chi lo dice che gli immigrati vengono qu solo per delinquere o sfruttare il nostro (almeno che quello che ancora resta visto che politiche economiche nei capitaliste e globaliste l'hanno distrutto o smantellato ) sistema sociale . Uno dei casi in cui vengono per apprendere e poi riportano tutto a casa
Lun 06 Dic 2021 | di Testo e foto di Roberto Gabriele e Simona Ottolenghi | Mondo
Bobo non è un nome di persona, in realtà bisognerebbe dire Bobo Dioulasso che è la seconda città del Burkina Faso dopo la capitale Ouagadougou. Luoghi dimenticati dall’epoca della scuola, quando in occasione dell’interrogazione di Geografia imparavamo a memoria i nomi degli Stati, i loro confini, le capitali e altre informazioni piuttosto inutili a conoscere veramente un paese. Molti ricorderanno l’Alto Volta che è il nome che aveva il Burkina Faso prima di chiamarsi così, ossia fino al 1984.
Il Burkina Faso quindi esiste non solo su libri, atlanti e vecchi ricordi di gioventù, ma esiste anche nella realtà e si trova nel Sahel, nell’Africa subsahariana occidentale. In quanti se lo ricordano? Non è la prima meta che viene in mente quando si parla di Africa, forse lo leghiamo a problemi di povertà, di malattie e malnutrizione, a colpi di stato, a situazioni estreme di vita e in parte è così perché è davvero uno dei Paesi più poveri al mondo. Qui l'aspettativa di vita è inferiore ai 50 anni e l'età media degli abitanti è di 17 anni. Un popolo giovanissimo che ha un destino segnato dagli stenti, tra i quali malattie come l'AIDS che colpisce il 4% della popolazione!
In Burkina Faso non ci sono paesaggi indimenticabili, non c’è una natura meravigliosa, non ci sono Parchi Nazionali con felini e predatori in libertà, non ci sono multinazionali che producono in serie sfruttando le risorse minerarie o l’eccellenza della manodopera locale come purtroppo avviene in tanti altri Paesi. Qui tutti cercano di sopravvivere. E le persone che meglio resistono a tutto questo (riuscendo ad avere un buono stato di salute, di igiene, di tenore di vita) sono le numerosissime e giovanissime prostitute che per una manciata di CFA (la moneta Comune come l’Euro creata tra gli Stati dell’Africa Occidentale) si vendono ad una schiera di altri disperati, riuscendo così a mantenere la famiglia.
Ecco questa è la situazione che abbiamo rilevato andando in Burkina Faso, prima dell’ultimo colpo di Stato che ha vietato l’ingresso a noi Occidentali, molto prima dell’arrivo del Covid. In un quadro sociale come questo l’unica cosa che resta da fare ai giovani è affidarsi ad organizzazioni criminali che gestiscono migrazioni di massa verso l’Europa e che vendono a carissimo prezzo sogni che si trasformeranno in incubi una volta arrivati sui nostri lidi (per chi sopravvive alle traversate). Venditori di miraggi: trafficanti di schiavi, gente senza scrupoli che mette a repentaglio la vita di altri esseri umani senza speranza.
Interi villaggi selezionano i ragazzi più sani e forti per tentare di farli espatriare senza passaporto (non hanno i documenti: è questo il motivo per il quale si rivolgono alla criminalità pagando cifre molto più alte di un biglietto aereo di sola andata e rischiando la vita in mare). Se arriveranno vivi in Europa, allora potranno lavorare (anche in questo caso spesso al soldo di altri criminali) e parte dell’esiguo ricavato lo potranno rimandare a casa per sdebitarsi con la loro gente che ha fatto la colletta per farli espatriare.
Dove tutto sembra essere senza una speranza, arrivano le Organizzazioni non governative che con i loro progetti di cooperazione internazionale cercano di evitare o almeno ridurre i flussi migratori di questa gente verso le nostre coste.
“Bambini nel Deserto” è una Onlus lavora molto in questa zona dimenticata del mondo, lo fa con progetti di cooperazione e sviluppo creando quelle che si chiamano “Attività generatrici di reddito“, cioè la gente viene formata al lavoro, ad arti e mestieri che siano compatibili con ciò che hanno a disposizione e a farne eccellenze qualitative. Il fine è sviluppare le capacità teoriche oltre alle abilità manuali. I progetti spesso non prevedono finanziamenti a fondo perduto, ma creando formazione permettono ai locali di rendersi autonomi e autosufficienti. Uno degli strumenti più interessanti è il microcredito, ossia dei piccoli prestiti a tasso zero che servono per fargli acquistare macchinari o materie prime con le quali lavorare, cifre bassissime che i beneficiari possono restituire in 4-5 anni e senza interessi, ma senza le quali non potrebbero iniziare alcuna attività.
ALIMATA E IL RITORNO A CASA
Tutto è iniziato quando una donna burkinabè, che lavorava in Italia, un giorno ha deciso di tornare in Burkina Faso dalla sua famiglia pur mantenendo un contatto con gli italiani che aveva conosciuto stando qui. Il suo lavoro è stato quello di fare da raccordo, creando un contatto tra le persone che avevano bisogno di un aiuto per partire e la Ong. Una di queste era Alimata: una giovane e talentuosa sarta che aveva imparato a tagliare e cucire in un corso di formazione tenuto da una italiana proprio nella sua città Bobo Dioulasso.
Alimata aveva avuto un’idea imprenditoriale molto innovativa dalle sue parti: il suo sogno non era quello di fare semplicemente la sarta mettendosi in proprio, lei voleva aprire una vera sartoria nella quale cucire abiti su misura per uomini e donne suoi concittadini. L’idea era quella di creare abiti con tessuti e linee tradizionali, ma rivisti con lo stile occidentale imparato dalla sua maestra italiana. A lei il ruolo di artigiana libera e autonoma è sempre calzato stretto: Alimata guardava lontano e sapeva di non potercela fare da sola. Per realizzare il suo progetto aveva bisogno di altri collaboratori che lavorassero per lei, di una sede idonea per creare il suo laboratorio e di avere un prodotto di eccellenza da vendere con ottimi margini per ricavarne un reddito per sé e per le persone che lavoravano per lei. Per fare tutto questo aveva bisogno anche di macchine per cucire che le permettessero di fare anche i ricami ornamentali dei suoi vestiti.
Insomma Alimata non si accontentava, puntava in alto e aveva saputo che Bambini nel Deserto le avrebbe potuto dare una mano con un progetto di microcredito. Il budget iniziale era di 5000 euro per comprare le macchine e i locali: una cifra altissima per un singolo a causa dell’economia traballante del Paese, ma sostenibile per un’azienda opportunamente organizzata.
Per avere un’idea del valore di quanto possono valere 5000 euro da quelle parti, basti pensare che un maestro di scuola elementare è un benestante, uno stipendiato che può permettersi un buon livello di vita per tutta la famiglia guadagnando la cifra di 300,00 euro al mese. 5000 euro sono lo stipendio di 16 mesi!
Arrivare ad una cifra del genere sembrava un sogno irrealizzabile per Alimata, una cifra irraggiungibile e aveva bisogno di una mano per smettere di sognare e creare quello che desiderava con tanta determinazione. Doveva diventare un’imprenditrice e per farlo si è dovuta formare per avere la giusta mentalità. Ha presentato un business plan, ha fatto un piano di rientro dell’investimento, ha ottenuto il privilegio di interessi zero e ha potuto rientrare della cifra in ben 5 anni: un tempo sufficientemente lungo per lavorare sodo e rispettare gli impegni.
Il vantaggio di un’operazione di finanza solidale è proprio nella sua sostenibilità e nel suo valore etico: il denaro non viene regalato, ma prestato e chi lo riceve deve formalmente impegnarsi a restituirlo a condizioni agevolate, ma chiare tra le parti. Senza la restituzione si andrebbe incontro ad un sicuro fallimento dell’iniziativa e al non rispetto degli impegni presi. Normalmente chi riceve il microcredito è portato a restituirlo fino all’ultimo centesimo: sente di avere un impegno morale oltre che finanziario e i casi di insuccesso sono veramente pochi.
Oggi la bottega di Alimata è totalmente avviata, i suoi dipendenti lavorano a pieno ritmo e lei riceve i clienti che vanno a farsi cucire un vestito su misura, studiando insieme a ciascuno di loro le soluzioni migliori. Un vestito di Alimata è diventato un vezzo di eleganza e di moda per gli abitanti di Bobo Dioulasso.
Si va su appuntamento e il cliente sceglie il proprio modello preferito da farsi cucire sugli innumerevoli poster attaccati alle pareti: una sorta di catalogo al quale ispirarsi pur facendo le opportune modifiche. Una volta scelto il modello e fatto il disegno, arriva il momento di andare a comprare il tessuto con il quale cucire l’abito, perchè Alimata ha scelto di ridurre i costi e non avere magazzino: è lei personalmente ad accompagnare i suoi clienti in negozio ad acquistare un tessuto. Una specie di rito da celebrare tra la sarta e il cliente: è un momento fondamentale nella creazione dell’abito, il momento in cui Alimata fa da consulente esterna, guidando i suoi clienti nella scelta del tessuto o del colore migliore.
Tessuto alla mano, vengono prese le misure sulla persona per cucire l’abito, si scelgono le rifiniture e tutto ciò che può essere personalizzato: dalla lampo ai bottoni, dal colore delle cuciture alla forma delle tasche. Alimata annota scrupolosamente su un suo ordinato taccuino non solo le misure del cliente, ma ogni indicazione che possa servire a non dimenticare nulla per la personalizzazione dell’abito. I suoi operai sono bravissimi a tagliare e a cucire e a seguire ogni indicazione della titolare.
Da quel momento, nel giro di una settimana il lavoro è finito, pronto per essere consegnato, ma in particolari casi di urgenza per cerimonie last minute, l’abito può essere anche terminato in 24 o 48 ore…
Oggi dopo 5 anni Alimata ha estinto il suo debito con Bambini nel Deserto e lei può dirsi una donna che ce l’ha fatta restando a casa sua, rispettando lo stile e la tradizione, dando lavoro a tante altre persone e realizzando prodotti di altissima qualità.
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