30.1.09

Juan Piras non è Juan Peròn Un’inchiesta mette fine alla leggenda

  rimettendo  in ordine fra le cose portate  dall'ospedale  ho trovato questo   articolo  al mito  ,  già preceente trattato  nel  nostro  blog   che  vedeva  l'origine sarda del leader  politico argentino J. peron 

 dall'unione  sarda (  giornale  molto favorevole   al mito  dele origini sarde fi Peron  )    del 21\1\2008


di Carlo Figari


Juan Peron L’emigrato di Mamoiada Giovanni Piras non è il presidente argentino Juan Peròn. Saggi, romanzi e giornali da una decina d’anni hanno alimentato una leggenda nata nel 1951 dopo due articoli pubblicati dall’avvocato Nino Tola su L’Unione Sarda. Ipotizzavano che l’operaio sardo arrivato a Buenos Aires nel 1910 per lavorare alla costruzione della ferrovia avesse cambiato identità diventando nientemeno che il generale e poi presidente Peròn, fondatore del partito populista dei “descamisados”. In tempi recenti alcuni ricercatori sardi (Peppino Canneddu, Raffaele Ballore, Gabriele Casula) e più di recente il giornalista Giomaria Bellu con un romanzo, hanno affrontato l’affascinante mistero sotto i più diversi aspetti, ora portando prove a favore della tesi dello scambio d’indentità, ora negando i possibili legami. Un vero e appassionante giallo storico su cui oggi si può mettere la parola fine grazie all’inchiesta realizzata in Sardegna e soprattutto in Argentina dal mamoiadino Piero Salerno, pronipote di Giovanni Piras, dalla giornalista argentina Faustina Hanglin e dalla regista toscana Chiara Bellini. Il loro reportage è stato ripreso passo passo da una telecamera e, in attesa si essere trasmesso su qualche tv, è disponibile in Dvd con tutti i documenti raccolti durante il viaggio.
A svelare il mistero sono i dati anagrafici, trovati ed esaminati attentamente. Il certificato di morte afferma senza ombra di dubbio che Giovanni, noto Juan, Piras è morto nel 1959 in un paese nella provincia di Santa Fe dove vivono ancora le tre figlie dell’emigrato. Salerno ha scoperto nell’archivio delle Ferrovie il documento di pensionamento e tutta la carriera, tappa per tappa, del mamoiadino che dalla Patagonia è risalito a Rosario e infine a Santa Fe, nel nord del paese. <Mio zio non poteva lavorare dodici ore al giorno nelle ferrovie e nello stesso anno scrivere un trattato militare in perfetto spagnolo con la firma di Peròn>, dice Salerno. Tutti i fantasiosi, quanto verosimili indizi, presentati per supportare la tesi del cambio d’identità vengono dissolti dal documentario-inchiesta girato da Chiara Bellini. <Tutte coincidenze>, sottolinea Salerno.
Sulle origini sarde parlò lo stesso Peròn durante un’intervista negli anni Cinquanta, ricordando uno zio proveniente da Alghero o forse da Cagliari. <Ma in Sardegna non esiste un cognome Peròn, probabilmente originario del Piemonte o della Savoia> sottolina Chiara Bellini. Peròn negli anni Cinquanta, mentre Giovanni Piras lasciava il lavoro nelle ferrovie nel 1955, andò in esilio a Madrid e tornò in Argentina nel 1973 (morendo proprio in quell’anno). <La leggenda ha appassionato soprattutto i nostri emigrati> conclude Piero Salerno: <sicuramente è una bella storia, ma cominciava a diventare pericolosa quando sono spuntati i servizi segreti e gli interessi sull’eredità di Peròn.

  Cercando in rete ulteriori news  con google news  ecco cosa  ho trovato    su questo  sito0 
 da  www.cinemaitaliano.info/

Note di produzione del documentario "La Vera Storia di Juan Piras Perón"


che  smentisce    anzi demolisce  clamorosamente  tale  mito  che durava  dal  quasi 60  anni 

 Confidavo di essermi lasciato definitivamente alle spalle tutto il torbido che gli speculatori d'ordinanza avevano ormai irrimediabilmente sparso su tutta la storia, quando il signor produttore emerse dall'oblio e mi chiese (con un affabile tono di imposizione) di scrivere una sagace e ancorché risolutiva nota tecnica sulla costruzione del film e sulle sue reali prospettive. 

Note di produzione del documentario "La Vera Storia di Juan Piras Perón"


Fu un frangente penoso e straziante... da un lato non avrei mai voluto ripercorrere con la memoria quella sterminata mole di ricordi traumatici, dall'altro mi trovai in seria difficoltà nel cercare di discernere il ruolo di tutte le parti in commedia: ero assolutamente sicuro di essere io il produttore del film, ma ricordo nitidamente il produttore del film che mi chiese risolutamente di darmi da fare (e in fretta, ché il signor produttore ha una sorta di fretta fisiologica, quasi a prescindere) per portare a compimento quello per cui ero stato investito.
E io mi diedi diligentemente da fare. Provai soltanto a proporre un titolo differente... "Nota del produttore" era troppo asettico e impersonale, mi sembrava più incisivo e più italiano "Incubo del produttore", ma già sulla mia idea di deviare dalla linea ortodossa dell'altissimo iniziai a sentire strani formicolii, tremori e brividi lungo la schiena.
Ecco quindi la sua fedele e rigorosa ricostruzione dei fatti.
Successe davvero tanto tempo fa... sfogliando la carta di giornale con cui avevo avvolto la scarna spesa del supermercato, trovai la classica notizia-bomba: "L'uomo invisibile vive, lavora e si muove abitualmente tra noi...".
Il trafiletto riportava, tra una macchia d'olio e un'incrostazione d'uovo, una squinternata teoria (molto seguita in alcune isole del Mediterraneo) che riguardava proprio l'uomo invisibile e tutti i suoi parenti.
Fu una specie di inavvertibile colpo di fulmine... divorai letteralmente tutto quello riuscii a trovare sull'argomento, e fu in quei giorni di ingovernabile entusiasmo che decisi di prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di produrre un film che avesse come protagonista una sorta di uomo invisibile. Anzi, in questo caso addirittura due.
E fu proprio pensando ad altre tesi e teorie in apparenza irrefutabili (l'11 settembre auto-indotto, la Terra cava abitata da persone vuote, Al Qaeda come mandante degli omicidi di Jack lo Squartatore e altre non ancora disponibili sul web), che la scintilla produttiva di "Identità - La vera storia di Juan Piras Perón" si accese.
Ma si accese al contrario, ovvero ragionando, e quindi invitai l'intero staff di ricercatori a costruire la struttura filmica con una metodologia nuova e assolutamente rivoluzionaria: cercare una volta per tutte colui che si riteneva scomparso.
La storia si complicò immediatamente non appena commisi l'ingenuità di cercare di completare il budget del film non attraverso i soliti canali istituzionali, ma contattando direttamente il numero verde (attraverso un'opportuna deviazione di chiamata) dei servizi segreti.
La risposta non si fece attendere... ero a letto, saranno state le cinque di mattina di una fredda e nebbiosa mattina invernale, quando il telefono di casa trillò con un suono tutto particolare, più intenso del solito, quasi più importante.
In un italiano perfetto, un po' aulico, un certo Juan Carlos si presentò con una cortesia quasi antica, stucchevole, ma con una determinazione che non mi lasciò alcuno spazio di replica.
Richiamando alla mente il soggiorno spagnolo dell'ultima moglie di Perón, Isabelita, repentinamente mi inginocchiai in un sorprendente (soprattutto per me stesso) impeto monarchico, e salutai il re con la dovuta deferenza.
Juan Carlos fu molto comprensivo, e mi tranquillizzò... pur condividendo con me la fugace nostalgia del tempo che fu, disse che dovevo stare attento, e che dovevano stare attenti tutti quelli che si stavano imbarcando nell'operazione sacrilega della ricerca di Giovanni Piras.
E che, a scanso di fastidiosi equivoci e ulteriori fraintendimenti, dovevano stare attenti anche quelli che con il nostro film non c'entravano nulla.
Con una timida marcia indietro, tentai di ingraziarmi tutto quel popò di potere che mi degnava della sua attenzione, e cercai con una presunzione fuori luogo di carpire qualche informazione.
Juan Carlos fu molto abile nel riportare la conversazione nei giusti canoni (cioè i suoi), e mi mise a conoscenza del tariffario esatto di tutte le informazioni disponibili su Juan Domingo Perón, sulla sua famiglia, sulle sue mogli, su Licio Gelli e anche su alcuni suoi cani dal nome ambiguo di cui si sussurravano strane tendenze reazionarie e golpiste.
Ricordo che mi rallegrai dellinapplicabilità dell'I.V.A. sul tariffario, ma convenni con Juan Carlos che, per quanto più convenienti rispetto ai prezzi praticati al dettaglio dai servizi segreti italiani, tutte le prestazioni offerte erano ampiamente al di sopra di quello che si poteva permettere un piccolo film indipendente. Per di più documentario, e pure italiano.
Ricordo anche che chiesi il prezzo di informazioni deliberatamente false o magari già usate, confidando in un trattamento economico di favore, ma per le notizie di stampo complottardo (sempre richiestissime, a detta di Juan Carlos) il prezzo poteva salire in modo esponenziale.
Non nascondo lo scoraggiamento di quel momento in cui tutto sembrava a portata di mano, ma sempre drammaticamente irraggiungibile. Ma è a quel punto, però, che Juan Carlos si rivelò fino in fondo l'intimo e fedele amico che è ancora oggi.
Tra una burla e una pinzillacchera, disse che il pagamento doveva essere fatto preferibilmente in dollari (in banconote non segnate, che tanto a segnarle c'è un ufficio apposito dei servizi segreti) e si raccomandò ripetutamente di evitare l'euro a causa del formato, troppo poco rettangolare per i portafogli e le ventiquattrore argentine.
Lo dovetti deludere definitivamente, il film era davvero indipendente. Probabilmente, a ben vedere, indipendente anche dal suo produttore.
Juan Carlos non si perse d'animo, e si lanciò in alcune acute metafore per farmi definitivamente capire la realtà della situazione: ipotizzò la mia presenza in Argentina, e spiegò che l'abitudine del quarto o quinto lavoro in nero non è una peculiarità solo italiana, e che lui, negli eterni ritagli di tempo libero che bene o male componevano tutte le sue giornate, svolgeva altre attività a beneficio della sicurezza nazionale: tra le altre, la guida turistica e il bigliettaio ambulante.
Non scorderò mai quei momenti di munifica immaginazione... accompagnato da un (vero!) agente dei servizi segreti argentini (ma travestito da re di Spagna, forse solo per un'aderenza fonetica), ebbi modo di conoscere una Buenos Aires che forse non è mai esistita e, ormai sulla via del ritorno, non fui neanche costretto a fare quelle odiosissime file al check-in dell'aeroporto di Ezeiza.
L'ultima immagine di Juan Carlos che porto nel cuore è del suo viso rassicurante (ma sul corpo da favola di una hostess viziosa e ninfomane) che mi rimbocca le coperte sulla poltrona extra-lusso della prima classe del volo delle Aerolineas Argentinas e che, dopo lo scalo tecnico a Mamoiada, mi deposita in assoluta sicurezza a Roma.
Arrivato quella stessa mattina in ufficio, mi adoperai con estrema celerità per dare a Juan Carlos quello che era di Juan Carlos: feci quindi stampare migliaia di copie di un santino con la sua effigie e la scritta "Cerca piano, Juan Carlos ti osserva e ti registra" e diedi mandato di distribuirne copie illimitate in Italia, in Argentina, in Svizzera e nell'isola di Pasqua (insomma, in tutti quei posti dove erano documentate le tracce di Giovanni Piras).
Il metodo si rivelò infallibile, e una sorta di schiera celeste di Giovanni Piras iniziò a convergere verso la nostra ricerca, ma con un unico imprevisto: tanto era comune il nome Piras in Sardegna, che nella rete caddero anche moltissimi Mario Rossi italiani, John Smith americani e Hans Müller tedeschi... fummo costretti a sospendere la ricerca orizzontale e tentammo quella stratigrafico-verticale. Ma a tutt'oggi, non abbiamo ancora trovato il relativo libretto di istruzioni per l'uso.
Nel frattempo, le spese incedevano senza sosta. In mezzo ai più astrusi problemi economico-finanziari, anche la famiglia di Giovanni Piras iniziava a dare segni di impazienza: trattandosi di più di cinquemila parenti, li invitai a riunirsi tutti in uno stadio di calcio e provai a spiegare loro il senso della ricerca che avevo tempo prima imparato a memoria dalla diretta voce delle autrici.
Ricordo con pudore il mio imbarazzo, quando al microfono e nel bel mezzo del campo di calcio e davanti a tutta quella gente, fui sonoramente fischiato per il mio sardo appena appena scolastico. Provai in inglese, ma il risultato non cambiò.
Solo rimanendo in silenzio, io come tutti i parenti sugli spalti, trovammo come d'incanto un'intesa perfetta.
La situazione era ormai totalmente fuori controllo. Rimasi senza soldi pochi giorni prima di acquistare i biglietti aerei per l'Argentina, ma tra collette di solidarietà e brevi tratti oceanici in barca-stop riuscii nell'epico (doppio) risultato di portare la buona novella di Giovanni Piras in Argentina e con la novella pure la mini-troupe.
Una volta in Argentina, capii che la ricerca sarebbe potuta durare all'infinito... in cerca di aiuto, tentai affannosamente di rimettermi in contatto con Juan Carlos, ma al suo vecchio recapito (il numero verde era diventato nel frattempo a pagamento) rispose un individuo bislacco che parlava in un vernacolo incomprensibile. In altre occasioni, invece, parlando in un italiano molto stentato, affermò cose, coincidenze e teorie prive di qualsivoglia appiglio reale. Affermava inoltre di non essere solo, si riferiva a se stesso in un triplice plurale majestatis e vaneggiava di essere posseduto in egual misura dalla C.I.A. e da Linda Blair.
La mini-troupe mi abbandonò al mio delirio di produttore ostacolato da tutto lo star-system patagonico (dove, guarda caso, aveva soggiornato la famiglia di Juan Domingo Perón fin dall'epoca dei Conquistadores...) e fu in quel momento, solo e disperato, che Juan Carlos mi apparve in sogno... lo vidi al centro di un enorme tavolo apparecchiato per la cena, attorniato da dodici agenti segreti che si imbrattavano le bianche vesti con l'olio gocciolante di una celestiale carne alla brace.
Mi disse ancora una volta di stare tranquillo, che ormai anche dall'alto era stato autorizzato lo sdoganamento della vera storia di Giovanni Piras (o di Juan Perón, che è uguale).
Chiamai allora, in un misto di eccitazione e di estasi mistica, la regista e i protagonisti del film... dissi loro che il mistero era stato finalmente risolto... è probabile che feci un po' di confusione tra il terzo mistero di Fatima, Giovanni Piras e la fonte dell'eterna giovinezza ma alla fine li convinsi che non c'era bisogno di convertirsi alla doppia identità proprio a Damasco, e che, visto che eravamo in Argentina, ormai tanto valeva convertirsi lì.
Ma l'epilogo, purtroppo, non è stato dei più lieti.
Ancora oggi, nel mio ufficio tutto bianco e dalle pareti imbottite, comunico costantemente con Juan Carlos per via telepatica. Dissentiamo ormai solo un punto: io affermo che i disturbi di comunicazione sono dovuti alla lontananza dei nostri rispettivi continenti, lui ribatte che il problema deve per forza essere di natura diversa... le camere adiacenti non sono oggettivamente così distanti.
In tutto questo, la vita va avanti... ho appena convinto Juan Carlos a co-produrre con me il prossimo film di Chiara Bellini (la storia di un viaggiatore, tipo emigrante, che sparisce nel nulla ma lascia delle molliche di pane che unite secondo lo schema rosacrociano conducono all'esatta individuazione di Atlantide), che sarà interpretato sempre da Faustina Hanglin e Piero Salerno (che al momento si stanno litigando il ruolo del pane da smollicare e di Atlantide).
E Giovanni Piras? Ho saputo che era in lista d'attesa per tornare in Italia (via Mamoiada) con il volo successivo al nostro.
Le certezze sfumano, i contorni diventano vaghi e confusi... di sicuro, oltre la morte, c'è solo che lo ritroveremo nel paradiso delle leggende a lieto fine.
Scusate se mi allontano un momento, ma devo chiedere a Juan Carlos conferma di quest'ultima mia affermazione.

Francesco Scura

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