cercandoi le puntate precedenti di ezio mauro sulla rivoluzione russa ho trovato questo post interessante che mi ha portato a farmi anch'io , che sono cresciuto in un epoca di scontro ideologico fascimo contro comunismo , su cosa sia rimasto di tali eventi . Ancora non ho trovatyo la risposta . Ma questo post che treovate sotto mi sta stimolando . Quindi non è escluso che ne giorni successivi scrivero qualcosa in merito .
Per il momento beccatevi questa nostra eleucubrazione del'amico facebokinao Marco Barone
Cent'anni dalla Rivoluzione russa e cinquant'anni dalla morte del Che cosa è rimasto? ottobre 07, 2017
Non voglio perdermi in quella che potrebbe risultare una tanto scontata, quanto banale dialettica.
Non vi è stata alcuna ricorrenza per l'inizio del processo rivoluzionario russo, iniziato come è noto nel febbraio del 1917. Qualcosa si muoverà probabilmente per la ricorrenza della rivoluzione d'ottobre. Ma l'unica cosa certa è che nessuno poteva fino a qualche anno addietro immaginare che questo centenario sarebbe stato così ridimensionato dalla storia dove quasi quasi lo si deve celebrare di nascosto.
Si faranno i nomi di Lenin, Marx, Trotsky, Stalin, delle varie correnti e guerre violentissime che si son innescate all'interno del processo comunista. Si dirà che il vero comunismo non vi è mai stato, che vi è stata una degenerazione. Si dirà di tutto e di più. L'unica cosa certa è che se il Comunismo come ideologia è stata ad oggi sconfitta in modo evidente ed il capitalismo si è rigenerato con tanto di nuovi manifesti, questo non significa che le idee fondamentali del comunismo siano state superate. Perchè le ricette per contrastare le soluzioni sono sempre quelle, ridistribuzione delle ricchezze, statalizzazione, nazionalizzazione, bene comune, uguaglianza e diritti. Ma è innegabile che oggi la falce e martello è un qualcosa più da porta chiave, da adesivo, da film in bianco e nero che altro. E' stato insieme a satana probabilmente il simbolo più odiato e temuto nel nostro occidente . Ma vi è chi resiste e non vorrà, comprensibilmente e giustamente, far mai tramontare il simbolo del comunismo, la falce e martello che non potrà essere sostituito da computer e mouse, perchè sarebbe ridicolo. Cent'anni dalla rivoluzione russa. Cosa è rimasto?
Ma saranno anche cinquant'anni dalla morte dell'immenso Che. Diventato icona, presente in diverse magliette, qualche fascista ha cercato anche di appropriarsene, simbolo di una nazione, ma simbolo anche della rivoluzione degli oppressi contro il solito capitale. Ha fatto una fine tremenda, violentissima. Film, libri, musiche, dischi, fumetti, quadri, stampe, merchandising importante, sopravvissuto a quello del comunismo tradizionale. Ma è rimasto solo questo del Che?
Per noi fu ed è ancora oggi "la" disfatta. Ma cosa fu quella battaglia per i tedeschi? Cento anni dopo siamo tornati nei luoghi dell'offensiva condotta da Rommel, la futura "Volpe del deserto" nazista. Ecco il racconto, giorno per giorno, dal suo punto di vista
(...) Sapere che dal sangue di Gaetano sta nascendo qualcosa di buono, mi dà sollievo. Penso sia un miracolo. (...) Sono le parole di Lucia Montanino. IL marito Gaetano ( Mimmo)Montanino, guardia giurata di Ottaviano, venne ucciso a Piazza Mercato-Napoli la notte del 4 agosto del 2009. La lapide
che ricorda quel drammatico evento è posta nelle aiuole di via Marina, all'ingresso di Piazza Mercato. La moglie, Lucia, è molto impegnata nelle iniziative anticamorra dell' Associazione Libera insieme al sacerdote napoletano don Tonino Palmese. Questo suo impegno oggi si traduce in un gesto che sicuramente non riporterà indietro le lancette del tempo di quella triste notte, ma dona una speranza a chi vuole cambiare vita nel rispetto della vita.
"Amavo tantissimo mio marito. Ma sapere che dal sangue di Gaetano sta nascendo qualcosa di buono mi dà sollievo, penso sia un miracolo".
Sono le parole di Lucia, vedova della guardia giurata Gaetano Montanino, ucciso la sera del 4 agosto 2009.Montanino è stato freddato con un colpo di pistola mentre era in servizio a piazza Mercato, nel centro di Napoli. L’assassino, Antonio, un giovane di neanche 17 anni, era in giro con gli amici per tentare di portare a termine qualche rapina in città. Insieme al suo gruppo, Antonio ha cercato di sottrare la pistola alla guardia giurata e ne è derivato un conflitto a fuoco. Montanino è stato colpito mortalmente da 8 proiettili, mentre il collega che era in servizio con lui ha riportato gravi ferite.Oggi, a distanza di otto anni, la vedova Lucia ha deciso di perdonare colui che le portò via il suo uomo per sempre e prendersi cura della sua famiglia. Antonio, che era stato condannato a 22 anni di carcere, ha chiesto più volte negli anni di incontrare la moglie di Montanino, ma lei ha sempre rifiutato.Poco tempo fa i due si sono incontrati a una marcia dell’associazione Libera."Era sul palco, tremava, piangeva. Antonio mi ha abbracciata, chiedeva perdono. Mi sentii di stringerlo, di accarezzarlo", ha raccontato Lucia. Da quel momento la donna ha deciso di prendersi cura di lui e dei suoi due bambini. "È il mio angelo custode", ha dichiarato il ragazzo, che da qualche mese lavora in un bene confiscato intitolato proprio a Gaetano Montanino.
Lucia, la donna che abbracciò l'assassino di suo marito a Napoli La storia di Lucia Montanino, la vedova di Gaetano, guardia giurata, ucciso nel 2009 durtante una rapina: ha "adottato" la famiglia di Antonio, il più giovane del commando: aveva allora 17 anni di DARIO DEL PORTO
Lucia è diventata il suo "angelo custode". Per lei invece Antonio "è come il figliol prodigo". Perché dopo il delitto e il dolore, possono esserci anche la riconciliazione e il riscatto.
Lucia Montanino
[ Infatti per i familiari di una vittima cio' ] È un cammino pieno di ostacoli, ma è quello che ha scelto di percorrere Lucia Montanino. Gaetano, il marito, lavorava come guardia giurata e fu ucciso mentre era al lavoro la sera del 4 agosto 2009 in piazza Mercato da quattro giovanissimi , fra cui Antonio , che volevano rapinargli la pistola. Lucia Aveva 45 anni, una bambina ancora piccola. Antonio invece era il più giovane del commando : diciassette anni non ancora compiuti, un bimbo anche lui, concepito appena una settimana prima. Li arrestarono tutti e Antonio fu condannato a 22 anni . Oggi è padre di due figli. E se, al compimento del venticinquesimo anno di età, non è stato trasferito dall'istituto minorile di Nisida in una cella di Poggioreale è anche grazie a Lucia. La moglie dell'uomo che ha assassinato. La donna che i suoi bambini chiamano "nonna Lucia". La persona che dà consigli alla sua compagna. Colei che gli ha aperto la strada per ottenere un lavoro e aiutare così anche i suoi figli. Perché da un paio di mesi Antonio lavora in un bene confiscato intitolato proprio a Gaetano Montanino. Lucia ha di fatto "adottato" la sua famiglia. E racconta: "Antonio era a Nisida. Aveva chiesto al direttore dell'istituto di incontrarmi.
Ma il solo pensiero mi faceva stare male. Non volevo trovarmi davanti a un assassino. Sono passati anni. Ogni tanto mi ripetevano che quel ragazzo voleva vedermi. "È importante per il suo percorso, ma bisogna farlo prima che venga trasferito a Poggioreale", dicevano. Il 21 marzo scorso è capitato quello che non avrei mai immaginato prima. Eravamo sul lungomare, alla marcia di Libera. Mi sentivo stanchissima. Mi trovavo accanto a don Tonino Palmese quando il direttore di Nisida mi disse che Antonio era lì. Sul palco. Rivolsi lo sguardo verso di lui. Cercavo un mostro, vidi un ragazzino. Tremava, piangeva. Non ho mai avvertito tanto dolore negli occhi di una persona. Era come un animale ferito dal male che lui stesso aveva provocato. Mi sono avvicinata. Antonio mi ha abbracciata. Chiedeva perdono. "Non dovevo farlo. Non lo farò più". Mentre parlava, stava per svenire. Mi sentii di stringerlo, di accarezzarlo. "Ormai è fatta. Ma ora devi promettermi che cambierai vita", gli ho risposto".
Antonio ci sta provando. Fa le pulizie per una cooperativa e, all'occorrenza, il cameriere. Qualche volta parla ai ragazzi che rischiano di finire stritolati dal crimine come accaduto a lui e si presenta così: "Mi chiamo Antonio e nella mia vita ho fatto tanti errori. Ma ho promesso a Lucia, il mio angelo custode, di uscire dalle tarantelle. Lavoro con i disabili e non c'è cosa più bella al mondo che aiutare i più deboli. Lucia mi ha fatto capire tantissime cose. Prima di qualsiasi passo, anche il più piccolo, mi confronto con lei. La ringrazio, ma so che è sempre poco quello che fa per me".
Lucia sa che la strada è lunga. "Non sono la madre di questo ragazzo, né una terapista. Ma ci sto mettendo grande impegno. Amavo tantissimo mio marito. Ogni volta che vedo Antonio, vedo il dolore. Ma sapere che dal sangue di Gaetano sta nascendo qualcosa di buono, mi dà sollievo. A volte penso che sia un miracolo". Ai ragazzi che rischiano di finire come lui, un giorno Antonio ha detto: "Credetemi, niente è più brutto che sbagliare come ho sbagliato io. Il rimorso ti uccide dentro e te lo porti dietro per tutta la vita". Dopo tanta violenza, un barlume di speranza.
Magari arrivassero cosi in ritardo le lettere che i nostri politivi c'invitano per le elezioni :-). Lom lo so che questo mio commento potraì sembrare stupido o qualunquista . Lo .
Lo soche questo mio commenti potrà sembrare stupido e secondo alcuni ( i miei matusa compresi ) ma è una domnda , in quanbto non è la prima volta che succedono cose del genere in italia , che mi pongho sempre davanti a fatti come questi raccontati sotto
La cartolina ai figli è arrivata a Mestre, ma dopo 36 anni
Bellissima sorpresa per Tommaso e Giovanna Mingat. I genitori si erano ricordati di loro, ma il bollo è un “giallo”
MESTRE. Ogni promessa è debito. E si può anche indovinare che i due bambini non avessero chiesto una semplice cartolina al rientro dal viaggio dei genitori. Ma almeno la cartolina era stata promessa, il resto “si vedrà”. Così quando il giorno del loro decimo anniversario Aldo e Renata Mingati sono sbarcati a Parigi, il 14 dicembre del 1981, si sono subito ricordati di mandare un cartolina ai loro bambini, Giovanna di nove anni e il piccolo Tommaso, di appena cinque, “piazzati” a casa dei parenti. Così la “cartolina illustrata” con il museo del Louvre visto dal pont du Carousel partì indirizzata a Mestre, “ai bambini Giovanna e Tommaso Mingati” .
È arrivata giovedì 5 ottobre. Trentasei anni dopo. Ancora perfetta, segno che qualcuno l’ha ritrovata in un cassetto e l’ha spedita ai due bambini che l’attendevano, tra la costernazione del padre («eppure l’avevo spedita»), la muta accusa della moglie, di ogni moglie a ogni marito quando c’è qualcosa da fare («con quella testa te ne sarai dimenticato»).
Un funzionario occhiuto. Perché sotto, dopo le firme di prammatica “papà e mamma” , ha voluto lasciare un suo commento: “Et la Piramide?”.
Tommaso Mingati
Domanda giusta dato che all’interno del cortile del museo non si vedono le due piramidi, la grande e la minuscola, volute dal presidente Mitterand, disegnate da Ieoh Ming Pei e inaugurata in pompa magna nel 1989. Quindi nel 1981 non potevano esserci e nella foto non ci sono.E poi la seconda particolarità: il francobollo. Ce n’è uno italiano al posto di quello francese. Ma la cartolina era partita regolarmente. Tanto che il timbro riporta la data esatta e la città di partenza: 14 dicembre 1981, Paris. Quindi qualcuno ha sostituito il francobollo francese dell’epoca con uno italiano del 1959. Ma con uno italiano dello stesso valore. Così compare un francobollo del valore di 300 lire. E su questo c’è il timbro delle poste italiane con l’anno 2017. In Italia possono tuttora viaggiare lettere e cartoline con francobolli italiani. Ma solo di francobolli stampati dopo il 1967. Il valore del bollo è quello esatto: nel 1891 serviva un bollo da 300 lire.
Oggi, se ne avete di vecchi e non usati, dovete superare le 1. 800 lire. Quindi chi ha reinviato la cartolina era un conoscitore, ma non italiano: avrebbe saputo quali francobolli possono viaggiare e di quali anni e di che valore. Eppure qualcuno che non sapeva se i mittenti ci fossero ancora (Aldo e Renata Mingati toccano ferro e se ne stanno belli e in salute nella stessa casa di allora dove la cartolina è finalmente arrivata) ha voluto inviare ai due “bambini” (Giovanna e Tommaso sono entrambi felicemente sposati e con figli) un messaggio: “papà e mamma non si erano dimenticati di voi”. Perché un papà e una mamma non si dimenticano mai dei loro figli.
Emozionato Tommaso: «Mi ha fatto pensare a com’ero preoccupato per i regali: cosa avrei dovuto fare se Babbo Natale li avesse portati a Parigi. Ecco, ora questo è il mio regalo più bello». Divertito papà Aldo: «Le cartoline siano state soppiantate da foto via Whatsapp, ma vuoi mettere il gusto di queste sorprese?». (u.d.)
in Cambogia una zona martoriata a da quasi un secolo di guerre e regimi dittatoriali . Ecco un ruolo degli animali , i topi , che a noi fanno senso ma allo stesso tempo divertono con le storie . Infatti I topi vengono trasportati ogni giorno nei campi in ampie scatole singole: poi gli viene fatta indossare una specifica imbracatura che li tiene connessi a un filo, maneggiato da due operatori specializzati. In questo modo il topo segue il percorso stabilito: le mine individuate vengono poi tolte dal terreno da una squadra specializzata di operatori
Addestrati dall’ong belga Aopopo, operano nel Paese che ha più amputati per questi ordigni
di RAFFAELLA SCUDERI - FOTOGRAFIE DI SIMON GUILLEMIN*
L'ottava meraviglia del mondo si nasconde nel cuore della giungla. La vegetazione invadente la avvolge senza tregua. Le montagne intorno le fanno da cornice in armonia con la sacralità del luogo. Sembrano templi anche loro. Il sito archeologico di Angkor Wat è stato proclamato dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Che beffa. Se solo ci si sposta dai sentieri ripuliti, creati per rendere semplice l'accesso alle migliaia di turisti che arrivano ogni giorno, si rischia di saltare in aria e, nella
migliore delle ipotesi, sopravvivere con un arto amputato. Ma questo non accade all'umanità del business del turismo, protetto dall'imponente controllo su tutto il territorio circostante. Le infide mine antiuomo nascoste sotto terra, invisibili a occhio umano, distruggono la vita solo agli abitanti, ai contadini a cui è resa impossibile la possibilità di sopravvivere grazie all'agricoltura. Pianti riso sapendo che se metti un piede in fallo salti in aria. E la povertà avanza. Fu proprio questo luogo, a pochi chilometri dalla città di Siem Reap, e tutto il nordovest del Paese confinante con la Thailandia, che i sanguinari khmer rossi disseminarono delle loro armi killer negli anni della guerra, tra il 1975 e il '79. Qualche numero: quattro milioni di mine e più di 40mila le persone private di gambe e braccia. Non c'è bisogno di leggere la Storia. Camminando per le città, li vedi ad ogni angolo.
Per loro il governo non è riuscito a fare nulla. Ci sono riusciti 18 topi sudafricani. Sì, proprio loro, i roditori tanto odiati e perseguitati in tutte le grandi città occidentali. Qui sono dei veri supereroi. Infatti si chiamano HeroRats. Li ha portati una Ong belga, l'Apopo, dopo averli sperimentati per vent'anni in Tanzania, Mozambico e Angola in collaborazione con la Cmac (Cambodian Mine Action).
I topi salvavita sono leggeri. Hanno un olfatto eccezionale. Individuano l'esplosivo, non il metallo. Incominciano a grattare. Lì c'è una mina. E una vita deforme in meno. La loro leggerezza li protegge da qualsiasi effetto collaterale. Mai nessuno è morto. Legati a una fune, tenuta dagli operatori locali ed eroi anche loro, vengono tenuti al guinzaglio e lasciati vagare per il campo. Sono velocissimi: 11 minuti per localizzare gli ordigni, operazione che a una squadra di umani armati di metal detector richiederebbe almeno 5 giorni di lavoro. Ignorano il metallo, il loro olfatto rileva solo l'esplosivo.
Alla fine della missione, banane e noccioline. "Tutti allevati con molta cura", garantisce Apopo che li addestra in Tanzania. Qui personale specializzato si occupa della loro salute, sopravvivenza e tempo libero. Apopo prosegue garantendo che la loro vita è molto piacevole. Addestrati per diventare familiari con la presenza umana, vivono in ampie gabbie e una volta al giorno sono liberi di giocare.
La Ong ci lavora da 20 anni. Prima in Mozambico, poi in Cambogia, da inizi 2016, il Paese che conta più amputazioni in tutto il mondo. I risultati sono ottimi: 5mila mine disinnescate. Queste immagini raccontano bene il loro lavoro sul campo. Le ha scattate il fotografo francese Simon Guillemin, che ha documentato con ritratti il loro lavoro e le vite di chi non ne ha beneficiato. Dal 7 al 29 ottobre i suoi lavori saranno esposti a Lodi all'interno del festival della fotografia che contempla la presenza di 5 sezioni, tra cui 5 mostre che provengono dai fotografi delle Ong. Dalla spazzatura e dalle fogne, i roditori tanto odiati, sono approdati in Cambogia e salutati come veri eroi.
Casalgrande, il Morante di Sassuolo rigetta la richiesta per il trasferimento del giovane che frequentava il Gobetti
CASALGRANDE. «Davvero non c’è posto?» È questa la domanda principale che si pone la madre del ragazzo casalgrandese “rifiutato” dall’istituto sassolese Elsa Morante. C’è indignazione, dispiacere e senso di impotenza nella denuncia della mamma che, dopo mesi di attesa e di vane rassicurazioni, si è vista rifiutare la possibilità di iscrivere il figlio trasferendolo dal Gobetti di Scandiano dove si era reso responsabile di un episodio di bullismo. L’origine della vicenda risale proprio a quel “fattaccio” nel gennaio scorso. Solo allora la madre del 15enne, si rende conto che la scelta scolastica fatta dal giovane è stata un errore e rischia di avere conseguenze serie. «Mio figlio si era iscritto al Gobetti su mia insistenza – racconta – ma non era ciò che voleva e purtroppo, anziché manifestarmi questo rifiuto, ha iniziato ad avere atteggiamenti sbagliati fuori dalla scuola, rendendosi protagonista di un episodio di bullismo. Dopo un colloquio con lo psicologo abbiamo capito che il problema era proprio legato alla scuola scelta così, insieme al dirigente dell'istituto di Scandiano, abbiamo avviato le pratiche per il trasferimento».
«Siamo arrivati a Sassuolo, al Morante, e ci hanno accolti bene, facendoci vedere la scuola e spiegandoci i vari corsi – prosegue la donna –. Mio figlio era entusiasta e aveva scelto il professionale turistico. Purtroppo non era possibile fare il passaggio in quel momento, ma ci dissero che ci avrebbero messo in lista d’attesa per poter entrare nel nuovo anno scolastico». A questo punto la situazione sembra definita, il ragazzo viene bocciato al Gobetti per le numerose assenze, mentre la madre continua a farsi viva con la scuola sassolese per sapere come comportarsi con l'iscrizione. All'atto dell'iscrizione però il colpo di scena: non c'è posto. «Sulle prime – racconta la madre – ci hanno rassicurati, illudendoci, e dicendo che mio figlio avrebbe potuto iniziare dopo qualche giorno».Alcuni giorni fa, invece, è arrivato il no definitivo, che ha gettato nello sconforto sia la madre sia il giovane. «A un incontro che ho chiesto – spiega la madre – la vicepreside si è scusata, spiegandoci che non c'è posto e quindi che mio figlio, ancora formalmente iscritto al Gobetti, dovrà andare nella scuola in cui non vuole più andare da mesi. Forse più avanti la cosa si potrebbe sbloccare ma intanto il ragazzo è a casa, non sta andando a scuola e i programmi nelle classi vanno avanti, col rischio che un'iscrizione tardiva gli faccia perdere un altro anno».«È assurdo – spiega la donna tanto arrabbiata quanto determinata – dire che non c’è posto, dato che, ad esempio, se io iscrivessi mio figlio fuori regione e dopo un mese richiedessi l’iscrizione al Morante lo accetterebbero. Questo significa che il posto c’è, come ci hanno promesso per mesi illudendoci». La madre è pronta a non arrendersi e continua a sperare in una rapida soluzione, anche se le possibilità che il giovane possa entrare a breve al Morante, stando a quanto riferito, sembrano piuttosto flebili.
le donne saranno difficili da capire , ma una volta capite ti stregano e ti rapiscono come dimostra sia quiesta storia presa da http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/30/newsla mia colonna sonora che trovate in fondo a questo post
L'amicizia fra il suprematista Michael Kent e Tiffany Whittier, l'ufficiale di vigilanza alla quale è stato affidato all'uscita dal carcere. Ora l'uomo ha rinunciato alla militanza, lavora in una fattoria e al posto dei simboli xenofobi usa gli smile
di PATRIZIA BALDINO
Foto di ABC News
A vederlo qualche tempo fa Michael Kent, di 38 anni, avrebbe fatto paura. Minaccioso e ricoperto di svastiche, l'uomo era un neonazista membro di un gruppo di suprematisti bianchi dell'Arizona. Un'appartenza che l'uomo mostrava con fierezza: tatuaggi esibiti, alla propria abitazione tappezzata con simboli legati al nazismo e alla superiorità della razza ariana. I comportamenti violenti erano all'ordine del giorno. Finché Michael è stato arrestato e condannato a scontare una pena in carcere.
Uscito dal carcere, ha conosciuto la donna della sua vita. Non nel senso sentimentale dell'espressione ma la donna, afroamericana, che gli avrebbe fatto cambiare idea in merito alle differenze di razza. Tiffany Whittier è l'ufficiale di vigilanza alla quale Kent è stato affidato una volta uscito dalla prigione. Incontri, chiacchierate, confessioni. È nata un'amicizia, in barba ai preconcetti (di lui) e alla diffidenza (di lei).
Ai molti che le hanno chiesto come sia stato possibile avvicinarsi a un neonazista, Tiffany ha risposto: "Non sono qui per giudicarlo, non è il mio compito. Il mio lavoro è essere una persona positiva nella vita di qualcuno".
E il compito è riuscito. Michael ha eliminato le bandiere con le svastiche e le ha sostituite con immagini di faccine sorridenti. Ed è stato accompagnato da Tiffany a rimuovere i suoi tatuaggi. Per farlo, i due si sono rivolti a Redemption Ink, un'associazione no profit in Colorado che si occupa di modificare tatuaggi con soggetti xenofobi o simboli di bande criminali. I fondatori, Beth e Dave Cutlip, offrono il servizio gratuitamente con lo slogan "C'è abbastanza odio in questo mondo". Per trasformare i tatuaggi di Michael sono servite ben 15 ore. Le svastiche ora sono "normali" disegni. "Non sono mai stato in uno studio di tatuatori, i miei li avevfo fatti tutti in carcere", ha raccontato Michael.
Nessuno avrebbe mai scommesso su un cambiamento del genere. "Non voglio che i miei figli vivano la vita di odio che ho vissuto io - ha detto l'uomo - voglio che mi conoscano per chi sono adesso, un buon padre e un lavoratore". Ora Michael lavora in una fattoria dove si allevano polli e galline. I suoi colleghi sono tutti ispanici e mai l'ex neonazista avrebbe pensato di collaborare con persone di colore. "Ora partecipo alle feste aziendali e anche alle quinceañere, e io sono l'unico ragazzo bianco", spiega sorridendo.
Una storia a lieto fine grazie all'amicizia. Michael dice che
ringrazierà per sempre Tiffany: "Ora sono un uomo diverso e lei è una parte della mia famiglia".