befana

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Posted by Le ali del sorriso on Lunedì 4 gennaio 2016
Concordo con quanto dice questo interessante post   trovato su  http://www.cosenzapost.it/ 
<< Ci sono le stelle in cielo, ad illuminare questa sera di fate, magia e sogni inespressi; sono tutti lì ad aspettarla … a riporre in quella calza consensi e speranze.

Lei come ogni anno non tarderà ad arrivare, nel silenzio dell’oscurità, e accarezzerà le loro case, passando dai più piccini a chi ormai piccino non lo è più.Il viso consumato da un anno di duro lavoro, i segni sulle mani, fatica dei giorni passati, quella veste ormai ridotta a straccio, rattoppata qua e là, e la scopa pronta ad affrontare l’ultimo viaggio, lungo … una notte di desideri. >>
Concludo e rispondo a  chi mi dice  che  sono  nostalgico od  utopista  perchè ormai  tutto  e business e mercificazione      con questi versi di .... indovinate  di  quale  canzone si tratta  😀😁😛😜  di un altrettanto   famoso  cantautore italiano       chge  è in canna  in questo momento  alla radio

 …E a pensarci\che pazzia

E’ una favola, è solo fantasia.

E chi è saggio, chi è maturo lo sa … non può esistere nella realtà ! 













da noi in sardegna si celebra cosi   da  http://www.ladonnasarda.it/cose-belle/4246/epifania-in-sardegna.html


Epifania in Sardegna


La si chiamava Pasca Nuntza e di se ha lasciato poche tracce: qualche questua che ancora sopravvive, poche e prelibate tradizioni gastronomiche e parecchio mistero. Oggi parliamo di quella donnina a mezza strada fra lo spaventoso e il simpatico che la notte del 5 gennaio svolazza sui cieli isolani per far trovare il 6 mattina a tutti i bimbi, buoni e cattivi, un regalino 
In Sardegna la chiamano sa femia vecchia o sa bacucca ‘eccia con sa scova e non ha niente di diverso dall’idea di Befana che le tradizioni leggendarie dello Stivale hanno contribuito a creare. È vecchia, è brutta, è generosa, vola e lascia qualche regalo, meglio se dolce, ai più piccoli. L’unica differenza è che noi in Sardegna sa femia vecchia non la bruciamo. D’altronde Alziator parlando di cose sarde e di Epifania è

 stato piuttosto chiaro: si trattava a suo dire di una festa di “evidente origine non indigena, che ha sommerso le tradizioni locali”. Perché di tradizioni in Sardegna, legate al periodo, ce ne dovevano essere parecchie. 
Leggendo la Carta de Logu ad esempio si legge che “Sa Pasca de sa Epiphania si clamat Pasca Nuntza” e andando a curiosare fra i ricettari delle nonne si trovano alcuni dolci votati al festeggiamento de sa bacucca ‘eccia. 
Il primo che segnaliamo ha finito col dare il nome al periodo di festa: l’Epifania in Sardegna non è stata chiamata solo Pasca Nuntza, ma anche Pasca de is tres urreis, con una tendenza catalana nemmeno troppo silenziosa. Il dolce che si prepara è detto appunto dei Tre Re, che per intenderci sono i Re Magi: leggenda vuole portino abbondanza di doni al Sacro Bambino appena nato.
La tradizione del dolce dei tre re è piuttosto suggestiva. Si tratta di un impasto dolce non meglio definito, all’interno del quale venivano nascoste una fava, un cece e un fagiolo. Chi avrebbe trovato i tre legumi sarebbe stato piuttosto fortunato durante tutto l’anno. La fortuna ovviamente si riferiva a raccolti abbondanti o ad una buona produzione di formaggio, latte, ricotta e giù di lì. Il legume più fortunato era sicuramente la fava, ma anche trovare un cece doveva lasciare piuttosto contenti. 
Un dolce squisitamente simile lo hanno anche in Spagna e in Francia: in entrambe le preparazioni dolci non manca mai la fava. In Spagna chi trova la fava all’interno del rascon de reyes è costretto a pagare il dolce, in Francia, chi trova la fava dentro il gallette des rois o gateau de rois diventerà Re o Regina per tutto l’anno. Qualcosa di molto simile è in uso anche in Portogallo.
Più autenticamente nostrano è su kàpidu ‘e s’annu, un dolce realizzato a Benetutti in forma di corona. Portava incisi 12 anellini e 12 soli con 12 fori che forse rappresentavano le lune. Il giorno dell’epifania il capo famiglia rompeva il dolce sul capo del più giovane a ricordo probabilmente della ciclicità della vita. 
Infine si era soliti confezionare la peltusitta (con una infinità di varianti del nome): si trattava di un impasto di pane, in alcuni casi dolce, che prendeva forma di focaccia o ciambella. In rilievo venivano posizionati simboli che ricordavano il lavoro pastorale. Sa giuada invece era una focaccia dolce sulla quale però venivano inseriti simboli del lavoro agricolo: in segno di buon auspicio per l’anno che iniziava il dolce veniva spezzato sul giogo dei buoi. 
Kapidu ‘e s’annu, peltusita e guidata erano varianti del medesimo dolce, su càbude, che variava forma e dimensioni a seconda delle occasioni ma che manteneva la sua funzione di buon auspicio per l’anno a venire.

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