31.8.20

la grande rimozione della pandemia da covid

Lo so che basterebbe solo la copertina o l'articolo con le immagini senza commenti e le immagini dell'articolo riportato nel post e che due parole sono poche ed una è troppo . Ma non ho resistito ad indignarmi contro i negazionisti ed il loro vittimismo \ e piagnisteo .



In essa  c’è un rasoio a mano libera  esso  apparteneva a Ernesto Paganini, barbiere siciliano emigrato da ragazzo a Dalmine, in provincia di Bergamo, morto di Covid lo scorso 15 marzo. Una delle oltre 35mila vittime del virus che l’Italia pare aver dimenticato insieme al pericolo ancora costituito dal virus: la grande rimozione appunto  . Oltre a quella sanitaria, c'è poi all’orizzonte l’emergenza sociale, economica e istituzionale. Intanto il Paese avanza nell’illusione che nulla sia cambiato, chiudendo gli occhi dietro la mascherina  con on il viaggio di Linda Caglioni e Paolo Arnoldi tra gli oggetti lasciati dai morti del Covid nella provincia di Bergamo, la più colpita sei mesi fa. Cappelli, zaini, magliette, occhiali, una macchina da cucire: per non dimenticare le persone che si identificavano con quegli oggetti e che ora non ci sono più.  trovate  sotto l'articolo  .
Non c’è più neppure la ferita, già rimossa,  addirittura negata dal popolo no-mask, che sembra ignorare le tante vite umane perdute. on c’è più neppure la ferita, già rimossa, di cui parla Donatella Di Cesare, addirittura negata dal popolo no-mask, che sembra ignorare le tante vite umane perdute. E poi l’emergenza sociale, con il pericolo che ai focolai di epidemia si aggiungano quelli di malcontento con tutte le conseguenze sulla gestione dell’ordine pubblico (ne scrive Fabrizio Gatti), l’emergenza economica, con il piano per il Recovery Fund imminente e i dubbi in aumento, spiegati da Eugenio Occorsio.
Ma anche l’emergenza lavoro: Maurizio Di Fazio denuncia l’impennata di incidenti mortali dalla fine del lockdown e il provvedimento di regolarizzazione dei migranti non ha raggiunto gli obiettivi che si proponeva, anzi ha alimentato un traffico di contratti falsi (lo racconta il collettivo Lorem Ipsum), mentre aumenta ogni giorno la fascia di popolazione sotto la soglia di povertà costretta ad affidarsi al sostegno del mondo dell’associazionismo e delle organizzazioni del terzo settore, come scrive Emanuele Coen. E ancora gli effetti della pandemia sulle città: il virus ne ha mostrato la forza solidale ma anche le vulnerabilità e la violenza di cui parla la sociologa Saskia Sassen, intervistata da Giuliano Battiston, e l’esempio della città di New York, raccontata da Davide Mamone, che sta vivendo un incubo, con il boom di sparatorie, omicidi e aggressioni.
Ma  prima di lasciarvi   all'articolo   in questione   vorrei definire   a  tutti quelli    che   negano la pandemia  e  non usano le misure  di sicurezza minime   che oltre    a  infettare  gli altri   cosi  offendono la memoria  di cloro  che   sono morti  o coloro  che  per  curarli   si  ammalati    e  sono sopravvissuti  .  ma  ora basta    con i pistolotti e  palliatone  .  buona  lettura  


LA GRANDE RIMOZIONE
Questi oggetti appartenevano alle vittime del Covid. Immortalarli serve a non dimenticare
Occhiali. Zaini. rasoi. Cappelli. E altre cose appartenute ai bergamaschi uccisi dal coronavirus. Un progetto per non fare finta che nulla sia successo. Ma soprattutto perché la tragedia non si ripeta in autunno

DI LINDA CAGLIONI - FOTO DI PAOLO ARNOLDI 26 agosto 2020


Nel vecchio armadio di una casa di Brembate è piegata con cura una maglia dell’Atalanta. Battista Villa la metteva quando andava allo stadio - e quante soddisfazioni quest’anno, col “Papu” Gomez a far impazzire le difese avversarie. Ma Battista quella maglietta la indossava anche quando andava in ferie con la moglie, la sua Nicoletta, per sfoggiarla nei posti più lontani, dalla Giamaica al Brasile, dal Messico alle Maldive. Sì, perché il Villa viaggiava, anche adesso che ormai aveva superato i settanta, e si sentiva forte come sempre. Quando lo hanno portato via in ambulanza si è quasi arrabbiato con gli infermieri, «guardate che a me mica riuscite a trattenermi in ospedale». Il coronavirus lo ha portato via per sempre lo scorso 15 marzo.

Come Battista, circa seimila bergamaschi sono rimasti finora vittime del Covid-19. Come Battista, se ne sono andati soli, senza poter dire addio ai loro cari. Il primo, giusto sei mesi fa, il 24 febbraio. Si chiamava Franco Orlandi, era un ex camionista di 83 anni, il fiato gli è mancato all’ospedale di Alzano. Da tre giorni il governo aveva imposto la zona rossa di Codogno e Vo’ Euganeo, ma di Bergamo e della Val Seriana si iniziava a parlare appena. E nessuno aveva capito la valanga che stava per precipitare.
Di certo non poteva capirlo Giuseppa Nembrini, “la Rina”, 83 anni, costretta sulla sedia a rotelle da quando ne aveva 69. Obbligata ad affidarsi al marito Giovanni per compiere anche il più semplice dei gesti, l’unico strumento che per anni le aveva restituito un frammento dell’indipendenza perduta era la sua macchina da cucire, una Singer del 1994. Ricurva sulle spoline e sugli aghi, nei pomeriggi d’inverno Rina intrecciava in decorazioni di cotone i fili attraverso cui manifestava il suo talento. Fili con cui, al contempo, si teneva legata stretta alla sua libertà. È morta il 16 marzo, una settimana dopo il marito.

Rina è una delle 188 vittime di Nembro, comune tra i più colpiti del mondo. E le case di quel paese oggi rigurgitano di oggetti da conservare, come gesto di rispetto per chi se n’è andato ma anche come monito per noi che siamo rimasti. Tra questi c’è anche il basco di Ilario Lazzaroni, storico presidente degli artiglieri locali. Aveva ricoperto quel ruolo per quasi 30 anni, andava a tutti i raduni, a tutti i pranzi e le cene, sempre indossando quel morbido cappello nero che, prima di uscire di casa, si sistemava sulla testa di sbieco, come da tradizione. Aveva lasciato il ruolo di presidente solo qualche mese prima di andarsene, spinto dalla moglie e dalla figlia, che premevano affinché si arrendesse all’idea di essere ormai vecchio per ricoprire ruoli organizzativi. Ma lui aveva continuato a dare una mano dove serviva. E quando si presentava l’occasione, indossava la divisa completa. Si infilava i pantaloni, la camicia verde. E, da ultimo, quel basco.

Nella Bergamasca il tributo di morti più alto è stato pagato dalla Val Seriana, ma il dolore è profondo anche nel resto della provincia. A Boltiere, una manciata di chilometri dal confine milanese, esiste una casa in cui è conservata una collezione di modellini d’auto che conta circa una ventina di pezzi invidiabili. Sono quelli che il camionista 57enne Gianbattista Federici, “il Giamba”, aveva raccolto in anni di passione. A volte quella dedizione si esprimeva attraverso la pulizia di ogni modellino gelosamente custodito, tanto che nemmeno all’adorato nipotino Christian - nato da meno di un anno - era consentito giocarci.

Altre volte, invece, assumeva la dimensione caotica dei motoraduni a cui andava insieme alla figlia più grande. Il 2020 doveva essere l’anno in cui “il Giamba” sarebbe andato in pensione. E anche se lui non lo ha mai saputo, la moglie e i figli stavano mettendo da parte i soldi per celebrare il traguardo regalandogli una Cinquecento. Volevano trasformare uno dei modellini che tanto amava in una macchina vera, da poter guidare e non più solo guardare. «Stavi per raggiungere il traguardo che desideravi da tempo, fare il nonno a tempo pieno, dicevi sempre che smettevi di guidare il camion e iniziavi col passeggino. Quel bastardo di Covid ti ha strappato via in una settimana da noi, senza più vederti e senza più darti un bacio, un abbraccio, in modo crudele», ha scritto nel suo necrologio on line la figlia Sara.
Anche Ernesto Paganini, 81 anni, amava la cura dei dettagli. Il suo interesse, però, era rivolto a baffi e capelli. Siciliano di origine, a soli 11 anni aveva cominciato a usare il rasoio a mano libera, come garzone di barberia. Poi, come molti in quegli anni, è emigrato al nord, a Dalmine, cittadina a pochi chilometri da Bergamo, dove ha aperto un negozio di barbiere tutto suo. Presto, però, sono arrivati i figli, e con loro la necessità di uno stipendio più stabile. Così l’Ernesto ha preso la decisione di abbassare per sempre la saracinesca per il posto sicuro nella grande azienda di tubi d’acciaio che da più di un secolo sta proprio lì, a Dalmine. Per tutta la vita, però, ogni volta che aveva le mani libere dai macchinari di fabbrica, le ha usate per tornare al suo vero strumento di lavoro: il rasoio a mano libera con cui, a domicilio, ha sfoltito centinaia di barbe ad amici e anziani di paese.
Da quando tutto è cominciato, il conteggio dei morti nella bergamasca (come altrove) si è scontrato con la difficoltà di raccogliere un dato oggettivo, fedele alla realtà. Molte persone nei centri per anziani, oggi si sa, se ne sono andate senza che venisse attestata la vera causa del loro decesso. Tra loro c’è Severina Mariani, una mamma e una nonna di Madone, 90 anni che avrebbe festeggiato il prossimo 12 settembre. Prima che si trasferisse in una Rsa - proprio in quei primi giorni di marzo - la si poteva scorgere nel giardino di casa con le esili spalle avvolte in uno dei suoi tanti scialli. Quei pezzi di stoffa, in cui i fili di lana intrecciati gli uni agli altri parevano comporre mosaici di fiori, erano creazioni che la sorella imbastiva per lei. Nell’armadio, ne conservava di diversi colori, da scegliere a seconda delle sfumature del giorno. Poco importava che facesse caldo o freddo: Severina ci teneva ad averne sempre uno indosso, per difendersi dai possibili soffi di vento. Anche quando il termometro segnava 30 gradi all’ombra.
A Osio Sopra, paesone di cinquemila abitanti a una decina di chilometri da Bergamo, viveva Emilio Cadei, 77 anni, ex operaio della Tenaris - sempre i tubi Dalmine, ma oggi la fabbrica si chiama così. Emilio era, come tanti bergamaschi, un burbero dal cuore buono, un uomo poco avvezzo ai grandi giri di parole e molto più a suo agio quando si trattava di affari pratici. Come quello di accendere la stufa a legna su cui scaldava le patate e preparava le caldarroste per la sua famiglia. E quando a settembre arrivava il momento di uccidere il maiale grasso, Emilio si alzava con i primi raggi di sole, raccoglieva nel silenzio del cortile ceppi e tronchetti, per stiparli in quella vecchissima stufa. Con pazienza, aspettava il momento in cui avrebbe udito la legna cominciare a scoppiettare. Lui se n’è andato il 28 marzo, la sua vecchia stufa è ancora lì a Osio, ma nessuno la farà più funzionare.

Ogni luogo ha i personaggi che tutti conoscono. A Bergamo, il 67enne Giuseppe Rota “il Bepi”, era uno di quelli. Per chi bazzicasse a Monterosso, quartiere in cui viveva, era probabile vederlo camminare a passo spedito col suo zainetto sulle spalle. Quello era l’accessorio che, con i portachiavi che vi aveva appeso e i drappi di stoffa che vi aveva cucito, testimoniava i ricordi dei viaggi che più aveva amato. Lo portava con sé anche per le brevi passeggiate, quando non ci metteva dentro che poche cose, una copia di Repubblica, le caramelle alla frutta. Ma non se ne separava nemmeno per i viaggi più importanti. Era in quello stesso zainetto che l’anno scorso aveva stipato l’indispensabile per affrontare, insieme alla moglie, i 50 giorni di viaggio lungo il cammino di Santiago. Del resto lui era stato un alpino, e come tutti gli alpini lo era ancora. È morto il 30 marzo. «Ciao papo, avevamo ancora troppe cose da dirci e da fare insieme, poche persone hanno avuto la fortuna di aver un papà così speciale», ha scritto il figlio nel necrolgoio sull’Eco di Bergamo.

Sandro Gamba, 73 anni, era il vicepresidente del circolo fotografico di Dalmine. L’espressione assorta che assumeva prima dello scatto era nota a tutti, nella sua cittadina, anche se nessuno ne conosceva le increspature meglio di sua moglie e dei suoi figli. Perché loro vi erano stati abituati da sempre, in occasioni di vita quotidiana come di vita vacanziera. Ed erano abituati al fatto che, al ritorno dalle ferie tutti insieme, Sandro si sarebbe chiuso nel laboratorio fotografico che si era arrangiato a costruire in cantina. Avrebbe passato ore a sviluppare gli scatti fatti alla sua famiglia. Poi avrebbe steso un telo bianco in salotto. Li avrebbe chiamati a raccolta. E avrebbe proiettato davanti ai loro occhi le diapositive di momenti insieme che, con la sua macchina fotografica, era riuscito a fermare nel tempo. Volontario di Anteas, distribuiva i pasti agli anziani e per anni è stato una delle figure di riferimento della parrocchia di San Giuseppe. Amava la luce della primavera - e se n’è andato nell’ultimo giorno dell’inverno più buio di sempre

prova spoiler 4

l'ultimo numero di dylan dog
Infatti
il prossimo sara meglio

Il monument man del Mali: "Così ho salvato dai jihadisti i manoscritti di Timbuctù"

 IL post  d'oggi  è la   a  storia      di  , come   Aida Buturović, 32 anni che perse la vita intenta a salvare dalle fiamme quanti più libri possibile dalla biblioteca di Sarajevo bombardata e incendiata dalle granate serbe nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992,della bibliotecaria    di  sarajevo  (  vedere  post  precedente  per  saperne di  più  )  ,  un Monuments Men mia   citazione omaggio    al  film The Monuments Men  un film del 2014 scritto, diretto, prodotto e interpretato da George Clooney. Oltre a Clooney del cast fanno parte Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Bob Balaban, Hugh Bonneville e Cate Blanchett.La  cui   pellicola è una libera trasposizione cinematografica dell'omonimo libro scritto da Robert Edsel nel 2009.

  da    repubblica  del    30\8\2020

Un bibliotecario è riuscito a trasportare 24 mila volumi nella capitale Bamako. "Se mi avessero visto mi avrebbero mozzato le mani"


BAMAKO - Miracolosamente sfuggiti alla furia iconoclasta dei gruppi jihadisti che nel 2012 conquistarono Timbuctù, ventiquattromila preziosi manoscritti sono oggi custoditi in una palazzina di due piani di un quartiere periferico e malconcio della capitale Bamako. Ma a proteggere questi codici miniati dal valore inestimabile, alcuni dei quali risalenti all’XI secolo, non ci sono guardiani. «Non possiamo permetterceli perciò, per non attirare ladri o malintenzionati, abbiamo preferito non pubblicizzare il nostro centro evitando di apporre insegne sull’edificio», spiega il direttore, Mohammed Diagayeté(  foto  a destra    tratta  da  https://iheriab.com/ 
lamentandosi del fatto che nessun ente, fondazione o governo del pianeta finanzi il suo “Institut des Hautes études et de recherches islamiques Ahmed Baba”. Il quale sopravvive soltanto grazie ai sussidi statali di un Paese povero come il Mali, funestato da una gravissima crisi economica e da una decina di giorni governato da una giunta di colonnelli golpisti.
A mettere al sicuro gli antichi libri è stato Mohammed Al Kadi Maiga, sorta di “monument man” maliano, da allora diventato il bibliotecario dell’istituto. Al Kadi Maiga racconta che se l’avessero scovato mentre infilava i manoscritti in grossi bauli di ferro per caricarli sui pick-up per fuggire verso Bamako, gli islamisti gli avrebbero quantomeno mozzato le mani. «Dei trentottomila volumi che erano conservati nell’istituto di Timbuctù, i jihadisti ne hanno distrutti più di quattromiladuecento. O meglio, hanno bruciato le copertine di migliaia di manoscritti perché dopo essersi accorti del loro valore hanno cominciato a smerciare di contrabbando pagina per pagina», spiega il bibliotecario. E’ verosimile che tra i tagliagole di Al Qaeda che invasero la città solo in pochi fossero in grado di capire che cosa contenevano quei libri. «E per nostra fortuna hanno scoperto solo con grande ritardo la sala del centro di Timbuctù dov’era conservata buona parte dei manoscritti», aggiunge il bibliotecario. «Nel frattempo, l’avevo quasi interamente svuotata, contando anche sull’aiuto di molte famiglie che mi tenevano nascosti i libri nelle case, prima che potessi trasportarli nella capitale». 

Così ho salvato dai jihadisti i manoscritti di Timbuctù | San Francesco -  Rivista della Basilica di San Francesco di Assisi

L’autodafé più devastante fu perpetrato a fine gennaio 2013, subito prima che la “città dei 333 santi”, com’era una volta chiamata Timbuctù, fosse riconquistata dall’esercito lealista grazie all’intervento dei caccia dell’aviazione francese. «Molti manoscritti furono bruciati per i loro contenuti poiché trattavano anche di grammatica, botanica, chimica, musica, letteratura, storia e astronomia. Quanto alle opere teologiche, esse predicavano un Islam moderato, aperto e tollerante, che era quello di un luogo dove per secoli si sviluppò una ricchissima cultura afro-islamica e dove prosperò una società fondata sul diritto e sulla giustizia, lontana anni luce dall’oscurantismo jihadista», dice ancora Al Kadi Maiga, che nei tragici mesi in cui gli islamisti distruggevano con cariche di esplosivo anche gli splendidi mausolei riconosciuti come patrimonio mondiale dell’Unesco, riuscì spostare a Bamako due terzi dell’intera collezione.
I manoscritti sono oggi conservati in scatole di cartone, fabbricate su misura all’Institut. Per mancanza di spazio, due soli manoscritti sono esposti sotto bacheca: il primo è un Corano del XVIII secolo con meravigliose decorazioni che sembrano fatte da un pittore cubista; l’altro, vergato con una grafia elegante e minuta, è un saggio di diritto islamico, firmato e datato 1204. «Oltre alla catalogazione dei manoscritti, ci occupiamo anche della loro digitalizzazione, che facemmo in fretta e furia nel 2013, spaventati dall’eventualità ch questo patrimonio potesse andare perduto. Ora, invece, possiamo operare con tutta la calma e l’attenzione dovuta», dice il direttore Diagayeté, mostrandoci le due stanze dove, al momento, è stato digitalizzato circa l’8 per cento dei codici.
A Timbuctù, nel secolo d’oro dell’impero Songhai, che si concluse nel 1591, i suoi abitanti erano quasi tutti alfabetizzati e si contavano scienziati che già scrivevano sull’emancipazione degli schiavi, sui diritti delle donne o sulle gioie del sesso in seno alla coppia. I trattati di filologia o di geomanzia, e quelli sui danni provocati dal tabacco o sulla chirurgia ottica, dimostrano una straordinaria passione per l’erudizione e per la sua trasmissione che sacralizzava le virtù della conoscenza. «Alcuni manoscritti sono la testimonianza di antiche lingue africane trascritte in arabo che si pensava fossero solo di tradizione orale», dice Maria Luisa Russo, ricercatrice italiana dell’Università di Amburgo e dell’Hill Museum and Manuscipt Library. «Questi meravigliosi libri sono stati scritti per trasmettere un sapere e per lottare contro l’ignoranza. Vanno difesi affinché la storia non si ripeta».                                                                         

30.8.20

guerra all'azzardo e bar anti slot di Lorenzo Naldoni, barista di Palazzuolo sul Senio, comune montano del mugello





Si moltiplicano i piccoli segni di resistenza, crescono le buone pratiche di chi ha deciso di non stare al gioco e  di  liberarsi ed  liberare gli  altri    da  una dipendenza    . Sono oramai centinaia i bar  ed  i  locali   (  ne  ho parlato diverse   volte nel blog  )  ed  la storia  che  riporto  sotto  è una  delle tante  storie   di esercenti    che, spontaneamente, senza troppo clamore   ci riescono . Alcuni  pagando consapevolmente il prezzo di un ridotto introito dismettono le slot e cercano di ricucire il legame col territorio. Nel frattempo, lo Stato che fa? Multa chi stacca le slot e discute. Ma con chi? La risposta dai territori è chiara: basta!
Infatti da   quel  che racconta    quest'articolo  risalente  al 2016 di http://www.vita.it/



Senza bisogno di sgravi fiscali. Senza squilli di tromba e senza bisogno di bollini gialli o blu. Lo fanno per gli altri e per sé, segno che se c'è ancora una coscienza viva e vitale in questo Paese. La trovi sui territori, tra i nervi del legame sociale.
Si moltiplicano così i piccoli segni di resistenza, crescono le buone pratiche di chi ha deciso di non stare al gioco. Sono oramai decine i bar che, spontaneamente, senza troppo clamore ma pagando consapevolmente il prezzo di un ridotto introito, dismettono le slot e cercano di ricucire il legame col territorio.
https://milano.corriere.it/19_giugno_12/
C'è Nanni, che gestisce il bar dell'Università di Sassari e due anni fa ha detto basta, proprio non ce la faceva più a vedere quelle macchinette nel suo locale. Per toglierle, però, ci ha messo sei mesi. Ieri il trentunenne Nanni riceverà un premio nel corso del primo Slot Mob cittadino. Quel premio se l'è proprio meritato.
Chi l'ha detto che con le slot si guadagna?
«Purtroppo c’era un contratto con il monopolio - spiega Nanni  a  La Nuova Sardegna - e ho dovuto attendere che scadessero i termini, altrimenti avrei dovuto pagare una penale». E sui mancati guadagni dovuti alla dismissione delle slot macine è lo stesso gestore del “Bar Università” a sfatare un falso mito. «Ma chi lo ha detto che con le slot si guadagna - spiega Nanni Masala - io ci guadagnavo 200/300 euro in più è vero, ma da questo bisogna togliere le spese dell’energia elettrica e le tasse da pagare. Ma la verità è che i 7/8 clienti che ho perso quando ho tolto le slot - conclude il giovane barista - non erano dei veri clienti del bar, entravano dritti verso le macchinette e mi rivolgevano la parola solo per cambiare i soldi. Nel mio locale preferisco creare un clima completamente diverso».


E lo Stato che fa ? Multa i virtuosi Semplice metterle, o così la fanno i signori di lobby e "lobbine" : te le danno in comodato gratuito, ti anticipano pure dei soldi, ti installano allarmi e talvolta ti rifanno un locale. E così, senza che tu lo sappia, ti ritrovi indebitato perché alla fine del contratto o se vuoi recedere quei soldi li devi restituire. Non è roba semplice, togliere delle slot da un locale.
Se ne è accorta anche una brava barista di Orzinuovi, in provincia di Brescia. che ha tolto le macchinette ma si è vista arrivare un bel regalo dallo Stato. Già, lo Stato, quello dei senatori del "siamo con voi", dei sottosegretari del "dialoghiamo". La titolare del Caffé Portico, ha deciso di togliere le macchinette e di toglierle subito. Perché tanta fretta? Perché non aspettare sei mesi o un anno e sottostare alla burocrazia tanto cara a lorsignori? Ecco la ragione: un anziano si presentava spesso nel suo locale versando la pensione in quella slot da gioco. Una situazione che ha indotto la stessa gestore del bar, con un atteggiamento innocente, a disattivare più volte il macchinario per inculcare nel pensionato l’idea di non rovinarsi così. Ma evidentemente il "gioco responsabile" non funziona, non funziona proprio. Andiamolo a spiegare ai sindacati gialli, agli psichiatri prezzolati e ai preti che osservano e tacciono.
Nel periodo successivo alle continue disattivazioni volontarie, la donna ha deciso di annullare il contratto con l’azienda che le aveva procurato la slot. E dai Monopoli di Stato - tanto lenti quando si tratta di fornire dati e informazioni sul business che controllano, tanto lesti quando si tratta di sanzionare il cittadino - ha ricevuto una multa di 1.564 euro, da pagare in cinque giorni, pari al mancato incasso della macchinetta. E non ci saranno sconti o condoni. Quelli si  fanno purtroppo  solo a chi evade miliardi.
Ma   nonostante     tutto   c'è ---  sempre  secondo   l 'articolo   ----  persone    che  come    
Se Nanni ha messo vinili e giradischi, roba da intenditori, al posto delle slot, a Pistoia la titolare del “Nazionale” di piazza Leonardo Da Vinci ha sostituito il gioco d’azzardo con la lettura che, per ora, è esentasse e ancora legale. Alessandra ha messo dei libri per sé, stanca di quelle macchine che la costringevano a assistere e contribuire alla rovina di persone che conosceva da sempre. Oggi, le librerie sono diventate quattro, i lettori crescono. Prendono un caffè, sfogliano o leggono un libro. Si organizzano incontri e presentazioni. E a Pavia, nei giorni scorsi, si sono contati: 26 i bar della rete No Slot. Bar virtuosi, che hanno detto basta. Azzeriamo tutto e ricominciamo.
Piccoli gesti, qualcuno ne riderà, altri continueranno a mascherare la propria inerzia o peggio la propria vigliaccheria dietro "il fardello delle responsabilità". Poco importa: c'è un'Italia sana, vera, che capisce e che agisce. Un'Italia fatta di storie vere.
Ed  è  proprio   una  di  queste  storie  vere  quella    che riporto  oggi  tratta  da  : 1) repubblica  29\8\2020 




Morale della favola | Quel dono al bar virtuoso con i libri al posto delle slot

              di CARMELA ADINOLFI

Avrà anche rinunciato a qualche facile guadagno in più, sostituendo nel suo bar le slot machine con una piccola libreria. Ma la scelta etica di Lorenzo Naldoni, barista di Palazzuolo sul Senio, comune montano 
Lorenzo Naldoni, in piedi, nel suo bar
biblioteca a Palazzuolo sul Senio 
di poco più di mille abitanti nel Mugello, a una sessantina di chilometri da Firenze, dimostra che fare azioni coraggiose a volte ripaga. Se non in denaro, quantomeno nella consapevolezza di aver riacceso un piccolo lumicino di interesse per la lettura. E in attestati di stima, anche di sconosciuti.
Come nel caso del signore che ieri lo ha contattato, via social, per fargli i complimenti e spedirgli alcuni testi che serviranno ad ampliare la neonata biblioteca del bar-gelateria Gentilini. Un’attività storica nel piccolo borgo tra i monti dell’Appennino tosco-romagnolo, aperta nel 1965 dal nonno di Lorenzo, Ezio, insieme alla moglie Iole. E poi, nei decenni, passata di mano agli zii. Finché, poco più di 12 mesi fa, il giovane imprenditore di 31 anni ha deciso di acquistarla. E di portare avanti il locale insieme alla mamma.
Non prima, però, di aver staccato la spina all’ultima slot rimasta e di aver disdetto il contratto con il fornitore. «Ho visto troppa gente rovinarsi. C’è chi ha perso 500 euro in poche ore o anche chi, una volta finiti i soldi, si faceva tenere il posto da un amico per non perdere il turno e nel frattempo andava a prelevare altre banconote al bancomat per continuare a giocare» racconta Lorenzo.
E pazienza se qualche affezionato cliente, assiduo frequentatore delle macchinette elettroniche, non si è più visto. Al suo posto, invece, ogni giorno da mesi arrivano, anche da paesi vicini, curiosi in cerca di un romanzo o appassionati di libri di avventura.
L’ultimo ieri: ha riportato un testo preso in prestito alcune settimane fa e se ne è andato con un altro volume sotto il braccio. Mentre altri avventori del bar hanno preso l’abitudine di sorseggiare il loro caffè sfogliando le pagine di un libro.
Al momento la “piccola biblioteca” del Gentilini può contare su una cinquantina di titoli: c’è la Divina Commedia di Dante Alighieri, i gialli dello scrittore Carlo Lucarelli, thriller, racconti di fantasia e romanzi storici. E anche il testo a cui Lorenzo è più affezionato, L’uomo che parlava con i lupi di Shaun Ellis: «Sebbene sia il mio preferito ho deciso di “donarlo”, così potranno leggerlo tutti. Anche se me ne sono separato a malincuore».


 2)  https://www.fanpage.it/attualita/  26 AGOSTO 2020  12:06

di Biagio Chiariello

Palazzuolo sul Senio, libri al posto delle slot nel bar: “Ho visto troppa gente perdere tutto”

Dopo aver rilevato il locale, ha tolto di mezzo le slot machine, ha affittato una stanza vicina e l’ha trasformata in una libreria aperta al pubblico; ed ora ora gli abitanti del paese del Mugello vanno a leggere da lui bevendo un caffè. “Guadagno meno ma ho la coscienza pulita. Ho visto troppa gente rovinarsi”.

La prima cosa che ha fatto quando un anno fa ha rilevato dallo zio il bar-gelateria Gentilini di Palazzuolo sul Senio, in provincia di Firenze, è stato staccare la spina dell’ultima slot machine e disdire il contratto con il fornitore. E al suo posto ha messo un po’ di libri. Come spiega oggi Repubblica, la decisione di Lorenzo è maturata dopo aver visto i suoi concittadini — molti padri di famiglia — passare interi pomeriggi a giocare e perdere lo stipendio. E investire grosse somme di denaro nell’illusione, vana, di una vincita facile. “Non volevo essere complice di tutto questo. Non volevo rovinare la vita a nessuno. La ludopatia è una malattia seria, che fa male non solo a chi gioca, ma anche alle loro famiglie”, spiega.
Pazienza se qualche affezionato cliente, assiduo frequentatore delle slot, ha scelto di non entrare più: “Ho visto troppa gente rovinarsi. C’è chi ha perso 500 euro in poche ore — racconta Lorenzo Naldoni, 31 anni, una compagna e una figlia in arrivo a ottobre,— o anche chi, una volta finiti i soldi, si faceva tenere il posto da un amico per non perdere il turno e nel frattempo andava a prelevare altre banconote al bancomat per continuare a giocare”. “Certo — aggiunge lui — ho rinunciato a una fetta significativa di introiti derivanti dalla presenza delle slot machine che avrebbe potuto farmi comodo, soprattutto per un’attività agli inizi come la mia. Ma non mi importa perché la sera vado a dormire con la coscienza pulita”.
Una scelta che tanti altri negozianti hanno fatto in questi anni prima di lui. Ma il giovane barista è andato oltre. E dopo aver eliminato le slot machine, lo scorso dicembre, a pochi mesi dall’apertura, ha deciso di affittare una stanza vicina e comunicante al bar e di trasformarla in una piccola libreria aperta al pubblico. “Abbiamo installato un po’ di scaffali, tavoli e sedie per poter leggere in tranquillità magari bevendo un caffè. I primi libri li ho portati da casa. Altri poi ce li hanno regalati via via persone del posto”, racconta soddisfatto Lorenzo. In questi primi mesi l’esperimento del bar-libreria sembra essere piaciuto ai residenti e alla clientela: in tanti (lockdown permettendo) hanno cominciato a frequentarlo non solo per fare colazione o per pranzare al volo ma soprattutto per leggere.
 
3)  non ricordo al fonte  

ALAZZUOLO SUL SENIO 

Ci sono anche la biografia di Nelson Mandela e il romanzo di Julio Cortazar Rayuela, tra i libri che oggi Roberto D’Ippolito, fondatore dell’associazione Politica, Ora! e candidato Pd alle prossime elezioni regionali, ha donato al Bar Gentilini di Palazzuolo sul Senio (articolo qui).Una decina di volumi in tutto, tra saggi e opere letterarie, che d’Ippolito ha voluto consegnare personalmente al titolare, Lorenzo Naldoni, dopo aver appreso della sua decisione di eliminare dal locale le slot machine e di sostituirle con uno scaffale pieno di libri e giochi da tavolo.“L’iniziativa di Naldoni è coraggiosa e intelligente. Va assolutamente sostenuta – ha commentato D’Ippolito – Ho deciso di incoraggiarlo con una piccola ma significativa donazione. I libri aprono la mente, a differenza di una slot machine che crea solo dipendenza e disastri economici”.Consegnando i libri, D’Ippolito ha voluto citare Cesare Pavese, a 70 anni dalla sua morte: «Il grande scrittore italiano ha sostenuto che la letteratura è una difesa contro le offese della vita. Trovo che questa frase, oltre che bellissima, sia anche un monito per gli italiani, lettori piuttosto svogliati. Grazie alla lettura possiamo evolverci e trovare la forza di superare momenti difficili come questo».

VECCHI METODI E NUOVE TECNOLOGIE POSSONO ANDARE D'ACCORDO ? SECONDO ME INTEGRANDOSI ED AGENDO INSIEME SI

il mio viaggio dei bilanci nell'avvicinamento a i 50 procede con questo post .
nonostante abbia conosca alcuni trucchetti dritte per leggere gli articoli bloccati se non ti abboni considero ancora , essendo nato ed formato da una determinata cultura ( anni 60\70 e cultura edononistica ed reflusso anni 80\90 )Immagini Stock - Pile Di Libri E DVD Su Disco Come Simboli Di Vecchi E  Nuovi Metodi Di Immagazzinamento Di Informazioni Image 5140678.   
a metà degli anni 70 , più  precisamente  44  anni fa,  considero i vecchi metodi  ancora utile   ed integrabili  con le   nuove  tecnologie  cioè   la  cosiddetta  rivoluzione digitale  .  Lo   so che  la generazione Y  o meglio  la millennial generation\ generation next   considerano    antiquati   o jurassici ma  


[....]  non sempre ciò che è più avanzato è davvero più utile o amichevole. Quante volte ci siamo trovati alle prese con strabilianti innovazioni tecnologiche che però ci hanno fatto rimpiangere i cari,vecchi, semplici metodi del passato? Quando ad esempio per mettere in funzione un oggetto bastava aprire la scatola e accenderlo,senza dover sottostare a complicate procedure di connessione, autenticazione e gestione di password. Siamo pieni di novità hi-tech che in realtà non servono a nulla, senon a complicarci la vita e farcispendere più soldi. Molte auto hanno il “parcheggio assistito”, ma chi lo usa veramente? Quante famiglie hanno comprato l’Hoverboard (quell’aggeggio su due ruote in asse) ai figli per poi riporlo mestamente in cantina? L’altro giorno, a mio figlio Tommaso che leggeva un libro sul Kindle è sparito tutto. Aveva ragione Nadine Gordimer quando diceva che «i libri non hanno bisogno di batterie». In fondo, siamo tutti un po’ come Woody Allen:«Ho un rapporto catastrofico con la tecnologia:se passo sotto a un lampadario a gocce si mette a piovere

                     Umberto Brindani Oggi   n 35   3.9.2020 


Mi direte (  un fondo  di verità c'è )    che  avvicinandomi  a  50    sarò nostalgico Infatti  e  qui  racconto  una  mia  esperienza che  conferma  quanto dico  nel  titolo    del post  d'oggi   .  

vecchi metodi - Gazzetta di Reggio Reggio

Sui miei due  account  fb   ( I quello principale   2 quello secondario \  d'emergenza  ) e poi su  watzapp  mi    contatta  *****  chiedendomi se  ho  il n  di  cellulare o di telefono  di un contatto  comune   perchè  lui su fb  non riesce  a  contattarlo  .
Ora     avendo  abbandonato  o quasi l'account  fb secondario  (  lo uso in caso di blocco  del principale  o  quando devo vedere  account  che mi  hanno  bloccato )  non   saprei come rintracciarlo ed  ne  ho il suo  n  di telefono  fisso o cellulare  o il suo indirizzo    , cosi  pure  di  molti  contati di quello principale    in quanto   sui social  l'amicizia  vera  è  limita    a solo  pochi  sono amici veri   gli altri   sono  amici semplici  o  contatti  \   compagni distrada    -  viaggio . 
 Ecco che  gli  ho  ., ed  lui  mi  ha risposto con ------   cioè basito  , che  se   sapeva  il  suo  inditrizzo di dove abita  o  dei suoi genitori  oppure  cerca   il suo  cognome  nell'elenco telefonico   ,   ci si mette  un  po'    ma  alla  fine    con il sistema dei sei gradi  di separazione si può  riuscire   a  rintracciarlo  oppure  a  conoscere    qualcuno\a  che  ti dice    il n   o  ti  da  il nome  dei genitori   o  dei suoi parenti  Effettivamente    l'uso del metodo   vi sembrerà assurdo , ma  ho avuto  modo  di provare  tale  sistema  e di riuscirci     di persona  , quando    cercai   di  contattare , il n di cell  era  sbagliato  ed  non conoscevo il n  fisso di un  collega  .
Quindo morale  della  favola    non demonizziamo  i  vecchi sistemi  ,  che  se  integrati  ed  uniti alle  nuove  tecnologie  posso risultare  efficaci  o ìed  ci possono aiutare   tantissimo .  


26.8.20

LA STORIA DI AIDA, UCCISA A 32 ANNI MENTRE PROVAVA A PORTARE IN SALVO I LIBRI DELLA BIBLIOTECA DI SARAJEVO ( 25\26-8.1992 )

colonna  sonora  






Trovo inaccettabile che non si specifichi che la biblioteca come del resto la guerra nei Balcani fu opera dei nazionalisti,   con il  tacito assenso   della  Ue  . Infatti  come  dice   anche la  colonna sonora   :
[...] 

Ci fotte la guerra che armi non haCi fotte la pace che ammazza qua e làCi fottono i preti i pope i mullahL'ONU, la NATO, la civiltàBella la vita dentro un catino bersaglio mobile d'ogni cecchinoBella la vita a Sarajevo cittàQuesta è la favola della viltà 







Meno male che qualche burocrate Ueviene pervaso dal senso di colpa e dal rimorso

 

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Dedico questo pensiero e questo ricordo alla bibliotecaria Aida Buturović, 32 anni ( foto a destra ) 
che perse la vita intenta a salvare dalle fiamme quanti più libri possibile dalla biblioteca di Sarajevo bombardata e incendiata dalle granate serbe nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992, in quella che è considerata la più grave distruzione dolosa di una biblioteca in tempi moderni. Sarajevo, già ferita, quel 26 di agosto si risvegliò attonita tra il fumo e le fiamme. Un milione e mezzo di libri, 150 mila testi rari e antichissimi: si stima che quasi il 90 per cento andò distrutto.In quella notte maledetta, Aida, altri biliotecari e tante cittadine e cittadini in una corsa contro il tempo avevano sfidato senza paura i proiettili dei cecchini pur di tentare di salvare per come possibile ciascuno un pezzo di storia, un brandello di cultura, una testimonianza di vita. 


                                    da  https://www.facebook.com/cannibaliere/photos/

Quel che è rimasto, che si è riusciti a recuperare, lo dobbiamo solo a loro, e al loro eroismo.Dedico questo pensiero ad Aida, a tutte le vittime, ai feriti, a tutte e tutti coloro che hanno reso poi possibile la ricostruzione.Perché se è vero che distruggere è certamente più facile che ricostruire, sarebbe un grave errore sottovalutare la forza della capacità di rinascita delle comunità: ce lo insegna la Storia ce lo insegna l'Europa.


Quell'Europa dei popoli non dei burocrati e delle banche Europa che ha avuto una grave responsabilità in tale distruzione nella vicenda della distruzione della

Vijećnica

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Vijećnica
Sarajevo, knihovna.jpg
Localizzazione
StatoBosnia ed Erzegovina Bosnia ed Erzegovina
LocalitàSarajevo
Coordinate43°51′32.84″N 18°25′59.61″ECoordinate43°51′32.84″N 18°25′59.61″E (Mappa)
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Inaugurazione1894
Distruzione1992
Ricostruzione2014
Stileneo-moresco / neo-orientale
Usomunicipio, ex biblioteca nazionale
Realizzazione
ArchitettoKarel Pařík

La Vijećnica (in bosniacocroato e serbo: Gradska vijećnica Sarajevo / Градска вијећница Сарајево, ossia sala di lettura municipale) è un edificio pubblico storico di Sarajevo, monumento nazionale, che oggi ospita la sede del municipio. Il progetto originale è dell'architetto ceco Karel Pařík, che però, in seguito alle critiche del governatore Benjamin Kallay, venne modificato. È il più vasto e rappresentativo edificio del periodo austro-ungarico in tutta Sarajevo. Venne utilizzato prima come municipio e poi dal 1949 come biblioteca[1][2]. L'edificio, andato in fuoco il 25 agosto 1992, venne riaperto il 9 maggio 2014[3].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Vedran Smailović suona il violoncello sulle rovine della Biblioteca Nazionale, 1992
Gli interni dopo il restauro

Alexander Wittek, che lavorò al progetto tra il 1892 ed il 1893, ebbe dei problemi di salute e morì in un manicomio di Graz nel 1984. I lavori vennero perciò portati a termine dal croato Ćiril Iveković. L'edificio fu costruito in stile pseudo-moresco e l'architetto si ispirò all'arte islamica, in particolare all'Alhambra in Spagna e ad alcune moschee del Nord Africa.I lavori iniziarono nel 1892 e l'edificio fu completato nel 1894 per un costo di 984.000 corone, di cui 32.000 spese per impianti ed arredi. Venne inaugurato ufficialmente il 20 aprile 1896, e utilizzato come municipio fino al 1949 quando nella Vijećnica venne trasferita la Biblioteca nazionale ed universitaria di Bosnia ed Erzegovina.Il 25 agosto 1992, delle granate serbe, nel contesto dell'assedio di Sarajevo, causarono la completa distruzione della biblioteca. Prima dell'attacco la biblioteca ospitava 1,5 milioni di volumi e più di 155.000 libri rari e manoscritti[4]. Si trattò del più grande incendio deliberato di una biblioteca nella storia moderna[5]. Alcuni cittadini e bibliotecari tentarono di portare in salvo alcuni testi anche se erano sotto il tiro dei cecchini. La bibliotecaria Aida Buturović di 32 anni perse la vita mentre era intenta a salvare dalle fiamme alcuni libri[6].La maggioranza del libri non si salvò. Si conta che circa il 90% del patrimonio della biblioteca andò perduto[7]. Il rinnovo della struttura fu invece programmata in quattro fasi: La prima che comprende il periodo 1996-1997 (finanziata con una donazione della Repubblica d'Austria), quella del 2000-2004 (finanziata con una donazione della Commissione europea insieme alla città di Barcellona e altri donatori). La terza fase si concluse nel settembre 2012 con un costo stimato di 4,6 milioni di marchi bosniaci (circa 2,37 milioni di euro) e fece tornare il municipio al vecchio splendore. La quarta fase iniziò appena dopo e durò 20 mesi. Si concluse a fine 2013 e costò circa 14 milioni di marchi bosniaci (circa 7,23 milioni di euro). Nella fase finale vennero ricostruiti gli interni (quadri, sculture, libri), in modo che l'edificio potesse tornare pienamente in funzione. Il costo totale del restauro si aggira intorno ai 25 milioni di marchi bosniaci (circa 13 milioni di euro).L'edificio, ora monumento nazionale, ospita diversi eventi come concerti ed esibizioni.[8]

Riapertura[modifica | modifica wikitesto]

Dopo anni di restauro, l'edificio venne riaperto il 9 maggio del 2014 alla presenza della Sarajevo Philharmonic Orchestra e del violoncellista Vedran Smailović[9].

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