20.8.16

BURKINI: ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA. SULLA PELLE DELLE DONNE di © Daniela Tuscano

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Ogni mattina ringrazio d'esser nata in quest'angolo di mondo, in cui le mie libertà sono stabilite per legge, i miei diritti garantiti, la mia umanità riconosciuta. È stato un processo impervio, doloroso, lunghissimo. Ha avuto le sue martiri, che hanno lottato e sono cadute perché le loro figlie e nipoti potessero studiare, lavorare, amare chi volevano senza temere punizioni, vendette e anatemi da parte maschile.
La civiltà d'un popolo, la sua maturità democratica, si misurano dal modo in cui vivono le donne. La storia si declina al femminile. E in periodi tormentati, come l'attuale, sono sempre le donne a rischiare di più.
Pertanto, quando troppe voci di uomini s'arrabattano per decretare il margine di libertà che ci spetta, è naturale insospettirsi. E purtroppo, spesso, è pure giusto.
In quest'agosto declinante le pagine dei principali quotidiani sono occupate dalla polemica sul cosiddetto "burkini", il costume da bagno femminile "islamicamente corretto" (simile a una muta da sub) che alcuni politici europei e italiani vorrebbero bandire in quanto sancirebbe, anche visivamente, l'inferiorità delle donne, la loro riduzione a meri corpi, oggetti del desiderio e della predazione maschile.

Data la risonanza dell'evento, sono costretta a occuparmene anch'io.
QUALI VALORI. "Il burkini contraddice i nostri valori", ha decretato il ministro francese Valls, subito imitato dalla super-attivista italiana Zanardo. Ma di quali valori stiamo parlando?
Il Sessantotto nacque in Francia, e si diffuse poi in tutto l'Occidente, all'insegna (anche) della nudità, anzi, del denudamento - non solo femminile - dall'ipocrisia e dal clericalismo fascista/patriarcale. Ricerca, utopistica e immatura ma non meno significativa, d'una innocenza perduta. Ben più sconvolgente in un'Italia in cui il voto femminile aveva poco più di vent'anni, che ancora non conosceva il divorzio e dove vigevano lo ius corrigendi, il delitto d'onore, le donne in gramaglie (poco dopo la mia nascita mia madre, in vacanza in Calabria, si ritrovò al centro di chiacchiere malevole per aver indossato un pur castigatissimo "due pezzi" dagli slip ascellari).
Non soltanto Sud, comunque: la Chiesa stigmatizzava le spalle scoperte delle ragazze e le suore del collegio m'imponevano la veletta che indossavo peraltro con orgoglio, trovandola un accessorio elegante e un segno di distinzione.
Un paese, l'Italia, dove il venerdì santo la TV non trasmetteva Carosello per rispetto ai dettami religiosi. Il '68 lo sovvertì.
Il consumismo tuttavia, "nuovo fascismo" come lo definì acutamente Pasolini, s'appropriò molto presto delle istanze libertarie mutandone la natura, banalizzando e mercificando quel sesso che si voleva spontanea manifestazione d'amore. I risultati non tardarono a manifestarsi: invece dell'erompere della vitalità un brusco calo del desiderio, con conseguente ricerca di piaceri sempre più trasgressivi ed eccentrici; individualismo esasperato; perdita di significato dell'intera esistenza. Seguita, dopo la fuga nei paradisi artificiali, da un invasivo richiamo all'ordine e dal riemergere d'ataviche fobie, discriminazioni, diffidenze.
DONNE ETERNE SECONDE. La libertà è fragile e ardua. La prima a venir conculcata, soprattutto quando non è entrata nel cuore, non scorre nelle vene, non è, insomma, divenuta una seconda, irrinunciabile natura. E che la donna sia una diversa e complementare declinazione di un'unica umanità non è un dato acquisito nemmeno a queste latitudini.
Le donne non compaiono nei testi scolastici, rafforzando l'idea della loro insignificanza. Ad esse è interdetta l'ordinazione sacerdotale.
Il numero di violenze e assassini di donne è poi aumentato in maniera esponenziale nei paesi europei e i responsabili sono in larghissima parte maschi occidentali non islamici (l'unico a denunciarlo con forza, operando un paragone ardito ma efficace tra Isis e femminicidio, è stato il Papa). Le pene loro inflitte sono estremamente lievi, la riprovazione sociale molto debole; spesso, anzi, si colpevolizzano le vittime. I centri antiviolenza chiudono per mancanza di sovvenzioni statali.
I media giustificano quasi sempre gli aggressori e la pubblicità giunge a esaltare la reificazione, lo stupro e finanche l'uccisione di donne come tratto distintivo del maschio "vero". Risale allo scorso mese la pubblicità d'un paio di scarpe che ritraeva una modella riversa a terra, i calzoni calati e i capelli scomposti, senza volto, palese icona d'una violenza conclusa nel peggiore dei modi. Diffusa a ridosso della barbara esecuzione di due donne, è stata poi ritirata per le vigorose proteste degli internauti.
La maggioranza della popolazione maschile non ha dimostrato alcuna solidarietà nei confronti delle aggredite, né ha sentito il dovere di scendere in piazza scandendo "not in my name" come esigiamo lo facciano i musulmani verso il Daesh.
Anche la politica - la destra neofascista e populista, ma non solo - è rimasta indifferente di fronte a queste odiose violazioni dei diritti umani fondamentali. In alcuni casi le ha anzi tacitamente approvate (molti esponenti c.d. "pro-family" definiscono il femminicidio "una strage inesistente" e addirittura "ideologica"!).
Sono gli stessi che si oppongono fieramente a qualsivoglia integrazione dei musulmani, confinandoli in ghetti, vietando loro la costruzione di luoghi di culto in accordo con lo Stato laico e democratico, ritenendoli potenziali terroristi o cavernicoli senza rimedio.
LE VERITÀ MULTIFORMI. E sono proprio loro a strillare contro il burkini. L'Italia allegramente prosseneta, quella delle cene eleganti, si è scoperta all'improvviso turiferaria dei diritti femminili minacciati dall'insopportabile costume (scarsamente diffuso, poi: al mare, dove mi trovo, non ne ho mai visto mezzo...).
Una donna in topless è necessariamente più emancipata di una col burkini? Sì, forse. Anche. Dipende. In realtà il nudo declinato secondo le esigenze del mercato (che è potere, e quindi maschio) non dimostra apertura e disinibizione ma schiavitù non molto diversa dal velo integrale.
Il burkini simboleggia la sottomissione femminile? Sì, forse. Anche. Dipende. Perché prima bisognerebbe domandarlo alle dirette interessate. Come mai nessuno ci ha pensato? Non sarà che pure i laici ed evoluti occidentali giudicano le musulmane talmente arretrate da non avere nemmeno un'opinione in proposito?
Il burkini è imposto dai maschi? Sì, forse. Anche. Dipende. Vietarlo in Tunisia, come avviene, è probabilmente giusto data la situazione di quel paese. Perseguire gli imam barbuti che in nome d'una democrazia altrimenti esecrata vorrebbero imporre un arcaico sessismo (ivi compreso il "diritto" alla poligamia) è doveroso sempre e ovunque. Ma il costume è solo un oggetto: sta a noi - a noi donne, intendo - conferirgli significato. Alcune lo indossano senza costrizione, proprio come il velo, portato perfino da numerose femministe. Altre vestono all'occidentale, sia al mare sia fuori. Il nodo sta tutto qui: nella libertà, consapevole, matura, piena, rispettosa delle scelte differenti. Per altre, ancora, quella specie di scafandro rappresenta l'unica occasione di godersi il mare. Di venire a contatto con culture diverse, donne di opposta, ma non per questo inconciliabile, sensibilità. Negar loro questo primo, timido affacciarsi alla multiformità delle vite contraddice quei valori di tolleranza di cui andiamo giustamente fieri.
L'ENNESIMA MENZOGNA. La voce più acuta è quella dell'asino, avvertiva il profeta Maometto. Mi permetto di contraddirlo: almeno in un simile frangente, a gridare più forte sono le volpi. Perché la surreale polemica sul burkini permette di oscurare i veri scandali. L'opinione pubblica mondiale, secondo la narrazione mediatica, è rimasta traumatizzata dall'immagine del piccolo Omran scampato alle bombe, coperto di calce e sangue, il terrore esanime negli occhi, derubato fin delle lacrime.
Falso. Omran sbiadirà dai nostri cuori esattamente come Alan Kurdi, Hudea e tanti altri. Non è lecito alcuno shock, poiché la guerra in Siria si protrae da sei anni e di Omran se ne sono visti moltissimi, anche più piccoli e, se mi si passa il termine, meno fortunati di lui. La scorsa settimana è andato in fiamme un ospedale pediatrico (uno dei tanti) e dieci neonati sono morti carbonizzati. In Yemen scuole e nosocomi si sbriciolano come sabbia sotto i bombardamenti, annientando intere generazioni di bambini, donne e uomini; e gli aiuti umanitari sono bloccati. Li abbiamo visti, certo: ma non sui quotidiani, non nei Tg. Questi ultimi erano focalizzati sul burkini. Li conosciamo grazie all'abnegazione di volontari, reporter coraggiosi e indipendenti e firme ignorate dalla grande stampa. Forse perché non conviene far sapere che gli ordigni esplosi in Yemen dai sauditi (nostri alleati notoriamente rispettosi dei diritti femminili...) sono di fabbricazione italiana, così come quelli che hanno devastato Aleppo e l'Iraq. Forse perché è meglio tacere del fatturato dell'industria bellica nazionale, triplicato nel corso dell'ultimo anno; ed è facile intuirne le ragioni. Decisamente più astuto, volpino appunto, occuparsi dei centimetri di pelle femminile, evocando astratti principi, mentre i diritti autentici crollano sotto il peso dell'ennesima menzogna.

© Daniela Tuscano

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