20.10.16

Ballo e sballo: il mondo delle discoteche racconta un’altra storia



Lo so che è un articolo vecchio è datato , ma come da titolo , vede ( ed almeno ci prova ) il mondo delle discoteche e dei locali da ballo sotto un altro aspetto che non solo l'equazione discoteca = droghe . 





da http://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/ 13\8\2015 di Barbara Gigante

Ballo e sballo: il mondo delle discoteche racconta un’altra storia


In un'estate segnata dalle morti di giovanissimi e polemiche su droghe e discoteche, proviamo a dare un altro punto di vista, quello di chi, come il dj Claudio Coccoluto, nelle discoteche ha passato la vita (senza sballo) o di chi, come suo figlio Gianmaria, nelle discoteche ci è cresciuto (da sano), o di chi, come il buttafuori L.B., nelle discoteche ci lavora (e non è un pregiudicato). Per trovare soluzioni, lontano da giudizi e pregiudizi

di Barbara Gigante - 13 agosto 2015


Avremmo voluto ricordare diversamente l'estate 2015 che mischia alla salsedine dei litorali italiani un'insopportabile scia di morte. Sacrifici umani d'adolescenti o poco più, immolati sull'altare del divertimento o forse solo dell'incoscienza che la tenera età in cui hanno lasciato la vita di per sé comporta. Lamberto Lucaccioni, appena 16 anni, di Città di Castello, prende una pasticca di ecstasy mentre si trova nella discoteca più famosa d'Italia, il Cocoricò di Riccione, e mentre balla e si sballa muore. Era il 20 luglio, meno di un mese fa. Lorenzo Toma, diciottenne leccese, ci ha lasciato all'alba del 9 Agosto, dice l'autopsia, per una malformazione cardiaca, ma solo dopo esser stato al Guendalina, una tra le discoteche più famose del Salento. Tanto è bastato per far pensare si trattasse di un nuovo caso di morte per droga. Non lo era, ma passate poche ore, sulla spiaggia di Messina, viene rinvenuto il corpo ormai esanime di Ilaria Boemi, sedici anni anche lei. L'ultima cosa che ha fatto in vita sua è stata prendere una pasticca di ecstasy “cattiva”. Mancano gli esami tossicologici e forse di nuovo in fretta si cerca di bollare il caso. Allo stesso modo, però, se è vero che questi episodi siano diversi tra loro, sarebbe stupido ignorare un messaggio palese: gli adolescenti, anche se non tutti, muoiono per droga.
La polemica infiamma. Sotto il sole di Ferragosto, ognuno dice la sua sulle presunte responsabilità di morti così sciocche, così inaccettabili. Chi addita la società civile, chi la famiglia, chi se la prende con le istituzioni. La stampa italiana si è data alla pazza gioia: alla povera Ilaria Boemi non è stato risparmiato il setaccio su quanti piercing avesse in volto e come portasse i capelli, in un trionfo di qualunquismo misto a ignoranza che lunga la dice su chi dovrebbe aiutare a interpretare un mondo che invece gli è totalmente estraneo, di cui ignora i codici e i processi sottesi e per questo si permette una perentorietà che tanto somiglia alla boria degli stolti.
A guardare i fatti, un primo dato possiamo trarlo: il provvedimento che ha portato la questura a chiudere per quattro lunghissimi mesi estivi il Cocoricò di Riccione non sembra sia servito affatto a fermare la scia di decessi per abuso di sostanze stupefacenti. Con buona pace del senatore Stefano Pedica del PD, che, come riporta il quotidiano Libero, ha avuto la brillante idea di proporre la chiusura indiscriminata di tutte le discoteche in Italia per un anno, quella del locale romagnolo non ha risolto neanche un po' il problema dello 'sballo'. E' ormai evidente a tutti che sulle coste italiane da quel giorno non sia stata venduta o messa nel bicchiere di altri una sola pasticca di meno. Chi avesse dubbi circa l'inutilità di un provvedimento tanto miope, che altro non ha fatto se non bloccare un'azienda funzionante e prolifera della riviera, dovrà spiegare anche il perché quegli stessi spacciatori che la inquinavano non abbiano mai smesso di vendere pillole letali. 
La tendenza generalizzata è quella dell'associazione discoteca-droghe, come se bastasse allontanare i giovani da quel tipo di musica per metterli in salvo dal pericolo d'inquinarsi il sangue con le famigerate droghe pesanti. Un po' come dire che tutti i metallari sgozzano conigli o che prima della musica dance nessuno si sballasse. Dobbiamo davvero ricordare la diffusione a macchia d'olio dell'eroina negli anni '80? Sul serio serve far notare che tra le soavi melodie dei pacifici Beatles – quella che avranno nello stereo i genitori modello che in questi giorni si sgolano additando le famiglie degli altri – c'era una canzone dedicata all'LSD? Eppure non troverete la versione remixata di Lucy in the Sky with Diamonds sui dancefloor, a conferma dell'equazione discoteca = droghe.



Claudio Coccoluto in consolle a New York

Claudio Coccoluto, uno dei dj storici del Cocoricò e non solo, in queste ultime tre settimane si è speso in tutti i modi, dai giornali alla TV, per provare a salvare quella musica che anche lui produce da una semplicistica riduzione a strumento del demonio. “Sono cresciuto trovando nella musica il mio sballo personale, è sempre una questione di endorfine – afferma – mi sentivo bene a fare quello che facevo e ne ho fatto un lavoro. La verità è che quando uno si sballa la musica se la perde. Si perde un pezzo di creatività e un po' di se stessi. Impossibile, sotto effetto di droghe, cogliere tutte le sfumature che la buona musica ha dentro di sé. A farci caso la musica dei drogati è brutta, di pessima qualità. Quando a contare non è la musica, ma lo sballo, è la musica la prima a perderci”. 
Viene da pensare a Platone che ne la Repubblica aveva bandito la musica per far sì che i suoi cittadini modello crescessero senza distrarsi dalla buona polis. Era il IV sec. a. C., eppure pare ci sia chi la pensi ancora così. C'è da temere, in realtà, che seppure chiudessero tutte le discoteche del mondo, non ci fosse più un solo concerto, una sola performance musicale live sul pianeta, molto probabilmente, chi aveva deciso di farlo lo stesso, riuscirebbe a sballarsi a ritmo di canti gregoriani infiltrato in qualche chiesa. Ancora una volta non si vuol vedere, il pensiero di doversi prendere qualche responsabilità in più atterrisce chi di dovere. Meglio l'esemplarità della chiusura di un'azienda come il Cocoricò, meglio lasciare a piedi i suoi dipendenti e colpire il turismo locale, così da sedare l'opinione pubblica con una bella dose di morfina giustizialista e lasciare tutto com'è, aggiungendo alle droghe dello sballo i sonniferi per l'intelligenza.
Quello che d'interessante c'è nella parabola personale di Claudio Coccoluto non è solo la sua capacità di produrre musica apprezzata a livello internazionale lontano dalle droghe. Tra le discoteche ci ha anche cresciuto due figli. Sani. Il figlio maschio, Gianmaria, ha coraggiosamente scelto d'imboccare la stessa strada del padre, eppure non barcolla sbavando da una consolle all'altra.“Ho cercato d'indirizzare già da molto presto i miei ragazzi a un ragionamento su cosa gli accadeva intorno – spiega il dj – non puoi chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Li ho portati con me a curiosare cosa facesse il padre a 13, 14 anni e ho sfruttato l'occasione per spiegargli cose che a chi è estraneo all'ambiente possono sfuggire”. Creare un dialogo, dunque, non demonizzare o far finta che il problema non esista, ma parlarne per rendere i propri figli capaci di una scelta consapevole.



Gianmaria Coccoluto in consolle

Gianmaria Coccoluto ricorda la prima volta che è entrato in una discoteca insieme al padre: “Mi piaceva molto l'aria festosa, mi è subito sembrata una cosa bella. Intrattenere gli altri con della buona musica mi è parsa una missione nobile”. Rispetto agli eventi drammatici dell'ultimo mese si è fatto una sua idea: “In Italia dovrebbe esserci non dico prevenzione, ma almeno informazione sul tema. Non se ne parla, ci si rifiuta di affrontare il problema come se discuterne equivalesse a diffonderne l'uso”. Quando gli si chiede se ha subìto una qualche forma di pregiudizio perché proveniva e apparteneva al mondo della notte, risponde: “La disinformazione e l'ignoranza creano discriminazione. Vige il pregiudizio di chi non immagina nulla di quanto accada nel mondo dei club. L'unica cosa che sanno fare è condannare, ma è perché non gli interessa sapere. Come con il tema dell'immigrazione, ci si ferma a un titolo di giornale, difficilmente ci si sforza di capire i processi che sono alla base del fenomeno”.
Sull'educazione dei figli da parte delle famiglie di oggi si è detto tutto e il contrario di tutto. Dai commenti sui social di ragazzi orgogliosi d'avere genitori cui debbono rendicontare ogni spesa, fino alla mamma di una delle vittime di ecstasy che chiede di spiegare ai ragazzi come assumere droghe nel modo più sicuro possibile: il ventaglio di opinioni in proposito è quanto mai ampio e colorito. Quella madre, però, non è completamente pazza: all'estero, in numerosissimi festival, piuttosto che fare i benpensanti preferiscono fare i realisti, addirittura allestendo banchetti per analizzare al microscopio le pasticche che i giovani vogliono ingurgitare, in modo da salvarli almeno da quelle tagliate male. Questo in Italia non è che non si può fare, non lo si può manco dire, perché per l'opinione pubblica equivarrebbe a mettergli di proposito un po' di MDMA nel bicchiere, come se quelli che non si drogano non lo facciano perché ne ignorano l'esistenza. 
Contemporaneamente, un certo prurito a sentire le esclamazioni di certi figli modello effettivamente viene: “Mia madre a quell'età mi tirava due sberloni se facevo tardi” e bla bla bla, riporta uno dei tanti commenti Facebook a un link di Repubblica sull'argomento. Che qualcuno faccia tutto quello che dicono mammà e papà, fiero di essere preso a botte in caso di contraddizione, difficilmente basterà a rendere conto di una società sempre più liquida e complicata, in cui la perdita di verticalità nell'educazione viene stupidamente additata come il problema. Anziché prenderla come una possibilità di sostituire il dialogo all'imposizione, sviluppando un'educazione in orizzontale, viene avvertita come una perdita di autorità nelle famiglie. Saranno quelle stesse famiglie in cui al divieto di uscire con un ragazzo si rispondeva facendosi mettere incinta per scappare di casa? Dopo la nostalgia del ventennio fascista dobbiamo davvero sopportare anche quella di una forma educativa obsoleta e improduttiva che tanto lo ricorda? Il viziatone di turno, il figlio di papà coi soldi in tasca, insensibile ai sacrifici e sconsiderato nei comportamenti, è sempre esistito. Sicuramente un atteggiamento lascivo e disattento da parte degli educatori non aiuta, ma sembra altrettanto ridicolo invocare l'ipercontrollo o scaricare sulle famiglie la totale responsabilità di quello che accade al loro esterno. Se è vero che l'adolescenza è una di quelle epoche della vita in cui, per partito preso, si è totalmente in disaccordo con le figure procreatrici che si cercano di contrastare, è altrettanto vero che tenere il fanciullo in una fase d'infanzia perenne, postdatando il momento in cui deciderà di fare di testa propria, non farà che ritardare a sua volta il tempo della maturità, la quale non può che seguire alla messa in discussione del dogma genitoriale, e meno male! Altrimenti se mamma spara con la lupara dovrei farlo per forza anch'io, perché non sono stato capace di fare quel salto, quello scarto dato dalla messa in discussione del mondo che i nostri genitori, ritenendolo il migliore possibile, hanno creato per noi. 
Sarebbe il caso di smettere di puntare il dito esclusivamente sulle famiglie, come ha fatto l'ormai celebre (e dimissionario) sindaco di Gallipoli Francesco Errico, twittando “Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli non morirebbe un 18enne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare”. Forse costerebbe troppa fatica a un sindaco pensare che spetti anche a lui trovare il modo di interessare i ragazzi che vivono nel suo comune con attività ricreative che li distolgano dal cercare se stessi in una pasticca che pompa serotonina. Che si debba essere felici in un modo concepito in laboratorio è non solo inquietante, ma dovrebbe aprire mondi di riflessioni sul perché la vita stessa non sia più in grado di rendersi appetibile agli occhi di giovani sempre più apatici, continuamente annoiati perché non stimolati alla creatività. Il cervello serve a quella: tolto lo stimolo a produrre, di neuroni se ne hanno fin troppi, tanto vale eliminare quelli in eccesso con una bella pasticca.
Oltre la famiglia e la città c'è però lo Stato. E qui si apre un altro burrone senza fondo. Una cosa sembrerebbe ovvia: lo Stato legifera. Orbene, dove sono queste leggi? Quelle basilari, che ad esempio dovrebbero mettere in condizione un locale di escludere la presenza di minorenni al suo interno. Se lo chiede L. B., da più di 20 anni responsabile della security nei locali, ma anche negli stadi e per qualche anno appartenente alle forze dell'ordine (e che ci ha chiesto di rimanere anonimo). “Non è cambiato nulla rispetto al passato – spiega, forte dell'esperienza accumulata sul campo dal 1989 –L'unica legge in proposito è il decreto Maroni del 2009. Una legge incompleta e approssimativa, poi mai più modificata. Quella fu una prima timida operazione per cercare di mettere ordine nei locali. Da allora, l'ex buttafuori è diventato operatore della sicurezza e dovrebbe evitare che la droga entri nei locali ma il decreto non dice come. Il buco legislativo è evidente, non ci mettono in condizioni di fare una perquisizione, non siamo degli incaricati di pubblico servizio. Servirebbe una delega speciale”. Dunque l'addetto alla sicurezza c'è, ma di fatto non può fare nulla per contrastare l'entrata di droghe in una discoteca perché la legge non glielo consente. Come aggravante c'è che rischia personalmente non solo la propria incolumità, trovandosi spesso a separare ubriachi in rissa, ma anche giuridicamente, dal momento in cui, se nel tentativo di riportare l'ordine lascia un segno visibile sul corpo di un cliente che si azzuffa, deve pure rispondere di aggressione privata. “Il risultato è che, contrariamente a quanto previsto dalla legge, i buttafuori sono spesso pregiudicati, perché sono quelli che si fanno meno scrupoli a mettersi in mezzo a situazioni limite – spiega L. B. – con l'aggravante che proprio perché già a contatto con l'ambiente criminoso siano proprio loro a consentire le piazze di spaccio nei locali”. 

Non per fare gli esterofili a tutti i costi, ma possibile che in Italia non si riesca a chiedere uno straccio di documento all'ingresso, mentre in altri Paesi europei l'addetto alla sicurezza è considerato un pubblico ufficiale? Rimettere mano al decreto Maroni sarebbe già qualcosa, per quanto non risolverebbe un problema di alienazione giovanile sul quale occorre interrogarsi più approfonditamente e che non necessariamente passa per le droghe, ma può riscontrarsi anche nell'abuso di legalissimo alcol. Dopo il ricovero al Perrino di Brindisi di quattro minori in coma etilico, il direttore dell'ASL di Lecce, Giovanni Gorgoni, ha tuonato: “Chi beve non è figo è un coglione”. Niente, non ce la possono fare. Appena c'è un problema tirano fuori la bacchetta e iniziano a spartire le acque tra i buoni e cattivi, di qua gli alcolizzati, di là i ragazzi dell'azione cattolica, senza mai una volta chiedersi il perché delle cose, senza che l'eco delle loro parole vuote abbia la minima risonanza su una realtà che va da tutt'altra parte.
  1. Non si finirà mai di parlarne, né di sparare a caso su argomenti che non si vuole neanche provare a cogliere da punti di vista alternativi a quello di partenza. Una cosa però la si può provare a chiedere: salvate la musica, tutta, anche quella che dite non sia degna d'esserlo come la musica da discoteca! Lasciatela stare. Non solo non c'entra nulla, ma potrebbe invece aiutare a salvarsi. “La gente non capisce il mondo delle discoteche perché non vuole capirlo – spiega Coccoluto padre in una delle sue uscite più efficaci – gli rimprovera l'assenza di dialogo che è invece la sua ricchezza. Ci sono moltissimi tipi di linguaggio, non c'è solo quello verbale. In discoteca non si parla, sento ripetere continuamente. Ma è proprio questa la sua bellezza: lasciare spazio ad altre forme di comunicazione, come il body language che non è una chiave di decifrazione della realtà meno nobile della parola. La gente davvero non sa cosa si perde!”.

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