30.3.25

sfatiamo il detto donne al volante pericolo costante . Nuoro. Il “Postalino” ha un cuore femminile: tre storie di gentilezza e professionalità alla guida

da www. cronachenuoresi.it del 28\3\2025

Tiziana Pilia, Pina Piras e Amata Podda (foro S.Novellu)
 NUORO –  In città, quando si parla di trasporto pubblico, la mente corre subito al “Postalino”, l’autobus cittadino che da sempre connette persone e quartieri. E se un vecchio adagio popolare raccontava di “donne al volante, pericolo costante”, Amata, Pina e Tiziana, veterane della conduzione degli autobus ATP (Azienda Trasporti Pubblici), sono la prova vivente di quanto quel detto sia ormai anacronistico e infondato.Con una carriera ventennale alle spalle, le “Ragazze del Postalino”, come affettuosamente le chiamano i nuoresi, non sono solo professioniste impeccabili ma veri e propri pilastri del servizio pubblico. La loro dedizione e gentilezza oltre alla competenza con cui guidano i mezzi lungo le tormentate strade nuoresi sono un esempio per tutti.Le loro giornate a bordo del “Postalino” sono un continuo contatto con il pubblico. Ascoltano storie, offrono un sorriso, aiutano chi è in difficoltà. Sono gli occhi e le orecchie della città che si muove, testimoni privilegiate del suo ritmo e delle sue esigenze.

                                 Amata Podda, autista ATP (foto S.Novellu)

“Ricordo ancora l’emozione di quando abbiamo saputo di aver vinto il concorso – racconta Amata con un sorriso che le illumina il volto -. Eravamo un piccolo gruppo di donne pronte a metterci alla prova in un settore tradizionalmente maschile.”

 

                              Pina Piras, autista ATP (foto S.Novellu)

Pina annuisce, aggiungendo: “All’inizio forse c’era un po’ di scetticismo ma con il tempo e la nostra professionalità abbiamo dimostrato il nostro valore. Il rapporto con i colleghi uomini è sempre stato di rispetto e collaborazione”.

                                         Tiziana Pilia, autista ATP (foto S.Novellu)

Tiziana, invece, sottolinea come sia evoluta l’ATP in questi anni: “L’azienda è cresciuta, si è modernizzata e allo stesso tempo è cambiata anche la mentalità dei nuoresi nei confronti del trasporto pubblico. “Vediamo sempre più persone scegliere l’autobus per spostarsi – spiegano – consapevoli della sua importanza per la comunità e per l’ambiente. In città c’è troppo traffico, i parcheggi sono pochi e costano cari e l’autobus può essere la soluzione”.

 “Il rapporto con l’utenza è fondamentale,” spiega Amata. “Cerchiamo sempre di essere disponibili e gentili, perché sappiamo che per molte persone l’autobus non è solo un mezzo di trasporto, ma anche un luogo di incontro e di socializzazione.”
Pina concorda: “A volte basta un piccolo gesto, un sorriso, una parola di conforto per rendere la giornata migliore a qualcuno.” E Tiziana conclude con un pizzico di orgoglio: “Siamo donne al volante, sì, ma siamo soprattutto professioniste che amano il proprio lavoro e che si sentono parte integrante della comunità nuorese. Il “pericolo costante di cui si parla tanto? Forse per chi non ha mai visto la nostra dedizione e la nostra passione per questo servizio.”Amata, Pina e Tiziana: tre storie di donne che, giorno dopo giorno, sfatano i pregiudizi e dimostrano come la professionalità, la gentilezza e la passione non abbiano genere, ma solo la forza di rendere un servizio pubblico un vero valore aggiunto per la città di Nuoro

29.3.25

un cavallo al funerale del padrone il fantino Carlo Uleri un giovane di 53 anni

   a  chi  come  Rizzi  dice  che  noi sardi   maltrattiamo  gli  animali    ecco la   risposta  


IL 13 marzo Ai funerali del fantino  Carlo Uleri un giovane di 53 anni, è deceduto improvvisamente   due giorni  prima  ha  " partecipato   " anche    il suo amatissimo cavallo dandogli il suo ultimo saluto, dimostra per l'ennesima volta il grande amore del popolo sardo verso i propri animali, che non sono considerati come strumenti per fare soldi o da lavoro, ma veri e propri componenti della famiglia.E non parlo di cani o gatti, che

peraltro da qualche pseudo amante degli animali vengono relegati in appartamenti da venti metri quadri e li' costretti a passare la loro vita, per la maggior parte della giornata in solitudine e a mangiare crocchette preconfeziomate perché il proprio padrone al rientro dal lavoro neanche gli prepara da mangiare.
Per poi essere abbandonati in canali, gattili o peggio per strada al momento delle vacanze dei loro padroni. Costretti a fare i loro escrementi su traverse di plastica perché i propri padroni hanno fatica a portarli fuori casa.In Sardegna da millenni si allevano cavalli, asini, pecore, capre, maiali trattati meglio dei cani e gatti di cui sopra. Allevati con cura dai loro padroni, dandogli i migliori pascoli o le scuderie meglio attrezzate. Diventano membri della famiglia a tutti gli effetti ed i loro padroni rinunciano a feste, ferie e vacanze pur di non abbandonarli. E vivono in libertà, in paesaggi bellissimi, al caldo d'inverno e al fresco in estate.Guarda caso della vicenda del cavallo ai funerali di Uleri sinora non aveva parlato nessuno. Perché è più facile parlare delle pecore o dei polli ammazzati e darci degli assassini, screditarci a livello nazionale, piuttosto che evidenziare come ci comportiamo realmente noi con gli animali, ovvero come la famiglia Uleri che ha scelto di fare di quel cavallo un simbolo non solo dell'amore della propria famiglia. Ma anche un simbolo di riscatto di un'intera isola, del quale tutti noi dovremmo essere grati. Ma allora qualcuno\a mi dirà : ma allora la sartiglia , l'ardia ecc cosa sono    è  amore   per  gli animali   ?
Sono delle tradizioni equestri ma non solo come si può leggere da colllegamenti internet riportati , dove da quel che mi risulta , rispetto ai : alle corride , circhi , agli ipodromi i cavalli non vengono maltratti o drogati ma c'è un rapporto ancestrale  fra uomo e cavallo dove non viene sfruttatato per il divertimento umano.

chi siamo noi per giudicare . il caso della tragedia di Gianfranco Pilo

Nonostante sia distante anni luce dal suo modo di pensare e ci siua incomptibilità di carattere e di veere il mondo .Stavolta concordo con lei .
Finalmente un commento sensato,ho letto tanti di quei commenti allucinanti che a volte si dovrebbe tacere anziché dare fiato alla bocca solo x puntare il dito o fare la morale agli altri, siamo tutti quel padre e siamo tutti quel bambino.......



La famiglia di Gianfranco Pilo, il 42enne di Ossi deceduto dopo essere stato schiacciato dalla sua auto, ha dato il via alle pratiche per l'espianto e la donazione degli organi di quest'uomo buono, un gran lavoratore, che in questi giorni aveva tre settimane di ferie da trascorrere a casa con l'amatissima moglie ed I figli.
Proprio lei lo ha soccorso quando sabato sera per una tragica fatalità, Pilo è rimasto schiacciato tra lo sportello della sua auto guidata da un amico del figlio dell'età di dieci anni e la ringhiera della sua abitazione. Pilo è andato in arresto cardiaco. Nonostante lo shock la consorte ed i vicini hanno immediatamente chiamato i soccorsi. Pilo è stato trasportato all'ospedale Santissima Annunziata di Sassari, dove ieri è deceduto.
Ho letto dei commenti di accusa nei confronti di Pilo che avrebbe lasciato sedere il bambino nel sedile di guida della sua macchina. A parte che non siamo ancora certi di quanto sia realmente accaduto, ma parliamoci chiaro, guardandoci in faccia. A quanti di noi non è capitato che il proprio figlio si sedesse nel sedile di guida per gioco e facesse finta di guidare? Quante persone, specie chi lavora in campagna, non abitua i figli a guidare i mezzi di trasporto, macchine e trattori compresi, ben prima del compimento del diciottesimo anno di età, quando per legge hanno diritto alla patente?
Lo sappiamo tutti che accade. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia. Quello che non conosciamo è l'imprevisto, la fatalità, la tragedia, come quella accaduta sabato a Pilo che la macchina si mettesse in moto e lo schiacciasse.
Non mi sento di fare nessuna accusa di negligenza a quest'uomo. Credo sia sufficiente il dolore che la famiglia Pilo e la famiglia del bambino di dieci anni che l'ha travolto, stiano passando ora e che porteranno appresso tutta la vita.
L'unica consolazione è che attraverso i suoi organi, Gianfranco Pilo possa continuare a vivere ed aiutare altre persone che ne hanno bisogno.
Che possa riposare in pace.

                            Maria Vittoria Dettoto 

Infatti i bambini ( chi non lo è mai stato scagli la prima pietra 😂🤔 ) sono imprevedibili e a volte per il troppo volerli accontentare si acconsente anche a ciò che non si dovrebbe ,qui il dolore è tanto ,quello della famiglia del povero uomo morto rimasta orfana di una figura così importante in casa e di quello della famiglia del bimbo ,il quale vivrà sempre con questo rimorso ,un peso troppo grande da portare per lui ,auguro che quest' anima buona dia a tutti loro la forza di andare avanti senza rancori tra di loro ma che si aiutino vicendevolmente per ricordare quella  che  fu , come   testimoniano commenti  come  questo    (  trovato sulla  pagina  fb  in questione  )  


 il   silenzio è oro, rispetto per queste famiglie, che hanno subito questo dolore così immenso, solo loro sanno quello che si porteranno dentro a vita... Vicina a questo grande dolore a tutti, spero che questo giovane padre e marito dia tanta forza per superare tutto questo, la vita è imprevedibile e crudele, ma siamo tutti sotto questo cielo, lui continuerà a vivere nelle persone a cui gli sono stati donati gli organi, un grande gesto, un abbraccio a tutti i familiari 


  la bontà di quest' uomo   Quindi   le uniche cose che in questo momento possiamo fare sono due . 1 Evitiamo ulteriori  commenti che non portano a niente .2 Se qualcuno si sente preghi o  aiuti   questa famiglia .

28.3.25

l'ora della verità - di ® Daniela Tuscano

 Più di 480 vittime - in gran parte donne e bambini - a Gaza a causa d'un attacco israeliano. Perfino il controverso Ehud Olmert dichiara apertamente che l'obiettivo del premier è un «Israele non democratico». Non si risparmia il Papa, «colpevole» d'aver espresso all'Angelus il suo dolore per il massacro nella Striscia e implorato di far tacere le armi. «L’operazione è condotta in piena conformità con il diritto internazionale» (!), è la piccata replica dell'ambasciata d'Israele. Dopo la pace, sbeffeggiata dai sedicenti «inclusivi» che per il RearmEurope stanno mettendo a repentaglio i servizi sociali - è diventata innominabile pure la compassione. 
Contemporaneamente, sembra che un numero non trascurabile di palestinesi comincino ad averne abbastanza di Hamas. Non è una novità assoluta, nel 2024 un abitante del Territori protetto dall'anonimato aveva rivelato ad «Haaretz» che «Hamas ha danneggiato la nostra lotta e l'ha trasformata in uno strumento utilizzato da elementi oppressivi». Auspicando una nuova e autentica leadership per la resistenza palestinese, l'ignoto interlocutore manifestava sconcerto per il sostegno ad Hamas da parte di donne di Ramallah e Amman, «che non indossano hijab o veli»: «Non sanno - domandava - come Hamas le vede e come vengono rappresentate nel sistema scolastico di Hamas?». 
Adesso pare che il malcontento non si limiti a proteste isolate. Nel frattempo chi lavora per una pace autentica, come NSWAS, Rabbis for Peace e molti altri continua a farlo, malgrado il disprezzo e la noncuranza di governi, gruppi organizzati e mass-media. Ma anche di taluni attivisti/e occidentali, perché prese di posizione quantomeno ambigue arrivano non soltanto dalle donne di Ramallah o giordane, come crede il gazawi sopra ricordato. Anche da noi è tutto un rabbioso scandire slogan di «liberazione dal fiume al mare» consapevoli di ciò che tale presunta «liberazione» comporterebbe per gli israeliani/e, etichettati sbrigativamente  come «sionisti» senza che la maggior parte dei manifestanti italiani pro-Pal conosca un iota della storia e delle ragioni del sionismo. Le violenze subìte dalle donne d'Israele sono poi da costoro sistematicamente minimizzate o negate. Non si può negare che per taluni la lotta al «sionismo» altro non sia che un antisemitismo mascherato.
Ebbene, dato che comunque questi attivisti si ostinano a proclamarsi pacifici chiediamo si uniscano alle voci dei due popoli esasperati dalle carneficine dei loro rispettivi rappresentanti, ed esigano soluzioni eque per entrambi, senza che l'uno distrugga l'altro. Più in generale chiediamo fermamente facciano sentire il loro NO a chi da Bruxelles, in nome della pace, prepara la guerra. 

© Daniela Tuscano

PARLATE CON L’AGGRESSORE PER TENTARE DI CALMARLO . Manuale di autodifesa puntata n XXII I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco

puntata precedente

 Non tute le situazioni di pericolo possono essere affrontate  in modo razionale. In momenti di alta tensione o di paura, le emozioni possono prendere il sopravvento e rendere difficile pensare in maniera lucida, ed è umano sentirsi  soprafatti in situazioni di emergenza. È importante quindi riconoscere che ogni situazione è unica e può richiedere approcci diversi. Ipotizziamo che veniate bloccate in un angolo, senza via di fuga. Come è meglio comportarsi ? Naturalmente il primo consiglio è cercare di prevenire questo genere di situazioni, anche se a volte, pur mantenendo una soglia di a!enzione elevata, capita che ci si sorprenda a pensare che “a me non capiterà mai”. Torniamo all"esempio di prima. Se siete finite in un angoloperché siete scappate, avete fallito nella capacità di discriminare una via di fuga. Se siete finite in un angolo perché vi ci hanno portate, avete fallito perché avete permesso di fare entrare un soggetto terzo nella vostra “area protetta. Ciò premesso – anche se non avete colpa – dovete affrontare la  situazione in maniera razionale, naturalmente a vostro vantaggio.Cercate di mantenere la calma per pensare in maniera lucida. Se avete la possibilità di scappare, cercate di farlo. Guardate se nelle vicinanze  ci sono delle persone o delle vie di fuga. Se  ritenete di avere le energie emotive sufficienti   per farlo, provate a parlare  con il vostro aggressore  in modo calmo. Ricordate che una conversazione  è in grado di disinnescare  un pericolo. 

Come ? usandoil metodo   di   una   comunicazione  non violenta   proprio   come  si fa    con persone prepotenti ed aggressive, che vi permetteranno di sentirvi un po’ più sicuri e, dove possibile, di migliorare la relazione e disneccare  (  o  almeno  provarci  )   le  tensioni Proprio  come  suggerisce  8 strategie per trattare con persone aggressive e prepotenti  di  https://www.psicologo-milano.it/  ( e  a cui  rimvio per  l'analisi  dei  singoli  punti   sotto  citati   ) 


[⚠️ Prima di iniziare, una precisazione fondamentale: se sei vittima di comportamenti apertamente aggressivi, non usare questi spunti, ma mettiti immediatamente in sicurezza. La protezione personale è sempre la priorità assoluta. Se sei donna e stai ricevendo violenza di genere, chiama immediatamente il numero 1522]
  1. Mantenete la calma: contate fino a 10
  2. Mantenete le giuste distanze e tenete aperta ogni possibilità
  3. Cambiate atteggiamento: da reattivi a proattivi
  4. Imparate a conoscere i vostri diritti
  5. Fate domande, non affermazioni
  6. Mostrate superiorità con l’umorismo
  7. Mantenete un tono formale durante la comunicazione
  8. Fate riflettere le persone aggressive sulle conseguenze del comportamento negativo
  9. Conclusioni: navigare nel mare delle relazioni difficili

n alternativa,  come suggerisce   e  altri  siti    su    Come difendersi da una comunicazione aggressiva   sia  lo  stesso  Manuale di autodifesa -I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco  sul settimanale  Giallo  , a  meno che non siate una lottatrice  o  conoscete   un  po'   di karate  \  arti marziali , è arrivato il momento di  usare lo spray al peperoncino  ( sul'uso vedere puntate XIII  e XIV  e  questo post   di   https://www.laleggepertutti.it/ )

Giampolo Goattin. Si schiantò col jet sul monte per evitare la zona abitata: top gun «eroe» rinviato a giudizio



«L’aereo aveva smesso di obbedire ai comandi dopo aver compiuto una manovra circolare di “looping”. A quel punto ho puntato la montagna per evitare una strage. Ho diretto l’aereo verso una zona disabitata e ci siamo lanciati col paracadute». Raccontava così, all’allora pubblico ministero lecchese Andrea Figoni, Giampolo Goattin. Raccontava quello che per un pilota è un dogma, vale a dire cercare di salvare il velivolo ma, come in questo caso, soprattutto non mettere a rischio vite umane. Era il 2022.
E quelle parole si riferivano a quanto accaduto il 16 marzo di quell’anno, quando un jet Aermacchi


                                             modello  dell'aereo  precipitato    da https://lecconotizie.com/cronaca/

 M346 si schiantò sul monte Legnone, in provincia di Lecco.Erano in due, su quell’aereo. Giampaolo Goattin, all’epoca 53 anni, veronese trapiantato a Torino, ex terzino nelle giovanili del Chievo, ma soprattutto un passato da top gun, tra i migliori nella storia dell’aeronautica militare italiana
schianto  in questione (  dalla  stessa  fonte   di  quella  precedente   
E Dave Ashley, inglese di 49 anni, ex addestratore della Raf, la Royal Air Force. In quell’incidente Ashely morì, mentre Goattin si salvò. E giovedì è stato rinviato a giudizio, con sette dirigenti della Leonardo spa, azienda produttrice del jet. Per gli otto le accuse sono, a vario titolo, di disastro aviario colposo e omicidio colposo derivante dalla violazione delle norme antinfortunistiche, con la Leonardo Spa chiamata in causa per la responsabilità amministrativa legata alle norme antinfortunistiche.
L’azienda, che ha ribadito che continuerà a garantire la massima collaborazione all’indagine ha sottolineato che «il sistema procedurale di Leonardo garantisce l’attuazione di stringenti processi di controllo, in linea con le normative». Goattin era diventato collaudatore alla Aermacchi-Leonardo nel 2007, l’anno in cui aveva lasciato quell’aeronautica militare nella quale si era arruolato nel 1986, raggiungendo picchi mai sfiorati da altri piloti italiani. Era il 2002 quando gli americani a lui - che pilotava gli F 16 nella Luke Air Force Base a Phoenix, in Arizona - conferirono l’onorificenza di «Flight commander of the year», comandante di volo dell’anno, riferito al 2001. Riconoscimento mai avuto prima da un pilota non americano che si è andato ad aggiungere a quello di «Top Gun» per il tiro «aria suolo» . Poi il ritorno in Italia, l’assegnazione alla base di Amendola in Puglia e la decisione di lasciare l’aeronautica militare per dedicarsi al lavoro di collaudatore.Quel giorno, il 16 marzo 2002, il jet con Goattin e Ashley era decollato dalla base di Venegono, in provincia di Varese, per un collaudo in uno spazio militare riservato. Goattin doveva addestrare all’uso dell’M 346 Ashley, che a sua volta avrebbe dovuto formare dei piloti del Turkmenistan, Paese a cui sarebbero stati venduti 6 di quei jet. Quel 16 marzo, quando venne avviata la procedura di espulsione, Ashley e Goattin furono eiettati dal jet, come testimoniato dal video girato da un escursionista. I paracaduti di entrambi si aprirono, ma Ashley - che nell’aereo era seduto davanti - sotto di sé trovò una parete rocciosa su cui si schiantò, mentre Goattin si agganciò a uno spuntone della montagna, salvandosi. Subito dopo l’incidente continuava a chiedere come stava il collega inglese. Per lui un trauma cranico non grave un taglio al sopracciglio. Per la procura di Lecco gli indagati, sempre a vario titolo, «avrebbero dovuto evitare il disastro, in quanto l’aereo non era ancora pronto per essere messo nelle mani di Ashley». Dopo quello che è stato nominato come il «disastro aereo del Legnone», Goattin fu definito da molti un «eroe», per quella decisione di evitare la zona abitata. Invece, per lui, il rinvio a giudizio.

Chi era Margot Wölk, la vera storia dell’assaggiatrice di Hitler: “Dopo ogni pasto piangevo di sollievo”





Margot Wölk, nata a Berlino nel 1917 e morta nel 2014, aveva poco più di 20 anni quando divenne una
delle "assaggiatrici di Hitler", costretta insieme ad altre 14 giovani a mangiare il cibo preparato per il Führer per verificare che non fosse avvelenato.
La storia di queste donne venne resa nota solo nel 2012 quando, in occasione del suo 95esimo compleanno, Wölk decise di raccontarla in un'intervista tv. Lei fu l'unica sopravvissuta delle 15 "assaggiatrici". La vicenda è stata raccontata in un libro scritto da Rosella Postorino, che nel 2018 ha vinto il Premio Campiello e da cui è stato tratto un film, uscito al cinema in Italia il 27 marzo 2025.
La vera storia di Margot Wölk, costretta ad assaggiare il cibo di Hitler

La storia di Margot Wölk inizia nel dicembre del 1941, quando a causa di un bombardamento fu costretta a trasferirsi nella casa della suocera, mentre il marito era al fronte, in un villaggio della Prussia orientale.
L'abitazione si trovava a pochi chilometri dal Wolfsschanze (letteralmente, "Tana del Lupo"), il quartier generale militare del fronte orientale di Hitler.
Si trattava di un bunker da cui il Führer diresse le operazioni in Urss fino alla fine del 1944, quando venne abbandonato a causa dell’avanzata dell’Armata Rossa.
Poco dopo il suo arrivo nel villaggio, Wölk e altre 14 giovani donne vennero selezionate dal sindaco locale e portate nelle caserme di Krausendorf, dove i cuochi preparavano il cibo per le ragazze. Wölk, all'epoca 24enne, veniva

prelevata ogni giorno per recarsi ad assaggiare i piatti preparati per Hitler.
"Il cibo era buono, molto buono, ma non ci piaceva", aveva raccontato la donna successivamente, ricordando che per lei e le altre quei piatti erano associati al terrore della morte.
Ogni volta che terminava un pasto, aveva ricordato ancora Wölk, che piangeva "per il sollievo", sapendo che, ancora una volta, era sopravvissuta. Hitler temeva infatti che i suoi nemici volessero avvelenarlo.
Solo dopo che le donne avevano confermato che il cibo era commestibile e innocuo, le SS lo portavano al Führer. Dopo un tentativo fallito di uccidere Hitler, le assaggiatrici non vennero più lasciate nelle loro case, ma furono fatte alloggiare in un edificio a parte.
Il ritorno a Berlino, i soprusi dei Russi e il ricongiungimento con il marito

Nel 1944, quando l'Armata Rossa stava avanzando rapidamente ed era a pochi chilometri dal Wolfsschanze, un soldato prese Wölk e la fece salire su un treno per Berlino. La donna disse di aver incontrato il militare dopo la fine della guerra, fu lui a raccontarle che le altre 14 assaggiatrici erano state uccise prima dell'arrivo dei sovietici.
Dopo l'ingresso dell'esercito sovietico a Berlino, anche lei fu catturata e violentata ripetutamente. Le furono provocate lesioni tali da non permetterle di avere figli negli anni a seguire. Nel 1946 la donna riuscì a ricongiungersi con il marito, con cui visse fino alla morte di lui, avvenuta nel 1980.
Wölk decise di tenere nascosta la sua storia per tantissimi anni, fino a quando nel dicembre 2012 la raccontò a una giornalista del Berliner Zeitung, descrivendo quei giorni come "i peggiori della sua vita".
“Mi ci è voluto molto tempo per tornare a godere del cibo, ma ce l’ho fatta, non è stato facile ma credo di aver finalmente sconfitto le mie paure”, aveva detto in quell'occasione.
“La coercizione subita dalle assaggiatrici, che si esercita attraverso qualcosa di necessario e innocente come il cibo, e che in questo processo trasforma le vittime in complici del Terzo Reich, è la metafora di quanto succede a chi vive sotto una dittatura”, ha spiegato Rosella Postorino, la scrittrice che si è ispirata a questa storia per scrive il suo libro, ‘Le assaggiatrici'.
Wölk è morta nel 2014, all'età di 96 anni, dopo essersi liberata di un peso che molto probabilmente la tormentava da quasi tutta la vita

27.3.25

la gelosia morbosa ( da non confondere con quella normale ) può portare all'amore tossico e alla violenza di genere ovvero al femminicido

       


            

 ora  c'è  gelosia  e gelosia  morbosa .    La differenza tra le  due  sts   nell'intensità e nella natura del sentimento.

  • Gelosia: È un'emozione comune che può manifestarsi quando si teme di perdere qualcosa o qualcuno importante, come un partner, un amico o una posizione. Spesso è accompagnata da insicurezza o bisogno di protezione, ma rimane entro i limiti della razionalità e non sfocia in comportamenti estremi.

  • Gelosia morbosa: È una forma di gelosia eccessiva e patologica, che si trasforma in ossessione. Chi ne soffre può sviluppare sospetti infondati, controlli eccessivi, paranoia e comportamenti coercitivi. In casi estremi, la gelosia morbosa può portare a dinamiche di amore tossico, violenza e persino a gravi conseguenze come il femminicidio.

La gelosia morbosa richiede attenzione e, spesso, un intervento professionale per affrontare le radici del problema e proteggere le persone coinvolte      in  quant come  riporta il video  qua  sotto     


  degenerà  in  violenza  di genere  e  femminicidio . 

⁕ La gelosia morbosa: psicopatologia e rischi associati  di  Dott. Christian Spinelli Psicologo Psicoterapeuta

26.3.25

Denuncia il concorso irregolare, l’università lo annulla e stavolta vince lei: la storia di Stefania Flore

 Questa è una piccola storia che merita davvero di essere raccontata.È la storia dell’avvocata e ricercatrice

Stefania Fiore, 35 anni, Denuncia il concorso irregolare, l’università lo annulla e stavolta vince lei: la storia di Stefania Flore


Qualche tempo fa ha partecipato a un bando di concorso per un assegno di ricerca da 19mila euro in Scienze giuridiche su diritti del minore e nuove tecnologie.Con un curriculum del suo livello, avrebbe dovuto vincere a mani basse. E invece si è vista scavalcare per due punti da una neolaureata il cui relatore di tesi era - tenetevi forte - lo stesso Presidente di Commissione che valutava i candidati, in un conflitto di interessi smisurato.Non solo. Come riporta il “Corsera”, è venuto fuori che i criteri di valutazione sono stati persino modificati successivamente sulla base dei curriculum dei candidati.Così Stefania Fiore ha fatto l’unica cosa da fare in questi casi: ha denunciato tre docenti per falso ideologico in atto pubblico. Ha rifatto il concorso, questa volta pulito, e lo ha finalmente (e giustamente) vinto, ottenendo bando e assegno.Non ha fatto bene, ha fatto benissimo a denunciare. E il modo in cui lo ha spiegato, in questo Paese di furbi, di raccomandati e di clientelismo fuori scala, è quasi commovente.“Il problema di noi ricercatori è che non siamo uniti e non siamo coraggiosi. È un diritto chiedere di vederci chiaro di fronte a sospetti di irregolarità. Spero di convincere altri ad alzare la mano e dire: ‘Questa cosa non mi va bene'”.

da la nuova sardegna

L’avvocata cagliaritana: «Quando c’è il sospetto di un’irregolarità è un diritto volerci vedere chiaro: vorrei lo facessero anche tante altre persone»


Cagliari La sua è una storia di rivalsa. L’avvocata Stefania Flore, di Cagliari, in queste ore è salita alla ribalta delle cronache nazionali per la vittoria del bando per un assegno di ricerca all’Ateneo di Bologna, nella facoltà di Scienze giuridiche. Contratto di un anno e mezzo sui diritti del minore con l’utilizzo di nuove tecnologie, via dal primo aprile. La particolarità è che Flore, 35 anni, nel curriculum dottorato e diploma di specializzazione più pubblicazioni e docenze varie, ha dovuto vincere il bando due volte.
Al primo tentativo Flore era stata superata da una neolaureata con uno stage di pochi mesi al parlamento europeo. La stessa, aveva sostenuto la tesi con la presidente della commissione che valutava i candidati del concorso e collaborava con un’altra docente, anche questa della commissione. Incongruenze erano uscite fuori anche nei criteri di valutazione. Per questo motivo Stefania Flore aveva fatto scattare la denuncia nei confronti dei professori e all’apertura di un’inchiesta in Procura.
Il Dipartimento dunque ha pubblicato un nuovo bando e stavolta la vincitrice è risultata proprio lei, Flore.  «Ho pensato che non si volesse lanciare il messaggio di premiare una persona che aveva dato fastidio. Poi credevo che il secondo bando fosse stato fatto proprio per aprire ad altri candidati in grado di competere con me», sono i pensieri, di cui ha parlato al Corriere di Bologna, passati per la testa dell’avvocata cagliaritana che aveva ormai perso le speranze. «Devo dire che in queste settimane ho ricevuto tantissima solidarietà da parte dei colleghi di tutta Italia. A me interesserebbe molto aiutare e dare consigli a chi si trova nelle condizioni in cui mi ero trovata io. Il problema nel nostro mondo è che la gente non condivide informazioni – le sue dichiarazioni –. Avrei preferito passare onestamente la prima volta ma ora che la correttezza è stata ripristinata per me non c’è problema. Potevano anche non farmi passare perché il colloquio è discrezionale, quindi penso che in fin dei conti mi abbiano comunque voluta». E ancora, nell’intervista rilasciata: «Molte persone ti spaventano, ti dicono: vedrai che ti rovinano la vita o che ne risenti in salute. Io non l’ho vissuta così male. Anche di fronte a un sospetto di irregolarità è un diritto chiedere di vederci chiaro. Vorrei che tante persone lo facessero, il problema di noi ricercatori è che non siamo uniti e non siamo coraggiosi



Licénziato durantela pandemia si è reinventato mago del design Sassari Livio Lai era un informatico, oggi è un creatore di successo

 da   la nuova  sardegna    del 26\3\2025

 Sassari È nei momenti di difficoltà, quando tutto sembra andare storto, che spesso si riescono a trovare risorse inaspettate e soluzioni che cambiano per sempre la vita. È quello che è successo al sassarese Livio Lai, un omone alto due metri con le mani enormi ma leggere, che riescono a danzare sulla carta e sul sughero e a creare oggetti d’artigianato raffinati ed eleganti. Livio Lai ha 55 anni e la sua è una storia di rinascita e riscatto, la testimonianza vera e diretta che non bisogna mai darsi per vinti, perché a volte, la soluzione dei problemi è sotto ai nostri occhi e non ce ne accorgiamo finché non ci troviamo con le spalle al muro. Nel 2020, in piena pandemia, Livio è stato licenziato in tronco. Di colpo, da geometra specializzato in informatica, con moglie e tre figli a carico, si è ritrovato senza un lavoro. Una condizione che avrebbe messo in ginocchio chiunque.


 Lui, invece, dopo lo choc iniziale, si è guardato intorno, ha ragionato con sua moglie Claudia Melis, e ha capito che la soluzione ai suoi problemi sarebbe passata attraverso il suo amore per l’artigianato. Una passione ereditata dal nonno Antonio Senes, carabiniere intagliatore, e portata avanti sin da ragazzo, quando giocava a basket perché era alto 2 metri e 02, e uno sport doveva pur farlo, ma il suo istinto lo spingeva a lavorare con gli oggetti, a cucire, a intagliare.

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Le sgorbie da intagliatore del nonno e la macchina per cucire Singer della nonna sono così diventati i suoi nuovi strumenti di lavoro. Dalla famiglia, da suo nonno e dalle sue due nonne è così arrivata una risposta alla crisi.
Nei primi giorni di pandemia, dopo avere realizzato a mano alcune mascherine artistiche per familiari e amici, con materiali di qualità e un design originale (le mascherine hanno un doppio profilo: il suo e quello della moglie), ha iniziato a ricevere tantissime richieste. A quel punto Livio ha iniziato a produrle in grandi quantità, anche per grandi imprese, trasformando le mascherine nel suo primo business artigianale.


Ma il vero salto di qualità, l’ex geometra lo ha fatto portando in fiera i suoi lavori di artigianato moderno, dai tessuti (cuscini, runner, tovaglie), ai quadri tridimensionali, con maschere sarde ricavate piegando la carta di cotone o con tappi di sughero intagliati.«Ho aperto la partita Iva poco prima della mezzanotte, giusto in tempo per iscrivermi alla fiera di Mogoro nel 2021 – racconta con orgoglio Livio –, ho portato tutto ciò che avevo prodotto fino a quel momento e ho venduto tutto, anche l’oggetto più piccolo. Un successo che mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta».Livio Lai, nell’aprile 2023, ha aperto il suo laboratorio, che funge anche da spazio espositivo, in via Torre Tonda. Entrare in quel locale antico è come immergersi nell’arte di questo artigiano che trasmette calma e passione per il dettaglio. Ogni suo oggetto è frutto di un pensiero, di un ragionamento. Usa tessuti della tradizione, come l’orbace del cappotto della nonna, per creare oggetti dall’uso completamente diverso, come tovaglie. Oppure, recupera tessuti fatti al telaio e corredi antichi, per realizzare cuscini o tovaglie.
La maschera di carta di cotone piegata è frutto «di una ricerca durata anni, ancora prima della pandemia», spiega Lai, il design richiama chiaramente le maschere sarde, ma ha una sua sintesi stilistica che la rende unica e riconoscibile. Così i tappi di sughero intagliati, usati anche per comporre quadri con figure geometriche, dove le ombre creano dinamicità e movimento. «Ordino i tappi direttamente dai produttori e devo lavorarli quando sono ancora umidi ed elastici - racconta Lai - perché una volta che induriscono è impossibile intagliarli».Le opere di Livio Lai sono in vendita principalmente nel suo atelierdi Sassari, ma si possono trovare anche in diversi negozi di artigianato in diverse località della Sardegna. Inoltre, continua a partecipare alle fiere, da Mogoro a Milano, portando avanti il suo progetto. Nel laboratorio di via Torre Tonda, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, Livio Lai riscrive la propria storia di rinascita.


Senza entrare nel vortice delle tifoserie, si può dire che il gesto di Prodi è stato piuttosto sgradevole? secondo me si

far respirare , differenza tra il gesto di prodi e quello di Donzonelli , caro genitore , i valori dei nonni e dei vecchi genitori ( boomer e pre boomer )



Oggi verso le 5 del pomeriggio ero al bar a prendere un caffè.Nel tavolino vicino al mio c’erano due signore. Attorno al loro tavolino c’erano tre bambine (avranno avuto 8-9 anni) che giocavano a prendersi.Capisco subito che una delle donne è la babysitter di una delle bambine.- Chiara, vieni, tua mamma ti ha mandato un vocale, vuole sapere com’è andata scienze.Chiara, con un certo scazzo, interrompe il gioco con le amiche e va dalla babysitter e manda un vocale alla mamma e le dice: - bene. Scienze per Chiara era andata bene. La mamma di Chiara, non contenta, continua a scrivere alla babysitter perché il bene non le basta, vuole sapere quanto ha preso. - Chiara - Ehhhh - La mamma vuole sapere quanto hai preso di scienze. - Non lo so, non ce l’ha detto. Una volta che le bambine si riallontanano per giocare, l’altra donna dice alla babysitter di Chiara: - Ma la mamma non può aspettare a parlare con la figlia stasera? La babysitter risponde con un silenzio che vale più mille parole.
Io ho incrociato lo sguardo di Chiara e le ho sorriso, ho pagato e me ne sono andata. Tornando a casa mi sono chiesta che cosa pensiamo di ottenere con questo controllo asfissiante sui bambini e le bambine, a scuola, a casa, fuori da scuola e fuori da casa.
È sacrosanto e giusto che un genitore ci tenga che suo figlio vada bene a scuola, ma tutti questi vocali, tutte queste app, tutto questo toccare con mano in ogni santo momento QUANTO vale un essere umano io lo trovo vomitevole e irrispettoso della crescita dei bambini e delle bambine.Il tema della valutazione
è un ginepraio, quello della genitorialità pure, quello dell’insegnamento non ne parliamo, ma io credo che è proprio lo sguardo che si è ammalato su questi piccoli esseri umani. Sono bambini, sono bambine, stanno crescendo.Dobbiamo rispettarla questa crescita, accompagnarla, chi da genitore, chi da insegnante, chi da babysitter, ma fare i controllori dei numeri, dei voti, della media, del maledettissimo registro elettronico non farà di noi adulti migliori né di loro bambine e bambini perfetti. Io sogno un mondo in cui i bambini e le bambine possano veramente tornare a respirare, nel rispetto della loro età anagrafica, dei loro bisogni e dei loro tempi a casa, a scuola, ovunque.Tornare a respirare non significa, per me, LIBERITUTTI, io credo molto nel valore del limite e delle regole. Tornare a respirare per me significa essere guardati più da lontano a casa, a scuola, in palestra, in piazza, per strada, ovunque.Noi grandi, dovremmo, secondo me, avere il coraggio di fare qualche passo indietro quando abbiamo davanti dei piccoli esseri umani, come quando ci mettiamo davanti allo specchio e indietreggiamo per vederci più da lontano.Anche lo sguardo, a volte, ha bisogno di respiro.
Illustrazione di AAnna Godeassi

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Romano Prodi ha sbagliato. Vero Senza se e senza ma. A prescindere, secondo alcuni , dalla evidente e intollerabile provocazione (che nulla ha a che fare col giornalismo), tirare i capelli anche in modo lieve o toccare una spalla ( dipende dall'angolazione con cui si vedono le immagini perchè esempio il video di mediaset non lo si vede se non al "var" mentre , il quello della trasmissione de la 7 Martedi riportato sotto si vede )
invadere fisicamente lo spazio fisico di una donna (o un uomo) con un gesto non richiesto e certamente non gradito è un comportamento non accettabile e da stigmatizzare.

E il primo a saperlo, ne sono certo, dovrebbe essere proprio Prodi, che in 85 anni di vita e oltre 30 di carriera politica ha dimostrato di essere un Signore almeno fin ora . Ma, come ogni essere umano, sbaglia. La risposta era perfetta. Il gesto sgradevole. Punto. La differenza è che a sinistra nessuno o quasi si sognerebbe di difenderlo per partito preso. Mentre a destra, nelle stesse ore, non ce n’è stato uno, UNO SOLO, che abbia speso mezza parola di condanna per Donzelli - che a differenza di Prodi riveste incarichi pubblici e di partito ai massimi livelli - che ha dato apertamente del “pezzo di 💩 un giornalista rifiutando persino di rispondere a qualunque domanda. O, peggio ancora, quando Ignazio La Russa da ministro scalciava i giornalisti sgraditi. Ed è una differenza enorme. Genetica tra la sinistra e la destra istituzionale .La cosa diverte è che
La faccenda divertente di Prodi che tira i capelli ad una giornalista è vedere per una volta tutti i vari Porro difendere una donna da una molestia quando tutte le volte precedenti ne avevano sminuito il gesto e difeso l'uomo a prescindere.
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8 h 


Mia nonna diceva:
Non andare dove non sei invitato.
Non parlare di ciò che non conosci.
Fatti gli affari tuoi.
Non aprire il frigorifero a casa d’altri.
Non chiamare dopo le 22.
Non andare a trovare qualcuno all’ora di pranzo.
Non entrare nella stanza di qualcun altro senza permesso.
Queste erano le regole del saper vivere, e lo sono ancora oggi,perché l’educazione non passa mai di moda

l'emergenza femminicidi non è solo quella del linguaggio e della narrazione che ne fanno i media e i social ma anche l'aiuto delle madri dei due assassini di Sara Campanella ed Ilaria Sula.

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