non essendo disponibile in replay la puntata andata mercoledi su la 7 su Hiroshima , mi sono visto quella di Atlantide - Mussolini ultimo atto ? del22/04/2020. e mi chiedo : l'amore di Margherita sarfattti ( con Mussolini fu vero amore , oppure illusione ? Se condo me ella fu succube e poi se ne penti amaramente ed la pago per tutta la vita di Mussolini ed delle deliranti teorie del nazional socialismo ed il suo fu un amore malato come quello di
La ballata dell'amore cieco è l'incontro tra una vanità e una dedizione assoluta, ma è anche il ricordo di una mitica forma del rapporto tra i sessi, in cui la donna impone al pretendente prove terribili ("l'ultima tua prova sarà la morte"). da [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma 1999, p. 80] .
Infatti ci sono casi è questo è uno di questi , per citare l'ultimo n ( vedere copertina sotto )
di dylan dog in cui l'amore è un demone . Infatti , io preferisco un altro tipo d'amore che puoi essere riassunto da queste due canzoni la
Quale scegliere ? Nel cammino fin qui Per il momento , poi chi sa quando troverò il coraggio di rinunciare a me come l'eremita che rinuncia a se per paura di perdere la mia libertà e di smettere di aspettare godot ed agire si vedrà , la prima delle due citate nelle righe precedenti . Per il momento sono come il protagonista de Un giro di giostra racconto di Andrea Cammileri . Non credetemi misogino o ..... onanista ed asessuato perchè sono pronto ad offrire ed a donare a chi lo vuole e a chi non lascia abbindolare da pettegolezzi e voci discordanti su di me a causa di male lingue e sul giudicare solo le persone in base al loro passato senza capire che una persona con tempo può trasformarsi e cambiare il pane e le rose
Con questo è tutto alla prossima riflessione \ bilancio del viaggio , iniziato con questo post, che porta ai miei 50 anni
NI DI CUORE per il venerdi di repubblica di qualche tempo fa della madre di una ragazza che, dopo due trapianti di fegato, si spense il 7 maggio del 2017, a 17 anni va solo letta in silenzio, parola per parola. Cosa si puoi dire ad un familiare in questo cas a una madre che ha perso una figlia adolescente per una brutta malattia ? Non è di parole, di qualsiasi forma di consolazione che la signora Maria Rosaria ha bisogno: ma di essere ascoltata, di riuscire raccontando la sua terribile esperienza ad aiutare gli altri, quelli che oggi si lamentano perché costretti alle mascherine come fosse un sopruso e non prima di tutto, come chiaramente la lettera che trovater sotto , un dovere verso gli altri, lei che ha ricordi tragici di mascherine e guanti. Penso alla stupidità, alla violenza, alla pericolosità di chi addirittura in parlamento accusa di essere privato della libertà a causa di una mascherina o di una distanza obbligatoria . Sanno di mentire, di recitare la parte dell’eroe contro l’oppressore, ma la sete di potere, come dicono loro, di poltrone, gli fa accettare le centinaia di migliaia di morti nel mondo . Cosi pure quelliche acriticamente gli danno retta . Per questo, Maria Rosaria, io la ringrazio, l’abbraccio con vera riconoscenza: so che i cretini non la leggeranno o lanceranno i loro straili sulla tasstiera perché la verità la odiano, ma tanta gente si sentirà spronata ad ascoltarla, a seguirla. Infatti uso anche a costo di farmi ridere dietro la mascherina anche in strada passando davanti ai luoghi affollati
un articolo interessante questo del Venerdì di repubblica del 7 agosto 2020 che prova a cercare di capire e d'andare affondo sul brutto fenomeno indpendentemente dalla fede o men di una persona .
Agosto è la stagione degli inchini. Con santi e
madonne in processione che fanno la riverenza davanti alle case dei
boss. Come ogni anno, l'Italia s'indigna e si domanda se sia meglio
vietare o tollerare. L'antropologo Berardino Palumbo, professore
all'Università di Messina, ha appena scritto Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose (Marietti 1820). E ci spiega il fenomeno.
Quali sono gli inchini più eclatanti, quelli che l'hanno spinta a scrivere questo libro?
"Quello di Corleone del giugno 2016, quando la confraternita fermò la
Vara di San Giovanni Evangelista davanti alla casa di Totò Riina. E
quello di Palermo del 2014, quando la Madonna del Carmine è stata
inchinata a Ballarò davanti alla casa di un boss al 41-bis".
Dove avverranno i prossimi inchini?
"Non è prevedibile. Dall'esterno è difficile saperlo".
Queste forme di omaggio sono iscritte nella logica del rito o sono delle forzature?
"Sono gesti ad assetto variabile. Nell'agosto 2013, il neoeletto sindaco
di Messina, il pacifista e buddhista Renato Accorinti, si è trovato a
fare una delle sue prime uscite pubbliche in occasione della festa
dell'Assunta. Indossò la maglietta con il logo dell'associazione Addio
Pizzo, più volte minacciata dalla mafia, facendo capire chiaramente da
che parte stava. Salì sulla macchina della Vara per occupare il posto
che gli spettava in quanto sindaco. Accanto a lui però si era piazzato
il nipote del boss del principale clan locale".
È la stessa religione quella di chi sta con Libera e Addio Pizzo rispetto a quella di chi bacia le mani al padrino?
"La prima risposta che mi viene è no. L'attitudine del credente è
diversa in un caso o nell'altro. Ma la Chiesa cattolica è così complessa
e inclusiva che riesce a tenere insieme entrambi".
Davanti agli inchini ogni anno l'Italia si indigna. Si indignano nella stessa misura anche i locali?
"Nel Mezzogiorno molti si indignano, altri fingono di indignarsi ma poi
alla fine fanno parte del fenomeno. Esistono tanti posizionamenti
sociali diversi".
La Chiesa cosa fa?
"La Chiesa è un'istituzione complessa. Al suo interno recentemente è
molto cresciuta la compagine che segue una pastorale più 'modernà e
progressista. Nello stesso tempo, però, la Chiesa è e deve essere
inclusiva perché nel Mezzogiorno, proprio come in America Latina o nelle
Filippine, questi riti popolari hanno una forte presa, per cui sa che
non può permettersi di prendere le distanze troppo radicalmente,
altrimenti perderebbe fedeli".
Non a caso Papa Bergoglio
ha definito la religiosità popolare il "sistema immunitario della
Chiesa", che la difende da un eccesso di astrazione teologica. C'è
dunque una differenza tra la Chiesa del dogma e quella delle comunità
locali?
"Ci sono varie posizioni, sia dentro la Chiesa istituzionale, sia nella
devozione popolare. Nessuna delle due procede per abrogazione o per
proibizione ma, piuttosto, per implementazione e per cumulazione. Forse
per questo la Chiesa dura da duemila anni. Ho la sensazione che le
gerarchie conoscano benissimo la valenza politico-sociale di questi
momenti. Sanno che sotto le statue si scrivono i contratti sociali di
una parte della comunità. Non di tutta ovviamente. E dunque, prima di
abolire le processioni, adottando una posizione rigidamente
razionalista, ci pensano due volte".
Il confine tra legalità e illegalità che per noi è chiaro e netto, lo è altrettanto in certi contesti?
"Il confine esiste, ma non è sempre facile da individuare. Per esempio,
quando la magistratura nel 2013 ha cercato di processare il mondo che
gira intorno alla festa di Sant'Agata a Catania, si è concluso tutto con
un nulla di fatto, perché la giudice Sonia Gambino ha stabilito che non
si capisce quale sia il reato. Sentenza confermata in appello nel 2015.
Quindi anche da un punto di vista giuridico, è difficile dire se un
inchino sia legale o no".
Allora per isolare la criminalità organizzata i sindaci dovrebbero disertare le processioni?
"Se temono infiltrazioni, astenersi è un modo per dare un segno
politico. Ma questo significa privare anche i cittadini perbene della
presenza e della tutela dei rappresentanti dello Stato".
Altro dilemma: condannare o comprendere? E comprendere non significa in parte giustificare?
"Il dilemma vero è tra relativismo etico e relativismo conoscitivo.
Secondo il primo modello di comportamento, se non sei d'accordo puoi
giudicare. Ma allora la tua esperienza conoscitiva finisce lì. Un
antropologo invece deve sempre cercare di capire".
Quindi lei che cosa ha capito?
"Intorno a questi inchini si aggrega qualcosa di più complesso del
singolo gesto. Ciascuno di questi atti rituali è un'espressione di
mascolinità, di forza, di un certo modo di stare al mondo. Se provi a
giudicarlo, ti impedisci di comprendere quel che significa per loro. E
rischi di credere che siano tutti mafiosi. Laddove non si tratta
necessariamente di comportamenti che fanno riferimento a un universo
criminale, ma a qualcosa di più ampio e trasversale".
Cosa può dire di specifico l'antropologo rispetto al giurista, allo storico, al sociologo?
"Noi andiamo molto vicino all'esperienza vissuta degli attori sociali.
Perché stiamo in mezzo alla gente. Cogliamo i dettagli e ricostruiamo in
maniera più densa e intensa i contesti culturali, simbolici, emozionali
e motivazionali da cui nascono quei comportamenti".
Perché
portare a spalla la statua di un santo è così importante, al punto che
molti latitanti si fanno beccare dalle forze dell'ordine sotto i Fercoli
e le Vare?
"Sono posizioni ereditate, appartengono di diritto alla famiglia o al
clan. E poi si tratta di un teatro sociale della virilità. Gli uomini
ostentano la forza, il coraggio, l'orgoglio, la capacità di sopportare
la fatica e il dolore. È un modo per guadagnarsi sul campo lo status di
veri uomini. In fondo il rito serve ai maschi per autorappresentarsi e
legittimarsi sulla scena pubblica. Non a caso queste performance le
chiamano masculiate".
E le donne?
"In tutti i casi che ho studiato, le donne sono off. Persino durante la
vestizione della statua della Madonna. La Chiesa cerca di introdurre le
donne nel rito, perché sa bene che la presenza femminile ne cambierebbe
il significato sociale. A riprova del fatto che la Chiesa sa sempre dove
mettere le mani".
Non lasciatevi prendere in giro. Non vi è nessuna guerra di religione per un motivo fin troppo semplice: gli islamici credono e combattono per la propria fede, certo, a volte con metodi barbari, ma lo fanno perché hanno una religione. Gli occidentali in cosa credono? Al Cristianesimo? Non fatemi ridere... quanti di voi hanno letto la Bibbia o, quantomeno, i 4 Vangeli ufficiali? Voi non avete una fede, se non quella del dio denaro, indipendentemente da quanti soldi abbiate in tasca. Siete schiavi del consumismo e della secolarizzazione della vostra intera vita. I vostri pensieri sono concentrati sul lavoro che vi permette di guadagnare che vi permette di spendere. Chiuso. Non sapete più guardare oltre il vostro naso. Quindi, nessuna guerra di religione. E' una semplice guerra di espansione: loro crescono e voi vi state riducendo di numero, siete deboli e senza motivazioni. Buona fortuna.
Mentre aspettavo che il mare si calmasse per poter fare il bagno in sicurezza sfogliavo l'ultimo numero ( 30\7\2020 ) del settimanale l'espresso ed e ho trovato la vicenda interessante
di TONY GENTILE e la sua famosa foto di Falcone e Borsellino
Un’immagine di cronaca non è arte. Con questa motivazione una sentenza nega il diritto d’autore al più celebre scatto dei due giudici uccisi dalla mafia. Ma l’autore Tony Gentile non si dà per vinto. E scende in piazza a colpi di flash mob coinvolgendo direttamente o indirettamente anche gli altri fotografi \ e
"È giunto il momento di cambiare la legge sul diritto d’autore relativa alla fotografia. Di restituire dignità alla fotografia e ai suoi autori. Mettiamoci la faccia. La vita delle fotografie vale". #Photographslivesmatter Io sono con Tony Gentile
Gigi riva
Tony Gentile ha gettato un masso nello stagno dicendo: se la mia fotografia di Falcone e Borsellino, sì proprio quella che tutti conoscete di loro due sorridenti e complici, non vale nulla come ha stabilito una sentenza di tribunale in nome del popolo italiano, allora io distruggo il negativo. Il masso (data l’importanza storica dello scatto, chiamarlo “sasso” sarebbe riduttivo) ha disegnato cerchi concentrici sempre più larghi e raggiunto in suoi colleghi per una protesta che coinvolge tutta la categoria.termini giuridici sono presto riassunti. La Rai aveva usato quell’immagine-icona per una sua campagna sulla legalità. Tony aveva eccepito: pagatemela. La tv di Stato si è rifiutata. Ne è nata una causa e la sezione XVII del tribunale civile di Roma ha emesso il verdetto. Nessun risarcimento. Perché? Perché si tratta di “fotografia semplice” e non di “opera fotografica”, dunque i diritti, secondo la nostra legislazione, valgono per vent’anni. Poi, chiunque è libero di farne l’uso che vuole.
«La fotografia», è scritto nella sentenza, «non si distingue per una particolare creatività, non sembra vi sia stata da parte dell’autore una particolare scelta di posa, di luci, di inquadramento, di sfondo. Si tratta invero di una testimonianza a mo’ di cronaca, di una situazione di fatto, il momento di sorriso e rilassamento di due colleghi magistrati durante un congresso». Dunque «questo collegio è dell’idea che la fotografia non sia opera autoriale ovvero opera d’arte». Nel qual caso la protezione si sarebbe prolungata fino a 70 anni dopo la morte dell’autore.
Ora Se si interpretano alla lettera le motivazioni, dovrebbe essere espulsa dalla categoria “opera fotografica” una larga fetta degli scatti che fanno a tutti gli effetti parte del nostro immaginario collettivo. Cioè quelle che rappresentano fatti di cronaca ed raccontano elle storie . Per tracciarne un elenco necessariamente non esaustivo ma sicuramente simbolico: niente arte nei clic di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, per rimanere nell’ambito della documentazione sul fenomeno mafioso. E non sono arte Tano D’Amico, Mauro Vallinotto, Fausto Giaccone.
Nemmeno Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin per il loro lavoro “Morire di classe” sugli ospedali psichiatrici italiani. Fuori anche il Paolo Pellegrin della Bosnia e del Kosovo come il Francesco Zizola dell’Africa. O l’Alex Majoli, o tutti i vincitori del World Press Photo, dato che ritraggono il reale. Applicando il criterio italiano, non godrebbe della nobiltà artistica James Nachtwey, il quale instancabilmente dal 1976 in poi ha documentato i conflitti dell’intero pianeta. E con lui in buona compagnia Gilles Peress, Paul Lowe, Tom Stoddart, i fratelli David e Peter Turnley, Roger Hutchings... Andando più indietro nel tempo che dire del Vietnam e della bambina nuda ustionata dal napalm del premio Pulitzer Nick Ut? Senza contare che l’anno prossimo, 2021, finirebbero per non essere più protette le immagini dell’11 settembre di New York.
I magistrati romani si sono avventurati sul sentiero accidentato e impervio della ricerca di una definizione di cosa sia arte e cosa no. Un sentiero percorso prima di loro da centinaia di esperti e studiosi senza peraltro riuscire a stabilire un criterio universalmente condiviso: e del resto sarebbe impossibile dato l’amplissimo margine di opinabilità. Pretenderebbero, i giudici, che la fotografia, per essere “un’opera”, avesse le stesse caratteristiche di un quadro pittorico. Sì, ma quale quadro? E tutti i quadri in quanto pittorici sono arte? Senza dimenticare che proprio a causa della nascita delle fotografia a metà Ottocento l’arte pittorica fu costretta ad abbandonare il reale per percorrere altre strade, a cominciare dall’Impressionismo. Siamo insomma , sempre secondo il settimanale , sul terreno della critica piuttosto che su quello della giurisprudenza. Persino il grande Roland Barthes, nel suo fondamentale libro “La camera chiara” (1980) si era sottratto alla disputa per limitarsi a digressioni e riflessioni. Individuando tuttavia alcuni aspetti da tenere in considerazione. Uno di questi è il “punctum”, cioè il dettaglio che irrazionalmente colpisce chi guarda per la sua potenza emotiva. Non vi è alcun dubbio che lo scatto di Tony Gentile abbia il suo “punctum” in quel sorriso complice e confidente di Falcone e Borsellino. Quanto alla creatività, la parola al fotografo. «Era il 27 marzo del 1992. Dietro suggerimento di Giovanni Falcone, il giudice Giuseppe Ayala aveva organizzato un convegno su mafia e politica per sostenere la sua candidatura alle elezioni. Erano i minuti che precedono l’inizio delle relazioni. La sala era piccola e io stavo di lato aspettando che succedesse qualcosa di importante. Falcone e Borsellino erano indubbiamente i personaggi di spicco al tavolo dei relatori. Io comincio a scattare da quella posizione discosta. Poi vedo loro due che confabulano e allora mi sposto in posizione centrale proprio davanti per cogliere l’attimo di quel momento di confidenza pur in mezzo a una sala gremita. Riesco a catturare l’esatto istante in cui i due sembrano scambiarsi un piccolo segreto. Sono evidentemente soddisfatto se dopo altri due clic fermo il rullino. Non ho bisogno d’altro». Tony aveva 28 anni allora. Era andato al convegno per il “Giornale di Sicilia” che non aveva pubblicato l’immagine il giorno dopo preferendo la visione totale dei relatori, compreso il moderatore Giovanni Pepi, condirettore del quotidiano. Nel famoso rullino sono impresse 16 fotografie, numerate da 2 a 17, su pellicola bianco e nero Ilford HP5 Plus a 400 Asa, idonea a riprese anche con scarsa luce. Dal ricorso in appello dell’avvocato di Gentile, Massimo Stefanutti: «Le prime 12 foto, eseguite in diagonale a lato del tavolo, poco raccontano se non l’entrata di Falcone e il suo sedersi al tavolo di Borsellino (a sinistra) e di altro relatore (a destra): nulla succede fino a quel momento. Ma improvvisamente il fotografo si accorge che qualcosa sta per succedere. Infatti si sposta al centro, davanti ai due magistrati. Non solo, stringe il campo visivo spostandosi leggermente in avanti, eliminando le persone ai lati dei due soggetti, e chiude leggermente l’otturatore della camera sottoesponendo leggermente la fotografia in modo che i toni neri siano più profondi e i toni bianchi meno sparati (cioè evidenti)... Trasforma un semplice foto di cronaca in un ritratto da studio... nella numero 15 la posa è plastica... L’aura appare e lì c’è il fotografo Tony Gentile che è l’unico che percepisce, previsualizza e poi riporta interamente al mondo quel momento e lo rende immortale». L’avvocato Stefanutti è tra i massimi esperti di diritto d’autore in Italia, confida nell’appello, ultima udienza a fine ottobre e sentenza, sperabilmente, la prossima primavera. Commenta: «Sono convinto che ogni fotografia debba essere protetta. Pur nel caos giuridico e nelle differenze interpretative, negli altri Paesi c’è molta più tutela. In Inghilterra, ad esempio, uno scatto è considerato originale quando non è copiato. In Germania la foto semplice ha una copertura di diritti lunga 50 anni. Gli Stati Uniti sono molto più avanti, il requisito della creatività è assai più sfumato. Dietro a una macchina c’è sempre un uomo che guarda, che vede. Ma ci sono lobby che vorrebbero che i fotografi fossero invisibili, come i migranti. Ora in Commissione al Senato si sta studiando una nuova legge, speriamo più avanzata. Qui c’è di mezzo, più in generale, la tutela del lavoro». Tony Gentile dal canto suo reclama giustamente una sorta di diritto alla dignità. Non solo per se stesso: «Ho cominciato questa battaglia, un’evidente provocazione, in nome di tutta la mia categoria. E sono contento di aver smosso le acque se, dopo i flash mob che ho organizzato, si sono mosse molte associazioni, dai fotoreporter ai matrimonialisti, che stanno elaborando proposte da sottoporre al legislatore». Riflette: «Se la foto è di tutti e non è mia, se è un patrimonio comune allora, e uso un’iperbole, è come il Colosseo. Ma si compra un biglietto per andare a vedere il Colosseo...». E si dovrebbe pagare, dal suo punto di vista, soprattutto se viene usata da un’istituzione, da un editore. Come la Rai. «La Fiat, ad esempio, la utilizzò per una campagna pubblicitaria e la pagò. Anche ora succede che qualcuno non faccia discussioni e mi riconosce una giusta mercede. Ecco io non vorrei ogni volta dover scendere in questioni legali, vorrei poter disporre del mio scatto come desidero». Al limite regalarlo «quando si tratta di una causa che ritengo meritoria». O magari chiedere un piccolo contributi simbolico: «Due anni fa un gruppo di scout legato a Borsellino mi chiese di rifare i lenzuoli con l’immagine. Risposti ok, ma datemi la stessa cifra che riconoscete al tipografo in modo che la possa destinare a un ragazzo che ha il padre in carcere e a cui servono i soldi per poter continuare gli studi». Né si capacita, Tony, del perché alcuni ambiti dell’umano creare siano protetti e altri no: «È capitato che la foto sia stata usata durante un concerto. Eppure i cantanti si arrabbiano se qualcuno prende i loro brani da Internet senza riconoscere loro i diritti d’autore». Lo scatto numero 15 fu pubblicato per la prima volta il 20 luglio del 1992, all’indomani della strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Borsellino e la sua scorta. Il 23 maggio precedente Falcone era stato eliminato dalla mafia con l’attentato di Capaci. Nel nostro immaginario sopravvivono per l’esempio e per la foto di Tony Gentile. Che, dice una sentenza, ora non è più sua. Più la beffa delle spese processuali da risarcire.
Ora essendo io libertario infatti chiunque può prelevare le mie foto ( alcune pessime tecnicamente o banali ) ed i mie scritti perchè preferisco il copyleft o copyright ma soprattutto perchè se io sono per alcuni il troll del cute&paste ( copia ed incolla ) espressione che detesto preferisco questo epitaffio di Bob Dylan
Sì, sono un ladro di pensieri
ma non un ladro d'anime, prego
ho costruito e ricostruito
su ciò che è in attesa
perché la sabbia sulle spiagge
scolpisce molti castelli
su quel che è stato aperto
prima della mia epoca
una parola, un motivetto, una storia, un verso
chiavi al vento per aprirmi la mente |e per garantire alle mie idee da armadio un'aria da cortile.
mi sembra giusto che anche gli altri agiscano alla stesso modo e che il copyright sia un ostacolo alla libera circolazione delle idee e della creatività . Infatti considero le foto contemporaneamente arte ma anche documenti storici e le foto devono essere sopratutto quelle vecchie del secolo scorso patrimonio di tutti e ciascuno dev'essere libero di farne l'uso che vuole ovviamente senza strumentalizzazioni ideologiche e culturali . Ma allo stesso tempo l'autore e gli autori abbiano diritto di gestire le proprie opere perchè dietro c'è fatica , rischio come la foto sotto riportata
Milano, via De Amicis 14 maggio 1977: Giuseppe Memeo punta una pistola contro la polizia durante una manifestazione di protesta; foto di Paolo Pedrizzetti. Quest'immagine è diventata l'icona degli anni di piombo.
quindi la legge va riscritta trovando un compromesso fra storia ed arte
Il giovane africano colpito con pugni in faccia: sette giorni di prognosi. "Lo denuncio. Non voleva che distendessi il telo sotto un gazebo". Sarebbe un cittadino albanese
da repubblica 03 agosto 2020
Ha raccontato di essere stato aggredito nella spiaggia libera a Castiglione della Pescaia, di essere stato oggetto anche di insulti razzisti. "Negro qui non ci puoi stare". Mamady Mankara ha 25 anni, è senegalese e lavora per una fondazione che si occupa di disabilità a Grosseto. Racconta di non aver capito perché sabato 1 agosto lui che cercava un po' di ombra vicino a un gazebo sulla spiaggia libera di Castiglione, quella che negli altri giorni della settimana è riservata a una colonia, sia stato colpito al volto da un uomo "un albanese immigrato come me" spiega Mankara, che con il figlio di 7-8 anni e il resto della famiglia erano all'ombra dello stesso gazebo. Il ragazzino ha cercato di fermare il padre e di calmarlo: "Qui c'è spazio per tutti". La lite è nata quando Mamady voleva stendere il suo telo e ha sistemato lo zainetto nell’ex bagno Marystella. "Appena ho tentato di sistemarmi sono stato subito aggredito verbalmente da un uomo sui 40 anni.
"Qui non ci puoi stare, vai via. Negri di m... qui non ci dovete stare..." mi ha detto e mi ha tirato un pugno in faccia". Subito dopo, continua nel racconto il giovane senegalese, che è venuto in Italia 4 anni fa, "io ho cercato di reagire, sono intervenute altre persone e ci hanno separato, io mi stavo a quel punto allontanando quando è arrivato un suo amico e anche lui mi ha colpito". Dicevano "voi negri che venite qui a violentare le bambine"... A quel punto Mamady cade per terra e vengono chiamati i carabinieri. "Il figlio di quell'uomo, un bambino di 7-8 anni diceva al padre di calmarsi che tutti potevano stare sulla spiaggia..." riprende nel racconto il giovane senegalese. Dopo l'intervento dei militari che hanno identificato tutti, "lui mi si è avvicinato e mi ha detto, dai facciamo pace, ti porto a pranzo...Ma per me questo è ancora più offensivo, lo trovo umiliante. Io non ho bisogno che lui mi porti a pranzo, ma che mi porti rispetto". Mamady è andato al pronto soccorso di Grosseto dove è stato visitato, medicato e dimesso con una prognosi di 7 giorni per le ecchimosi sotto un occhio e un labbro tumefatto. E adesso promette: "Presenterò la denuncia". Ogg ha avuto un colloquio con il suo legale, l'avvocato Michele Ugolini. Il 4 agosto andrà in procura a Grosseto per denunciare i due aggressori. Importante sarà anche la testimonianza di due senegalesi che Mankara aveva conosciuto a Castiglione della Pescaia e che hanno assistito ai fatti. "La violenza è l'arma dell'ignoranza - ha detto il sindaco di Grosseto, Antonfrancesco Vivarelli Colonna -. Si è verificato un inqualificabile atto di violenza. È inaccettabile che tali, brutali atti si verifichino di nuovo sul nostro territorio. A Mamady va la mia solidarietà e la promessa di lottare contro le ingiustizie e la violenza".
Visto che non ho ricordi diretti di quella immane tragedia e di quesl triste vento , avevo 4 anni . , uso dei metodi indiretti come quello riportato sotto
“T’ho incrociata alla stazione che inseguivi il tuo profumo presa in trappola da un tailleur grigio fumo i giornali in una mano e nell’altra il tuo destino camminavi fianco a fianco al tuo assassino”
ed è cio che mi permette di mettere in atto quello che dice lucarelli nella trasmissione andata in onda il 1\8\2020 su rai uno : << .... anche se non c'ero , se l'ho saputo dopo , quella strage è anche la mia , la nostra è [ come quelle , corsivo mio che dal 12\12\1969 , hanno insanguinato e ancora continuano a fatro visto che non si sa ufficialmente e giuridicamente ma solo moralmente ed storicamente nè il perchè nè gli esecutori materiali , ne i mandati secondo me anche dal 1\5\1947 ] di tutti >> ovvero farla nostra e mia , come se l'avessi vissuta direttamente. mi piace chiudere con questa frase
[...]
Ancora oggi, ogni volta che passo dalla stazione di Bologna, vado a vedere l’orologio e la lapide e ancora oggi mi chiedo perché lo abbiano fatto. Sulla più grande strage della storia italiana restano ombre che il tempo non riesce ad illuminare. (Quando pensiamo di vivere in tempi terribili faremmo bene a ricordarci che cosa abbiamo alle spalle). da
TRANS ACCUSA IL MARESCIALLO Michele Sasso per la Stampa giuseppe montella «Se non collabori, se non mi dai lavoro, in un modo o nell' altro ti frego e ti mando in Brasile. Puoi anche scappare perché qui non ti faccio più mettere piede».