31.1.13

Dal ripostiglio spunta Manuela la tartaruga persa 30 anni fa

 cerco d'evadere dalla routine quotidiana   e  dalla  brutture del mondo  con storie  d varia  umanità  e\o  curiose ( vedere l'etichetta  : le storie  , storie  )  . La storia  che propongo oggi  appartiene  alla seconda  categoria  . 
Non so  se  è  una  leggenda metropolitana  \ una bufala  oppure  vera  



fonte unione sarda online di  Giovedì 31 gennaio 2013 10:52



Ha vissuto per 30 anni in un ripostiglio, dimenticata, persa. La storia della tartaruga Manuela arriva dal Brasile e ha davvero dell'incredibile.E' successo a Rio de Janeiro. La famiglia l'aveva cercata a lungo, inutilmente. Avevano pensato che si fosse allontanata, nel 1982, durante l'esecuzione di alcuni lavori a casa. Invece, si era rintanata tra le cianfrusaglie che Leonel, il padre di famiglia, non smetteva mai di accumulare nello sgabuzzino di casa. Si erano anche dimenticati di lei, fino a pochi giorni fa. Dopo la morte di Leonel, i figli avevano deciso si sbarazzarsi di tanti oggetti inutili accumulatisi nella stanza ripostiglio del secondo piano. Tra vecchi dischi e materiale elettronico inutilizzabile è rispuntata lei. A quanto pare in buona forma. Resta il dubbio di come abbia potuto sopravvivere in tutti questi anni.

invece  la  repubblica    descrive  cosi  la  news


Ha vissuto per 30 anni in un ripostiglio, dimenticata, persa. La storia della tartaruga Manuela arriva dal Brasile e ha davvero dell’incredibile. L’avevano cercata a lungo, Leonel, il figlio Leandro e gli altri componenti della famiglia Almeida,

 che vive a Rio de Janeiro. Inutilmente. Avevano pensato che si fosse allontanata, nel 1982, durante l’esecuzione di alcuni lavori a casa. Invece, si era rintanata tra le cianfrusaglie che Leonel, il padre di famiglia, non smetteva mai di accumulare nello sgabuzzino di casa. Si erano anche dimenticati di lei, fino a pochi giorni fa. Dopo la morte di Leonel, i figli avevano deciso si sbarazzarsi di tanti oggetti inutili accumulatisi nella stanza ripostiglio del secondo piano. Tra vecchi dischi e materiale elettronico inutilizzabile è rispuntata lei. A quanto pare in buona forma. Resta il dubbio di come abbia potuto sopravvivere in tutti questi anni. “Queste specie di tartarughe dalle zampe rosse possono sopravvivere anche due o tre anni senza mangiare”, ha spiegato Jeferson Pires, veterinario di Rio, “e potrebbe aver mangiato le termiti dal pavimento di legno”
(a cura di Matteo Marini)







Lettera

Cara mamma,
oggi compi 75 anni e, nonostante la malattia che t'incurva la schiena, rimani bella e giovanile, di quell'ilarità senza complicazioni così fascinosa e, per me, irraggiungibile. Avrei voluto somigliarti, come ogni figlia, ma non ci sono riuscita. Non ho nemmeno condiviso con te le mie esperienze, non siamo mai entrate in quella complicità femminile che avrebbe fatto di noi due donne indipendenti e solidali; echi armoniosi e discreti, presenti nel buio delle notti o in attimi di pura gioia. Invece tu osservi il mio andare irrisolto, mi ammiri, mi stimi, ma resti nel tuo mondo timido, a volte rassegnato, ma in fondo sicuro. C'è il tuo affetto fanciullo, il sorriso che continuiamo a scambiarci, in attesa, entrambe, d'un altro destino, d'una sincera pace. Auguri, mamma, per molti anni ancora.

27.1.13

LE .. DI BERLUSCONI "L'Italia non ha le stesse colpe della Germania; all'inizio adesione inconsapevole a politiche nazismo"



Evidentemente non conosce completamente la storia italiana di quel periodo . Eccoli    lo  so che  è come lavare la testa  all'asino con il sapone  o dare le perle ai porci   ma  è per  gli ignoranti  ,  strumentalizzatori  ( indipendentemente dall'ideologia  ) ,   ecc  che  scrivo .  Prima o poi qualcosa  arriverà ed  immagini come  questa  saranno solo un brutto ricordo


http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_luoghi_dell'Olocausto_in_Italia
http://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani#Campi_di_concentramento
http://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_italiani( già iniziati in epoca pre fascista )



Le  cose  sono   o che  Berlusconi è  ignorante  o   che  ignora per  convenienza  politica  siamo  sotto  le elzioni  e  rischia  grosso  e  quindo ha  bisogno di voti  utili in  particolari neonazistri (  forza  nuova  e casa pound  e affini ) o  di tutti quegli italiani   che ancora  credono nel mito italiani brava gente 



Tutt'altro spessore anche se altalenante  purtroppo i recenti fatti contraddicono queste dichiarazioni.
Ottobre 2012 "La Procura di Stoccarda archivia l'inchiesta: mancano le prove delle responsabilità dei singoli soldati delle SS. Il 12 agosto 1944, nella località toscana, furono uccise 560 persone, ma almeno non nega la colpa e le responsabilità storiche del suo popolo , è il discorso dela Merkel








oltre all'Italia che offri protezione e aiuto agli ebrei vedere link che trovate sotto ci fu anche un italia complice

  fonte   settimanale   l'espresso   21\1\2010
Anniversari Quell'Italia complice dell'Olocausto di Gianluca Di Feo

Migliaia di ebrei catturati dalla polizia e consegnati ai tedeschi, senza pietà per donne, vecchi e bambini. Una macchina di morte voluta da Mussolini. Ora un libro ricostruisce le responsabilità nel genocidio. A partire dal campo di Fossoli (21 gennaio 2010)
Sulle torrette del campo dove venivano rinchiusi gli ebrei c'erano agenti di pubblica sicurezza. A scortare il treno per Auschwitz c'erano carabinieri. Ed è stato un italianissimo commissario ad arrestare una bambina di sei anni, individuata a Venezia nella famiglia dove i genitori l'avevano nascosta, e ad accompagnarla fino a quel recinto di filo spinato alle porte di Carpi: il primo passo di un cammino che si sarebbe concluso nella camera a gas. Così come erano italiani i loro colleghi delle forze dell'ordine che dal novembre 1943 alla fine della guerra hanno dato la caccia agli ebrei in tutte le città del Nord. Retate ricostruite nel dettaglio in un volume che spazza via i luoghi comuni sulle responsabilità della Repubblica di Salò nell'Olocausto e ci costringe a guardare un capitolo della nostra storia che da 65 anni nessuno vuole approfondire. In "L'alba ci colse come un tradimento" Liliana Picciotto, la più importante studiosa italiana della Shoah, sintetizza anni di ricerche. Nelle 312 pagine pubblicate da Mondadori non fa mai ipotesi: elenca fatti, si limita ai documenti. Calcola le presenze nelle anticamere padane dei lager in base alle razioni di pane fornite, confronta diari e testimonianze, atti di processi nascosti nel dopoguerra in nome della ragione di Stato. Non usa un solo aggettivo.


Non servono, perché il risultato del suo lavoro è agghiacciante: la ricostruzione della vita e della morte di migliaia di ebrei, arrestati da italiani nei territori della Repubblica sociale, spediti nel campo modenese di Fossoli e poi deportati nei lager. Chi prese parte a questa colossale caccia all'uomo poteva ignorare la "soluzione finale"? Poteva ignorare la strage a cui stava collaborando? Era difficile credere che ultrasettantenni e bambini venissero trasferiti nel Reich per lavorare e contribuire alla macchina bellica tedesca. Quando anche i vecchietti dell'ospizio israelita di Firenze vengono caricati sui treni, nessuno a Fossoli si fa più illusioni. Ma ancora altri ebrei vengono rastrellati dai funzionari della polizia e dei residui carabinieri rimasti in servizio al Nord (la maggioranza dell'Arma si schierò con la monarchia e venne perseguitata dai nazisti), fino a pochi giorni prima della Liberazione: uomini che spesso hanno continuato a indossare la stessa uniforme nella Repubblica del dopoguerra. Il giorno della Memoria celebrato il 27 gennaio anche nel nostro Paese non dovrebbe ricordare solo le colpe altrui: ci sono grandi responsabilità italiane, di istituzioni e di singoli. La scorsa domenica Benedetto XVI nella storica visita alla sinagoga di Roma ha ancora una volta condannato l'antisemitismo e rievocato il primo grande rastrellamento, «una tragedia di fronte alla quale molti rimasero indifferenti». Ma molti altri italiani ebbero un ruolo attivo nel genocidio.
Il 14 novembre 1943 il Partito nazionale fascista aveva dichiarato: «Tutti gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». Due settimane dopo il ministro dell'Interno ne ordinò l'arresto e l'internamento.
Al momento dell'armistizio nel territorio della Repubblica sociale erano rimasti intrappolati 32-33 mila ebrei: poco meno di un terzo venne ucciso dai nazisti. Le vittime identificate della Shoah sono 8948, ma c'è la certezza che altre centinaia di persone siano sparite nei forni crematori. Dopo l'8 settembre 1943 i nazisti portarono avanti i primi rastrellamenti da soli: il più drammatico quello del Ghetto di Roma, con 1.020 persone catturate di cui 824 assassinate poche ore dopo l'arrivo ad Auschwitz-Birkenau. Ma già dal 3 novembre 1943 i reparti speciali delle Ss vennero affiancati dagli agenti delle questure: insieme agirono a Firenze, Genova, Bologna, Siena, Montecatini. Da dicembre tutte le operazioni passarono nelle mani dei poliziotti italiani, che per non essere inferiori all'alleato, "ripulirono" subito il ghetto di Venezia e quello di Mantova. Per gran parte del 1944 furono solo le forze dell'ordine italiane ad alimentare la macchina dello sterminio, eliminando le comunità ebraiche dell'Italia centro-settentrionale. Vennero creati 29 campi provinciali, con una struttura centrale, l'anticamera fascista dell'Olocausto: Fossoli, una serie di baracche e recinti a pochi chilometri da Carpi costruiti per custodire i prigionieri di guerra inglesi. Fossoli è rimasto totalmente sotto controllo italiano fino al febbraio 1944: non c'erano crudeltà, né fame, né malattie. Gli internati non erano obbligati al lavoro e potevano scambiare posta con l'esterno. Insomma, nulla a che vedere con le condizioni dei lager nazisti. Ma la sorte finale era la stessa. Si saliva sui treni per Auschwitz e all'arrivo chi non era giudicato utile per il lavoro veniva assassinato. «Gli italiani riempivano Fossoli, i tedeschi lo svuotavano».
E questo meccanismo è proseguito anche dopo l'insediamento a Fossoli delle Ss, che lasciarono agli agenti della questura solo la sorveglianza delle recinzioni esterne, rendendo più dure le condizioni di vita. Il primo convoglio partì il 22 febbraio 1944 con circa 640 persone: 153 furono selezionate per le fabbriche, il resto finì direttamente nelle camere a gas. Tra loro Leo Mariani, un bambino di pochi mesi: la madre venne arrestata dalla polizia nell'ospedale di Firenze dove era ricoverata in attesa del parto. Venivano da 22 città diverse - da Como a Vicenza, da Pavia a Cuneo - ed erano stati tutti arrestati da agenti e carabinieri. Da Fossoli in nove mesi sono partiti 12 treni. Quello del 5 aprile 1944, per esempio, trasportò 609 persone: solo 50 sono sopravvissute al lager. Tra quelli che non sono tornati c'erano 41 ultrasettantenni e 33 bambini: Roberto Gattegno aveva solo dieci mesi. Le liste delle persone spedite verso i forni erano scelte spesso casualmente. Ricorda Nina Neufeld Crovetti, ebrea figlia di un matrimonio misto e obbligata a fare la segretaria nel campo emiliano: «Il vicecomandante Hans Haage veniva in ufficio e diceva: "Su avanti ragazza! Si comincia di nuovo, ci sbarazziamo di un bel gruppo!". Se ne rallegrava ogni volta».
Da Fossoli partirono in 2.844, solo un decimo è sopravvissuto: tra i pochi, Primo Levi. In Italia c'erano altri due campi - quello di Bolzano e quello di San Sabba, usato anche per assassinare partigiani e oppositori politici - nelle province che erano state annesse al Reich: il Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, parte del Veneto e l'Istria. Solo da Bolzano presero la via dei lager altre 4.500 persone, altre migliaia dalla Risiera di San Sabba. Il tutto sempre con la collaborazione di italiani. I vertici di Salò trattarono la questione con la stessa freddezza burocratica dei gerarchi nazisti. Il libro si chiude con l'esposto che i familiari ariani dei deportati scrivono a Benito Mussolini: «Eccellenza, ci sono casi pietosi. Madri con bambini (fra le quali la Uggeri con una piccola di 4 anni)... donne anziane, vecchie con salute malferma... I sottoscritti vivono ore pietose, essendo privi da oltre due mesi di notizie e temono per la vita dei loro cari. Sono mariti, mogli, figli che piangono senza avere nessuna colpa». La supplica viene girata dalla segreteria particolare del Duce all'Ispettorato per la razza. La risposta del 1° marzo 1945 è raccapricciante: «Questo Ispettorato, trattandosi di misure di polizia rispetto alle quali esso ha competenza nella determinazione delle direttive di massima in collaborazione con altri dicasteri chiamati a decidere, non può avocare a sé una decisione sull'istanza degli interessati». E Liliana Picciotto conclude: «Come a dire che la macchina della persecuzione antiebraica, avviata nel 1938 dal regime fascista e radicalizzata nel 1943, non era da tempo più governabile.
Questo fatto non attenua in nulla la responsabilità che i governanti, le istituzioni, l'amministrazione, la burocrazia italiani portano pesantemente per le le sofferenze inflitte e per le migliaia di lutti provocati». In appendice al volume c'è una raccolta di testimonianze dirette. Tra tutte, la deposizione di una SS, Eugen Keller, che in un processo berlinese ha descritto il viaggio da Fossoli ad Auschwitz del 16 maggio 1944: «Cosa volesse dire Auschwitz lo seppi durante il viaggio da uno degli ebrei. Disse che Auschwitz era un campo di annientamento nel quale sarebbero stati uccisi. Dapprima non gli credetti...». Eugen Keller racconta che nel vagone sigillato una donna aveva partorito. Carolina Lombroso Calò, moglie di un eroe della resistenza, «non era fuggita dalla sua casa rifugio a Cascia di Reggello in provincia di Firenze perché non pensava che una mamma incinta con tre bambini (Elena di 6 anni, Renzo di 4, Albertino di meno di 2 anni) potesse essere arrestata. Invece i carabinieri avevano obbedito agli ordini e fermato il gruppetto». La donna e i suoi quattro bambini, incluso il neonato, furono tutti uccisi poche ore dopo l'arrivo nel lager. «Abbiamo obbedito agli ordini» è la giustificazione di tutte le Ss chiamate in causa per l'Olocausto. Ma in Germania da sessant'anni ci si interroga e ci si chiede come sia stato possibile che un popolo intero abbia partecipato al massacro. In Italia delle migliaia di ebrei consegnate nelle mani dei carnefici non si parla. Nonostante quegli ordini fossero stati emanati da Benito Mussolini, ancora oggi c'è chi ripete in modo assolutorio che «il Duce non uccise gli ebrei». Vero: si limitò a consegnarne migliaia al boia. E nel libro di Liliana Picciotto ci sono tutte le prove: un'opera definitiva, senza attenuanti

26.1.13

nel giorno della menoria ... [ il caso AUSMERZEN ]

  a  cui devo un grazie  per  avermelo ricordato

… è bene ricordare che le prove dello sterminio iniziarono con i disabili. I documenti cinematografici e d’archivio sono chiari sull’argomento: erano i “malati di mente”, gli “storpi”, tutta quella parte che risultava un problema per i principi dell’eugenetica a dover scomparire dalla faccia della terra. 





Si è scientificamente giustificato l’abominio. Ricordiamolo allora, ricordiamolo anche quando lo Stato taglia i fondi all’assistenza, umilia chi invalido lo è davvero con la caccia alle streghe dei “falsi invalidi”, colpevolizzando i disabili, rei di essere un “peso sociale” per altrettante umilianti 260,00 euro al mese, ricordiamo persino che scientifico non è sinonimo di giusto. Ancora oggi assistiamo alla demonizzazione del diverso e purtroppo a volte la Scienza scade in una complicità raccapricciante. Temiamo la banalità del male, quella del burocrate con la cravatta che pianifica, con matematica precisione, l’inaccettabile.

nei lager Nazisti non solo ebrei ma anche Omosessuali



Fin quando esisterà umanità di serie A, di serie B e di serie C, fin quando l'Amore sarà catalogato, condannato, offeso, violentato, saremo tutti meno umani, l'Amore di tutt* sarà violentato e impedito. L'Umanità è tale se vale per tutti, l'Amore non è negato o minacciato da altro Amore: se alcun* non possono amare, non può amare nessuno...
22 dicembre 2012 - Alessio Di Florio ( PeaceLink e Ass. Antimafie Rita Atria)
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Lo so che  basterebbe   questo  documentario  ma   in una società  dove nela maggior parte dei casi verba  volant  scriptum resta ne parlerò anche  con dei link  ed  alcune news    trovaste  sia in giro per  la rete  sia   chiacherrando con amici \che  omosessuali   .





Il Paragrafo 175 (noto formalmente come §175 StGB) è una dele tante  discriminazioni che hanno subito  nella Germnania   gli omosessuali  .  Esso  era un articolo del codice penale tedesco in vigore dal 15 maggio 1871 al 10 marzo 1994. Esso considerava un crimine i rapporti sessuali di tipo omosessuale tra uomini, e nelle prime versioni criminalizzava anche la bestialità.
Ampliata   . nel 1935 e aumentarono di notevolmente i procedimenti in base al paragrafo 175; a migliaia morirono nei campi di concentramento, indipendentemente dal fatto che fossero colpevoli o innocenti . abrogata completamente nel 1994 dopo la riunificazione tedesca. 
Homocaust la persecuzione nazista degli omosessuali (  Gay  e lesbiche  )  è , dopo ebrei e zingari, il terzo gruppo "socialmente aberrante" ad essere internato e uccisi nei campi di sterminio. Subito dopo essere stato eletto, il 30 gennaio 1933, Hitler mise fuori legge tutte le associazioni gay e lesbiche. Furono centomila gli omosessuali arrestati dai nazisti tra il 1933 e il 1945. Tra questi, quindicimila vennero internati nei campi di concentramento. Dai documenti ufficiali del regime è risultato che solo quattromila furono i sopravvissuti. I dati sono forniti dall'Arcigay che partecipa con molte altre associazioni all'evento, organizzato a Roma dall'Associazione Ecad, 'Shoah e Homocaust, Il giallo e il rosa'. Ora  la persecuzione dei 'triangoli rosa' sta lentamente uscendo dall'invisibilità, grazie all'impegno della comunità omosessuale - afferma il presidente onorario di Arcigay Sergio Lo Giudice- Purtroppo sono ancora tante le resistenze e gli ostacoli ad un ricordo pieno e senza imbarazzi di quello sterminio». Sono ancora molti,sempre   secondo Lo Giudice, quelli che «preferiscono ignorare quei morti, imbarazzati dal razzismo delle loro stesse posizioni odierne sull'omosessualità».
Il triangolo rosa  ( foto sotto  vedere  link  per  maggiori dettagli   ) cucito sulla giacca, in un campo di concentramento nazista, significava che chi lo portava era un perverso, un rifiuto sociale buono solo per la fatica ed alla fine per la morte.

 Fu proprio dentro ai campi di concentramento che Hitler e i suoi uomini decisero di distinguere i gay dagli altri deportati attraverso un triangolo rosa. «Al contrario di quanto pensano alcuni - sottolinea Lo Giudice - la deportazione degli omosessuali non fu un fatto al quale i nazisti offrirono scarsa attenzione. La repressione contro i gay si rese ancora più feroce quando il ministro Himmler prese pubblicamente posizione contro il pericolo che l'omosessualità rappresentava per la razza. Nacque addirittura il Dipartimento di Sicurezza Federale contro l'aborto e l'omosessualità. Anche all'interno delle forze armate tedesche venne fatta pulizia in profondità e chi veniva considerato gay aveva un solo modo per salvarsi la vita: accettare la castrazione e partire verso i fronti più pericolosi. In Italia dal 1936 le autorità fasciste punirono la 'devianza sessuale' con il semplice confino. Secondo i dati rinvenuti negli archivi di diversi lager, presso i tribunali e gli uffici di polizia, risulta che nel 1943 i campi di concentramento avevano già ospitato 46.436 persone omosessuali e gli storici più possibilisti si spingono fino a una valutazione complessiva che arriva a 250.000 deportati. Di questo sterminio quasi non resta memoria. Una targa di marmo rosa commemora le vittime gay della violenza nazista nel campo di concentramento di Dachau, ha atteso più di vent'anni prima di ottenere la necessaria autorizzazione. Ad Amsterdam si trova un monumento più celebre, Homomonument che attrae turisti gay da tutto il mondo.
Nella comunità GLBT il significato del triangolo rosa, simbolo portato dagli omosessuali durante la detenzione nei campi di sterminio nazisti, è ormai molto noto. Non tutti sanno però che questo marchio fu usato solo per distinguere gli omosessuali maschi e che, anche molte donne lesbiche furono arrestate e deportate, nonostante la Germania nazista non prevedesse leggi contro il lesbismo così restrittive come il famoso Paragrafo 175 (  vedere  righe  precedenti  e il video ivi riportato   )  riguardante l' omosessualità maschile.       
L' omosessualità femminile non veniva considerata minacciosa per la società in quanto non influiva sulla capacità di procreare della donna, vista esclusivamente alla luce del suo ruolo di madre e moglie. A questo proposito è interessante la testimonianza di una lettera, dal Ministero della Giustizia del III Reich, datata 18 giugno 1942, che dice: <>.
Con l'avvento del nazismo al potere, nel 1933, il lesbismo non fu quindi criminalizzato,almeno fino a  gli studi fatti  fin'ora ,  in larga parte a causa del ruolo subordinato assegnato alla donna dalla società e dallo stato tedesco. Nonostante questo i nazisti perseguitarono le donne omosessuali chiudendo i numerosi bar, club e luoghi di ritrovo, costringendo le lesbiche a vivere e ad incontrarsi in clandestinità e creando un clima di paura dovuto alle continue retate e denunce. Molte donne dovettero così rompere ogni contatto con le altre lesbiche e finirono per cercare protezione e salvezza in matrimoni di convenienza con amici omosessuali.



Fra le donne arrestate, si usa  il triangolo nero   classificate come asociali, categoria creata per definire le persone non conformi alle leggi naziste  ma  anche    i rom e  sinti   (      fotto a  sinistra   e  link sopra   ) pochissime vennero mandate ai campi di concentramento esclusivamente per l'orientamento sessuale. Ecco perché il segno distintivo delle lesbiche non fu mai il triangolo rosa degli omosessuali, ma un triangolo nero rovesciato, simbolo usato per marchiare gli asociali, considerati un rischio per la società tedesca perché: stupidi, incapaci di comunicare, senza coraggio nel prendere posizione. Questa categoria non includeva quindi esclusivamente lesbiche; era un gruppo che comprendeva prostitute, assassini, vagabondi, ladri e tutti coloro che osavano violare il divieto di rapporti sessuali tra Ariani ed Ebrei.
INoltre  c'è d'aggiungere  che  Con la liberazione dei campi da parte degli Alleati paradossalmente i triangoli rosa non riacquistarono la libertà. Americani ed Inglesi non considerarono gli omosessuali alla stessa stregua degli altri internati ma criminali comuni. In più non considerarono gli anni passati in campo di concentramento equivalenti agli anni di carcere. Ci fu così chi, condannato a otto anni di prigione, aveva trascorso cinque anni di carcere e tre di campo e per questo venne trasferito in prigione per scontare altri tre anni di carcere.     
Proprio a causa di questa eterogeneità nella composizione del gruppo, le vittime lesbiche sono, ancora oggi, difficilmente riconoscibili e rischiano di scomparire dalla memoria dell'Olocausto. Per ricordare e approfondire   trovate  sopra   alcuni materiali  e  link  .
Non so , fra le lacrimne   ( lo  so  che certi documnentari e   storie  mi fanno stare male  e piangere   ,  ma la passione  per la  storia e -- per parafrasare  la  storia di Francesco De  Gregori  ---  le storie  è più  forte di me )   vi lascio  a  riflettere   su questa  tagedia  . Aggiungo solo questo   a  chiu userà i  miei  post  e  i link  ivi  citatio per  qual,che ricerca  o compito a scuola  non  si limiti   solo a stamaprli   ed  a presentare la pappa pronta  , ma  li  studi  o se  non  vuole    studiarli perchè li vede  come  qualcosa  d'imposto  \  di  forzato  , li legga  e li scolpisca  dentro di se   in modo  che talòi  obbrobi  non si ripetano mai più  .
Alla prossima



25.1.13

nei lager non solo Ebrei ma anche i rom

Continuando co il mio  ricordare  e non celebrare  ( perchè  tali eventi  non si celebrano  ma  si ricordano  senza  retorica  )    come  affermavo nel post precedente io  non celenbro  ma ricordo il 27  gennaio    che  la  tragedia dei Lager  nazisti   non fu solo  Ebraica  . Oggi   voglio parlavi  di  un altro popolo \  etnia  che i media  concentrati   sullo sterminio ebraico   fanno passare sin secondo piano  .Quello    del popolo roma  . E lo faccio  oltre riportando  una serie  di link (  vedi voce  approfondimento  )  con   questa  testimonianza    di Hélène Rabinatt, tratta da: C. Bernadac -L'holocauste oublié, France Empire, 1979, Paris.  è  tradotta   in : Fabrizio De André - ed avevamo gli occhi troppo belli, supplemento al numero 272 della rivista anarchica "A", maggio 2001,Editrice A, Milano .
Mi  scuso   con i puristi  degli spazi   e  nelle punteggiature    per gli  eventuali in  essa   e  ed per gli eventuali  errori  battitura  ma  : 1) non avendo lo scanner  , 2)  non trovandolo  online   lo  dovuto  è non è  stata  una passeggiata  visto che   sono ben ( escluse le foto )   ben  7  pagine  ritrascriverlo tutto


                                                        approfondimenti  





Ansa, l'ultima zingara
a cura di Giovanna Boursier.

Nella notte del 31 luglio 1944 tutti i prigionieri Rom e Sinti
rinchiusi ad Auschwitz vennero sterminati.
Erano almeno 4500: furono eliminati in una notte. Ansa no.
Sopravvisse e venne rinchiusa nel lager di Ravensbrück.
Non poteva parlare con nessuno e nessuno poteva parlare con lei:
pena la morte.
Rom appena giunti al campo di sterminio di Bełżec  da http://ita.anarchopedia.org

Non credo sia importante o utile chiedersi quanto di vero ci sia in questa testimonianza, se Ansa sia esistita e se i fatti si siano svolti esattamente come sono raccontati. I dati storici ci sono: il 16 Dicembre 1942 Himmler ordino` la deportazione di tutti i prigionieri Rom e Sinti ad Auschwitz, in un campo speciale, il Lager E II Birkenau, lo Ziegunerlager. Qui, la notte del 31 luglio 1944 tutti i prigionieri ancora in vita vennero sterminati. Erano almeno 4500 persone, sole di fronte al loro agghiacciante destino, dovuto all'appartenenza ad un popolo.
Ma non fu solo Auschwitz. I Rom e i Sinti vittime del nazifascismo  furono almeno 500.000, uomini, donne e bambini sterilizzati in massa,rinchiusi nei campi di concentramento, utilizzati come cavie negli
pseudo-esperimenti medici, morti di fame, di freddo, uccisi nelle camere a gas e nei forni crematori. Gli stessi uomini, donne e bambini che dopo la guerra non furono mai riconosciuti vittime,dimenticati o ignorati nei processi e nei risarcimenti.
La persecuzione di cui gli zingari furono vittime durante il nazismo ha radici profonde e anche attuali nella storia di questo popolo,nelle discriminazioni che da sempre ne segnano l'esistenza e non paiono destinate ad avere mai fine. Da qui la necessita` di colmare lacune insidiose, di far conoscere. Il dovere di testimoniare - come lo chiamava Primo Levi - il dovere di non lasciare che qualcuno dimentichi: la coazione a ripetersi dell'orrore fa risaltare l'impotenza, non solo politica, ma anche umana.
G. B.
Negli ultimi giorni di settembre nella baracca di Lucette arrivo` una nuova compagna. La nostra kapo` polacca la presento` al blocco riunito, gridando: "E' una sporca zingara, viene da Auschwitz. E' vietato parlarle. Se lei vi parlera`, sara` impiccata. Se voi le parlerete, cinquanta bastonate e tre giorni senza zuppa. Chiaro?".
Appena ebbe finito di tradurre l'interprete si avvicino` a Lucette e le sussurro` all'orecchio: "Fate attenzione, non sta scherzando.Rischia il posto, le SS l'hanno avvisata. Del resto la zingara non restera` che un mese. Fate attenzione soprattutto la notte: vi terra` d'occhio ed e` pericoloso".
Ansa - avremmo saputo il suo nome tre giorni dopo - era una rom della  Germania settentrionale e poteva avere una trentina d'anni. Tutto, dilei, era scuro: gli occhi, la pelle, i capelli. Un vero pezzo di cuoio lucente. Alta, sottile, un po' curva, usava la pala e la zappa con sicurezza ed eleganza. Abbassava sempre gli occhi. Lucette, senza  parlarle, le regalo` un cucchiaio col manico spezzato. La rom la ringrazio` con un movimento del capo e chiudendo gli occhi. La polacca le trovo` una scodella e Luise uno scialle.
Fédérique la belga approfitto` di una siesta dei due sorveglianti per avvicinare Ansa che scavava nell'ultima trincea. La nostra kapo` si riparava dalla pioggia sotto il grande mucchio di assi della prima
trincea e quindi, anche sporgendosi, non riusciva a vedere Fédérique  ed Ansa. Credo di non aver mai avuto cosi` paura in vita mia, neanche nelle evacuazioni per i bombardamenti. Appoggiate sulla loro zappa Féderique e Ansa parlavano senza timore. Io ero rigida sulla zappa: da un momento all'altro le SS potevano uscire dalla baracca o la kapo` poteva alzarsi. Dopo circa mezz'ora, Fédérique si allontano` da Ansa che riprese il suo lavoro. Fédérique, col viso rilassato, disteso - non le avevo mai visto un'espressione cosi` serena -, non staccava piu` gli occhi dal profilo sottile della giovane rom.
"Allora, cosa fa?", "Diccelo!", "Vogliamo sapere". Ma Fédérique rispondeva cosi` a tutti: "Piu` tardi, piu` tardi!"."La sera stessa, in un angolo del blocco, mentre Ansa e tutte le donne estenuate cercavano di addormentarsi, Fédérique la belga racconto` a me e Lucette la storia di Ansa, "l'ultima zingara di
Auschwitz". Un racconto che mi sconvolse fino alle lacrime. Fu l'unica volta che piansi durante la prigionia, e senza che questo avesse nulla a che fare con l'emozione o il sentimento: erano lacrime di rabbia.
Lacrime di odio. Anche oggi, quando mi capita di incontrare per strada una zingara "dalla pelle di cuoio", devo voltarmi per non scoppiare insinghiozzi. Ansa, la bella zingara che credeva di essere l'ultima  zingara sulla faccia della terra !

Ridevano.
Urlavano.

"Ansa - comincio` Fédérique - e` l'ultima zingara rimasta in Europa.Tutti quelli della sua razza, neonati, bambini, adolescenti, uomini, donne, giovani e vecchie, sono stati sterminati ad Auschwitz. Tutti.
Nelle camere a gas. Nessuna esitazione. Tutti. Gli zingari arrivati ad Auschwitz sono stati radunati in un campo speciale, un campo familiare: lo Zigeunerlager, il campo zingaro, un campo dentro il campo, con il suo filo spinato, i suoi posti di guardia, la sua porta.
il simbolo   che identificava  i  rom nei  lager  


Un campo _meraviglioso_, per gli altri prigionieri, dove gli zingari hanno tenuto i loro vestiti e gli strumenti musicali. E c'erano una scuola e un asilo per i bambini. I pasti non erano migliori che ad
Auschwitz, ma piu` abbondanti perche` c'era maggior sorveglianza e quindi minor saccheggio".
Ansa non aveva mai vissuto in una roulotte. Suo padre, un rom, aveva sposato una cittadina tedesca e, alla nascita di Ansa, si erano trasferiti in una piccola casa con giardino. Il padre di Ansa era elettricista. A vent'anni lei si era sposata col figlio del panettiere. Avevano vissuto felici fino allo scoppio della guerra. Il marito di Ansa faceva le consegne del pane con un piccolo furgone. Avevano due bambini. "Poi - aveva raccontato Ansa - mio marito era andato soldato. Un buon soldato. Era venuto due volte in licenza.Avevamo fatto lunghe passeggiate nei campi. L'ultima volta aveva dei papaveri e io ho fatto per lui una collana di paglia. Un mese dopo mi hanno portato i suoi documenti e un po' di denaro. Era stato ucciso in Russia e seppellito laggiu`. Era morto ufficiale.
 Circa un anno dopo,sono venuti a casa mia. Era mattina presto. Avevano le pistole.Ridevano. Urlavano: 'Allora zingara, ci nascondiamo con la marmaglia!'. Ho potuto portare dei vestiti per i piccoli. In prigioneci sarebbero stati altri zingari. Custodivo i documenti di mio marito sotto la maglia. Molte volte ho ripetuto alle guardie: 'Sono tedesca,mio marito era ufficiale. E' morto in Russia. E' stato decorato'.
Ridevano sempre. Nessuno mi ascoltava.
Poi un giorno, eravamo certamente piu` di cento, ci hanno mandati ad Auschwitz dove gli zingari erano radunati in un angolo del campo. Al nostro arrivo, gli uomini ci rassicurarono: ' Non vi succedera` nulla.Non ascoltate le menzogne. Qui starete bene'. E diedero latte epoltiglia di mais ai bambini. I bimbi nel campo cantarono per noi.Riuscirono persino a coinvolgere qualche donna in una danza. Gli
uomini applaudirono. Ci diedero coperte e panni. Il giorno dopo sapevo gia` tutto sul crematorio, i convogli, le camere a gas camuffate come docce. Vennero due zingari tedeschi. Si sedettero sul letto per interrogarmi.. Avevano un grande quaderno nero e quello che non parlava prendeva appunti. Dissi: ' Non voglio finire nelle camere a gas coi miei figli'. Mi risposero: ' Gli zingari non vanno nelle camere a gas. Saranno liberati alla fine della guerra. Forse anche prima. Preparano una citta`. Con i tram.' Scrissi loro il mio nome.
Presero i documenti di mio marito.Qualche tempo dopo una SS chiamo` il mio numero. Mi condusse in un ufficio dove un ufficiale stava in piedi col suo caschetto e i guanti.Quando entrai saluto` militarmente. Aveva i documenti di mio marito sul tavolo. Mi disse che ero stata arrestata per errore, ma che la Germania era riconoscente ai suoi eroi, ai morti per la patria.
Entrarono altre due SS, due ufficiali. Uno ripete` che c'era stato un errore, che io non ero una zingara come le altre, che presto sarei stata liberata e avrei ritrovato i parenti di mio marito. Ma prima era necessario che l'ospedale verificasse se potevo ancora avere figli.Risposi che, dato che mio marito era morto, non volevo altri figli.Uno degli ufficiali, il piu` alto, che stava preparando molti fogli,mi disse: 'Resterete una settimana all'ospedale. Non e` pericoloso.
Dopo non potrete piu` avere bambini e sarete liberata'.Mi obbligarono a firmare i fogli e mi caricarono su un'auto. Chiesi  di vedere i miei bambini ma quello alto mi rispose che altre donne avevano gia` avuto l'incarico di prendersi cura di loro. Mi portarono in una stanza dove c'erano altre donne, giovani e vecchie, soprattutto ebree, qualche zingara. Percepivo la presenza della morte.
Avevo paura. Un'infermiera mi spiego` come sarebbe stata la sterilizzazione. Piansi. Non volevo farlo. Gridai. Mi picchiarono. Mi trascinai fino alla porta ma una guardiana mi stordi`. Mi accasciai si una sedia. Il giorno dopo fui sterilizzata. Mi aprirono e ricucirono.
Piansi per tanti giorni.


Tutte
storie

Poi ritrovai i miei bambini al campo degli zingari. Erano dimagriti,ma andavano a scuola e io tornai piu` calma. Eravamo tutti vivi esani. Non volevo piu` tornare dove ero stata cosi` torturata. Glizingari che si occupavano del nostro campo vennero a trovarmi e mi diedero una ventina di lettere scritte piccole su brandelli di carta.
Ce n'erano per tutte le citta`. 'E' perche` sarai liberata. Devi recapitare questi messaggi'. Accettai. Misero i fogli nelle mie scarpe, nascosti nella suola. Aspettai. Aspettai. Aspettai ancora. Un
giorno mi chiamarono. L'ufficiale alto - all'ospedale veniva chiamato dottore - mi disse che avevano verificato l'indirizzo dei miei parenti. Che era vero e che loro mi aspettavano. Mi raccomando`,soprattutto, di non dire mai una parola su Auschwitz: gli ebrei, i forni crematori, il gas, erano tutte storie. Erano tutte storie, confermai. Mi disse che l'ospedale doveva verificare che fossi guarita. Io non volevo tornarci. Disse che era obbligatorio,altrimenti 'non sarete liberata'. I medici mi esaminarono per due giorni. C'erano altre zingare che erano state sterilizzate come me.
Dicevano: 'Tra due giorni saremo libere e ci daranno del denaro'. Poi fu rimandata al campo zingari. Gli uomini che si occupavano di noi dissero: 'Ora non resta che aspettare'. Aspettai ancora per tutto l'inverno, e la primavera.
In estate, un mattino, chiamarono di nuovo il mio numero. Mi portarono da un fotografo e poi mi chiusero in una cella. Rimasi al buio per una settimana, forse due. Poi arrivo` un ufficiale. Mi disse:
'Sei fortunata. Sei l'unica zingara sopravvissuta ad Auschwitz'. Non capii. Lui rideva: 'Il campo degli zingari non c'e` piu`. Sono passati tutti per il camino. Non resti che tu'. Allora capii. Gridai: 'I miei figli! I miei figli! Voglio vedere i miei bambini! Vogliotornare al campo degli zingari!'. Mi gettai su di lui, attaccandomi ai suoi vestiti. Piangevo e urlavo. Non potevano avere fatto questo.Tutto il campo degli zingari. E i miei poveri bambini che avevanocosi` sofferto? Tutto il campo degli zingari! Entrarono due prigionieri e mi presero. L'ufficiale disse: 'Presto sarai libera,potrai tornare a casa. Ma non dovrai parlare'. Io non ascoltavo.Piangevo. Mi schiaffeggio`. Non rideva piu`: 'Se parlerai finirai
nella camera a gas'. Ma per me era uguale. Urlai: 'Portatemi al gas!Mio marito e` morto, i miei figli sono morti. Voglio andare nella camera a gas'. L'ufficiale se ne ando`. I prigionieri mi calmarono.
L'ufficiale torno`: 'Non andrai al gas. Vivrai per tuo marito, per il suo ricordo. Per aiutare i tuoi parenti. Forse potrai risposarti.''Faro` cio` che volete', risposi. Lui aggiunse: 'Presto sarai libera.
Ma prima dovrai lavorare un mese in un campo. Per dimenticare. E non dovrai dire nulla a nessuno. Se parlerai non sarai liberata'. E partii per Ravensbrück, con un convoglio di donne. A Ravensbrück un
ufficiale che aveva i documenti di mio marito mi diede una tavoletta di cioccolato: 'Non devi parlare. Niente. Nemmeno l'operazione. Ti mettero` in un buon kommandos'.""Ansa, che credeva di essere l'ultima zingara vivente, rimase con noi una quindicina di giorni. Fédérique, Lucette ed io chiedemmo, con la mediazione di alcuni vecchi del blocco e dei responsabili politici,soprattutto russi e comunisti, che nessuno mai le rivolgesse la parola o le rispondesse anche se interpellato. Questo valeva la sua vita.
Doveva uscire. Per poter raccontare. Noi - soprattutto Lucette - le avevamo creato intorno una solidarieta` vera. Persino la polacca aveva acconsentito a dare ogni giorno due patate e una razione di pane per lei. Un giorno i russi le portarono un dolce secco e mezzo salsicciotto. Ansa, quel giorno, pianse. Poi parti`. Rivedro` fino alla morte quel suo ultimo gesto, quello sguardo pernoi. Si volto`. Chiuse gli occhi due volte. Sollevo` leggermente la mano destra, poi chiuse il pugno. Non sorrise. C'era un po' di sole e la pelle del suo viso risplendeva come ebano. Fédérique sussurro`:"Buona fortuna, Ansa".Credo davvero che sia stata liberata. Ho poi saputo che piu` di cento zingare deportate ad Auschwitz, tutte sterilizzate al blocco 10,sopravvissero alla liquidazione dello Zigeunerlager.

ma siamo impazziti ? Usa, proposta choc: "Carcere per chi abortisce dopo strupro"

Dopo un candidato repubblicano ha dichiarato a  senato Usa  (  con  una frase  d'altri empi e  dis tampo medievale  )    che  : <<   una donna  incinta  dopo  lo stupro   è  volere  di  Dio >> , il fondamentalismo religioso    in America  colpisce  ancora  . Leggendo  la  news  sotto riportata  mi  viene da pensrae re  che  è  evidentemente  tale  persona  non ha  subito  (  e mi auguro  che non la subisca perchè non si dovrebbe mai  augurare ad  una donna  bella  o brutta   che  sia  una  simile cosa   ) o  non sa  cosa  sia  uno stupro  


fonte ilfattoquotidiano online del  24\1\2013



Usa, carcere per donne che abortiscono dopo stupro: è “inquinamento delle prove”
La proposta di legge arriva da una deputata repubblicana del New Mexico: la vittima di una violenza carnale deve portare a termine l'eventuale gravidanza perché il feto possa essere utilizzato in sede di processo come prova del reato. Difficilmente il disegno passerà, ma l'asticella della decenza è stata di certo spostata qualche metro più in là

di Marco Quarantelli | 25 gennaio 2013


La donna che decide di abortire dopo essere stata stuprata commette il reato di “inquinamento delle prove” e va punita con una pena che può arrivare fino a tre anni di carcere. Finora gli attacchi più furiosi alla libertà di scelta e le dichiarazioni più sgradevoli su stupro e aborto erano usciti da bocche maschili e repubblicane. La proposta di legge presentata il 23 gennaio al Congresso del New Mexico, invece, porta la firma di una donna, Cathrynn Brown, anche lei rigorosamente repubblicana, secondo cui la vittima di una violenza carnale deve portare a termine l’eventuale gravidanza perché il feto possa essere utilizzato in sede di processo come prova del reato. La sistematica guerra alle donne e ai loro diritti dichiarata negli Usa da una parte consistente del Grand old party non conosce soste.
New Mexico, Stati Uniti, profondo sud. “L’inquinamento delle prove – si legge nella House Bill n. 206 presentata alla Camera dei Rappresentanti – includerà l’abortire o il facilitare un aborto oppure il costringere qualcuno ad ottenere l’aborto di un feto che sia il risultato di una penetrazione sessuale criminale o di un incesto, con l’intento di distruggere le prova del crimine”. Firmato Cathrynn N. Brown, signora di 60 anni dal rotondo faccione sorridente. L’interruzione di gravidanza verrebbe così considerata reato di terzo grado, insieme a “omicidio volontario, furto, guida in stato di ebbrezza, lesioni aggravate, sequestro a scopo di riscatto”, punibili con la reclusione fino a tre anni. “Questa legge trasforma le vittime in criminali – ha spiegato all’Huffington Post Pat Davis, attivista di ProgressNow New Mexico – e le costringe a diventare incubatrici della prova per conto dello Stato”.

La repubblicana del New Mexico Cathrynn N.Brown 



Un testo controverso, che mette in discussione persino i fondamenti della teoria repubblicana in materia. “Se gli attivisti pro-life da sempre affermano che il feto è un ‘essere vivente’ fin dal momento del concepimento – fa notare Rick Ungar su Forbes – ci si domanda perché la Brown ora suggerisca che il feto non è altro che un ‘oggetto’ in grado di entrare in gioco in un processo come prova di un reato. Una prospettiva offensiva sia per i pro-life che per i pro-choice“. Senza contare poi il fatto che “in nessun caso la presenza di un feto prova che è avvenuto uno stupro. Altrimenti se ne dovrebbe dedurre che una donna che non è mai stata incinta di sicuro non è mai stata stuprata”.
Negli Usa la chiamano la “guerra alle donne”, un conflitto di trincea in cui, legge dopo legge, lo scopo è quello di guadagnare un metro all’avversario: la libertà di scelta. Il mancato rinnovo del 
Violence against women act, che dal 1994 garantiva tutele legali ed economiche alle vittime di violenza, è solo uno degli ultimi attacchi scagliati dal Grand old party. Tra il 2011 e il 2012 i repubblicani sono riusciti a far approvare 
n 30 Stati 135 leggi che limitano il diritto sancito nel 1973 dalla Corte Suprema di interrompere una gravidanza. Persino l’ultimo candidato alla vicepresidenza, Paul Ryan, nel 2011 ha firmato un controverso progetto di legge, il No taxpayer funding for abortion act, secondo cui, per accedere ai fondi federali previsti per le vittime, la donna dovrebbe dimostrare di essere stata “violentata energicamente”.
Cofirmatario di quella legge era Todd Akin: deputato del Missouri, nell’ultima campagna elettorale 
costui ha affermato che “in caso di stupro legittimo, il corpo della donna può fare in modo di evitare la gravidanza”. Il 24 ottobre toccava al candidato al Senato in Indiana, Richard Mourdock, esemplificare le idee deliranti del Gop in materia: se una donna subisce violenza e rimane incinta, disse in un dibattito, “lo ha voluto Dio”. Dichiarazioni che hanno danneggiato la corsa di Mitt Romney alla Casa Bianca, al punto da spingere John McCain, l’uomo che sfidò Obama nel 2008, a consigliare ai suoi di “lasciar perdere l’aborto”. Non è servito.
Difficilmente in un New Mexico in cui entrambe le Camere sono a maggioranza democratica, la proposta diventerà legge, ma l’asticella della decenza è stata di certo spostata qualche metro più in là. La Brown ha tentato di arginare le polemiche, spiegando che il suo scopo è quello di punire più severamente chi stupra e poi costringe la vittima all’aborto. Ma la toppa è stata peggiore del buco: il testo distingue chiaramente tra un primo soggetto (la donna) che decide di abortire e un secondo soggetto (il violentatore) che “spinge o costringe qualcun’altro ad ottenere un aborto”. Il problema è che entrambe le “condotte” sono considerate reato. “Servono leggi più dure contro gli stupratori – ha detto la Brown, difendendo il testo – con questa legge proteggeremo meglio le donne che vivono nel nostro Stato”.




24.1.13

un film \ documentario [la bambina pianista ] sul'olocausto dato ad orari assurdi ( 23.30 di sabato ) in rai

ma  chi fa la programmazione  in RAI   cosa  ha  nella mente segatura  ?  un film documentario La pianista  bambina    di una storia vera    di una sopravvissuta ( qui in inglese maggiori dettagli    ) raccontata  nel  libro "La pianista bambina" (titolo originale "Hiding in the spotlight") .  Ora  mi chiedo   come mai la  RAI   faccia  tanta  pubblicità e  speciali   dedicati alla tragedia  che  è l'olocausto  venga dato  dalla TV  pubblico  in un orario  assurdo  ( come  dimostra  le   schermate   sotto riportata   dal  sito  ufficiale  del  terzo canale  della rai )



Ma  allora  mi chiedo con la solita  domanda   retorica    perchè  ......  paghiamo il canone  ?  E perchè  fa quel  cavolo di pubblicità  retorica  sul  27  gennaio   la  RAI per non dimenticare  e poi si comporta  cosi 


  di  cui  trovate  sotto la recensione  di  http://www.sololibri.net/La-pianista-bambina-di-Greg-Dawson.html

La pianista bambina

Quando Greg Dawson contattò per la prima volta un agente letterario di New York per presentare il manoscritto de "La pianista bambina", venne respinto. Lo scrittore si sentì rispondere che il genere era stato fin troppo sfruttato e che si voleva solo trasformare la vicenda di sua madre nell'ennesimo psicodramma sull'Olocausto.

Nulla di più impreciso, avventato e sciocco. "La pianista bambina" (titolo originale "Hiding in the spotlight") è la ricostruzione toccante ma anche lucida ed attenta di una vita straordinaria, quella di Zhanna Arŝanskij, pianista prodigio e madre di Greg Dawson: "...mi resi conto che mia madre era diversa dalle altre madri che abitavano nel nostro quartiere, nell'Indiana. Mi parlava in russo, oltre che in inglese, e ogni giorno suonava il pianoforte per ore. La sera a letto mi addormentavo ascoltando le note di Chopin, di Brahms o di Dvořák che provenivano dal soggiorno. Mia madre aveva la carnagione olivastra – una eredità delle orde mongole che avevano invaso e occupato alcune zone della Russia nel XII secolo – e la mia pelle color caffelatte mi distingueva dai mie compagni di giochi dalla carnagione candida".
Quando Sara era incinta aveva letto la storia di Giovanna D'Arco, l'eroina francese che aveva pagato con il rogo il suo coraggio e la sua forza. Appena nacque sua figlia volle darle un nome che, in russo, corrispondesse a Giovanna: Zhanna. Due anni dopo nacque Frina. Siamo in Ucraina, fine anni '20, Zhanna e Frina sono figlie di Dimitri, un caramellaio di origini ebree. L'uomo, suonatore dilettante di violino, avvicinò precocemente le sue due figlie alla musica e le bambine, entrambe estremamente dotate, riuscirono in qualche anno a conquistare consensi ed approvazione tanto da ottenere una borsa di studio presso il prestigioso Conservatorio di Mosca.
La famiglia Arŝanskij viveva da diverso tempo a Kharkov ma ad un certo punto tutto iniziò a cambiare: "Da quando aveva firmato il patto di non aggressione con Hitler, nel 1939, Stalin aveva utilizzato il proprio controllo sull'informazione per creare l'illusione della pace e dell'imminenza di tempi migliori". Il castello montato ad arte da Stalin crollò miseramente il 22 giugno 1941: la Germania attaccò la Russia. Gli Arŝanskij, come altri, ascoltarono atterriti l'annuncio radiofonico dell'inizio del nuovo conflitto dalla voce di Molotov. Era appena iniziata quella che Hitler denominò l'Operazione Barbarossa.
Molti abitanti di Kharkov scelsero la fuga verso est soprattutto perché l'esercito tedesco era seguito da unità denominate Einsatzagruppen (create da Hitler nel maggio del 1941) che avevano il compito di sterminare quanti più ebrei possibile. La prima gigantesca strage eseguita fu quella di Babi Yar, un villaggio poco distante da Kiev: in due giorni le Einsatzagruppen uccisero 34.000 ebrei. In Unione Sovietica l'Olocausto era iniziato così, in largo anticipo rispetto a quanto dovrà ancora avvenire ad Auschwitz, Dachau, Treblinka, Bergen-Belsen e via dicendo.
Gli Arŝanskij, invece, non scelsero la fuga "si chiusero in casa e attesero il proprio destino. La vita normale s'interruppe. Le sorelle non osavano suonare il piano per timore di attirare l'attenzione dei soldati tedeschi che giravano per le strade. Dimitri continuava a ripetere di essere convinto che sarebbero stati mandati in un campo di lavoro a Poltava".
Ovviamente non fu così.
I tedeschi costrinsero loro e molti altri ebrei a lasciare tutto e a marciare verso una destinazione ignota. Il 15 dicembre, proprio quando si stavano recando presso i punti di raccolta, Zhanna decise di tornare indietro: aveva dimenticato una cosa importantissima. Tornò in casa e, dopo aver frugato tra i suoi spartiti, prese con sé quello dell'Improvviso Fantasia di Chopin, la partitura che amava di più e la nascose sotto la camicia. Quel pezzo l'accompagnerà per tutti gli anni a seguire.Tutti gli ebrei vennero rinchiusi in una vecchia fabbrica di trattori divenuta un campo di concentramento in cui la gente moriva quotidianamente di freddo e di fame. Dopo qualche tempo ai prigionieri venne di nuovo comandato di mettersi in marcia. Verso nord. Qualcuno si illudeva di trovare un nuovo campo ma verso nord non c'era altro che Drobitsky Yar. La parola Yar, in russo, vuol dire burrone. Come la precedente Babi Yar, anche a Drobitsky Yar c'erano profonde voragini, luoghi ideali nei quali far precipitare e nascondere i cadaveri degli ebrei massacrati.
La fila degli Arŝanskij partì l'ultimo giorno. Dimitri sapeva che non sarebbero arrivati in nessun luogo e convinse la giovane guardia ucraina che li seguiva a lasciar andare almeno sua figlia. Zhanna era più forte ed intraprendente di Frina, forse ce l'avrebbe fatta. L'uomo regalò al soldato il suo orologio, coprì le spalle di sua figlia col suo pesante cappotto e le disse: "Non m'importa quello che fai, basta che tu viva. Vai!".
Zhanna uscì dalla fila. "Diventai una delle donne grigie che osservavano il passaggio della colonna di condannati", racconta. La ragazza aveva con sé solo un cappotto ed uno spartito.
Dopo qualche tempo, aiutata dal caso e da famiglie che rischiarono grosso dandole ospitalità, Zhanna riuscì a ritrovare anche Frina. Suo padre era riuscito a mettere in salvo anche lei. Le due pianiste prodigio erano di nuovo vicine ma per loro si preparavano anni difficilissimi. Erano divenute famose e il terrore di essere scoperte e riconosciute le accompagnò ogni istante, soprattutto quando vennero notate per le loro doti musicali all'interno di un orfanotrofio ed entrarono a far parte di una compagnia di artisti.
Per scampare al pericolo le sorelle dovettero darsi un'altra identità: "Mi chiamo Anna Morozova. Vengo da Kharkov. Io e mia sorella Marina siamo orfane. Nostro padre era un ufficiale dell'esercito russo ed è rimasto ucciso in combattimento. Nostra madre è morta nei bombardamenti di Kharkov". Questa le versione fasulla sulla propria identità che Zhanna e Frina (Anna e Marina) furono spesso indotte a ripetere, anche davanti ai tedeschi, per non essere arrestate e deportate.
Il destino, tra il beffardo e il paradossale, chiese alle sorelle Arŝanskij prove di forza eccezionali come quella di suonare per alleggerire l'umore dei soldati tedeschi. Due giovani ebree alle quali i nazisti avevano sottratto i genitori, i nonni, il sogno di divenire celebrità e l'intera adolescenza si trovarono a dover suonare davanti ai loro persecutori. La ritirata dei tedeschi, sconfitti in Russia nel 1943, significò per Zhanna e Frina un ripiegamento verso ovest: i tedeschi le trascinarono via con loro fino a Berlino. L'angoscia di essere smascherate rendeva la vita delle ragazze un inferno: "Avevamo l'impressione che Hitler fosse proprio lì accanto a noi. Sapevamo che ci conveniva fare le brave, e avevamo bisogno di fortuna. Se qualcuno avesse scoperto che eravamo ebree saremmo arrivate nella sede della Gestapo in due minuti".
Nonostante un paio di pericolose delazioni, nessuno le scoprì. La musica continuò a farle sopravvivere anche quando la Germania, oramai prossima alla disfatta, stava per cedere agli Alleati. Perché è proprio grazie alla musica e all'amore infinito per il pianoforte che Zhanna e Frina riuscirono a sopravvivere all'Olocausto e a rendere onore al sogno di Dimitri.

Greg Dawson, che lavora come giornalista, per tanti ha ignorato le origini di sua madre. Non immaginava che nel passato di una bravissima pianista, concertista ed insegnante di pianoforte fosse celata una storia così grande e tormentata. A più di ottanta anni di età Zhanna Arŝanskij Dawson ha avuto la forza di ripercorrere la sua vita, di recuperare ricordi e sofferenze e trasmetterle a suo figlio il quale, a sua volta, ha voluto trasportare tutto in questo libro che è, al contempo, documento e racconto, denuncia e testimonianza.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Greg Dawson è nato nel 1949. Cura la rubrica “The Last Resort”, che si occupa di problematiche relative ai consumatori, per il quotidiano “Orlando Sentinel”. Nel 2009 ha pubblicato il suo primo libro "Hiding in the spotlight" nel quale racconta la storia di sua madre Zhanna Arŝanskij Dawson scampata all'Olocausto.

Zhanna Arŝanskij Dawson è nata in Ucraina nel 1927, è una pianista ed ex insegnante di pianoforte presso l'Università dell'Indiana. Il suo nome è divenuto famoso dopo che suo figlio, Greg Dawson, ha pubblicato un libro che racconta la sua storia. Zhanna e sua sorella Frina sono, almeno secondo i dati raccolti, le uniche due sopravvissute al massacro di Drobitsky Yar durante il quale i nazisti uccisero circa 16.000 ebrei ucraini.

23.1.13

La vacanza


 

Rimane
la tua assenza.
Il sale dell'addio.
I fiocchi di risate
nella stagione azzurra.
Il mare come un campo
eterno, dissepolto,
l'orizzonte d'albe fredde
e dedali di sogni,
inanellati insieme,
sfogliati come angeli.
Ora è vuoto
nel terso silenzio,
ora è libertà
di cieli vagabondi.

22.1.13

fonte unione  sarda del  22\1\2013
Genetista di Harvard cerca «donna avventurosa» per far nascere un bebè di Neandertal. Non è la nuova trama di un “Jurassic Park”: George Church della Harvard Medical School è convinto di poter ricostruire il Dna di un cavernicolo e far risorgere la specie estinta 33 mila anni fa. Ma a differenza del film di Spielberg, dove i dinosauri sono interamente ricreati in laboratorio, Church ha bisogno di un volontario, anzi di una volontaria, per portare a termine il suo progetto.
«Penso che possa essere fatto. Ora ho bisogno solo di una donna avventurosa», ha detto il professore, convinto di aver analizzato il codice genetico dei neandertaliani sulla base di frammenti tratti dalle ossa con completezza sufficiente per ricostruirne il Dna. Il progetto di Church, uno dei pionieri della biologia sintetica che ha contribuito a dar vita al Progetto del Genoma Umano, prevede di creare artificialmente il Dna dei neandertaliani basandosi sul codice genetico trovato sui suoi resti fossili. Questo Dna verrebbe poi inserito in cellule staminali da iniettare in un embrione umano: le staminali “piloterebbero” lo sviluppo dell'embrione verso linee neandertaliane. Dopo esser lasciato crescere in laboratorio per alcuni giorni, l'embrione del “neo-Neandertal” verrebbe impiantato nell'utero di una madre surrogata: la volontaria «avventurosa». Church, scienziato rispettato dai colleghi, ha aggiunto che i Neandertal «probabilmente pensavano in modo diverso da noi, ma avevano un cranio più grande. Forse erano addirittura più intelligenti di noi».

Aggiornamento Infermiere paga il ticket ad una signora indigente: la ASL lo punisce



La vicenda di cui si parla nel titolo e qui nel precedente post oltre   a farmi venire  in mente , per  l'epilogo  che ha  avuto leggi  sotto  ,  questa  famosa  canzone





ha avuto un strascico non proprio felice . Ma mi chiedo te pareva che il potere anzichè ammettere il proprio errori o , ed è questo il caso , un gesto di generosità ti riempisse d'alga ti punisse . ma ora basta perchè due parole sono poche ed una è troppo, lascio che a parlare sia questo articolo di nocensura.com .

C’è un detto siciliano che recita più o meno così: “Faciti beni, ca malu vi veni”, ovvero “fate bene e in cambio riceverete il male”. E’ proprio quello che è successo a Marco Lenzoni (nella foto  a  sinistra  ), infermiere, ma prima ancora filantropo. La sua colpa ?
Essere troppo generoso coi più poveri..Una donna non ha i soldi per pagare le analisi del sangue della figlia: arriva un infermiere, Marco Lenzoni, e senza pensarci due volte, paga per lei il ticket. Accade lo scorso mercoledì al centro prelievi della Asl 1 di Massa. Con la figlia gravemente malata e le analisi prescritte dal medico curante, la signora si era recata al centro di prenotazione Cup senza soldi. Non trattandosi di un nucleo familiare soggetto ad esenzione, però, l’operatore dell’Asl ha comunicato alla madre che le analisi non potevano essere effettuate senza il pagamento immediato del ticket. Ad assistere alla scena un infermiere del centro prelievi. È proprio lui a pagare i 40 euro per le analisi al posto della donna. La storia, una storia bella e brutta allo stesso tempo, potrebbe finire qui. Invece i dirigenti dell’Asl di Massa Carrara intervengono. Vogliono vederci chiaro: forse per capire come aiutare le famiglie in difficoltà? No. L’Asl ha appena deciso di sanzionare l’infermiere. E in una nota spiega perché: “La posizione assunta dall’infermiere nei giorni scorsi discredita in modo subdolo e strumentale l’immagine dell’Azienda, già fortemente lesa dai gravi fatti degli scorsi anni. Per l’uso strumentale dell’accaduto e la grave lesione che ne è conseguita all’immagine dell’Azienda e del Servizio sanitario pubblico, oltre che per le offese personali al Direttore Generale, questa Direzione avvierà i procedimenti disciplinari necessari nei confronti dell’infermiere“.L’infermiere buono ora rischia una multa o una sospensione temporanea. E allora hanno proprio ragione i vecchi siciliani: “Faciti beni, ca malu vi veni”.



20.1.13

A Beirut il primo matrimonio civile arabo E' un evento epocale: due giovani musulmani, sunniti, vogliono e ottengono il primo matrimonio civile mai celebrato in un paese arabo.

 nel mondo arabo  , in fermento anche  violento  contro le dittature religiose  e  il potere  temporale  ,   ci sono  due notizie  che   in occidente  sono  messe  in  secondo piano  eccole  . Saranno   piccole   cose , una  piccola  goccia  nel mare dele  violazioni  e  soprusi  che  le  donne  in particolare  e le bambine  (  velo  "  normale  "  e\o integrale  imposto a  forza  , infibulazione , matrimonio delle bambine  , ecc )   devono subire quotidianamente  . Ma   : << Un lungo cammino, inizia sempre con un piccolo passo.(  Mao Tse Tung )  

da  http://ilmondodiannibale.globalist.it/
La prima  è  questa

A Beirut il primo matrimonio civile arabo

Inserito da redazione il 19/01/2013 alle 13:02 nella sezione Arabi in rivolta
 
E' un evento epocale: due giovani musulmani, sunniti, vogliono e ottengono il primo matrimonio civile mai celebrato in un paese arabo. Ecco come.



"Dichiariamo liberamente e non costretti , uguali davanti alla legge secondo la Costituzione e nel rispetto della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in particolare l'articolo 16 , che io Nidal accetto Khallud come moglie e io Khallud accetto Nidal come marito. " E' questa la formula del primo matrimonio civile mai stipulato in Libano. Ovviamente si tratta del primo matrimonio civile in un paese arabo, e lo hanno contratto due cittadini musulmani. Lei, come si vede dalla fotografia, è velata: "ma si tratta di una mia libera scelta, non certo di un obbligo dal quale far conseguire che sono tenuta a un matrimonio religioso", ha detto alla stampa la prima donna araba musulmana che ha combattuto per unirsi civilmente a suo marito.
E' un evento di indubbia importanza sociale per quelle società, a maggioranza islamica e, soprattutto nell'area mediorientale, multi confessionali. E a Beirut questa unione si è verificata in mancanza di normative che la consentano: un decreto legge giace nei cassetti del governo dall'epoca del Presidente Elias al Hrawi (1989 - 1998 ).
Khallud Sekrye e Nidal Darwish si sono uniti in matrimonio civile il 10 dicembre 2012 sulla base di una decisione presa dall'Alto Commissariato Francese in Libano nel 1936, che riconosce e disciplina le comunità religiose , dandogli i diritti e nello stesso tempo attribuendo un riconoscimento individuale alle persone . Dunque la coppia Khallud - Darwish diventa la prima coppia libanese unita in matrimonio civile in Libano. Tutto è cominciato quando Khallud è riuscita ad ottenere dalla sua famiglia il sì a sposarsi "formalmente" secondo la tradizione islamica , ma senza registrarlo presso il tribunale Islamico. Il primo passo è stato la cancellazione dell' appartenenza religiosa dai documenti d'identità , in maniera che non risulti di fronte alla legge, superando così l'obbligo di sposarsi di fronte ad un tribunale religioso e riconoscendo così il loro diritto di "nubendi" al matrimonio civile. Poi i due hanno affrontato gli adempimenti previsti anche dai matrimoni religiosi:

- Nulla osta per il matrimonio
- Affissione delle pubblicazioni 15 giorni prima del matrimonio per verificare che nessun impedimento o opposizione ostino al matrimonio: avrebbero dovuto pubblicarlo anche nella Gazzetta Ufficiale o al meno in due quotidiani , ma per evitare eventuali ostacoli gli sposi hanno affisso le pubblicazioni sulle porte delle abitazioni dei genitori e sulla porta di casa loro .
- Possesso di un documento notarile con le condizioni del contratto di matrimonio.

Dopo molte difficoltà ad ottenere i documenti necessari, i due si sono uniti in matrimonio civile il 10/12/2012 e attualmente il contratto si trova al Ministero degli Interni in attesa di ufficializzazione
  la  seconda   viene invece  dall'arabia  

Le donne saudite cominciano a vincere

Re Abdullah costretto a nominare 30 donne nel consiglio dello shoura, il parlamento consultivo saudita. Segno che...  qualcosa  sta  cambiando [  corsivo mio  ] 

Manifestazioni, proteste, sit-in: la storia sociale dell'Arabia saudita ruota ormai attorno all'attivismo femminile.
Tutto, per noi, è cominciato con la campagna femminile per il diritto alla guida, poi per il diritto a documenti con la propria fotografia. E così via...Eventi che abbiamo seguito quasi con sussiego, senza renderci conto dell'enorme coraggio e della portata rivoluzionaria di queste mobilitazioni.
Ora l'anziano e malato re Abdullah, uno dei pochi che probabilmente con dolore ha preso atto della necessità di qualche riforma per salvare quel regno malato, ha nominato 30 donne nel consiglio dello shoura, il simil-Parlamento saudita, consultivo e nominato
.



Ma trenta donne sono trenta, l'atto è importante.
Di certo nel "riformismo tenue" di re Abdullah l'intenzione è quella di distrarre le donne dai loro veri obiettivi, di farle ritenere soddisfatte o quanto meno di ritenersi momentaneamente appagate.
Resta il fatto però che poche assemblee parlamentari arabe hanno trenta elette ( o nominate) e questo auspicabilmente verrà notato dalle altre. Poi le donne saudite sapranno da sé non cadere nella trappola soporifera e usare "il riformismo tenue" di re Abdullah per costringerlo ad andare più avanti.


in tempo di crisi e di fame busa e non si vuole emigrare meglio addattarsi a tutti i tipi di lavoro anche queli per cui non abbiamo studiato la storia di La scommessa di Paolo Ladu, noto “Cipolla”: lava vewtri da 40 anni

  dala nuova  sardegna   9\1\2025  di Valeria Gianoglio Nuoro La bottega di Paolo Ladu, noto “Cipolla  "è un furgone vissuto, un ampio...