loro ordinarono la morte della giovane con il consenso del padre. «Lia era nata per la libertà. Ed è morta per la sua libertà», ha detto il pentito Francesco Di Carlo. «Fu omicidio per onore – ha spiegato un altro ex autorevole mafioso, Rosario Naimo – si sapeva che la figlia del signor Pipitone tradiva il marito». In realtà, era una voce che girava nel quartiere, all’epoca era inconcepibile che un uomo e una donna potessero essere solo amici. Il giorno dopo il delitto di Lia, il suo amico venne “suicidato” dal balcone di casa e costretto a scrivere una lettera: «Mi uccido per amore».

Nella nuova edizione del libro “Se muoio sopravvivimi – Lia Pipitone, uccisa dalla mafia perché si ribellò al padre boss” Alessio Cordaro e Salvo Palazzolo tornano a ripercorrere la storia della giovane, che riuscì a fuggire da Palermo con il fidanzato per sfuggire al padre-padrone: mafiosi autorevoli si mobilitarono per ritrovare i due ragazzi, e il compagno di Lia fu anche portato davanti a un tribunale di mafia. Ma lei non si arrese, continuò a contestare il padre e a vivere la sua vita in libertà. Anche quando una voce insistente nel quartiere iniziò a dire che stava dando scandalo per la sua amicizia con un uomo. «Mia madre continua ad essere una vittima di serie B – dice Alessio Cordaro – Nonostante i giudici abbiamo scritto parole chiarissime». Per il ministero dell’Interno, Lia Pipitone non ha i “requisiti soggettivi” per essere riconosciuta vittima di mafia.
Dice Palazzolo: «Per trent’anni, lo Stato ha archiviato il caso come una rapina finita male: una messinscena che non insospettì la polizia. E oggi viene da pensare male: le ultime indagini sull’omicidio dell’agente Agostino raccontano che il clan dell’Acquasanta teneva rapporti con ambienti deviati delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, in quel quartiere i Galatolo custodivano la base operativa da dove partivano i sicari di Riina per gli omicidi eccellenti». In quel quartiere Lia voleva vivere la sua vita. «Al figlio di Lia Pipitone è stato anche detto che la richiesta di risarcimento è arrivata fuori termine. Parole davvero paradossali – prosegue Palazzolo – lo Stato ci ha messo trent’anni per dire che era un omicidio di mafia, e solo perché un figlio ha iniziato a cercare la verità sulla morte di sua madre».



29.9.24

Come fanno a scattare le foto le persone ipovedenti e cieche? Le tecnologie utilizzate.


Alle scorse Paralimpiadi di Parigi il fotografo cieco João Maia da Silva ha stupito tutti con i suoi scatti. Ma come ha fatto? Scattare fotografie in condizioni di cecità o ipovedenza è possibile grazie all'aiuto della tecnologia, di un assistente visivo e dei propri sensi.

 ecco     che  talke  mia  curiosità    è sta  sodisfatta  da     quest  articolo  di  https://www.geopop.it/

A cura di  Veronica Miglio

Forse questa domanda non ve la siete mai posta: ma come fanno a fare le foto le persone cieche e ipovedenti? Ebbene, dopo aver visto gli scatti del fotografo cieco João Batista Maia da Silva alle Paralimpiadi di Parigi in molti se lo sono chiesto


               IL fotografo cieco João Batista Maia da Silva in azione. Credits: Leandro Martins CPB

.Per poter fotografare le persone che hanno gravi problemi alla vista non solo si servono dei loro altri sensi (udito e olfatto soprattutto) o si servono di un assistente visivo che indica loro dettagli visivi essenziali per gli scatti. Queste persone hanno anche un grande aiuto da parte della tecnologia, soprattutto grazie all'assistenza vocale che permette di scattare fotografie e selfie con i propri telefoni e che è anche presente in alcune macchine fotografiche, permettendo di immortalare momenti memorabili in maniera nitida e precisa.
La tecnologia viene in aiuto delle persone ipovedenti e cieche: dal VoiceOver di Apple al live view delle macchine fotografiche



La modalità "live view" della macchina fotografica, che può essere molto utile alle persone ipovedenti, permette di osservare direttamente sullo schermo LCD dell’apparecchiatura l’immagine che si vuole scattare.


I cellulari degli ultimi anni hanno permesso a persone cieche e ipovedenti di scattare foto da sole grazie, ad esempio, allo screen reader VoiceOver di Apple, che rende l'app della fotocamera accessibile anche a questa tipologia di utenti. VoiceOver legge i vari pulsanti e e le opzioni mentre si trascina il dito sullo schermo (annuncia persino l'orientamento della fotocamera, così evita alla persona di scattare foto di lato), così da rendere più agevole la regolazione della fotocamera e delle sue modalità. Ma non è tutto, perché questa funzione rileva i volti e annuncia vocalmente quanti ce ne sono nell'inquadratura, per rendere i selfie ancora più semplici. E poi c'è anche la foto panoramica: l'utente sposta il telefono da sinistra verso destra, e VoiceOver lo guida in linea retta, dandogli indicazioni nel caso le mani fossero troppo in alto o in basso, così da catturare i migliori scatti possibili.
I telefoni Pixel hanno una funzione di accessibilità molto simile, la Guided Frame, che utilizza un lettore di schermo che guida l'utente attraverso una serie di passaggi per scattarsi un selfie, dicendogli dove spostare il telefono e come posizionarsi. Quando l'immagine è pronta, scatta automaticamente. Le persone ipovedenti con la passione per la fotografia spesso scelgono cellulari che oltre all'assistenza vocale hanno fotocamere ad alta risoluzione e poi ingrandiscono le fotografie sul proprio pc o sul tablet per poter osservare i dettagli.
Funzioni di assistenza vocale esistono anche su alcune macchine fotografiche professionali. Se la fotocamera ha dei sensori personalizzati alcuni fotografi con problemi alla vista possono anche decidere di scattare in lunghezze d'onda che non possono essere viste a occhio nudo (è possibile farlo persino con alcune fotocamere d'epoca). Le persone ipovedenti spesso scattano utilizzando la modalità live view (la fotocamera permette di scattare la foto mentre sullo schermo LCD si può vedere l'immagine in tempo reale) anziché il mirino, perché il primo permette di avere una visione di insieme più compatta della scena fotografata.

L'esperienza di João Maia da Silva e l'importanza dei sensi e dell'assistenza

João Batista Maia da Silva, tra i fotografi ufficiali delle Paralimpiadi 2024 di Parigi. Credits: Edu Azevedo

Qualcuno potrebbe domandarsi perché persone cieche o fortemente ipovedenti si cimentino nella fotografia se non possono poi osservare i propri scatti. Ma le risposte sono le stesse applicabili a persone che non hanno questo tipo di problemi, e si possono riassumere con l'importanza della fotografia per rievocare e ricordare di un momento particolare o di un posto speciale in cui si è stati e condividerlo con le persone care. E poi c'è anche il caso di coloro che hanno sempre lavorato nel campo della fotografia e che a un certo punto della loro esistenza la vista è svanita per un motivo o per l'altro.Questo secondo caso è quello del fotografo cieco di origini brasiliane João Batista Maia da Silva ha stupito tutti con i suoi splendidi scatti alle ultime tre edizioni delle Paralimpiadi. Maia ha perso la vista a 28 anni a causa dell'uveite che ha colpito entrambi gli occhi, ma non ha mai abbandonato la sua passione per la fotografia, e anche dopo questo grande cambiamento – nonostante la sua vista sia "come una fotografia sfocata",  per riprendere le sue parole – ha continuato a lavorare come fotografo.Già conosciuto nell'ambito sportivo per i suoi scatti alle Olimpiadi di Rio 2016 e Tokyo 2020, la sua tecnica di scatto è molto particolare: Maia si serve dei suoi sensi (in primis l'udito – sua guida principale, con cui ascolta i movimenti degli atleti – poi il tatto e l'olfatto) per percepire ciò che ha attorno a sé e direzionarsi sentendo le vibrazioni, catturando così i momenti importanti con la sua macchina fotografica. Per eventi importanti come questo si è fatto aiutare da un assistente che gli ha descritto alcuni dettagli visivi (colori, espressioni, ecc.) delle esibizioni degli atleti, e il risultato è davvero incredibile.


Una delle tante fotografie scattate da Maia da Silva durante le Paralimpiadi di Parigi 2024


La sua fotografia è una cronaca visiva, che cattura momenti fugaci e condivide emozioni, suoni e tocchi. In una intervista rilasciata a Olympics.com 


il fotografo ha affermato:La fotografia alla cieca è un modo di sperimentare le nostre percezioni, latenti in ognuno di noi. Ognuno di noi ha la propria percezione, e può essere esplorata meglio quando se ne ha l'assenza. Nel mio caso, la vista è assente, ma posso stimolare di più il mio udito, il mio tatto, il mio olfatto, il mio gusto. […] Ma soprattutto immagino, e scatto col cuore. Quando qualcuno mi chiede un consiglio sulla fotografia, rispondo così: “Prima di scattare una foto fermati, pensa, studia il luogo, senti l'energia intorno a te, la luce, gli odori. Prova a scoprire la storia dietro tutto prima di fare clic. Tutto questo compone le mie immagini”.Maia ci insegna quindi che oltre alla capacità fisica del nostro sguardo, per scattare una fotografia è ancor più essenziale saper "vedere" al di là dei propri occhi, utilizzando l'immaginazione come fonte primaria per immortalare ciò che è importante.

Da Casnigo all’Università di Pavia, oggi ha 81 anni. Una vita racchiusa in un dipinto ex voto nella sacrestia del santuario della Madonna d’Erbia, a Casnigo:

Mi che riporto oggi mi ha commosso fino alle lacrime. Un chirurgo non può salvare tutti, ma ci deve provare. E questo primario l'ha fatto, anche con una sorella, che non ha potuto sopravvivere. Tanto onore

a lui... E alla moglie, che non era presente al momento in cui il giornalista l'ha incontrato, ma che di certo avrebbe avuto anche lei molte cose da raccontare .



da corriere  della sera  tramite   https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/



Un uomo che cade da un ponte, un altro sfiorato da un fulmine, una donna a letto malata, e sopra a tutti una Madonna benedicente e salvifica. Gli ex voto tappezzano la sacrestia del santuario della Madonna
d’Erbia, a Casnigo: lo stile delle pitture è popolare e le dinamiche delle azioni improbabili, ma all’uscita viene da pensare alle storie di paura e sollievo che raccontano, e alle persone coinvolte, che non conosceremo mai.«Quello lì è il mio», dice una voce.
Fermi tutti, si torna indietro.
Nell’abside dietro l’altare, davanti al quadro di una sala operatoria con le finestre c’è un signore anziano appoggiato a un bastone.
In che senso, è il suo?
«Questo ex voto l’ho dipinto io, per ringraziare dopo 21 mila interventi. Quando mi lavavo le mani prima di operare pregavo la Madonna d’Erbia».
Si scopre così che il signore con il bastone è Luigi Bonandrini, ha 81 anni, è di Casnigo ed è stato primario di Chirurgia a Pavia, dove insegnava anche all’Università. Tre anni fa è stato premiato dall’ateneo di Bergamo tra le personalità «che si sono distinte per la loro attività e hanno portato in alto il nome di Bergamo nel mondo». Con lui c’era anche Franco Locatelli, insieme al quale ha studiato. Cominciamo dall’inizio: come si parte da Casnigo negli anni Quaranta per finire a insegnare a Pavia? «Mio padre era elettricista, è diventato direttore della centrale di Ponte Nossa, dove ci siamo trasferiti. Mia madre era sarta. Avevo due sorelle, una l’ho operata tre volte ma non ce l’ha fatta. I miei ci ha fatto studiare tutti e tre. Le medie a Gazzaniga, all’epoca c’era l’istituto del Sovrano Ordine di Malta, era territorio extraitaliano. Un rigore militare pazzesco. Poi il Sarpi e l’Università a Milano. Mio padre pensava che volessi fare Ingegneria». E invece: «L’idea del medico è maturata piano piano, ma ce l’avevo già nel cuore. Nessuno dei miei cinque figli ha fatto medicina ma li capisco: io e mia moglie eravamo reperibili quindici giorni ciascuno al mese, io in Chirurgia d’emergenza e lei in Ostetricia, ogni notte c’era qualcosa».Anche sua moglie è medico, quindi: «Si chiama Maria Luisa Pinetti: ci siamo conosciuti all’asilo di Ponte Nossa, abitavamo su due rive opposte del Serio e ci salutavamo dalla finestra. Abbiamo fatto insieme il Sarpi e l’Università. Ma non eravamo morosati, solo amici, la portavo in giro in Lambretta. Dopo laureati ci siamo detti che era il caso di sposarci».Romantico. «Certo, eravamo sotto l’arco di uno studentato delle suore a Pavia: la ospitavano perché le curava gratis. Era una cosa alla quale abbiamo sempre pensato tutti e due, ma senza dirlo. Volevamo prima laurearci bene e pensare al resto dopo. Ci sono stati cinque anni di specialità in cui non avevamo un soldo, tiravamo avanti con le supplenze. Poi abbiamo vinto insieme un concorso al vecchio ospedale San Biagio di Clusone. Ci eravamo andati d’estate da studenti, ci facevano fare le punture lombari e dei versamenti pleurici. Io o sono arrivato come primario di Chirurgia, lei di Ostetricia, è stata la prima donna in Italia ad avere quell’incarico».
L’ospedale non c’è più: «A Clusone mi odiavano perché volevo chiuderlo e trasferire tutto a Piario dove c’era un sanatorio bellissimo, aveva anche il teatro e il biliardo a cui aveva giocato Garibaldi. Avevo perfino proposto di spostare i confini di Clusone per includerlo. Poi ho vinto il concorso per Pavia e anche mia moglie. È stata la prima specialista in Ginecologia e la prima in Endocrinologia. Voleva laurearsi anche in Filosofia ma ha smesso, ormai avevamo cinque figli, lei teneva in piedi la baracca. Io andavo in giro per il mondo a vedere i grandi chirurghi e lei mi diceva: comoda così». Arriviamo all’ex voto. «Ci sono le finestre perché il San Matteo era l’unico al mondo con le finestre in sala operatoria. Facendo chirurgia d’urgenza non posso non avere perso dei pazienti, ma su 21 mila interventi non ho mai avuto conseguenze legali». Una storia su tutte? «Un mattino alle 4 sto andando a casa, sento una voce dalla sala operatoria che diceva: è morto. Entro come mi trovo, in maglione, c’è un ragazzo di 19 anni con un trauma cranico spaventoso. Mi faccio dare un bisturi, taglio i vestiti, squarcio il torace e prendo in mano il cuore. Ho fatto il massaggio cardiaco interno, io stesso ero sorpreso da quello che stavo facendo. Anche adesso che lo racconto stringo la mano come se tenessi quel cuore. Dopo 15 minuti è apparsa la fibrillazione, lui ha aperto gli occhi e ha detto una parola: “Aria”. Poi è morto. Ho fatto il volontario durante il Covid, riconoscevo lo sguardo spaventato di chi ha fame d’aria».È rimasto qualcosa del Covid? «Ho fatto realizzare nel piazzale del cimitero una cappella che è stata benedetta il 5 settembre per ricordare le vittime delle pandemie. Il ricordo è importante».

Secondo voi una donna di 46 anni che non si è sposata e non ha avuto figli è incompleta o completa ? io la risposta la ho . ma Vorrei sapere cosa ne pensate.

 colonna  sonora   
Bandiera  -  di Giulia  Mei  

Eccovi dopo  tanto tempo   una  mia provocazione  .
Essa scondo alcuni mie utenti di fb che hanno commentato questo mia provocazione , la domanda non ha senso. Infatti verebbe da replicare con un altra domanda \ elucubrazione <<Cosa vuol dire essere “completi”? Da che punto di vista? Vale per la donna come per l’uomo. Quando una persona è completa? Quando ha fatto certe esperienze? Ok, e chi stabilisce quali delle centinaia di esperienze che
si possono fare ti completino? Diventate genitori ti completa? Va bene, e allora perché non aver rischiato almeno una volta di morire. Ovvio che ogni esperienza ci cambi, ma non basta farle: bisogna avere la maturità di imparare da esse e non tutti ne sono in grado.>> . Aggiungo io anche saper distinguere quali esperienze fanno fatte e queli no .  Infatti La completezza di una persona non dipende dal suo stato civile o dal fatto di avere figli. Ogni individuo è completo o  incompleto  a modo suo, indipendentemente dalle scelte di vita che fa. La società può avere aspettative diverse, ma ciò che conta davvero è come una persona si sente riguardo alla propria vita e alle proprie scelte. Ma sopratutto ecco una discussione che sintetizzano il mio pernsiero \ la mia risposta a tale insulsa domanda . 

[...]

Stefania Lisi
io ho 59 anni, non mi sono MAI sposata e ho 2 figli (ma avrei anche potuto non averli, sono stati stata una mia scelta).
Domanda veramente senza senso la tua, Giuseppe.
20 h

Giuseppe Scano
Ha  ragione    carissima  Stefania Lisi . Ma  la  domanda   non è mia . l'ho trovata in un post di una ragazza(  di cui adesso non mi  sovviene   il nome   )  su  Threads che provocariamente come ho fatto anch'io nel mio post , si faceva tale sega mentale ( cioè domande a cui ha già una risposta o che sono assurde ) per criticare certi bigotti e retrogradi sia uomini che donne che affermano tali idiozie cioè una donna non è completa se non è sposata o non ha figli .Infatti   come ho risposto a Lola IE Loredana Penna e la richiesta di un parere . in quanto molti uomini , ma nche donne , reputano chi fa tale scelta incompleta . Secondo e  qui  chiarisco meglio  il mio  pensiero  me una donna   ma  che   un  uomo   dev'essere libera di scegliere se fare o anhe non fare tali esperienze essere libera di sentirsi completa o incompleta . Proprio  come  questa canzone





Simona Moretti
Ognuno di noi cerca di esistere in quelli che sono i propri desideri. Molti simili, molti diversi. Chi non sa vivere da solo, chi se non ha una famiglia si sente un fallito, chi fa un figlio per desiderio o per essere negli schemi richiesti. Lo capiamo tardi ma, seguire le proprie esigenze dovrebbe essere l'unico modo di vivere.
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Simona Moretti esatto . sta a lui\ lei decidere se sentirsi completo\a o incompleto\a non tu a decidere o dirlo per lui \ lei

  Aggiungo  anche       che    La domanda se una donna di 40 anni non sposata e senza figli sia "completa" o "incompleta" oltre  che    insulsa   è una domanda complessa e soggettiva, che non ammette una risposta univoca.

L'idea che una donna debba essere sposata e avere figli per essere considerata "completa" è un retaggio di vecchi stereotipi sociali che, fortunatamente, stanno sempre più scomparendo  anche  se  ancora    resistono  Concordo   con la  IA  di   google

Perché questa domanda è problematica:

  • Stereotipi di genere: Impone un'idea limitata e stereotipata di felicità femminile, suggerendo che la realizzazione personale di una donna dipenda esclusivamente dalla sua vita familiare.
  • Individualità: Ogni persona è unica e definisce la propria felicità in modo diverso. Ciò che rende una persona "completa" varia da individuo a individuo.
  • Pressioni sociali: La società spesso esercita pressioni sulle donne per conformarsi a determinati modelli di vita, creando un senso di inadeguatezza in coloro che non li seguono.

Cosa significa essere "completi":

  • Benessere personale: Sentirsi realizzati, appagati e felici con la propria vita, indipendentemente dallo stato civile o dalla presenza di figli.
  • Relazioni significative: Avere relazioni sane e soddisfacenti con le persone che amiamo, che siano familiari, amici o partner.
  • Realizzazione personale: Perseguire i propri obiettivi, sviluppare le proprie passioni e contribuire alla società in modo significativo.

In conclusione:

Una donna di 40 anni non sposata e senza figli può essere altrettanto "completa" di una donna sposata con figli. La felicità e la realizzazione personale non dipendono da un elenco di requisiti prestabiliti, ma dalla capacità di costruire una vita che ci soddisfa e ci rende felici.

È importante ricordare:

  • La scelta è personale: Ogni donna ha il diritto di scegliere come vivere la propria vita e di definire i propri obiettivi.
  • La felicità non ha un modello: Non esiste una formula magica per essere felici. La felicità è un percorso individuale e continuo.
  • Sfida gli stereotipi: Non lasciarti condizionare dai giudizi degli altri e costruisci la tua vita in base ai tuoi valori e desideri.

Se ti senti insicura o sotto pressione, ricorda che non sei sola. Parlare con un amico fidato, un familiare o un professionista può aiutarti a chiarire i tuoi pensieri e a trovare il tuo percorso.


alla   prossima  provocazione  .  con questo è tutto    cari amici  vicini e lontani

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